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    La Tunisia “non farà da guardia di frontiera per altri Paesi”. Il buco nell’acqua di von der Leyen e Meloni al cospetto di Saied

    Bruxelles – Si è conclusa con un buco nell’acqua la missione europea congiunta sull’altra sponda del Mediterraneo: la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e i primi ministri di Italia e Olanda, Giorgia Meloni e Mark Rutte, rientrano dalla Tunisia senza risultati concreti, e anzi con la sensazione di essere ostaggio delle imprevedibili decisioni del presidente Kais Saied.
    Lo sforzo di volontà dell’Unione c’è stato: in attesa dell’accordo da 1,9 miliardi di dollari tra Tunisi e il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), che sbloccherebbe 900 milioni di euro di assistenza macrofinanziaria da Bruxelles, von der Leyen ha promesso di mobilitare immediatamente 150 milioni come supporto al budget e 105 per la gestione dei flussi migratori – di cui 60 per il controllo dei confini-, restituendo di fatto un po’ di ossigeno alle casse di un Paese sull’orlo del collasso economico-sociale. Ma l’accordo di salvataggio con l’Fmi, congelato da mesi, è ormai una chimera. Saied, che non sembra intenzionato a cedere di un passo alle richieste di riforme politiche e economiche, ha ribadito dopo l’incontro con i leader europei che il suo governo “non accetterà condizioni o diktat, l’Fmi deve rivedere le sue ricette dopodiché si potrà arrivare a una soluzione”.
    Ursula von der Leyen e Kais Saied
    Il presidente tunisino, sempre più intollerante a qualsiasi ingerenza estera negli affari del Paese, non cederà facilmente neanche sui migranti: già alla vigilia del vertice con von der Leyen, Meloni e Rutte Saied, Saied si era recato a Sfax, città portuale da cui partono la maggior parte dei migranti subsahariani, per mettere in chiaro che la soluzione europea per diminuire gli sbarchi in Italia “non sarà a spese della Tunisia”. Linea confermata durante i dialoghi istituzionali, in cui il leader tunisino avrebbe infatti sottolineato che “la soluzione che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile“.
    Sotto il pressing di Roma, terrorizzata da un’eventuale impennata di sbarchi qualora dovesse realizzarsi il drammatico scenario di un default economico del vicino nordafricano, von der Leyen ha preferito tacere sull’autoritarismo e le violazioni dei diritti umani perpetrate da Saied sull’altare dell’esternalizzazione dei confini europei. “Dal 2011 l’Ue supporta il percorso della Tunisia verso la democrazia: un percorso lungo e talvolta difficile, ma queste difficoltà possono essere risolte”, ha dichiarato la presidente dell’esecutivo comunitario nell’unico accenno alla disastrosa deriva autoritaria intrapresa da Saied dal 2019. Sembra esaurita la determinazione con cui, appena due mesi fa, i 27 ministri degli Esteri Ue avevano espresso la propria preoccupazione per i processi giudiziari contro membri dell’opposizione e l’arresto del leader politico Rached Gannouchi.
    Giorgia Meloni e Kais Saied 
    L’imperativo è rafforzare le relazioni, con tanti saluti al rispetto dello stato di diritto, come affermato dalla dichiarazione congiunta resa nota dopo i colloqui. Bruxelles e Tunisi si impegnano a dare vigore alla loro partnership attraverso un pacchetto basato su 5 pilastri: sviluppo economico, scambi e investimenti, accordi sulle energie rinnovabili, gestione dei flussi migratori, mobilità e formazione nell’ambito della partnership per i talenti. Nel documento si legge che “il rafforzamento del dialogo politico e strategico in seno al Consiglio di associazione Ue-Tunisia entro la fine dell’anno offrirà un’importante opportunità per rinvigorire i legami politici e istituzionali, con l’obiettivo di affrontare insieme le sfide internazionali comuni e preservare l’ordine basato sulle regole”.
    L’avvicinamento sfocerà nella firma di un memorandum d’intesa tra Bruxelles e Tunisi, che Giorgia Meloni vorrebbe vedere realizzato entro il Consiglio europeo del 29-30 giugno. La premier mediatrice mette fretta, in un gioco di forze che sembra essersi ribaltato: è Saied che percepisce la possibilità di usare l’Italia e lo spauracchio degli sbarchi per veicolare tramite Roma richieste sempre maggiori all’Unione europea, aprendo e richiudendo “i rubinetti” a piacimento. Dopo la mediazione italiana infatti, gli arrivi dalle coste tunisine, che nei primi quattro mesi dell’anno erano quadruplicati rispetto al 2022, nell’ultimo mese sono diminuiti. Meloni, al secondo viaggio in Tunisia in appena 5 giorni, si è detta “molto contenta della Dichiarazione congiunta, un primo passo importante verso la creazione di un vero e proprio partenariato con l’Unione europea che possa affrontare in maniera integrata tanto la crisi migratoria quanto il tema dello sviluppo per entrambe le sponde del Mediterraneo”.

    Il presidente tunisino punta i piedi: nessuno sviluppo sull’accordo con il Fondo Monetario Internazionale, necessario per sbloccare quasi un miliardo di assistenza Ue. Meloni preme per firmare memorandum d’Intesa al prossimo Consiglio europeo di fine giugno

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    Brasile, Argentina, Cile e Messico. Il ‘tour’ di von der Leyen che prepara il Vertice Ue-America Latina di luglio

    Bruxelles – Brasile, Argentina, poi ancora Cile e, infine, Messico. E’ un vero e proprio tour quello che vedrà impegnata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, da oggi fino a giovedì in America Latina con l’obiettivo di rafforzare le relazioni con i principali Paesi della regione. Bruxelles getta le basi per preparare il vertice Ue-Celac (Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi) che sarà ospitato nella capitale d’Europa il 17 e 18 luglio e von der Leyen dovrebbe annunciare in questi giorni una serie di progetti e iniziative d’investimento nella regione attraverso Global Gateway, la strategia di finanziamento da 300 miliardi di euro con cui l’Unione europea aspira a dar vita a una alternativa alla Via della Seta cinese.
    Il tour di von der Leyen prende il via oggi a Brasilia, dove sarà ricevuta dal presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, per un incontro bilaterale e un pranzo di lavoro. Sempre oggi, nel pomeriggio, la presidente von der Leyen terrà un discorso alla Confederazione dell’industria nazionale. Domani sarà a Buenos Aires, dove incontrerà Alberto Fernández, presidente dell’Argentina e dove terrà un discorso al Business Forum Ue-Argentina. Mercoledì farà tappa a Santiago del Cile, dove incontrerà il presidente Gabriel Boric e visiterà successivamente Comberplast, un’azienda cilena dedicata al riciclaggio della plastica. Chiuderà il tour, giovedì, la visita a Città del Messico dove incontrerà il presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador.
    Proprio il vertice di luglio sarà il momento per attuare l’agenda comune per gli investimenti tra Unione europea e America Latina-Caraibi, mobilitando risorse tra gli altri, per l’energia rinnovabile e l’idrogeno verde, le materie prime critiche, la decarbonizzazione e i progetti di infrastrutture di trasporto, il 5G e la connettività dell’ultimo chilometro, la digitalizzazione dei servizi pubblici, la gestione sostenibile delle foreste, la produzione sanitaria, l’istruzione e le competenze e la finanza sostenibile. La scorsa settimana, sempre nell’ottica di preparare il vertice di luglio, la Commissione ha adottato con l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, una comunicazione congiunta con una nuova agenda rinnovata con la regione.
    L’Ue stima che grazie a questi accordi, gli scambi bilaterali di beni sono aumentati del 40 per cento dal 2018 al 2022, con un totale di scambi bilaterali di beni e servizi pari a 369 miliardi di euro nel 2022. Sono in corso gli sforzi per firmare e ratificare l’accordo aggiornato con il Cile e per finalizzare quello con il Messico, ma resta in ballo anche l’accordo con il blocco del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) le cui trattative sono in stallo dal 2019. Il rafforzamento dei partenariati commerciali con la regione è la chiave per non perdere la corsa all’approvvigionamento di materie prime critiche per la transizione. Bruxelles sta lavorando per rafforzare partnership commerciali strategiche con quei Paesi che possono aiutare l’Unione nella corsa alle materie prime: il Cile, ad esempio, è il secondo produttore al mondo di litio, che viene usato per la produzione delle batterie. L’Unione europea e la regione latinoamericana e caraibica “scambiano già ogni giorno beni e servizi per un valore di un miliardo di euro, ma ora vogliamo passare al livello successivo, ad esempio con partnership reciprocamente vantaggiose su materie prime critiche per diversificare le nostre catene di approvvigionamento”, ha confermato Dombrovskis,

    La presidente della Commissione europea da lunedì a giovedì nella regione per preparare il vertice Ue-Celac che sarà ospitato nella capitale d’Europa il 17 e 18 luglio e annuncerà una serie di progetti e iniziative d’investimento attraverso Global Gateway

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    L’all-in degli europeisti di Europe Now in Montenegro. Dopo il presidente della Repubblica, il primo posto in Parlamento

    Bruxelles – Il Montenegro è entrato definitivamente in una nuova era politica. Dopo la presidenza della Repubblica, il partito europeista Europe Now ha conquistato anche il primo posto all’Assemblea nazionale alle elezioni anticipate di ieri (11 giugno). “Questa è una grande vittoria, ora parleremo con tutti coloro che condividono i nostri valori”, è stato il commento a caldo del leader del partito, Milojko Spajić, dopo lo storico risultato nel Paese balcanico.
    (credits: Savo Prelevic / Afp)
    Europe Now non ha solo conquistato il 25,6 per cento delle preferenze degli elettori, ma per la prima volta nella storia del Montenegro ha relegato al secondo posto il Partito Democratico dei Socialisti (Dps), la maggiore forza politica dal 1991 ma ieri fermatosi al 23,2 (12 punti percentuali in meno rispetto alle elezioni del 2020). In attesa dei risultati definitivi, l’istituto Centre for Monitoring and Research ha fornito una proiezione della distribuzione dei seggi con il 98,7 per cento delle schede elettorali scrutinate, in cui emerge il trionfo di Europe Now con 24 deputati (su 81), seguito dal Dps con 21. Ma decisive saranno le alleanze che cercherà di mettere in campo la forza politica nata nel febbraio dello scorso anno: la coalizione guidata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) del premier uscente Dritan Abazović ha conquistato il 12,5 per cento dei voti e 11 seggi, mentre i filo-serbi e pro-Ue di ‘Per il futuro del Montenegro’ (guidati da un altro ex-premier, Zdravko Krivokapić) il 14,7 per cento e 13 seggi. Insieme le tre forze possono contare su 48 seggi, con la possibilità di una convergenza di altri piccoli partiti che rappresentano le minoranze etniche nel Paese (bosniaca, albanese e croata).
    Lo scorso 2 aprile il Montenegro aveva già assisto al primo tempo della transizione politica, con la fine del potere del padre-padrone del Paese, Milo Đukanović. Alle elezioni presidenziali il candidato di Europe Now, Jakov Milatović, è stato eletto con il 60 per cento delle preferenze al secondo turno di voto ed è entrato in carica il 23 maggio. “Entro i prossimi cinque anni porteremo il Montenegro nell’Unione Europea”, è stata la promessa del neo-presidente, a dimostrazione che le tendenze filo-serbe nel Paese non necessariamente sono contrarie alla visione europeista delle relazioni internazionali. Dopo il risultato delle elezioni presidenziali di ieri, il processo di adesione all’Ue del Paese balcanico iniziato nel 2012 potrebbe uscirne rafforzato con un governo più stabile. Non è un caso se dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio dello scorso anno, il Montenegro ha aderito immediatamente alle sanzioni Ue contro Mosca, ha inviato aiuti a Kiev e ha aderito a una nuova iniziativa balcanica per il rafforzamento dell’allineamento alla politica estera dell’Unione. “Il Montenegro è un partner importante per l’Ue e il più avanzato sulla strada verso l’adesione“, ha commentato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano.
    La situazione politica in Montenegro
    L’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    La crisi per il Dps e Đukanović è iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020, quando in Montenegro sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni di governo ininterrotto. Al potere era andata per poco più di un anno una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Abazović. Il 4 febbraio dello scorso anno era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via a un governo di minoranza guidato da Abazović. Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue.
    Mentre Abazović è rimasto premier ad interim, a partire dal settembre dello scorso anno si è aggravata anche la crisi istituzionale. A sparigliare le carte è stato il via libera a una contestatissima legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi.
    Il presidente del Montenegro, Jakov Milatović (credits: Savo Prelevic / Afp)
    Il vero problema si è però innestato con la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Senza la sua piena funzionalità non è stato possibile considerare il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (si rimane ancora in attesa del quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina e per continuare il percorso europeo del Paese. Dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno, prima di perdere la carica di presidente il 3 aprile.
    Chi guida Europe Now
    La doppia tornata elettorale in poco più di due mesi è stato il primo vero banco di prova nazionale per il nuovo movimento europeista Europe Now, dopo essersi piazzato al secondo posto alle amministrative dell’ottobre dello scorso anno nella capitale Podgorica. A guidare il partito sono Spajić e il neo-presidente Milatović, rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro.
    I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni parlamentari del 2023. Una delle missioni di Europe Now sarà proprio quella di accompagnare il Paese balcanico nell’Unione Europea: il Montenegro ha fatto richiesta di adesione il 15 dicembre 2008, ottenendo due anni più tardi lo status di Paese candidato (il 17 dicembre 2010) e dopo altri due anni l’avvio dei negoziati (29 dicembre 2012). Da 11 anni Podgorica si trova a questo stadio nel lungo processo di adesione all’Unione.

    Alle elezioni anticipate il partito del neo-presidente Jakov Milatović ha conquistato un quarto delle preferenze, relegando al secondo posto il Partito Democratico dei Socialisti per la prima volta nella storia del Paese. Ora si cerca un accordo per una larga maggioranza pro-Ue

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    Una folta delegazione del Ppe incontra a Roma i vertici dell’Ordine di Malta

    Roma – Il Gran Maestro dell’Ordine di Malta, Fra’ John Dunlap, ha ricevuto ieri circa 100 parlamentari europei del Partito popolare alla Villa Magistrale, sull’Aventino, a Roma, per un dibattito su “Cristianesimo, Europa e la sua missione nel mondo”.
    L’incontro ha offerto l’opportunità di un dibattito approfondito sul ruolo dei valori cristiani nei processi di integrazione europea, nella risposta alle sfide poste dall’invasione russa dell’Ucraina, nella gestione dei flussi migratori, e sul contributo che possono offrire per creare un clima di sincera solidarietà e fratellanza nel contesto europeo. Anche il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, si è unito all’evento del Ppe in serata.
    “Cogliamo l’importanza e la valenza del vostro incontro qui – ha detto Dunlap nel suo discorso di benvenuto – perché avviene in un momento molto delicato e doloroso per l’Europa. La guerra che infuria in Ucraina sta mietendo un numero enorme di vittime, soprattutto tra la popolazione civile, e sta causando la distruzione di villaggi, fabbriche e chiese”. Il Gran Maestro ha poi spiegato che “come Ordine di Malta, abbiamo cercato di fare del nostro meglio per garantire sostegno alle migliaia di persone sfollate nei Paesi vicini e nella stessa Ucraina attraverso il nostro Corpo di volontari e grazie alla generosità di molti nostri membri, dei Gran Priorati e delle Associazioni nazionali”.
    Guidati dal presidente del Ppe, Manfred Weber, gli europarlamentari hanno ascoltato gli interventi del Cardinale Leonardo Sandri, Vicedecano del Collegio dei Cardinali, di Monsignor Mariano Crociata, Presidente della Commissione degli Episcopati dell’Unione Europea, di Monsignor Miroslaw Wachowski, Sottosegretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, e di Riccardo Paternò di Montecupo, Gran Cancelliere dell’Ordine di Malta, ha sottolineato davanti ai deputati che “il primo e più importante obiettivo che l’Europa deve perseguire è quello di diffondere il messaggio cristiano, un forte antidoto alle tragedie di cui siamo testimoni ogni giorno. Questo è un tema su cui l’Europa può svolgere un ruolo cruciale e fare la differenza. E questa è la ragione per cui questo seminario è estremamente attuale. Mi riferisco, più in generale, ai valori della pace, del dialogo, della tolleranza, del rispetto della dignità umana, dell’uguaglianza e della solidarietà”.
    La delegazione si riunirà oggi all’Auditorium della Conciliazione e avrà diversi incontri in Vaticano.
    Alla vigilia del seminario, Fra’ John Dunlap ha rilasciato un’intervista al quotidiano cattolico Avvenire, spiegando che l’Ordine di Malta opera in molti ambiti che sono oggetto del Parlamento europeo: “Penso all’accoglienza di rifugiati e migranti, all’assistenza sanitaria, alla cura dei minori non accompagnati e dei senzatetto, e alle case di cura per gli anziani. Gli ambiti di interazione sono davvero numerosi. E quindi quanto più l’Ordine di Malta è messo in condizione di comprendere quali sono i progetti e le grandi linee guida del Parlamento europeo, tanto più saremo in grado di affiancare e di interagire, offrendo il nostro contribuito alla costruzione di una società più fraterna e solidale”.

    Sottolineata la comunanza di aree di intervento tra Smom e Eurocamera. Il Gran Maestro Dunlap: “Un momento delicato per l’Europa”. Anche il ministro Tajani è stato presente

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    La nuova agenda rinnovata tra Ue e America Latina-Caraibi tra transizione e materie critiche

    Bruxelles – Passare dall’essere semplici partner naturali a diventare ‘partner di scelta’. E’ un’agenda rinnovata con l’America Latina e i Caraibi in sei aree di cooperazione (con una serie di azioni chiave per contribuire a realizzarne gli obiettivi) quella adottata oggi (7 giugno) dalla Commissione europea e dall’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, attraverso una comunicazione congiunta.
    Una comunicazione che arriva, strategicamente, a poche settimane dal vertice Ue-Celac che si terrà a Bruxelles il 17 e 18 luglio e propone un partenariato strategico più forte e modernizzato, attraverso un impegno politico rafforzato, la promozione del commercio e degli investimenti e maggiori investimenti attraverso ‘Global Gateway’, l’iniziativa da quasi 300 miliardi di euro che per l’area latinoamericana e caraibica ha in mente un’agenda ambiziosa che comprende attività che vanno dall’estensione del 5G alle aree remote, ai green bond, a sistemi di trasporto più ecologici, all’energia pulita all’idrogeno e a migliori infrastrutture sanitarie, fino all’incremento della ricerca congiunta. Politica, commercio, investimenti di Global Gateway per accelerare una transizione verde e digitale; giustizia e la lotta alla criminalità organizzata transnazionale; pace, sicurezza e diritti, e partnership tra persone: queste le aree di intervento per rafforzare il partenariato messe in evidenza dalla Commissione europea.

    “Oggi il partenariato strategico Ue e America Latina e Caraibi è più importante che mai. Siamo alleati chiave per rafforzare l’ordine internazionale basato sulle regole, difendere insieme la democrazia, i diritti umani e la pace e la sicurezza internazionali. Abbiamo anche interesse a rafforzare il nostro partenariato politico e il nostro impegno, combattere il cambiamento climatico e portare avanti una trasformazione digitale inclusiva e incentrata sull’uomo. Il nostro Global Gateway stimolerà anche gli investimenti e una più stretta cooperazione”, ha riconosciuto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
    Proprio il vertice di luglio sarà il momento per attuare l’agenda comune per gli investimenti, mobilitando risorse tra gli altri, per l’energia rinnovabile e l’idrogeno verde, le materie prime critiche, la decarbonizzazione e i progetti di infrastrutture di trasporto, il 5G e la connettività dell’ultimo chilometro, la digitalizzazione dei servizi pubblici, la gestione sostenibile delle foreste, la produzione sanitaria, l’istruzione e le competenze e la finanza sostenibile. In particolare, Bruxelles guarda alla dimensione commerciale della partnership con America Latina e Caraibi, tanto che a presentare l’agenda in conferenza stampa insieme a Borrell c’era il vicepresidente esecutivo con delega al commercio, Valdis Dombrovskis. L’Ue stima che grazie a questi accordi, gli scambi bilaterali di beni sono aumentati del 40 per cento dal 2018 al 2022, con un totale di scambi bilaterali di beni e servizi pari a 369 miliardi di euro nel 2022.
    Sono in corso gli sforzi per firmare e ratificare l’accordo aggiornato con il Cile e per finalizzare quello con il Messico, ma resta in ballo anche l’accordo con il blocco del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) le cui trattative sono in stallo dal 2019. Il rafforzamento dei partenariati commerciali per l’Ue è la chiave per non perdere la corsa all’approvvigionamento di materie prime critiche per la transizione, che passa anche attraverso il rafforzamento degli accordi commerciali. Bruxelles sta lavorando per rafforzare partnership commerciali strategiche con quei Paesi che possono aiutare l’Unione nella corsa alle materie prime. Il Cile, ad esempio, è il secondo produttore al mondo di litio, che viene usato per la produzione delle batterie. L’Unione europea e la regione latinoamericana e caraibica “scambiano già ogni giorno beni e servizi per un valore di un miliardo di euro, ma ora vogliamo passare al livello successivo, ad esempio con partnership reciprocamente vantaggiose su materie prime critiche per diversificare le nostre catene di approvvigionamento”, ha confermato Dombrovskis, sottolineando che finalizzare l’accordo con il Mercosur “rafforzerebbe notevolmente i legami tra le due regioni”.

    Una comunicazione che arriva a poche settimane dal vertice Ue-Celac che si terrà a Bruxelles il 17 e 18 luglio e propone un partenariato strategico più forte e modernizzato, attraverso un impegno politico rafforzato, la promozione del commercio e degli investimenti e maggiori investimenti attraverso ‘Global Gateway’

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    Energia, trasporti e digitale. L’Unione europea integra l’Ucraina nel Meccanismo per collegare l’Europa

    Bruxelles – Ucraina sempre più integrata energeticamente e digitalmente all’Europa attraverso i trasporti. La commissaria europea per i trasporti, Adina Vălean, e il vice primo ministro per il restauro dell’Ucraina e il ministro per le comunità, i territori e lo sviluppo delle infrastrutture Oleksandr Kubrakov, hanno firmato oggi (6 giugno) a Leopoli, in Ucraina, un accordo per associare l’Ucraina al programma europeo Connecting Europe Facility (CEF), lo strumento finanziario per collegare l’Europa attraverso i trasporti, l’energia e il digitale.
    Un modo per permettere ai promotori di progetti ucraini di richiedere finanziamenti all’Unione europea per realizzare progetti di interesse comune nei settori dei trasporti, dell’energia e del digitale, migliorando ulteriormente la connettività dell’Ucraina con i suoi vicini dell’Ue. Il CEF è uno strumento di finanziamento pensato per promuovere investimenti infrastrutturali mirati a livello europeo e si articola in questi tre settori: trasporto, energia e digitale.

    Bruxelles spiega in una nota che per quanto riguarda i trasporti, le autorità e le imprese ucraine potranno richiedere finanziamenti nell’ambito dei futuri bandi CEF sui trasporti già nell’attuale periodo di programmazione (2021-2027) e il prossimo invito dovrebbe essere lanciato a settembre 2023. Quanto all’energia, i progetti infrastrutturali ucraini collegati con gli Stati membri dell’UE hanno già la possibilità di richiedere lo status di progetti di interesse reciproco (PMI), ma grazie all’accordo siglato oggi i nuovi finanziamenti diventeranno accessibili a questi progetti in Ucraina.
    La Commissione pubblicherà il prossimo elenco dell’Unione di progetti di interesse comune (PIC) a novembre 2023, includendo per la prima volta PMI con paesi terzi. In ultimo, la parte digitale del Meccanismo per collegare l’Europa fornisce sostegno a progetti di connettività di interesse comune, in particolare per le reti dorsali che collegano l’Ue con i paesi terzi. Una volta lanciati i prossimi inviti CEF Digital, le entità in Ucraina potranno richiedere il cofinanziamento per progetti volti ad aumentare la capacità, la sicurezza e la resilienza della connettività digitale tra l’Ucraina e i suoi vicini dell’Ue.
    Il programma sta “già finanziando diversi progetti con un impatto diretto sull’Ucraina: la ricostruzione di una pista all’aeroporto di Rzeszów-Jasionka, in Polonia, l’ammodernamento di un terminal di trasbordo a Košice, in Slovacchia, la costruzione del ponte Ungheni e lo sviluppo dell’hinterland collegamenti e potenziamenti per il porto romeno di Constanta”, ha fatto il punto la commissaria Valean commentando l’intesa. “Con l’accordo odierno, l’Ucraina sarà ora in grado di presentare domande autonomamente, aprendo la porta a progetti che contribuiranno a modernizzare le infrastrutture dell’Ucraina e a migliorare la sua connettività con l’Ue, come gli investimenti nei valichi di frontiera con l’UE. Si tratta di un passo concreto per potenziare ulteriormente le corsie di solidarietà e sostenere la ricostruzione dell’Ucraina”. Per Thierry Breton, commissario europeo per il Mercato intero, l’integrazione annunciata oggi segna un passo decisivo per l’adesione di Kiev all’Unione europea. “L’Ucraina è nostro vicino e nostro partner e sta per diventare un membro della nostra Unione. L’odierna associazione dell’Ucraina al Connecting Europe Facility segna un passo importante in questo percorso. Rafforzerà la capacità e la resilienza delle reti dorsali digitali che collegano l’Europa all’Ucraina e offrirà ai cittadini e alle imprese ucraini i vantaggi della transizione digitale”.

    La commissaria europea per i trasporti, Adina Vălean, e il vice primo ministro per il restauro dell’Ucraina e il ministro per le comunità, i territori e lo sviluppo delle infrastrutture Oleksandr Kubrakov, hanno firmato a Leopoli un accordo per associare l’Ucraina al programma europeo Connecting Europe Facility (CEF), lo strumento finanziario per collegare l’Europa attraverso i trasporti, l’energia e il digitale

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    Dall’Europa a 45 il “messaggio di unità” contro Putin. Dalla Moldavia Zelensky preme per l’adesione alla NATO

    Bruxelles – Sicurezza, energia, connettività. Sono tre le chiavi della cooperazione rafforzata che unisce l’Europa alle prese con il tentativo di mandare un messaggio di unità contro la guerra di aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina. E’ nella cornice del castello di Mimi a Bulboaca, in Moldavia, che si è tenuto oggi il secondo vertice della Comunità politica europea, il forum informale dell’Europa ‘allargata’ lanciato su idea francese nel maggio 2022 dopo l’aggressione russa in Ucraina. Una risposta politica alla guerra di Putin e un tentativo di rafforzare, se pure informalmente, la cooperazione del Continente.
    Il primo incontro si è tenuto a Praga, in Repubblica ceca, in ottobre, prima del Vertice europeo informale ospitato dalla presidenza ceca del Consiglio. Oggi la riunione ha messo allo stesso tavolo i capi di Stato e governo di 45 Paesi (su 47 in tutto invitati, San Marino e Turchia alla fine non hanno partecipato), tra cui tutti Ventisette gli Stati membri dell’Ue e l’Ucraina. Per conto dell’Unione europea presenti i vertici di Commissione, Parlamento e Consiglio europeo, rispettivamente Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Charles Michel.
    Come previsto, il vertice non ha portato ad alcuna dichiarazione scritta e a nessuna decisione concreta. Ma è stato soprattutto un vertice simbolico e un modo per mandare un chiaro messaggio politico di unità a Putin. Lo indica la scelta stessa di tenere la riunione in Moldavia. “Dobbiamo considerarlo dal punto di vista geopolitico. Se vi sedete a Mosca e vedete 47 Paesi nelle immediate vicinanze che si riuniscono insieme, questo è, a mio avviso, un messaggio importante, anche se si tratta di una cooperazione soft, anche se si tratta di scambi, è un segnale importante”, aveva spiegato una fonte diplomatica alla vigilia del vertice. E questo è quanto è stato ribadito da tutti i capi di stato e governo che hanno sfilato nella passerella, dal presidente Michel alla ‘padrona di casa’ Maia Sandu.
    “Siamo 45 Paesi rappresentati qui in Moldavia, un messaggio simbolico forte della comune volontà di coordinarci e cooperare nel campo dell’energia, della sicurezza, delle infrastrutture. Cerchiamo di costruire una convergenza politica per difendere alcuni dei nostri interessi in comune”, ha spiegato Michel, al suo arrivo a Chișinău. “A venti chilometri dal confine con la Russia abbiamo riaffermato di dover essere uniti a sostegno dell’Ucraina”, ha detto Sandu nella conferenza stampa che ha chiuso la riunione, al fianco del premier ceco Petr Fiala e del premier spagnolo Pedro Sanchez. Passato, presente e futuro della Comunità politica. Si è scelto infatti di fare ospitare gli incontri della Comunità a turno da uno dei partecipanti: a ottobre è stato il turno della Repubblica ceca, e dopo la Moldavia sarà la volta della Spagna che ospiterà gli oltre quaranta capi di stato e governo a Granada, come confermato da Sanchez.
    Sandu ha ammesso senza indugio di essere consapevole che senza la resistenza di Kiev, la guerra sarebbe ora alle porte del suo Paese. Ed è anche per questo che è significativa la scelta del luogo in cui ospitarla, un messaggio di sostegno tanto all’Ucraina quanto alla Moldavia, per ribadirgli la promessa che il loro futuro è dentro l’Unione europea. L’adesione all’Unione europea – cui Ucraina e Moldova sono Paesi candidati – non è l’unica adesione su cui ha insistito il presidente ucraino Zelensky. “L’Ucraina è pronta per entrare nella Nato” e alla riunione dei capi di stato e di governo che si terrà l’11 e 12 luglio a Vilnius “è necessario ci sia un chiaro invito per l’Ucraina ad aderire all’Alleanza proprio come sono necessarie garanzie di sicurezza sul cammino verso l’adesione in futuro. Ed è necessaria una chiara decisione positiva sull’adesione dell’Ucraina alla Ue”, ha detto. Poi però ha aggiunto: “Siamo pronti per quando la Nato sarà pronta”. I leader dell’Ue si sono mostrati cauti sull’adesione, compresa la premier Giorgia Meloni. “Tutto ciò non ha effetti sugli aiuti militari, che continueranno, recita il mantra condiviso, fino a quando necessario, ma ha effetti politici evidenti sia sul percorso che potrebbe portare alla fine della guerra (sulla Russia) sia sugli assetti politici continentali futuri. Rutte ha specificato che da una parte c’è pieno sostegno all’Ucraina, anche militare, nella lotta contro i russi, e dall’altra l’azione per tracciare il percorso verso il futuro”. E che si tratta anche capire bene “che cosa significherà per l’Ucraina un giorno unirsi alla Nato”, ha detto la premier, tornata in Italia prima della fine dei lavori.
    Un incontro informale senza decisioni. Ma non passa inosservato che grande assente, insolitamente, è stata la voce sulla passerella rossa di Ursula von der Leyen, che non ha preso parola in entrata né in uscita. E che a un solo tweet ha affidato la sintesi della giornata. “Unità e forza. Questo è ciò che dimostrano i leader europei riuniti oggi in Moldavia. Insieme difendiamo i nostri valori. E ci battiamo per l’Ucraina”.

    La seconda riunione della Comunità politica europea, il forum informale lanciato dopo l’aggressione della Russia in Ucraina. Una risposta politica alla guerra di Putin e un tentativo di rafforzare, se pure informalmente, la cooperazione del Continente

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    L’appello della presidente della Georgia alla plenaria del Parlamento Ue: “Status di candidato entro fine 2023”

    Bruxelles – C’è un solo Paese che è sulla strada dell’Unione Europea, ma non ha ancora ottenuto lo status di candidato all’adesione. È la Georgia, uno dei partner più europeisti nelle aspirazioni della popolazione, ma allo stesso tempo più complicato nella gestione dei rapporti con il governo in carica. “Aldilà delle passioni politiche tutti i georgiani condividono la speranza di ritrovare la famiglia europea, è una scelta legittima e che non prevede alternative, perché si basa su valori, storia, lotte e determinazione per il futuro comuni”, è stato il messaggio della presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, dal cuore dell’Unione Europea, intervenendo alla sessione plenaria del Parlamento Europeo nell’emiciclo di Bruxelles. Con un chiaro messaggio per il prossimo futuro: “C’è un’unica strada da percorrere, garantire alla Georgia entro la fine dell’anno lo status di Paese candidato all’adesione Ue“.
    La presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (31 maggio 2023)
    Era da 13 anni che un leader georgiano non interveniva al Parlamento Europeo – l’ultima volta era stato Mikheil Saakashvili il 22 novembre 2010, le cui condizioni di salute in carcere oggi preoccupano gli eurodeputati – e il ritorno non poteva essere più d’impatto. “Sarebbe il riconoscimento delle lotte del nostro popolo, dell’identità e dell’importanza dell’Ue, è una richiesta come membri della stessa famiglia“, ha ricordato Zourabichvili, riconoscendo “le nostre lacune” sulla strada verso l’adesione: “Tanto deve essere ancora fatto, è il compito comune nei prossimi mesi per non perdere una seconda opportunità che il popolo stavolta non ci perdonerebbe“. Anche la numero uno dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha ribadito la necessità di “spingere di più per dare lo status di candidato” alla Georgia, per non rischiare di perdere un popolo fortemente europeista: “Vi sosterremo nel viaggio per diventare parte dell’Ue, ma serve più decisione sulle riforme-chiave“.
    La Georgia ha fatto richiesta di adesione all’Ue il 3 marzo dello scorso anno. Tuttavia, in linea con il parere della Commissione, al vertice dei leader del 23 giugno è stato deciso di garantire non lo status di Paese candidato ma la ‘prospettiva europea” con 12 riforme-chiave sullo Stato di diritto e le libertà fondamentali da implementare prima della concessione dello status. Proprio ai “12 passi richiesti” ha fatto riferimento nel suo intervento la presidente Zourabichvili, che non li considera un vincolo ma “raccomandazioni di essere fedeli alla nostra identità e riconciliarci con essa“. L’obiettivo è quello di “vedere una Georgia libera in un’Europa libera, l’unica strada per farlo è far parte nell’Ue”, è stata l’esortazione della leader georgiana.
    Le proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    A questo si ricollega la questione delle minacce della Russia, Paese con cui confina a nord. Nell’agosto del 2008 l’esercito russo aveva invaso (per cinque giorni) la Georgia e da allora Mosca riconosce i territori separatisi dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia come Stati indipendenti e nell’area sono ancora dislocati migliaia di soldati russi, per aumentare la sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia. “Quando invoco il futuro europeo della Georgia, lo faccio anche per gli abitanti delle regioni di Abkhazia e Tskhinvali [capitale dell’Ossezia del Sud, ndr], non sono in vendita”, ha attaccato Zourabichvili da Bruxelles. La presidente della Georgia ha fatto anche riferimento alla guerra russa in Ucraina e alla politica di espansionismo intrinseca di Mosca: “Le politiche di appeasement non hanno mai funzionato, è la sua natura imperialistica che le fa portare avanti attacchi contro i vicini“, perché “il Paese più grande al mondo non accetta di avere dei confini”.
    La complessa strada della Georgia nell’Ue
    Per l’Unione Europea la Georgia rimane uno dei Paesi partner più complessi da gestire, a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino concretizzatosi il 24 febbraio 2022 in Ucraina). Tra le ultime notizie che hanno sollevato più preoccupazioni va ricordato il ritiro del partito al potere a Tbilisi, Sogno Georgiano, come membro osservatore del Partito del Socialismo Europeo (Pes), a causa delle frizioni sempre più evidenti per l’avvicinamento all’Ungheria di Viktor Orbán (il premier Irakli Garibashvili ha recentemente partecipato alla convention dei conservatori europei e statunitensi a Budapest). Ma anche la ripresa dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore.
    A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo georgiano ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo per aver fallito l’obiettivo sulla candidatura all’adesione. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Ue) – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia (quello ufficiale dell’Unione Europea).
    Quasi tre mesi fa sono scoppiate dure proteste popolari contro un controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria, voluta proprio dal premier Garibashvili per registrare tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo simile a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento decine di migliaia di cittadini georgiani sono scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea, gridando slogan come Fuck Russian law, sostenuti sia dalle istituzioni comunitarie sia dalla presidente Zourabichvili. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano ha ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa. Il leader del partito al potere è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo, in cui è richiesto alla Commissione di imporre nei suoi confronti sanzioni personali.

    La leader georgiana Salomé Zourabichvili si è rivolta alle istituzioni comunitarie direttamente dall’emiciclo di Bruxelles: “Tanto deve essere ancora fatto, è il nostro compito comune nei prossimi mesi per non perdere una seconda opportunità che il popolo non ci perdonerebbe”