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    La Turchia andrà al ballottaggio. Erdoğan non supera il 49,3 per cento e rischia la rimonta dello sfidante Kılıçdaroğlu

    Bruxelles – L’appuntamento con la storia per la Turchia è rimandato di un altro paio di settimane. Il primo turno delle elezioni presidenziali non ha consegnato un vincitore e il prossimo 28 maggio gli elettori saranno chiamati a tornare alle urne per scegliere il nuovo presidente della Repubblica. Il ballottaggio sarà tra il leader in carica, Recep Tayyip Erdoğan, e il candidato dell’opposizione unita, l’economista Kemal Kılıçdaroğlu.
    Sostenitori del presidente Recep Tayyip Erdoğan ad Ankara (credits: Adem Altan / Afp)
    Come da previsioni al primo turno di ieri (14 maggio) si è confermato lo scenario più verosimile, ovvero un testa a testa tra i due candidati più forti ma senza che nessuno dei due sia riuscito a superare la soglia del 50 per cento dei voti necessari per farsi eleggere già presidente. Erdoğan in realtà ci è andato molto vicino, fermandosi al 49,37 per cento delle preferenze, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Anadolu. Sotto le aspettative Kılıçdaroğlu, che ha visto il proprio margine di scarto sul presidente in carica erodersi nelle ultime settimane e al primo turno ha incassato il 44,99 per cento dei voti degli elettori. Il restante 5,64 per cento è andato al candidato del Partito della Patria Muharrem İnce (0,43) – il cui nome, nonostante il ritiro di venerdì scorso (11 maggio) dalla corsa elettorale, è rimasto sulle schede – e all’indipendente Sinan Oğan sostenuto dall’Alleanza Ata (5,21). Mancano però ancora i voti dei residenti all’estero, sui quali c’è molta incertezza e sui quali Erdoğan ancora riserva qualche speranza.
    Al secondo turno del 28 maggio sarà decisivo l’indirizzo dei voti di chi ha sostenuto Oğan – che si è riservato qualche giorno per prendere una decisione sul sostegno a uno dei due candidati – ma non è da escludere che il testa a testa tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu spinga gli elettori incerti a fare una scelta di campo che rispecchi un giudizio sul presidente in carica e la richiesta di rinnovamento  in Turchia: “Erdoğan non ha ottenuto il voto di fiducia del popolo, il desiderio di cambiamento nella società è superiore al 50 per cento“, ha rivendicato in un discorso pre-voto lo sfidante dell’opposizione.
    Manifesti elettorali di Recep Tayyip Erdoğan (a sinistra) e di Kemal Kılıçdaroğlu (a destra) in occasione delle elezioni presidenziali in Turchia (credits: Ozan Kose / Afp)
    Se è vero che il leader conservatore nel 2018 aveva vinto al primo turno con il 52,6 per cento dei voti, è innegabile che nelle ultime settimane abbia recuperato in modo consistente rispetto ai sondaggi che lo davano attorno al 45 per cento, staccato di 10 punti dallo sfidante. A giocare a favore del presidente della Turchia è stata la tenuta nelle roccaforti nel sud del Paese colpite dal terremoto dello scorso 6 febbraio: nonostante le previsioni di un calo dei consensi a causa della gestione quantomeno discutibile delle conseguenze del sisma e per la rete clientelare e di corruzione che ha portato al collasso di intere città, alla fine Erdoğan si è assicurato ovunque il 60 per cento (o più) dei voti.
    Parallelamente alle presidenziali in Turchia si sono svolte anche le elezioni parlamentari. I conservatori del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) di Erdoğan hanno raccolto sì il maggior numero di voti (35 per cento), ma sono molto distanti dal risultato del loro leader. Nel nuovo Parlamento perderanno 28 seggi (267 su 600) rispetto alla legislatura appena conclusasi, ma grazie all’alleanza con altri tre partiti con cui il presidente ha governato negli ultimi cinque anni si dovrebbe formare senza grossi problemi una nuova maggioranza di 323 deputati. In ogni caso quello di ieri è stato il secondo peggior risultato nella storia dell’Akp, dopo il 34,2 per cento del 2002: da allora in nessuna elezione per il rinnovo della Grande Assemblea Nazionale i conservatori erano mai scesi sotto l’asticella del 40 per cento.

    Chi è lo sfidante di Erdoğan al ballottaggio in Turchia
    Al ballottaggio del 28 maggio l’opposizione unita in Turchia si giocherà il tutto per tutto contro Erdoğan puntando sul candidato comune Kılıçdaroğlu e sulla convinzione che i sondaggi della vigilia sull’esito di un testa a testa tra i due saranno riconfermati anche alle urne. Mai come in questa tornata storica l’opposizione ha cercato di trovare una quadra per sfidare il presidente al potere da 20 anni esatti (dal 2003 al 2014 come primo ministro, dal 2014 a oggi come capo di Stato). I sei partiti di opposizione si sono uniti nella cosiddetta ‘Tavola dei Sei’ e hanno nominato come proprio candidato alla presidenza della Repubblica il leader del Partito popolare repubblicano (Chp), il principale partito d’opposizione fondato nel 1923 dal primo presidente turco, Kemal Atatürk.
    l leader del Partito popolare repubblicano (Chp) e candidato presidente della Turchia, Kemal Kılıçdaroğlu (credits: Yasin Akgul / Afp)
    Per Kılıçdaroğlu, politico 73enne noto per l’onestà e la frugalità a livello comunicativo e per le vittorie del suo partito a Istanbul e Smirne alle amministrative del 2019, l’ostacolo maggiore rimane sempre l’estrema varietà della coalizione di partiti che lo supporta, che va dal centrosinistra alla destra nazionalista. Un altro fattore di rischio di fronte all’elettorato è il fatto che a tenere uniti questi partiti c’è poco se non il tentativo di mettere fuori gioco proprio il leader conservatore dell’Akp, anche se in campagna elettorale Kılıçdaroğlu ha puntato molto l’attenzione sulla piattaforma di riforme che metterà in cantiere in caso di elezione, tra cui compare l’abolizione del presidenzialismo (la figura del primo ministro è stata abolita nel 2018). Come evidenziato da alcuni analisti, una vittoria di Kılıçdaroğlu potrebbe significare anche un ritorno in Turchia a una maggiore disciplina fiscale, più trasparenza sul rispetto delle regole di mercato e riforme nel settore energetico, considerata la presenza nella coalizione di politici riformatori come il leader del leader del Partito per la democrazia e il progresso (Deva), Ali Babacan, ministro dell’Economia tra il 2002 e il 2007, degli Esteri dal 2007 al 2009 e capo negoziatore per l’adesione della Turchia all’Ue tra il 2005 e il 2009.

    Al primo turno di voto il presidente in carica non ottiene la maggioranza assoluta necessaria per la riconferma e sarà sfidato il 28 maggio dall’opposizione unita sotto il nome di Kemal Kılıçdaroğlu. Sarà decisiva la distribuzione dei voti del terzo candidato sconfitto, Sinan Oğan, ma si attende ancora los crutinio dei voti dei residenti all’estero

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    Ue-Cina, i 27 approvano la strategia di Borrell. De-risking economico e sostegno all’Ucraina al centro dei nuovi rapporti

    Bruxelles – Passa la linea dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, sulle relazioni tra l’Unione europea e la Cina. Una linea che si riassume con l’espressione de-risking, vale a dire la necessità di ridurre la dipendenza economica eccessiva dal gigante asiatico, e con il pugno duro sul tema della sicurezza strategica: su Taiwan e soprattutto sulla guerra della Russia in Ucraina, Pechino è chiamata a stare dalla parte giusta della storia.
    Al vertice informale dei ministri degli Esteri dei 27, tenutosi oggi (12 maggio) a Stoccolma, il capo della diplomazia europea ha presentato un documento in cui ha messo nero su bianco i tre punti fondamentali per ricalibrare i rapporti con Pechino: valori, sicurezza economica e sicurezza strategica. “Sono contento di annunciare che ci siamo trovati d’accordo”, ha esordito Borrell in conferenza stampa. Il mantra che rimane sullo sfondo è sempre lo stesso: la Cina è rivale, partner e competitor. Partner, perché con l’Ue scambia con Pechino merci per 2,7 miliardi al giorno. Competitor, perché la crescita economica e la capacità tecnologica cinese hanno sbilanciato le relazioni commerciali con il vecchio continente. Rivale, perché la Cina presenta al mondo un modello di sistema politico differente e valori spesso contrastanti a quelli dell’Unione, ad esempio sul rispetto dei diritti umani.
    Josep Borrell al vertice di Stoccolma
    Ma non c’è alcuno spiraglio, secondo Borrell, per il “decoupling“, lo sganciamento dell’economia europea da quella cinese. Piuttosto l’impegno a “ribilanciare in maniera giusta” le relazioni, ora che la storia recente ha insegnato all’Ue il rischio dell’estrema dipendenza commerciale da un solo Paese. Addirittura, ha dichiarato l’Alto rappresentante Ue, attualmente “le dipendenze europee dalla Cina sono maggiori di quelle che avevamo dalla Russia sui combustibili fossili“. Centrare con le proprie gambe l’obiettivo della doppia transizione verde e digitale “richiederà la diversificazione delle catene di approvvigionamento dell’Ue, la riconfigurazione delle catene del valore, il controllo degli investimenti in entrata ed eventualmente in uscita e lo sviluppo di uno strumento anti-coercizione”, si legge nel non paper presentato da Borrell.
    Sicurezza strategica: l’Ue chiama la Cina a fermare Putin in Ucraina
    Questa strategia di “coinvolgimento e competizione” con Pechino rischia di crollare in un solo caso, su cui i 27 hanno ribadito totale fermezza: l’eventuale sostegno di Xi Jinping alla guerra di Putin in Ucraina. “Le relazioni con la Cina non si svilupperanno normalmente, se la Cina non spingerà la Russia a ritirarsi“, ha avvertito Borrell. Che ha poi sottolineato l’altra questione geopolitica, quella relativa all’isola di Taiwan: “La nostra posizione rimane la stessa, mantenere lo status quo e promuovere una de-escalation nello stretto di Taiwan”, è l’indicazione che arriva dai ministri degli Esteri Ue.
    Resta da capire cosa significa “le relazioni non si svilupperanno normalmente”, cosa succederebbe cioè nel drammatico scenario di un ulteriore avvicinamento tra Vladimir Putin e Xi Jinping. Perché anche se “è fondamentale che la Cina capisca che la guerra in atto in Ucraina è un rischio esistenziale per l’Ue”, lo stesso Borrell ha ammesso che “è impossibile provare a risolvere le sfide globali più importanti senza un forte impegno con la Cina“. Sicuramente, anche e soprattutto nell’eventualità peggiore, gli Stati europei devono essere uniti e agire secondo una politica comune. In questo oggi Borrell ha ottenuto un successo, in attesa degli sviluppi futuri più immediati: il “perfezionamento del paper” in vista del Consiglio Europeo del 29-39 giugno e “l’approvazione di una proposta congiunta sulla sicurezza economica”. All’orizzonte si profila anche una visita dello stesso Alto rappresentante in terra cinese, già programmata in aprile ma rimandata a causa della positività di Borrell al Covid.

    Al vertice dei Ministri degli Esteri in Svezia, l’Alto rappresentante Ue ha presentato le linee guida per “ricalibrare” i rapporti con Pechino. Valori, sicurezza economica e sicurezza strategica i tre punti principali. Ma “le relazioni non si svilupperanno normalmente” se la Cina appoggerà la Russia

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    Scontri tra Israele e gruppi armati palestinesi, ennesima condanna dell’Ue. Si cerca una tregua con la mediazione dell’Egitto

    Bruxelles – Fino a ora gli appelli europei alla de-escalation tra Israele e i gruppi armati palestinesi sono caduti sistematicamente nel vuoto, ma Bruxelles non demorde. Anche oggi (11 maggio), dopo 72 ore di attacchi da una parte e dell’altra è arrivata la dura condanna dal Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae) e l’invito a riprendere un dialogo sempre più compromesso.
    Secondo gli ultimi aggiornamenti di Afp, in tre giorni di escalation tra Israele e Gaza sono già 26 i palestinesi morti sotto i bombardamenti dei caccia dello Stato ebraico, tra cui cinque comandanti della Jihad Islamica ma anche diverse donne e bambini. In risposta all’operazione militare di Tel Aviv, dalla Striscia sono stati lanciati oltre 550 razzi verso Israele, dei quali oltre 440 hanno superato il confine e almeno 154 sono stati intercettati dal sistema difensivo Iron Dome.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha usato parole dure per entrambe le parti in causa. Condanna per i raid aerei israeliani e per l’uccisione di abitanti palestinesi, perché al “diritto di difendersi” corrisponde “l’obbligo di prendere precauzioni per prevenire vittime civili nelle sue operazioni” e di rispettare il diritto internazionale umanitario. Allo stesso modo, il capo della diplomazia europea ha definito “inaccettabile il lancio indiscriminato di razzi da Gaza”.
    Lo sforzo diplomatico del Cairo per la tregua tra Israele e Gaza
    Al momento sarebbe in corso un tentativo, mediato dall’Egitto, di raggiungere una tregua tra le parti. Sforzo diplomatico – “elogiato” dallo stesso Borrell – che cozza con le dichiarazioni rilasciate ieri dal primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, pronto ad “allargare l’operazione Scudo e Freccia e infliggere colpi pesanti a Gaza ora e in futuro“. Borrell ha ricordato che i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Egitto e Giordania si sono incontrati oggi a Berlino e hanno salutato con favore il dialogo intrapreso tra il Cairo e le parti in causa.
    Nella dichiarazione congiunta del vertice, i quattro hanno reiterato il sostegno al Processo di Pace fondato sulla soluzione dei due Stati, l’unica praticabile per una pace duratura, e hanno richiamato le autorità israeliane e palestinesi a rispettare gli impegni presi nei mesi scorsi, negli incontri mediati da Washington e da il Cairo ad Aqqaba e a Sharm el-Sheik. Anche Bruxelles cerca di fare la sua parte per ridare vita al Middle East Peace Process. Il portavoce del Seae, Peter Stano, ha dichiarato in mattinata che è in corso un dialogo con i 22 ministri degli Esteri della Lega degli Stati Arabi, per trovare “un orizzonte politico” che permetta di andare oltre l’alternanza infinita di scontri e tregue temporanee.

    Sono già 26 le vittime dei bombardamenti di Tel Aviv nella Striscia di Gaza, di cui almeno 20 civili. La Jihad Islamica Palestinese ha risposto con oltre 550 razzi verso Israele. L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, in contatto con i ministri degli Esteri della Lega Araba per ridare vigore a un processo di pace sempre più distante

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    Bruxelles avverte la Georgia sull’allineamento alle sanzioni internazionali sul transito aereo dalla Russia

    Bruxelles – Un richiamo a rispettare i principi e doveri della Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue per i Paesi che aspirano ad aderire all’Unione, un’esortazione a chiudere le porte a qualsiasi forma di elusione delle sanzioni internazionali e a mezzi “ormai non a norma di sicurezza”. Da Bruxelles arrivano pressanti richieste alla Georgia, Paese aspirante candidato all’adesione Ue dal 4 marzo 2022, ad allinearsi al regime di misure restrittive contro la Russia anche sul livello dell’aviazione civile, in risposta alla decisione di Mosca di eliminare il divieto di volo verso la Georgia.
    Scritte contro la Russia durante le proteste a Tbilisi del 7 marzo 2023
    L’appello è arrivato oggi (11 maggio) dal portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae), Peter Stano, rispondendo alle domande della stampa a proposito della notizia sulla decisione delle autorità russe di togliere il divieto tra i due Paesi. “Ne prendiamo atto”, ha commentato seccamente il portavoce, approfittando però dell’occasione per richiamare all’ordine i partner georgiani sullo stesso tema, ma da un’angolatura differente: “Dobbiamo ricordare che a causa delle guerra illegale di aggressione della Russia in Ucraina, l’Ue e i partner internazionali hanno introdotto sanzioni contro il settore dell’aviazione russa e non permettiamo voli da, per e sulla Russia“. La questione non riguarda solo i Ventisette, ma anche e soprattutto i Paesi candidati all’adesione Ue (come la Serbia, unico Paese europeo che autorizza la sua compagnia di bandiera Air Serbia a volare sulle città russe) e aspiranti tali: “L’Ue incoraggia la Georgia ad allinearsi alle sanzioni esistenti contro la Russia, bisogna rimanere vigili rispetto a qualsiasi possibile tentativo di aggirarle“, ha incalzato Stano.
    C’è poi anche una questione di sicurezza che si solleva sul sorvolo di velivoli russi nei cieli dei Paesi partner dell’Unione. Come evidenziato anche dall’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao) esistono “significativi rischi” che un Paese come la Georgia potrebbe correre se autorizzasse “mezzi ormai non a norma di sicurezza”. È qui che si inserisce la questione più volte rimarcata dalla Commissione Europea sull’impatto delle sanzioni internazionali sull’economia e l’industria di Mosca: “La Russia non è in grado di aggiornare il 95 per cento dei mezzi della propria flotta aerea“. O, in altre parole, il Paese non riesce a “mantere il livello sufficiente di standard di sicurezza” nel settore dell’aviazione civile.
    La situazione politica in Georgia
    Le proteste dei manifestanti georgiani a Tbilisi contro il progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    Per l’Unione Europea la Georgia rimane uno dei Paesi partner più complessi da gestire, a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino concretizzatosi il 24 febbraio 2022 in Ucraina). L’ultima notizia è il ritiro del partito al potere a Tbilisi, Sogno Georgiano, come membro osservatore del Partito del Socialismo Europeo (Pes), a causa delle frizioni sempre più evidenti per le politiche contestate da tutta l’Unione e per l’avvicinamento all’Ungheria di Viktor Orbán (il premier Irakli Garibashvili ha recentemente partecipato alla convention dei conservatori europei e statunitensi a Budapest).
    Due mesi fa sono scoppiate dure proteste popolari contro un controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria, voluta proprio dal premier Garibashvili per registrare tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo simile a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento decine di migliaia di cittadini georgiani sono scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law, sostenuti sia dalle istituzioni comunitarie sia dalla presidente del Paese, Salomé Zourabichvili. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano ha ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa. Il leader del partito al potere è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo, in cui è richiesto alla Commissione di imporre nei suoi confronti sanzioni personali.
    In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Nell’agosto del 2008 l’esercito russo aveva invaso (per cinque giorni) la Georgia e da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti. Nell’area sono ancora dislocati migliaia di soldati russi, per aumentare la sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia. Ecco perché anche la questione dell’allineamento alle sanzioni internazionali contro la Russia nel settore dell’aviazione civile da parte di Tbilisi viene considerato essenziale da Bruxelles per tagliare ogni rapporto equivoco con il Cremlino e per proseguire con decisione sulla strada della candidatura per l’adesione all’Unione Europea.

    In qualità di Paese che aspira a diventare candidato all’adesione all’Unione, Tbilisi è chiamata a impedire “qualunque tentativo di elusione” anche nel settore dell’aeronautica civile. A causa delle misure restrittive Mosca non è in grado di aggiornare “il 95% della propria flotta”

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    L’Ue esce allo scoperto sulle imminenti elezioni in Turchia: “Ci aspettiamo trasparenza, inclusività e standard democratici”

    Bruxelles – L’attore geopolitico più coinvolto dalle elezioni in Turchia, che non si sbilancia ma allo stesso tempo è direttamente interessato dall’esito dell’imminente tornata elettorale, finalmente esce allo scoperto. “La Turchia è un partner importante in molti campi per l’Unione Europea, seguiamo il ciclo elettorale nel Paese da molto vicino e ci aspettiamo trasparenza, inclusività e allineamento agli standard democratici“, è il commento a tre giorni dal voto per le presidenziali e parlamentari in Turchia da parte del portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae), Peter Stano.
    Manifesti elettorali di Recep Tayyip Erdoğan (a sinistra) e di Kemal Kılıçdaroğlu (a destra), in vista delle elezioni presidenziali in Turchia (credits: Ozan Kose / Afp)
    Rispondendo alle domande della stampa di Bruxelles, il portavoce ha messo in chiaro che l’Unione attende il risultato del primo turno di domenica (14 maggio), anche se la questione più cruciale è il rispetto degli standard per elezioni libere e trasparenti: “Tutte le parti devono rispettare la legge e la volontà dei cittadini, è importante che sia garantita la pluralità e la libertà dei media, ma anche un uguale trattamento per tutti i partiti politici e i candidati“, ha puntualizzato Stano. Un messaggio che arriva alla vigilia di un momento epocale per la storia recente turca, da cui emergerà il nome del futuro presidente della Repubblica: o, ancora una volta, Recep Tayyip Erdoğan, o lo sfidante che potrebbe incarnare il rinnovamento politico, l’economista Kemal Kılıçdaroğlu. L’Ue non prevede “nessuna missione di osservazione elettorale in Turchia”, è quanto precisato dal portavoce del Seae, anche se Bruxelles accoglie “con favore” l’invito delle autorità turche all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce): “È un passo importante perché dimostra la volontà di assicurare la trasparenza del voto“.
    Gli sfidanti alle presidenziali 2023 in Turchia
    Il presidente della Turchia è eletto direttamente con il sistema del doppio turno. Se nessun candidato conquista la maggioranza semplice (più del 50 per cento dei voti) al primo turno, si svolge un ballottaggio tra i due candidati più votati. Gli aspiranti presidenti devono avere almeno 40 anni e devono aver completato l’istruzione superiore. Qualsiasi partito che abbia ottenuto il 5 per cento dei voti nelle precedenti elezioni parlamentari può presentare un candidato, si possono formare alleanze e schierare candidati comuni, mentre gli indipendenti possono candidarsi solo se raccolgono 100 mila firme.
    La presidenziali del 2023 sono considerate una sfida politica e personale tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu. Da una parte c’è il presidente e leader conservatore del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) al potere da 20 anni esatti – dal 2003 al 2014 come primo ministro, dal 2014 a oggi come capo di Stato – dall’altra lo sfidante outsider, un politico 73enne noto per la sua onestà e frugalità a livello comunicativo – ma non solo – e per le vittorie del suo Partito popolare repubblicano (Chp) a Istanbul e Smirne nel 2019.
    A sostegno di Kılıçdaroğlu si è formata la cosiddetta ‘Tavola dei Sei’, un patto tra sei partiti di opposizione per esprimere un candidato comune, che può essere al contempo l’elemento di forza e quello di debolezza per il leader del Chp. Lo sfidante di Erdoğan ha proposto una piattaforma di riforme in cui spicca l’abolizione del presidenzialismo (la figura del primo ministro è stata abolita nel 2018 proprio dal leader dell’Akp), ma allo stesso tempo la coalizione che lo sostiene spazia dal centrosinistra alla destra nazionalista e l’unico elemento che davvero sembra tenerla unita è il tentativo di estromettere Erdoğan dal potere. D’altro canto Erdoğan è indebolito da due fattori che pesano su una fetta consistente dell’elettorato. L’inflazione galoppante da mesi sta mettendo in crisi la classe media, mentre a livello di opinione pubblica il presidente turco ha faticato a difendersi dalle critiche sulla gestione del terremoto dello scorso 6 febbraio che ha causato oltre 50 mila morti: al centro delle polemiche c’è l’abusivismo edilizio nelle zone colpite dal sisma reso possibile dalla rete clientelare e di corruzione che fa capo al partito di Erdoğan, considerato uno degli elementi che ha più favorito il collasso di intere città nel sud del Paese.
    Sul piano dei sondaggi pre-elezioni questo si è tradotto in un crollo dei consensi per Erdoğan, anche se nelle ultime settimane si è evidenziato un recupero rispetto alle proiezioni che davano Kılıçdaroğlu in vantaggio con oltre il 55 per cento delle preferenze. Considerata la presenza di altri due candidati minori – Muharrem İnce del Partito della Patria e l’indipendente Sinan Oğan sostenuto dall’Alleanza Ata – alle presidenziali più decisive della storia recente della Turchia lo scenario più verosimile è una sfida al secondo turno tra Erdoğan e Kılıçdaroğlu, in programma il 28 maggio. Questo solo se i due candidati più forti non si troveranno da soli a sfidarsi già domenica: İnce ha annunciato oggi il ritiro dalla corsa elettorale e non è da escludere che Oğan faccia lo stesso a stretto giro.

    Il portavoce del Servizio Europeo per l’Azione Esterna, Peter Stano, ha chiarito che Bruxelles seguirà “da molto vicino” le presidenziali che vedono la sfida tra Erdoğan e il candidato delle opposizioni unite Kılıçdaroğlu: “Tutte le parti devono rispettare la legge e la volontà dei cittadini”

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    Sudan, l’Ue attiva un ponte aereo umanitario

    Bruxelles – Trenta tonnellate di articoli essenziali, tra cui acqua, attrezzature igienico-sanitarie ed equipaggiamenti per i rifugi in Sudan. L’Unione europea si mobilita di fronte alla crisi del Paese, con uno speciale ponte aereo umanitario attivato per venire incontro alle necessità della popolazione afflitta dalla guerra civile e da una situazione di difficile gestione. La decisione di istituire questo corridoio è stata presa “in considerazione delle crescenti esigenze umanitarie dovute al furioso conflitto”, spiega il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarcic. 
    Dal 15 aprile sono in corso combattimenti tra l’esercito regolare e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces per il controllo del potere politico e militare, e la situazione sembra fuori controllo. Secondo gli ultimi rapporti del ministero della Salute del Sudan, al 5 maggio almeno 550 persone sono state uccise, tra cui 18 operatori sanitari e umanitari, e più di cinquemila ferite, e si teme che il bilancio complessiva possa crescere.
    “Colgo l’occasione per chiedere, ancora una volta, la fine dei combattimenti e della perdita di vite umane”, l’invito del commissario.  “Condanno fermamente i combattimenti in Sudan e invito entrambe le parti a consentire al personale medico e agli operatori umanitari di fornire assistenza salvavita“.
    Il ponte aereo umanitario è organizzato nel quadro della capacità di risposta umanitaria europea, uno strumento progettato per colmare le lacune nella risposta umanitaria ai pericoli naturali e ai disastri causati dall’uomo. Le 30 tonnellate di articoli essenziali sono state trasportate dai magazzini delle Nazioni Unite a Dubai a Port Sudan. All’arrivo, sono stati consegnati all’Unicef e al Programma Alimentare Mondiale.
    L’apertura del ponte aereo umanitario si aggiunge agli impegni già profusi dall’Unione europea. Attraverso il meccanismo di protezione civile e di aiuti umanitario l‘Ue ha già stanziato 200mila euro per i soccorsi immediati e l’assistenza di primo soccorso alle popolazioni ferite o esposte ad alto rischio nella capitale, Khartoum, e in altre zone colpite dalle violenze in corso. Garantito inoltre il sostegno alla Mezzaluna Rossa sudanese nella fornitura di primo soccorso, servizi di evacuazione e supporto psico-sociale. 

    Organizzato attraverso il meccanismo di risposta alle crisi umanitarie, per la consegna di 30 tonnellate di beni essenziali Lenarcic: “Decisione legata alle crescenti esigenze umanitarie dovute al furioso conflitto”

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    Di Maio è più vicino alla nomina a rappresentante speciale Ue per il Golfo Persico. Possibile via libera già il 15 maggio

    Bruxelles – Il ritorno nei palazzi delle istituzioni comunitarie, non più da ministro del governo italiano ma come rappresentante speciale dell’Unione Europea per il Golfo Persico. Continua la corsa di Luigi Di Maio verso l’incarico voluto dall’alto rappresentante speciale Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e – nonostante le aspre polemiche che hanno agitato l’opinione pubblica italiana – già lunedì prossimo (15 maggio) potrebbe arrivare il via libero definitivo a Bruxelles.
    L’ex-ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio
    Secondo quanto si apprende da fonti diplomatiche, nella riunione di questa mattina (10 maggio) del Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) è stata approvata senza dibattito la proposta dell’alto rappresentante Borrell su Di Maio. Il punto in agenda dei 27 ambasciatori presso l’Ue era previsto secondo i passaggi consiliari per la scelta del candidato alla nuova carica di rappresentante speciale per il Golfo Persico, dopo l’ok al Comitato politico e di sicurezza (Cops) – sempre senza discussioni – e al Gruppo dei Consiglieri per le relazioni esterne (Relex). A questo punto il nome di Di Maio ha bisogno della ratifica finale da parte del Consiglio nella prima formazione dei 27 ministri disponibile e, anche in questo caso si tratta di un punto procedurale che non richiede alcuna discussione. Sempre secondo quanto riferiscono le fonti, la data plausibile potrebbe essere quella del 15 maggio, quando si riunirà a Bruxelles il Consiglio Istruzione, gioventù, cultura e sport.
    L’ex-ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, e l’alto rappresentante speciale Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell (7 gennaio 2020)
    La Commissione Europea aveva affidato la selezione a un panel di tecnici indipendenti, che aveva poi presentato all’alto rappresentante Borrell una rosa finale di quattro nomi, con il suggerimento caduto su Di Maio “sulla base delle prestazioni fornite dai candidati”. Oltre all’ex-ministro degli Esteri italiano tra il governo Conte 2 e quello Draghi, la lista comprendeva anche l’ex-inviato delle Nazioni Unite in Libia, lo slovacco Jan Kubis, l’ex-ministro degli Esteri greco ed ex-commissario europeo, Dimitris Avramopoulos, e il politico cipriota Markos Kyprianou. Come spiegano le fonti, dal momento della scelta del candidato da parte dell’alto rappresentante Ue tutto l’iter si è composto di una serie di passaggi formali. Anche se per la nomina dei rappresentanti speciali a livello procedurale sarebbe richiesta la maggioranza qualificata, nella pratica la figura indicata dall’alto rappresentante Ue viene semplicemente “accolta” dai rappresentanti diplomatici degli Stati membri, senza un vero e proprio voto. Proprio Borrell aveva indicato l’ex-ministro degli Esteri italiano come “il candidato più adatto” per ricoprire questo nuovo incarico in una lettera del 21 aprile scorso indirizzata agli ambasciatori del Comitato politico e di sicurezza degli Stati membri.
    Cosa farà Di Maio come rappresentante speciale per il Golfo
    In qualità di rappresentante speciale – se la nomina passerà come previsto senza problemi dal Consiglio – l’obiettivo di Di Maio sarà quello di rafforzare e approfondire i rapporti energetici con la regione del Golfo, dal momento in cui per l’Unione è cruciale diversificare l’approvvigionamento di gas dalla Russia e cercare nuovi fornitori di idrocarburi. Il mandato dovrebbe durare 21 mesi, a partire dal primo giugno 2023 fino al 28 febbraio 2025.
    I rappresentanti speciali dell’Ue promuovono le politiche e gli interessi dell’Unione “in regioni e Paesi specifici” e svolgono un ruolo “attivo” negli sforzi per consolidare la pace, la stabilità e lo Stato di diritto, è quanto si legge nella pagina del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae) dedicato alle figure che sostengono il lavoro dell’alto rappresentante Ue nelle regioni interessate. Si tratta di rappresentanti che forniscono all’Unione una “presenza politica attiva” in Paesi e regioni considerati chiave per i Ventisette, agendo come “voce e volto” delle politiche comunitarie.
    A oggi esistono nove rappresentanti speciali che sviluppano la politica estera e di sicurezza dell’Ue: in Bosnia ed Erzegovina (Johann Sattler), per l’Asia centrale (Terhi Hakala), per il Corno d’Africa (Annette Weber), per i diritti umani (Eamon Gilmore), per il Kosovo (Tomáš Szuyog), per il processo di pace in Medio Oriente (Sven Koopmans), per il Sahel (l’italiana Emanuela Claudia Del Re), per il Caucaso meridionale e la crisi in Georgia (Toivo Klaar) e per il dialogo Belgrado-Pristina e altre questioni regionali dei Balcani Occidentali (Miroslav Lajčák).

    Il Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti) ha approvato senza dibattito la proposta dell’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, per affidare l’incarico all’ex-ministro degli Esteri italiano. La decisione dovrebbe essere ratificata al primo Consiglio disponibile, sempre senza dibattito

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    Tre pilastri per un unico obiettivo nell’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia: evitarne l’elusione da Paesi terzi

    Bruxelles – Se i portavoce della Commissione Europea solo ieri (8 maggio) preferivano non sbilanciarsi troppo sul contenuto dell’undicesimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia, oggi si capisce il perché. A fornire i primi dettagli della proposta dell’esecutivo comunitario che sono ora sul tavolo del Consiglio dell’Ue è stata la stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, nel corso della sua visita al numero uno ucraino, Volodymyr Zelensky, a Kiev nella Giornata dell’Europa. “Permettetemi di approfondire brevemente tre elementi di questo pacchetto”, ha annunciato in conferenza stampa von der Leyen, parlando per la prima volta apertamente della nuova tornata di misure restrittive contro Mosca a oltre due mesi dall’ultimo pacchetto.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Dopo un mese di lavori “venerdì scorso [5 maggio, ndr] la Commissione ha adottato la sua proposta per l’undicesimo pacchetto di sanzioni”, ha ricordato von der Leyen. Come accennato dai portavoce durante il punto quotidiano con la stampa di 24 ore fa, “questo pacchetto si concentra ora sulla repressione dell’elusione” delle misure restrittive già in vigore, con uno “stretto coordinamento con i nostri partner internazionali, in particolare con il G7”, è quanto puntualizzato dalla leader dell’esecutivo Ue. Sanzioni che, sempre secondo le parole di von der Leyen, “stanno funzionando”, come dimostrato dalle stime che ciclicamente la Commissione tende a ricordare: “Abbiamo ridotto le nostre importazioni dalla Russia di quasi due terzi, privandola così di flussi di reddito cruciali”, ha precisato al fianco del presidente ucraino Zelensky. Dopo dieci tornate “abbiamo già imposto un prezzo pesante al Cremlino” per la sua invasione dell’Ucraina e Bruxelles continuerà a “fare tutto ciò che è in nostro potere per erodere la macchina da guerra di Putin e le sue entrate”.
    È per questo motivo che, prima di andare a colpire nuovi settori dell’economia russa, secondo il gabinetto von der Leyen è necessario azzerare le entrate che ancora sono possibili grazie all’aggiramento delle misure restrittive attraverso Paesi terzi. Per farlo la Commissione ha deciso di fondare la propria strategia su tre fondamenta. “In primo luogo stiamo affinando i nostri strumenti esistenti, con altri prodotti al nostro divieto di transito“, ha spiegato von der Leyen: “Prodotti tecnologici avanzati o parti di aeromobili destinati a Paesi terzi attraverso la Russia non finiranno più nelle mani del Cremlino”. Sarà poi messo in campo un lavoro di contrasto alle “entità ‘ombra’ della Russia e dei Paesi terzi che aggirano intenzionalmente le nostre sanzioni”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 maggio 2023)
    Ma è soprattutto la terza parte della strategia a interessare l’opinione pubblica e la diplomazia di tutto il mondo, con reazioni minacciose che arrivano anche dalla Cina. “Di recente abbiamo assistito a una crescita di flussi commerciali molto insoliti tra l’Unione Europea e alcuni Paesi terzi, queste merci finiscono poi in Russia“, è il duro avvertimento di von der Leyen. Per Bruxelles è arrivato il tempo di mettere fine a un commercio quasi di contrabbando e con questa intenzione “stiamo proponendo un nuovo strumento per combattere l’elusione delle sanzioni”. Cosa significa, lo spiega la stessa presidente della Commissione Ue: “Se ci accorgiamo che le merci passano dall’Unione Europea a Paesi terzi e poi finiscono in Russia, potremmo proporre agli Stati membri di sanzionare l’esportazione di queste merci“. Si tratterà comunque di una “risorsa ultima, da usare con cautela”, a seguito di una “analisi dei rischi molto accurata e dopo l’approvazione degli Stati membri dell’Ue”.

    We are proposing an 11th package of sanctions:
    The focus is now on cracking down on circumvention, together with our international partners.
    We are:
    1 – Sharpening our existing tools, adding more products to our transit ban.
    2 – Proposing a new tool to combat sanctions… pic.twitter.com/kWIiQnTBfb
    — European Commission (@EU_Commission) May 9, 2023

    Cosa non c’è nell’undicesimo pacchetto di sanzioni
    Nel discorso di von der Leyen c’è però un grande assente: il nucleare russo. “È un lavoro duro, ma alcuni Paesi membri stanno facendo progressi e potete contare che continueremo a spingere in questo senso“, ha voluto specificare la presidente dell’esecutivo comunitario, rispondendo a una domanda specifica sulla presenza o meno del settore nucleare del Cremlino nel nuovo pacchetto di misure restrittive. Gli umori dei 27 governi sono stati testati dalla Commissione attraverso i cosiddetti ‘confessionali’, colloqui riservati tra l’esecutivo comunitario e ciascun ambasciatore presso l’Ue dei 27 Stati membri per raccogliere considerazioni senza filtri da parte dei governi prima di presentare la proposta di sanzioni. Quanto emerge dalle parole di von der Leyen a Kiev è che l’unità ancora non c’è su questo punto e difficilmente si assisterà a un colpo di scena dell’ultimo momento. Secondo quanto confermano fonti europee, la prima discussione tra gli ambasciatori è in programma domani (10 maggio) al Comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue (Coreper), a cui ne seguirà una seconda venerdì.
    È proprio il presidente ucraino Zelensky a chiedere insistentemente da tempo a Bruxelles di inserire l’industria nucleare russa nelle misure restrittive internazionali, come evidenziato anche nella prima storica visita di persona a Bruxelles lo scorso 9 febbraio. Nel mirino in particolare c’è Rosatom, il colosso di Stato fondato nel 2007 che controlla l’energia nucleare civile e l’arsenale di armi nucleari del Cremlino e che nell’ultimo anno di invasione dell’Ucraina è diventato anche gestore della centrale nucleare occupata di Zaporizhzhia. Le resistenze di parte dei Ventisette alle intenzioni di Bruxelles e Berlino derivano soprattutto dal fatto che l’Unione dipende dalla Russia per le importazioni di uranio, componente essenziale per la produzione di energia nucleare. Secondo le ultime stime dell’agenzia di approvvigionamento di Euratom (la Comunità europea dell’energia atomica), nel 2020 il 20 per cento dell’uranio naturale importato nell’Ue arrivava proprio da Mosca, seconda solo al Niger. “Stiamo lavorando molto intensamente con i nostri Stati membri per diversificare ed essere indipendenti”, è l’ultima promessa di von der Leyen al presidente Zelensky. Con vista già a un possibile dodicesimo pacchetto di sanzioni.

    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha fornito qualche dettaglio sulle nuove misure restrittive. Divieto di transito di prodotti tecnologici avanzati, contrasto alle entità ‘ombra’ e nuovo strumento per sanzionare l’esportazione di merci che finiscono a Mosca