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    Il premier croato Plenković indica all’UE la “cifra storica” del nuovo millennio: “Le nostre democrazie contro le autocrazie”

    Bruxelles – Democrazie contro autocrazie, “questa è la cifra storica del momento in cui viviamo”. Nel suo intervento alla mini-sessione plenaria del Parlamento UE a Bruxelles, il premier della Croazia, Andrej Plenković, è stato particolarmente chiaro nell’illustrare la posizione che l’Unione deve continuare a portare avanti nell’approccio alla guerra russa in Ucraina e sul piano della dimensione esterna: “Siamo all’apice degli standard globali di democrazia, dobbiamo prendere la leadership della difesa e della promozione dei valori fondamentali, soprattutto nei confronti dei nostri vicini”.
    Il primo ministro della Croazia, Andrej Plenković, alla plenaria del Parlamento UE a Bruxelles (22 giugno 2022)
    Considerando lo “stravolgimento dell’ordine internazionale” provocato dall’invasione russa dell’Ucraina, il premier croato ha iniziato la propria analisi dalle cause che l’hanno determinato. “Mosca ha rilevato e interpretato una serie di debolezze dell’Occidente nel contesto generale“, che vanno dall’abbandono dell’Afghanistan “nel modo non più decoroso possibile” alla Brexit, passando dalla svolta politica epocale in Germania e gli appuntamenti elettorali in Francia: “Su scala più grande, la Russia si è comportata nello stesso modo del 2008, quando dopo le Olimpiadi di Pechino ha invaso la Georgia”, in un parallelismo con l’aggressione militare dell’Ucraina iniziata dopo la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi invernali di febbraio, sempre a Pechino.
    Ma nel 2022 “abbiamo assistito a un’enorme mobilitazione internazionale” a favore dell’Ucraina, che come ultimo stadio sta portando i Ventisette – e la Croazia “senza ambiguità” – a sostenere la richiesta di adesione di Kiev all’UE: “C’è una posizione comune sul riconoscimento, che sarà confermata al Consiglio di domani“, ha confermato il premier Plenković. Ma Zagabria è tra gli avanguardisti dell’allargamento dell’Unione: “Sosteniamo anche il conferimento dello status a Moldova e Georgia, perché la scelta di offrire la prospettiva europea è un’evoluzione politica cruciale per l’architettura del nostro continente“, o, in altre parole “una svolta enorme nel dibattito sull’Europa e nei confronti di Paesi che ancora non appartengono all’Unione”.
    E proprio su questo punto il premier della Croazia non ha nascosto che l’UE deve lavorare di più sul piano dell’allargamento ai Balcani Occidentali, in particolare nei confronti della Bosnia ed Erzegovina: “Siamo a favore del riconoscimento dello status di Paese candidato all’adesione anche per Sarajevo, non può essere l’ultima ruota del carro, sarebbe ingiustizia storica“, ha attaccato Plenković. Il tema è delicato e coinvolge direttamente i principi-cardine del processo di adesione all’UE (a cui la Bosnia non si è ancora pienamente allineata). Per questo motivo non sono attesi particolari passi in avanti al vertice UE-Balcani Occidentali in programma a Bruxelles appena prima dell’inizio del Consiglio, anche se la Slovenia – sostenuta da Zagabria – dovrebbe presentare una proposta per allineare Sarajevo a Kiev e Chișinău.
    La spinta in avanti di Zagabria deriva anche dal suo “approccio moderno alla sovranità“, come l’ha definito Plenković, ovvero una politica che mira a “raggiungere i nostri obiettivi nazionali, ma lavorando strettamente insieme ai partner e agli amici europei, superando le difficoltà attraverso la solidarietà comune che ci contraddistingue“. Un approccio che ha permesso a “un Paese che è stato riconosciuto a livello internazionale solo 30 anni fa” di continuare a promuovere “la nostra scelta europea”. È così che la Croazia è riuscita non solo ad aderire all’UE nel 2013, ma anche a “rispettare gli obiettivi economici e finanziari per diventare il 20esimo membro dell’Eurozona“. Dal primo gennaio del 2004 Zagabria riuscirà a realizzare “l’obiettivo di più profonda integrazione”, cioè l’adozione della moneta unica. “Ora attendiamo anche l’ingresso nell’area Schengen”, ha esortato Parlamento e Consiglio il premier croato.
    Nell’ottica della sovranità strategica dell’Unione Europea – un’altra forma di “approccio moderno alla sovranità”, per usare le parole di Plenković – la Croazia può rappresentare “un hub energetico da rafforzare, grazie alla nostra posizione geostrategica”. Zagabria sta potenziando un terminale di gas naturale liquefatto (GNL) “portandolo da 2,9 milioni a 6 milioni di metri cubi, con investimenti che serviranno non solo per la nostra economia, ma potenzialmente anche per Bosnia, Slovenia e Ungheria”. Inoltre, “l’oleodotto nell’Adriatico del Nord potrebbe rifornire anche le raffinerie in Serbia e in Slovacchia”, ha sottolineato il primo ministro croato. Gli investimenti in gasdotti, oleodotti e terminali GNL si iscrivono nella strategia di “diventare indipendenti dalle fonti fossili della Russia, garantendo la sicurezza di approvvigionamento energetico ai nostri cittadini e imprese attraverso reti energetiche europee“, per riprendere a una crisi da cui “nessuno rimarrà immune”, ha concluso il suo intervento il premier Plenković.

    Nel suo intervento alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, il primo ministro della Croazia ha esortato l’Unione a “promuovere la leadership anche nella sfera esterna” e a riconoscere lo status di Paese candidato all’adesione a Ucraina, Moldova, Georgia e Bosnia ed Erzegovina

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    Monta il ‘caso Kaliningrad’ a Bruxelles. I leader UE discuteranno delle conseguenze dello stop a export da Mosca

    Bruxelles – Sotto le pesanti minacce del Cremlino di ritorsioni “pratiche, più che diplomatiche” contro la Lituania, si alza l’allarme nell’Unione Europea sulla questione dello stop alle esportazioni di Mosca per le merci colpite dalle sanzioni internazionali dirette verso l’exclave russa di Kaliningrad. Come fanno sapere fonti UE, il caso sarà portato sul tavolo dei Ventisette, che si riuniranno domani (giovedì 23 giugno) a Bruxelles per il Consiglio Europeo.
    Secondo quanto riferito dalle stesse fonti, il transito verso Kaliningrad di carbone, metalli, legno, cementi, tecnologie avanzate e altre merci sottoposte a misure restrittive “è nella lista delle sanzioni”, ma deve essere tenuta in considerazione la “continuità territoriale con la Russia”. Per questo motivo la Commissione Europea è stata invitata a “fornire un aggiornamento delle linee-guida alla Lituania nelle prossime 24 ore”, mentre dovranno essere “studiati tutti i dettagli” prima delle discussioni tra i capi di Stato e di governo dell’UE, anche per quanto riguarda la “chiara” solidarietà alla Lituania sulle minacce russe: “Alcune delegazioni hanno espresso la volontà di non entrare nel merito” del caso, hanno precisato funzionari europei.
    Nel frattempo, dalla Commissione sono arrivate chiare indicazioni su quanto sta succedendo tra la Lituania e l’exclave russa di Kaliningrad (con le merci in transito dalla Bielorussia, alleata di Mosca). Come spiegato in un lungo thread su Twitter dal portavoce dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer, la posizione del gabinetto von der Leyen è chiara: “La Lituania sta attuando le misure restrittive dell’Unione Europea imposte all’unanimità alla Russia dal Consiglio negli ultimi mesi”. Non si tratta di un blocco a tutte le merci in arrivo dalla Russia (a cui Kaliningrad appartiene politicamente) – considerato che “l’approvvigionamento dei beni essenziali non è ostacolato” – ma l’applicazione “dopo un breve periodo di transizione” delle sanzioni contro “specifiche esportazioni russe”, ha puntualizzato Mamer.
    Tutto questo significa che la Lituania “deve applicare controlli aggiuntivi sul transito stradale e ferroviario attraverso il territorio dell’UE”, che siano “mirati, proporzionati ed efficaci”. Tali controlli si baseranno su “una gestione intelligente del rischio, per evitare l’evasione delle sanzioni e consentire al contempo il libero transito” dei beni non soggetti alle sanzioni internazionali. Come spiegato dal portavoce, la Commissione rimane “in stretto contatto” con le autorità lituane e fornirà “ulteriori indicazioni man mano che procederemo” con l’analisi della situazione e delle minacce in arrivo dal Cremlino

    In view of the frequent questions related to the transit of goods through Lithuania towards Kaliningrad, here a thread on the Commission’s position. (1/6)
    — Eric Mamer (@MamerEric) June 22, 2022

    Dopo le minacce di ritorsioni dal Cremlino, la questione del divieto di transito sul territorio della Lituania alle merci sottoposte alle sanzioni arriverà sul tavolo del Consiglio. La Commissione precisa che “non è ostacolato l’approvvigionamento di beni essenziali”

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    Serbia e Kosovo hanno raggiunto a Bruxelles un’intesa per l’attuazione degli accordi in ambito energetico

    Bruxelles – Piccoli passi di disgelo sulla strada del dialogo Pristina-Belgrado facilitato dall’UE. I negoziati a livello tecnico condotti oggi (martedì 21 giugno) a Bruxelles tra i capi-negoziatori di Kosovo, Besnik Bislimi, e Serbia, Petar Petković, hanno prodotto un’intesa per una tabella di marcia che fissa obiettivi specifici per l’attuazione degli Accordi sull’energia del 2013 e del 2015, finora attuati solo parzialmente.
    Come rilevato dal Servizio per l’azione esterna dell’UE (SEAE), l’importanza di questa intesa sulla roadmap per l’energia riguarda il fatto che i due accordi siglati da Serbia e Kosovo presentavano “elementi rilevanti ancora in sospeso”. Dopo mesi di tensione tra Pristina e Belgrado, questo primo – parziale – gesto di riavvicinamento è considerato da Bruxelles “un passo avanti nella normalizzazione delle relazioni, a beneficio di tutti i cittadini“, che dovrebbe dare la spinta per “compiere progressi in tutte le altre attività di attuazione ancora in sospeso”. Tra queste c’è anche quella relativa alla creazione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, vale a dire una comunità di municipalità kosovare a maggioranza serba a cui dovrebbe essere garantita una maggiore autonomia, e che al momento Pristina non vuole riconoscere (non rispettando così l’accordo del 2013).

    Good news from the #Brussels-led 🇽🇰 – 🇷🇸 #Dialogue.
    After the year of tensions, we’ve a concrete Action Plan on the implementation of 2013 Energy provisions that will facilitate the energy situation in North of Kosovo. Full trust in @MiroslavLajcak to keep up with the progress. https://t.co/WBV0vPVRFr
    — Viola von Cramon (@ViolavonCramon) June 21, 2022

    L’ottimismo di Bruxelles non è ingiustificato, dal momento in cui l’intesa sull’energia siglata tra Serbia e Kosovo riguarda proprio uno dei punti più controversi del rapporto tra i due Paesi balcanici: la fornitura di elettricità alle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. L’accordo garantisce a Elektrosever (società di proprietà serba stabilita in Kosovo e soggetta alla legge kosovara) di operare nelle quattro municipalità settentrionali, “aprendo la strada verso la fine dell’attuale pratica non trasparente e non regolamentata“. Il segretariato della Comunità dell’Energia sarà incaricato di monitorare l’attuazione tecnica dell’accordo commerciale tra Elektrosever e KEDS, la società kosovara di distribuzione dell’energia. Dal 2008 – dopo la dichiarazione d’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia – queste quattro municipalità hanno goduto di un regime non legale di gratuità dalle bollette dell’energia elettrica, il cui deficit è stato coperto fino al 2017 dai contribuenti del resto del Paese e che ha aperto la strada fino all’inizio di quest’anno a un’intensa attività di estrazione di criptovalute.
    Particolare soddisfazione per l’accordo tra Serbia e Kosovo sulla tabella di marcia per l’energia è stata espressa dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, al termine di una conversazione telefonica con il premier kosovaro, Albin Kurti, e con il presidente serbo, Aleksandar Vučić: “Si tratta di un grande e importante passo in avanti nel dialogo facilitato dall’UE e porterà a risultati concreti per tutti i cittadini”, ha ribadito Borrell, dicendosi “fiducioso” di continuare a lavorare sui prossimi obiettivi dell’intesa tra i due Paesi.

    Spoke to @avucic and @albinkurti to congratulate them on reaching an agreement on the energy roadmap today.
    This is a big & important step forward in the EU-facilitated Dialogue and will deliver concrete results for all citizens. We look forward to continue working on next steps https://t.co/5r2jS0SX8n
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) June 21, 2022

    Trovi un ulteriore approfondimento nella newsletter BarBalcani, curata da Federico Baccini

    All’interno del dialogo facilitato dall’Unione Europea, i capi-negoziatori di Pristina e Belgrado hanno concordato la tabella di marcia che specifica anche obblighi e diritti per la fornitura di elettricità alle quattro municipalità settentrionali del Kosovo a maggioranza serba

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    Cos’è la Grande Muraglia Verde contro i cambiamenti climatici in Africa che l’UE finanzierà con il Global Gateway

    Bruxelles – Oltre 8 mila chilometri che attraversano da ovest a est il continente africano, dal Senegal a Gibuti, passando da altri 18 Paesi delle regioni del Sahara, del Sahel e del Corno d’Africa: una Grande Muraglia Verde contro la desertificazione, gli effetti dei cambiamenti climatici e l’insicurezza alimentare. L’Unione Europea sostiene dal primo giorno l’iniziativa per affrontare le più urgenti minacce che incombono in Africa – siccità, carestie, conflitti, migrazioni – e ora, attraverso la sua strategia globale per lo sviluppo di infrastrutture e interconnesioni sostenibili, è pronta a porre “un altro mattone nel muro verde” con finanziamenti e sostegno economico.
    Il progetto approvato dalla Conferenza dei capi di Stato e di governo della Comunità degli Stati del Sahel e del Sahara nel giugno del 2005 in Burkina Faso e nato ufficialmente due anni più tardi si pone l’obiettivo di attraversare per il verso della larghezza l’intero continente africano, da ovest a est, ripristinando 100 milioni di ettari di terreno degradato, sequestrando 250 milioni di tonnellate di carbonio dai terreni e creando 10 milioni di posti di lavoro verdi nelle aree rurali entro la fine del decennio. Una volta completata, la Grande Muraglia Verde sarà “la più grande struttura vivente del pianeta, tre volte più grande della Grande Barriera Corallina”, come si legge nella presentazione del progetto guidato dall’Unione Africana.
    Nel suo sforzo di combattere cambiamenti climatici e desertificazione, la Grande Muraglia Verde contribuirà direttamente anche agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) 2030 delle Nazioni Unite. A 15 anni dal via libera, è stato completato circa il 15 per cento del progetto, con risultati tangibili almeno in 11 Paesi che hanno aderito, dalla Mauritania all’Etiopia, dal Mali al Sudan, passando dalla Nigeria, il Chad, il Niger e l’Eritrea. La barriera verde svolgerà anche un ruolo cruciale nel garantire al continente africano la sicurezza alimentare messa ancora più a rischio dal blocco russo delle esportazioni di cereali dall’Ucraina, e su questo punto l’Unione Europea è toccata direttamente.
    Oltre a mobilitare 600 milioni di euro per rafforzare la produzione locale nei Paesi vulnerabili, in aggiunta al pacchetto già annunciato di 3 miliardi di euro per la sicurezza alimentare globale, la Commissione UE è pronta a mobilitare la sua strategia per le infrastrutture sostenibili Global Gateway per alzare il “baluardo contro l’insicurezza alimentare e il cambiamento climatico”. Lo ha messo in chiaro la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, nel suo intervento di apertura delle Giornate europee dello sviluppo 2022 questa mattina (21 giugno). Spiegando che Bruxelles “aiuterà a completare il progetto di milioni di ettari per un’alimentazione sostenibile nel continente”, la leader della Commissione ha sottolineato con forza che “la soluzione sul medio e lungo termine è la produzione e la resilienza in loco”. Sul breve termine, invece, l’Unione “sta lavorando duro con l’Ucraina per garantire le esportazioni di grano e con i Paesi più vulnerabili nel mondo per combattere la crisi alimentare” determinata dall’attacco del Cremlino “contro la produzione agricola e il commercio di cereali” dai porti nel Mar Nero, “che sta causando l’insicurezza alimentare soprattutto in Africa”.

    Il progetto guidato dall’Unione Africana punta a creare una barriera naturale di 8 mila chilometri contro la desertificazione e per garantire la sicurezza alimentare nella regioni del Sahara e del Sahel. L’UE metterà “un altro mattone nel muro verde” con la sua strategia globale

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    Sefcovic: “Non abbiamo rapporti diretti con le autorità delle Isole Falkland”

    Bruxelles – I liberali in Parlamento europeo ripropongono la questione delle isole Falkland, territori d’oltremare britannici ma rivendicate da sempre dall’Argentina. La Brexit ha messo a nudo tutta una serie di questioni irrisolte, come quella di Gibilterra, e l’europarlamentare di RE, Jordi Cañas, invita la Commissione europea ad affrontarne uno in particolare ora che il Regno Unito non è più membro dell’Ue. Con tanto di interrogazione parlamentare, l’esponente liberale chiede se l’Ue intende avviare trattative commerciali separate con l’arcipelago del sud America visto che l’accordo di recesso non riguarda le Falklands, un aspetto che ha rilanciato le mire argentine e prodotto più di qualche attrito tra Bruxelles e Londra.
    Adesso arriva il nuovo intervento di matrice Ue in una questione ancora molto delicata per il Regno Unito. Cañas ricorda che le isole oggetto di interrogazione parlamentare sono oggetto di contenzioso. “L’Argentina chiede la restituzione del territorio per esercitare un’effettiva sovranità su di esso”, una controversia “riconosciuta dalle Nazioni Unite”.
    Sarà per questo che la risposta fornita da Maros Sefcovic è di quelle che chiarisce che si preferisce la via del quieto vivere. “La Commissione “non ritiene necessario chiedere un’autorizzazione al Consiglio per avviare negoziati con il Regno Unito su un accordo commerciale preferenziale per le Isole Falkland (Malvinas), e non ha avviato alcun dialogo con il Regno Unito al riguardo”, fa sapere il commissario per la Relazioni inter-istituzionali, che di fatto prende una posizione chiara nella mai superata questione delle isole al largo della Patagonia. La risposta, che include in nome in lingua spagnola dello stesso arcipelago, riconosce che effettivamente c’è una questione.
    Allo stesso tempo, però, Sefcovic, nel ricordare che l’accordo commerciale e di cooperazione tra l’Unione europea e la Comunità europea dell’energia atomica, da una parte, e il Regno Unito, dall’altra, “non si applica a nessuno dei territori d’oltremare che intrattengono relazioni speciali con il Regno Unito (compreso il Isole Falkland (Malvinas)”, riconosce dunque il legame con Londra, ed è per questo motivo che “la Commissione non ha rapporti diretti con le autorità delle Isole Falkland“.
    Di fronte a nuove pressioni che arrivano dal Parlamento europeo, in sostanza, l’esecutivo comunitario fa sapere di non essere disposta a intervenire laddove si preferisce mantenere le distanze. “La Commissione non ha un dialogo specifico con il Regno Unito sulle Isole Falkland (Malvinas)“, continua ancora Sefcovic, precisando che del tema si parla con il governo Johnson. ‘Las Malvinas son argentinas’, dicono gli argentini e tutti quelli che sposano questa impostazione. Per la Commissione, però, fa fede Londra, che nel 1982 ha anche combattuto una guerra con l’Argentina per confermare la propria sovranità.

    Il commissario per le Relazioni inter-istituzionali risponde a un’interrogazione in materia e chiarisce la linea dell’esecutivo comunitario sul tema del Territorio d’Oltremare britannico

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    Decine di migliaia di persone hanno manifestato in Georgia a favore dell’adesione all’Unione Europea

    Bruxelles – Un movimento dal basso per spingere i leader dell’Unione Europea a riconoscere anche alla Georgia i “meriti” per il conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE. Ieri sera (lunedì 20 giugno) nella capitale Tbilisi è andata in scena una grande manifestazione di decine di migliaia di persone – oltre 60 mila secondo i gruppi organizzatori – che ha esortato Bruxelles a garantire all’ex-Repubblica sovietica del Caucaso qualcosa di più della sola “prospettiva europea”.
    La ‘marcia per l’Europa’ è stata organizzata a pochi giorni dal parere formale della Commissione UE sulla richiesta di adesione  arrivata dalla Georgia il 3 marzo scorso. Il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen ha riconosciuto le stesse aspirazioni di Ucraina e Moldova – a cui secondo la Commissione dovrebbe essere garantito lo status di candidate all’adesione – e “buone basi per la stabilità”, ma allo stesso tempo ha rilevato la necessità di “ulteriori riforme su una lista di priorità”, aveva spiegato venerdì (17 giugno) il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi.
    Le preoccupazioni di Bruxelles riguardano la polarizzazione politica, lo stato delle riforme giudiziarie, dei progressi sulla lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata, l’indipendenza dei media e la sicurezza dei giornalisti, ma soprattutto sul potere degli oligarchi. Tra questi, in particolare, quello di Bidzina Ivanishvili, leader del partito al governo Sogno Georgiano (di cui fa parte anche l’ex-calciatore del Milan, K’akhaber K’aladze, oggi sindaco di Tbilisi), che per il suo controllo capillare dei media e della politica nazionale è sotto l’occhio delle istituzioni comunitarie: il 7 giugno il Parlamento UE ha approvato una risoluzione non vincolante che chiede l’imposizione di sanzioni personali proprio contro Ivanishvili. Secondo la presidente della Commissione von der Leyen, “la porta dell’Unione è totalmente aperta e le tempistiche dell’adesione dipendono solo dalla Georgia“, anche se per il momento la raccomandazione ai leader UE (che si riuniranno in Consiglio il 23-24 giugno) è quella di garantire solo la prospettiva di diventare membro dell’Unione, fino a quando non saranno soddisfatte tutte le priorità.
    Sulle note dell’Inno alla Gioia – l’inno ufficiale dell’UE – e con in mano cartelli con la scritta We are Europe, i manifestanti si sono radunati davanti alla sede del Parlamento georgiano, sventolando bandiere bianche e rosse delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Unione Europea). “L’Europa è una scelta e un’aspirazione storica per i georgiani, per la quale tutte le generazioni hanno fatto sacrifici“, hanno dichiarato gli organizzatori, ribadendo che “libertà, pace, sviluppo economico sostenibile, protezione dei diritti umani e giustizia sono i valori che ci uniscono e che sarebbero garantiti dall’integrazione nell’Unione Europea”. Prima della manifestazione, la presidente georgiana, Salomé Zourabichvili, ha chiamato a raccolta i cittadini in un discorso alla televisione nazionale: “Dobbiamo mobilitarci in questa giornata storica per il Paese, il nostro messaggio è che vogliamo una Georgia europea“.

    One of the largest demonstrations in Tbilisi of last 30 years, in support of EU aspirations and against the government at home. pic.twitter.com/MgyVhnMK0Z
    — Ani Chkhikvadze (@achkhikvadze) June 20, 2022

    È stata la stessa presidente Zourabichvili a inviare oggi (martedì 21 giugno) un invito all’omologo polacco, Andrzej Duda, per esortare la nazione “sorella” membro dell’UE a spingere sulla concessione alla Georgia dello status di Paese candidato all’adesione UE al prossimo Consiglio. “Condividiamo un tragico passato comune, di occupazione, di allontanamento dalla famiglia europea“, ha ricordato la leader georgiana, facendo riferimento ai tempi in cui i due Paesi erano Repubbliche sovietiche. Allo stesso modo, “in questo momento contiamo, come sempre, sulla solidarietà e la fratellanza della Polonia per sostenere il nostro cammino verso l’Europa“.
    La Georgia confina a nord con la Russia e ha chiesto di aderire all’Unione Europea a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, temendo che il disegno del “nuovo mondo” di Putin possa cancellare anche la propria indipendenza (datata 9 aprile 1991, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica). La candidatura della Georgia all’adesione UE e NATO – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino, che nell’agosto del 2008 aveva portato all’invasione (per cinque giorni) della Georgia da parte dell’esercito russo. Da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti e ha dislocato migliaia di soldati nell’area, per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia.
    In un percorso di avvicinamento verso l’Unione Europea, nel 2016 è entrato pienamente in vigore (dopo due anni di provvisorietà) l’Accordo di associazione politica ed economica tra Bruxelles e Tbilisi. La Georgia è anche inclusa dal 2009 nel Partenariato orientale, il programma di integrazione tra l’Unione i Paesi di quest’area geopolitica, insieme a Ucraina, Repubblica di Moldova, Armenia, Azerbaijan e Bielorussia (anche se nel giugno del 2021 quest’ultima ha sospeso l’adesione). Tuttavia, nessuna delle due intese ha come obiettivo o come clausola l’adesione della Georgia all’UE e solo il via libera del Consiglio Europeo potrà aprire la strada verso la candidatura all’adesione.

    My address to President @AndrzejDuda.
    Georgia and Poland share a tragic common past, a past of occupation, of being torn away from the European family. At this time, we count, as always, on the support, solidarity, brotherhood of Poland to support our path toward Europe. pic.twitter.com/06qYbtzPij
    — Salome Zourabichvili (@Zourabichvili_S) June 20, 2022

    La ‘marcia per l’Europa’ a Tbilisi ha esortato i Ventisette a concedere lo status di Paese candidato, dopo che la Commissione ha indicato la necessità di “un’attenta valutazione”. Ma i gruppi europeisti spingono sulla “scelta storica e aspirazione del popolo georgiano”

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    L’Ucraina ha ratificato la Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere. L’UE: “Passo sul cammino europeo”

    Bruxelles – L’Ucraina intraprende passi sempre più decisi per avvicinarsi all’Unione Europea, formali e sostanziali. Con la decisione presa dalla Verchovna Rada (il Parlamento nazionale), l’Ucraina è diventata il 36esimo Paese a ratificare la Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere. Ne ha dato notizia il profilo ufficiale dell’Assemblea su Twitter: “È una decisione storica!”

    Historical decision! #IstanbulConvention ratified!The Verkhovna Rada of #Ukraine ratified The @coe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence (Reg. № 0157). pic.twitter.com/52BAtMqjbD
    — Verkhovna Rada of Ukraine – Ukrainian Parliament (@ua_parliament) June 20, 2022

    Quella ratificata oggi (lunedì 20 giugno) dall’Ucraina è la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, trattato internazionale aperto alla firma dei membri del Consiglio a Istanbul l’11 maggio del 2011. Proprio la Turchia – primo Paese a ratificarla – è stata l’unica che ha revocato la propria partecipazione alla Convenzione (con un decreto firmato dal presidente, Recep Tayyip Erdoğan, nel 2021), mentre dei 27 Stati membri dell’Unione Europea, sono sei quelli che l’hanno sottoscritta ma non ratificata: Bulgaria, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Con 259 deputati a favore, 8 contrari, 47 astenuti e 28 schede bianche, la Verchovna Rada ha sancito che, a 11 anni dalla firma, per l’Ucraina è invece arrivato il momento di far entrare in vigore la Convenzione di Istanbul sul proprio territorio nazionale.
    (la mappa è aggiornata al 10 maggio 2022, prima della ratifica dell’Ucraina. Fonte: Consiglio d’Europa)
    “È un evento storico che ci porterà ancora più velocemente nell’Unione Europea, ringrazio i colleghi per essere rimasti fedeli ai valori europei, perché i diritti umani sono fondamentali”, ha commentato su Twitter il vicepresidente dell’Assemblea nazionale, Oleksandr Korniyenko. Parole confermate dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che, felicitandosi per la ratifica della Convenzione di Istanbul, ha riconosciuto il “continuo rafforzamento in Ucraina dei diritti umani, dell’uguaglianza di genere e della lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica, nonostante le continue aggressioni della Russia”. Uno sforzo che rappresenta “un altro passo fondamentale” per il percorso del Paese verso l’Unione. Venerdì scorso (17 giugno) la Commissione ha adottato il proprio parere formale in merito alla richiesta di adesione di Kiev all’UE, raccomandando al Consiglio di garantire lo status di Paese candidato.
    “Poiché le donne e le ragazze sono particolarmente vulnerabili durante il conflitto, accolgo con grande favore l’approvazione da parte del Parlamento ucraino della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica”, ha dichiarato la segretaria generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejčinović Burić, in una nota. Congratulandosi con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e con i membri della Verchovna Rada per “aver dimostrato, ancora una volta, leadership e coraggio, e per aver dato seguito alle nostre precedenti discussioni su questo tema”, la segretaria generale Pejčinović Burić ha sottolineato che quello intrapreso da Kiev è “un enorme passo avanti nella protezione delle donne e delle ragazze da ogni forma di violenza, sia in Ucraina sia all’estero”.

    My statement @coe on Ukrainian Parliament’s approval of the Istanbul Convention ⁦@CoE_endVAW⁩ / Ma déclaration @coe_fr sur l’approbation par le Parlement ukrainien de la Convention d’Istanbul @CoE_endVAW ⁦@UKRinCoE⁩ https://t.co/P6FqztqGSr
    — Marija Pejčinović Burić (@MarijaPBuric) June 20, 2022

    Con la ratifica della Verchovna Rada (Parlamento nazionale), il Paese è diventato il 36esimo a ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa del 2011. Congratulazioni dall’alto rappresentante Borrell, mentre Kiev esulta per “un evento storico che ci porterà nell’Unione più velocemente”

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    L’UE cerca una risposta coordinata alla crisi alimentare globale: “Usare fame come arma è crimine contro umanità”

    Bruxelles – “Un crimine contro l’umanità”. Non usa giri di parole l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, parlando dell’utilizzo da parte del Cremlino della “fame globale come arma” politica e bellica per vincere la guerra in Ucraina. A margine di un Consiglio Affari Esteri che ha avuto come punto centrale in agenda la questione dell’insicurezza alimentare determinata dall’aggressione militare russa contro Kiev, l’alto rappresentante Borrell ha avvertito Mosca che “sarà ritenuta responsabile” di tale crimine: “Non è immaginabile che milioni di tonnellate di grano rimangano bloccate, mentre nel resto del mondo le persone muoiono di fame”.
    Ma i Ventisette non rimangono a guardare e durante il Consiglio Affari Esteri hanno delineato una strategia in quattro azioni per contrastare l’insicurezza alimentare globale, una sfida “senza precedenti” che rappresenta una delle molteplici conseguenze “disastrose” dell’invasione militare russa dell’Ucraina: una guerra che parte dal blocco del grano nei porti del Mar Nero e arriva in tutto il mondo, in particolare nelle regioni più a rischio di carestie e crisi alimentari. La risposta coordinata a livello Team Europe partirà dal fornire “solidarietà attraverso gli aiuti di emergenza e il sostegno all’accessibilità economica” per i Paesi più vulnerabili e sarà accompagnata dalla promozione della “produzione sostenibile, la resilienza e la trasformazione del sistema alimentare” in loco. Di cruciale importanza è anche la facilitazione degli scambi commerciali, “aiutando l’Ucraina a esportare prodotti agricoli attraverso diverse rotte e sostenendo il commercio globale”, oltre al “multilateralismo efficace” a sostegno del Gruppo di risposta alle crisi delle Nazioni Unite, “per coordinare gli sforzi globali”.
    A livello UE si tenta così di percorrere una strada “reattiva, responsabile e affidabile” a sostegno dei partner colpiti dalla drastica riduzione di esportazioni di grano e cereali dall’Ucraina. La risposta della squadra europea contrasta un’insicurezza alimentare la cui responsabilità è tutta del Cremlino: “Le truppe russe bombardano e occupano i terreni coltivabili dell’Ucraina, distruggendo aziende agricole, strutture di stoccaggio e di lavorazione degli alimenti, attrezzature e infrastrutture di trasporto”, si legge nelle conclusioni del Consiglio. I 27 ministri UE hanno ricordato che “non ci sono sanzioni sulle esportazioni russe di prodotti alimentari“, dal momento in cui le misure restrittive sono state “specificamente concepite” per non colpire i prodotti alimentari e agricoli: “Non vietano l’importazione, il trasporto, il pagamento o la fornitura di sementi” da parte di Paesi terzi, “ma si limitano a colpire le persone e le entità sanzionate”, è la precisazione contenuta nel documento.
    Al netto delle preoccupazioni e degli attacchi frontali contro il Cremlino, l’alto rappresentante UE Borrell si è detto “sicuro” che “alla fine le Nazioni Unite riusciranno a trovare un accordo per sbloccare il grano in Ucraina“. Mentre ai governi dell’Unione Africana è stata inviata “una lettera per spiegare nel dettaglio cosa è permesso fare e cosa no secondo il regime di sanzioni internazionali”, il rischio di “una grande carestia nel mondo, soprattutto nel continente africano” è stato sottolineato con preoccupazione anche dalla ministra degli Esteri francese e presidente di turno del Consiglio dell’UE, Catherine Colonna: “Esortiamo la Russia a smettere di giocare con la fame del mondo e a cessare il blocco dei porti ucraini”, ha affermato a margine del Consiglio.

    Al Consiglio Affari Esteri i Ventisette hanno delineato una strategia in quattro azioni per contrastare il rischio di carestie nei Paesi più vulnerabili. L’alto rappresentante Borrell attacca il Cremlino: “Milioni di tonnellate di grano non rimangano bloccate, mentre le persone muoiono”