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    La tensione tra Serbia e Kosovo cresce senza sosta. Kurti e Vučić a Bruxelles per una riunione di emergenza

    Bruxelles – Ricostruire le tensioni tra Serbia e Kosovo è come affrontare un domino. Per ogni tessera caduta bisogna risalire a quella precedente, caduta a sua volta per colpa di un’altra più dietro. Se si vuole inquadrare il motivo per cui – dopo un inizio di anno in cui Pristina e Belgrado sembravano avviate sulla strada della normalizzazione dei rapporti – oggi la situazione è tra le più delicate da anni, bisogna tornare indietro alle proteste di maggio nel nord del Kosovo, e ancora prima al boicottaggio delle elezioni amministrative di aprile, al ritiro dei serbo-kosovari dalle istituzioni locali, alla ‘battaglia delle targhe’. Si potrebbe tornare indietro fino al 17 febbraio 2008, il giorno dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, alla guerra del 1998-1999, alla ‘questione kosovara’ durante e dopo la dissoluzione della Jugoslavia di Tito. Isolare la situazione contingente è uno sforzo complesso, cercare delle soluzioni sul breve e lungo termine ancora di più. E l’Unione Europea da più di dieci anni è chiamata a fare proprio questo, oggi più che mai.
    L’arresto/sequestro di tre poliziotti kosovari dai servizi di sicurezza serbi nell’area di confine tra Serbia e Kosovo (14 giugno 2023)
    “Stiamo seguendo molto da vicino e con urgenza la situazione, siamo in stretto contatto con entrambe le parti e con il contingente Kfor per capire cosa e come è successo”, ha spiegato ieri (15 giugno) in un punto con la stampa di Bruxelles il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Sea), Peter Stano, rispondendo alle domande sull’ultimo episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi di mercoledì (14 giugno). Un evento particolarmente grave in qualsiasi modo lo si voglia guardare, per cui i due governi si accusano a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Come fanno notare diversi analisti, anche se è difficile individuare il luogo preciso dove è avvenuto l’arresto, in ogni caso si tratta di una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente coperto dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. In altre parole, un luogo dove, soprattutto nei boschi, sconfinamenti e infiltrazioni degli apparati di sicurezza serbi potrebbero non essere così rari, benché la frontiera sia ben definita. La polizia kosovara è autorizzata a pattugliare il nord del Paese, mentre è tutto da capire il motivo per cui l’unità serba specializzata in anti-terrorismo si trovasse a ridosso (o oltre) il confine nazionale.
    In ogni caso dagli Stati Uniti è arrivata la richiesta formale a Belgrado di rilasciare “immediatamente e incondizionatamente” i tre poliziotti kosovari, mentre Bruxelles esorta entrambe le parti ad “astenersi da qualsiasi azione e reazione che potrebbe aumentare una tensione già piuttosto alta”. A proposito di tensione alta, l’ultimo episodio nel nord del Kosovo ha spinto l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, a convocare a Bruxelles il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić, per “una riunione d’emergenza la prossima settimana“, ha reso noto oggi (16 giugno) il portavoce del Seae. Anche se “per il momento non possiamo condividere dettagli”, al centro della riunione ci saranno i tentativi politici di risolvere la crisi sul campo, con un focus particolare sulle “misure temporanee e reversibili, non sanzioni economiche” contro Pristina – annunciate negli ultimi giorni – “per dimostrare che l’Ue è seria se Kurti non intraprende passi significativi per la de-escalation”, ma anche sulla “valutazione in corso degli adempimenti richiesti alla controparte serba” per evitare la tensione nel Paese confinante. Anche perché, come risposta all’operazione delle forze di sicurezza di Belgrado, Pristina ha chiuso i confini a veicoli e merci in arrivo dalla Serbia e si rischia ora un effetto a catena.
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    La de-escalation chiesta con urgenza da Bruxelles è reiterata quasi ogni giorno da esattamente tre settimane. Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate negli ultimi giorni per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio.
    Le tensioni tra Serbia e Kosovo prima del 2023
    Per capire quanto sta succedendo in questo 2023 è necessario tornare indietro, almeno agli ultimi due anni di tensione tra Pristina e Belgrado. Dopo le due riunioni estive del 2021 tra il premier Kurti e il presidente Vučić a Bruxelles mediate dall’Ue, a metà settembre dello stesso anno è scoppiata per la prima volta nel nord del Kosovo la cosiddetta ‘battaglia delle targhe‘ tra i due Paesi, scatenata dalla decisione del governo di Pristina di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro. La questione è stata momentaneamente risolta grazie alla mediazione Ue, ma l’assenza di una soluzione definitiva ha poi infiammato la seconda metà del 2022. A fine luglio sono comparsi blocchi stradali e barricate delle frange più estremiste della minoranza serbo-kosovara e due riunioni fallimentari tra Vučić e Kurti a Bruxelles non hanno portato a nessuno sbocco politico.
    Le barricate ai valichi di frontiera nel nord del Kosovo a dicembre 2022
    La situazione si è però aggravata ancora di più il 5 novembre, con le dimissioni di massa di sindaci, consiglieri, parlamentari, giudici, procuratori, personale giudiziario e agenti di polizia dalle rispettive istituzioni nazionali in protesta contro il piano graduale per l’applicazione delle regole sulla sostituzione delle targhe serbe e contro quella che Lista Srpska ha definito una “violazione del diritto internazionale e dell’Accordo di Bruxelles” del 2013, ovvero la mancata istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo. Tra i dimissionari c’erano anche i sindaci di Kosovska Mitrovica, Zubin Potok, Zvecan e Leposavić e per questo motivo si è reso necessario tornare alle urne nelle quattro città: in programma inizialmente per il 18 dicembre, sono state poi rinviate al 23 aprile. Parallelamente è stata raggiunta una soluzione di compromesso sulle targhe nella notte tra il 23 e il 24 novembre tra il leader serbo e quello kosovaro, anche se prima del vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre a Tirana si è registrato un altro episodio di tensione politica tra Pristina e Belgrado, sempre legata alla questione del nord del Kosovo.
    Il presidente serbo ha minacciato di boicottare il vertice di Tirana a causa della nomina di Nenad Rašić come ministro per le Comunità e il ritorno dei profughi all’interno del governo kosovaro: Rašić è il leader del Partito Democratico Progressista, formazione serba ostile a Belgrado e concorrente di Lista Srpska il cui leader, Goran Rakić, si è dimesso dal ministero riservato alla minoranza serba nel Paese a inizio novembre. A pochi giorni dal vertice Ue-Balcani Occidentali, il 2022 si è chiuso con una nuova escalation di tensione ai valichi di frontiera nel nord del Kosovo, dopo la decisione di Pristina di inviare alcune centinaia di forze di polizia per sopperire alla mancanza di agenti dimessisi sempre a novembre. Le barricate delle frange serbo-kosovare più estremiste sono state smantellate solo dopo alcune settimane grazie allo sforzo diplomatico dei partner europei e statunitensi.
    Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il 18 marzo 2023 (Ohrid, Macedonia del Nord)
    Prima del nuovo exploit di tensioni sul campo iniziato a fine maggio, l’Ue ha cercato di spingere con forza per arrivare a un’intesa definitiva tra le due parti che risolva di riflesso anche i continui episodi più o meno violenti nel nord del Kosovo. È del 27 febbraio l’accordo di Bruxelles che ha definito gli impegni specifici che Serbia e Kosovo devono assumersi per la normalizzazione dei rapporti reciproci: una proposta in 11 punti avanzata dall’Ue e concordata da entrambi i leader dei due Paesi balcanici nel corso della riunione-fiume nella capitale dell’Unione Europea. Nonostante il testo non sia stato firmato, a renderlo vincolante per Pristina e Belgrado è stata l’intesa sull’allegato di implementazione (anche questo non firmato, ma con pesantissime conseguenze finanziarie in caso di mancato rispetto), raggiunto dopo una sessione di 12 ore di riunioni bilaterali e congiunte a Ohrid (Macedonia del Nord). Nonostante nei due testi compaia la questione dell’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo, già al termine dell’ultimo confronto di alto livello a Bruxelles di inizio maggio l’alto rappresentante Borrell aveva avvertito in modo sinistro che la bassissima affluenza alle elezioni amministrative del 23 aprile “ha il potenziale di portare a un’escalation e di minare l’attuazione dell’Accordo di Ohrid.

    L’alto rappresentante Josep Borrell ha invitato i due leader “la prossima settimana” per trovare una soluzione politica alla crisi sul campo. L’Unione pronta ad adottare “misure con effetto immediato” contro Pristina, ma è anche “in corso la valutazione degli adempimenti” di Belgrado

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    Si chiude il tour di von der Leyen in America Latina con l’impegno a concludere l’accordo con il Mercosur entro fine anno

    Bruxelles – Idrogeno, materie prime critiche e un impegno a concludere quanto prima – possibilmente entro l’anno – l’accordo commerciale con il blocco del Mercosur, in stallo dal 2019. Si è chiuso ieri (15 giugno) a Città del Messico il tour dell’America Latina che da lunedì a giovedì ha impegnato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in Brasile, Argentina, poi ancora Cile e, infine, Messico. Un vero e proprio tour organizzato con l’obiettivo di rafforzare le relazioni con i principali Paesi della regione e gettare le basi per preparare il vertice Ue-Celac (Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi) che sarà ospitato nella capitale d’Europa il 17 e 18 luglio.
    Con l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Unione europea sta passo dopo passo cercando di rivoluzionare la sua strategia per una dimensione esterna e vuole rafforzare la cooperazione con i Paesi ‘like minded’, ovvero i Paesi che la pensano allo stesso e modo e che, più nella sostanza, sono in grado di fornire all’Europa nuove fonti commerciali e di minerali critici necessari per la sua transizione verde e contribuire a ridurre la sua dipendenza dalla Russia e anche dalla Cina. Il viaggio di von der Leyen anticipa il Vertice di luglio con la regione e segue l’adozione con l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, di una comunicazione congiunta con una nuova agenda rinnovata con la regione.
    Luiz Inácio Lula da Silva, a destra, e Ursula von der Leyen
    La leader dell’Esecutivo comunitario ha annunciato negli ultimi quattro giorni una serie di progetti e iniziative d’investimento nella regione attraverso Global Gateway, la strategia di finanziamento da 300 miliardi di euro con cui l’Unione europea aspira a dar vita a una alternativa alla Via della Seta cinese. Di questi 300 miliardi di euro, lo ha ripetuto von der Leyen in tutte e quattro le tappe del suo viaggio, circa 10 miliardi sono mobilitati per la regione dell’America Latina e dei Caraibi. Nell’idea di Bruxelles, questi 10 miliardi saranno integrati da investimenti privati ​​e dai contributi degli Stati membri dell’UE.
    Lunedì a Brasilia, von der Leyen in conferenza stampa al fianco del presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha in sostanza ricordato quanto è importante la cooperazione tra Unione europea e Brasile per affrontare la sfida del cambiamento climatico. Bruxelles sostiene finanziariamente il Fondo amazzonico e l’obiettivo di porre fine alla deforestazione entro il 2030. Ma von der Leyen ha ricordato anche che “il Brasile è anche una superpotenza nelle energie rinnovabili, producendo l’87 per cento della sua elettricità da fonti rinnovabili”, ha osservato, e ha annunciato il lancio di un nuovo progetto faro di Global Gateway sull’idrogeno. “Con questo, l’Europa investirà 2 miliardi di euro per sostenere la produzione brasiliana di idrogeno verde e per promuovere l’efficienza energetica nel vostro settore”, ha affermato. I due leader hanno discusso inoltre di commercio e investimenti, sottolineando l’ambizione di concludere l’accordo Ue-Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) “il prima possibile, al più tardi entro la fine dell’anno”. Von der Leyen lo ha descritto come “più di un accordo commerciale”, affermando che si trattava di un impegno a lungo termine e di una piattaforma di dialogo.
    Ma una delle principali ragioni del viaggio di von der Leyen era quello di mettere le basi per una cooperazione commerciale rafforzata sulle materie prime critiche che sono indispensabili per la doppia transizione verde e digitale. L’Ue stima che grazie agli accordi commerciali già in essere, gli scambi bilaterali di beni sono aumentati del 40 per cento dal 2018 al 2022, con un totale di scambi bilaterali di beni e servizi pari a 369 miliardi di euro nel 2022. Il rafforzamento dei partenariati commerciali con la regione è la chiave per non perdere la corsa all’approvvigionamento di materie prime critiche per la transizione. Bruxelles sta lavorando per rafforzare partnership commerciali strategiche con quei Paesi che possono aiutare l’Unione nella corsa alle materie prime: il Cile, ad esempio, è il secondo produttore al mondo di litio, che viene usato per la produzione delle batterie.
    Il presidente argentino Alberto Ángel Fernández, a destra, e Ursula von der Leyen
    Martedì von der Leyen ha siglato a Buenos Aires un Memorandum d’intesa sulle materie prime critiche tra Unione europea e Argentina insieme al presidente, Alberto Fernandez, costruito su cinque aree di cooperazione strategica. Per von der Leyen “si tratta di un’iniziativa davvero vincente. È un grande passo avanti per le ambizioni climatiche dell’UE ed è vantaggioso per l’Argentina in quanto attore globale chiave nella transizione verso l’energia pulita.
    Una partnership basata su impegni condivisi per un futuro più verde, digitale e resiliente per tutti”. Stima che solo la domanda europea di litio entro il 2030 sarà 12 volte maggiore di quanto non sia oggi. “Quindi il protocollo d’intesa che abbiamo appena firmato, ma anche l’accordo UE-Mercosur, renderanno possibili flussi di investimenti cruciali”, ha concluso.
    Il presidente cileno, Gabriel Boric, e la presidente Ursula von der Leyen
    Con il presidente cileno, Gabriel Boric, von der Leyen mercoledì ha poi annunciato di aver concordato di lavorare a un partenariato strategico sulle materie prime sostenibili e sull’intera catena del valore. “Promuoveremo l’approvvigionamento e l’estrazione mineraria rispettosi dell’ambiente e dei mezzi di sussistenza delle vostre comunità. E lavoreremo con voi per sviluppare l’intera catena del valore qui in Cile”, ha spiegato. Non solo materie prime critiche. Ue e Cile hanno lanciato anche il primo Fondo per l’idrogeno rinnovabile, che sarà dotato di un budget iniziale di 225 milioni di euro, per sostenere lo sviluppo di questa industria strategica in Cile.
    Ursula von der Leyen, a sinistra, e Andrés Manuel López Obrador
    A chiudere il cerchio, ieri, l’incontro a Città del Messico con il presidente messicano, Andrés Manuel López Obrador, con il quale però non c’è stata ieri alcuna conferenza stampa congiunta. Al termine dell’incontro solo una dichiarazione comune in cui i due leader hanno ricordato l’importanza di sviluppare un partenariato politico, commerciale e di cooperazione più approfondito e di concludere entro la fine dell’anno un accordo globale aggiornato. Entrambi i presidenti hanno identificato il Messico come un hub energetico, industriale e logistico strategico per rifornire i mercati nordamericani ed europei, con un alto potenziale nell’energia dell’idrogeno verde, e hanno convenuto che gli investimenti europei saranno importanti per contribuire al suo sviluppo.

    Brasile, Argentina, poi Cile e Messico. Un viaggio in quattro tappe della presidente della Commissione europea per preparare il vertice Ue-Celac (Comunità di America Latina e dei Caraibi) che sarà ospitato nella capitale d’Europa il 17 e 18 luglio

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    L’Europarlamento chiede di avviare l’iter di adesione dell’Ucraina alla NATO dopo la fine della guerra

    Bruxelles – Spianare la strada all’ingresso dell’Ucraina nella NATO subito dopo la fine della guerra. E’ quanto chiede l’Europarlamento in una risoluzione non legislativa adottata oggi in plenaria a Strasburgo con 425 voti a favore, 38 contrari e 42 astensioni, precisando che il processo di adesione dovrebbe essere avviato dopo la fine della guerra e “ultimato quanto prima”.

    Solo di recente, al secondo vertice della Comunità politica europea che si è tenuto a inizio mese in Moldavia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è tornato a battere sul punto con gli alleati europei e non. “L’Ucraina è pronta per entrare nella Nato” e alla riunione dei capi di stato e di governo della NATO che si terrà l’11 e 12 luglio a Vilnius “è necessario ci sia un chiaro invito per l’Ucraina ad aderire all’Alleanza proprio come sono necessarie garanzie di sicurezza sul cammino verso l’adesione in futuro. Ed è necessaria una chiara decisione positiva sull’adesione dell’Ucraina alla Ue”, ha detto ai 45 capi di Stato e governo del blocco europeo.
    Nella risoluzione adottata l’Eurocamera ribadisce il proprio sostegno alla decisione del Consiglio europeo, adottata lo scorso anno, di concedere all’Ucraina lo status di candidato all’adesione e incalza anche ad avviare dopo la fine della guerra anche l’iter di adesione all’Alleanza Atlantica di cui fanno oggi parte 31 Paesi.
    Gli eurodeputati riuniti a Strasburgo hanno discusso martedì mattina con la Commissione Ue le conseguenze ambientali e umanitarie dell’esplosione che nelle scorse settimane ha coinvolto la diga idroelettrica di Nova Kakhovka, situata nelle aree occupate dai russi della regione di Kherson, nel sud del Paese, che ha messo a rischio inondazioni i territori costieri di 14 località dove risiedono più di 22.000 persone, tanto da costringere le autorità locali a cominciare l’evacuazione di migliaia di residenti. Gli eurodeputati hanno condannato con fermezza la distruzione, da parte della Russia, della diga, definendola senza mezzi termini un “crimine di guerra” e chiedendo inoltre un pacchetto finanziario di misure per la ripresa dell’Ucraina, che sia incentrato sul “soccorso, la ricostruzione e la ripresa del Paese nell’immediato e a medio e lungo termine”.

    L’Aula di Strasburgo incalza con una risoluzione non legislativa adottata con 425 voti a favore, 38 contrari e 42 astensioni ad avviare il processo di adesione di Kiev alla NATO subito dopo la fine della guerra

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    Brexit, la Corte Ue respinge il ricorso dei cittadini britannici contro la perdita della cittadinanza europea

    Bruxelles – La Corta di Giustizia dell’Ue ha deciso oggi il rigetto definitivo dei ricorsi dei cittadini britannici che contestavano la perdita dei loro diritti di cittadini europei a seguito della Brexit.
    La perdita dello status di cittadini dell’Unione e, pertanto, la perdita dei diritti connessi a tale status, argomenta la Corte, è una conseguenza automatica della sola decisione sovrana adottata dal Regno Unito di recedere dall’Unione, e non già dell’accordo di recesso o della decisione del Consiglio che approva l’accordo.

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    Per la prima volta nella storia una leader del Kosovo è intervenuta alla sessione plenaria del Parlamento Europeo

    Bruxelles – Un lungo discorso appassionato, che ha toccato molti punti di contatto tra l’Unione Europea e il Paese balcanico che più sostiene l’adesione all’Ue, nonostante le recenti tensioni che mettono Pristina di fronte al rischio concreto di sanzioni internazionali. La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, è intervenuta alla sessione plenaria del Parlamento Europeo, la prima leader nella storia del giovane Stato europeo a rivolgersi agli eurodeputati nell’emiciclo a Strasburgo. “Oggi il Kosovo è libero, è indipendente, è un faro di democrazia“, ha aperto il suo discorso Osmani, prendendo parola dopo l’incoraggiamento da parte della presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola: “Conosco i suoi sforzi per la de-escalation e la stabilità nella regione”.
    La presidente del Kosovo, Vjosa Osmani, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo (14 giugno 2023)
    Un intervento iniziato con il ricordo del Premio Sakharov 1998 consegnato dal Parlamento Ue al primo presidente del Kosovo, Ibrahim Rugova (prima che il Paese dichiarasse l’indipendenza nel 2008): “Voglio ringraziarvi dell’incommensurabile e continuo contributo che questa istituzione ha dato alla nostra libertà, democrazia e indipendenza”, ha affermato Osmani, chiedendo agli eurodeputati di “rimanere saldamente al fianco” del Paese più favorevole all’Ue, con “oltre il 90 per cento della nostra popolazione esprime il desiderio intransigente di entrare a far parte di queste istituzioni“. Esattamente sei mesi fa Pristina ha fatto richiesta di diventare Paese candidato e “il nostro avanzamento verso l’adesione fungerebbe da catalizzatore per la pace e la riconciliazione in una regione in cui le forze maligne hanno storicamente e continuano a seminare divisioni”. Così come dimostrato dall’ingresso di Slovenia e Croazia nell’Ue, o da Albania, Macedonia del Nord e Montenegro nella Nato, “l’integrazione della nostra regione non è solo di primaria importanza, ma ha anche un significato strategico“. Per la presidente Osmani, “è tempo di decisioni coraggiose, non di passi a metà, il Kosovo e i Paesi democratici dei Balcani Occidentali meritano di meglio”. D’altra parte “non ci allontaneremo mai dal nostro percorso euro-atlantico”, è la promessa della leader kosovara.
    A proposito di integrazione europea, la numero uno del Kosovo si è voluta soffermare sul fatto che il Parlamento Europeo “ha lottato insieme a noi per la causa della liberalizzazione dei visti“, fino al voto decisivo dello scorso 18 aprile: “Ha dato ai giovani brillanti e ambiziosi del mio Paese la possibilità di prosperare proprio come i loro coetanei in tutta l’Unione”. Come ricordato dalla presidente dell’Eurocamera Metsola, “è stato un percorso irto di ostacoli, ma insieme possiamo essere orgogliosi che dal primo gennaio 2024 ci sarà questa libertà di movimento”. E poi, proprio come i Ventisette, il Kosovo è particolarmente vicino all’Ucraina nella sua lotta di resistenza contro l’esercito russo: “Il 24 febbraio 2022 è stato un giorno buio per l’Europa e per noi è stato un ricordo rivissuto, a cui speravamo di non assistere mai più”, ha puntualizzato la presidente Osmani. Ecco perché “siamo stati il primo Paese della nostra regione a imporre sanzioni alla Russia” e sono state portate avanti diverse iniziative a sostegno di Kiev: “Dall’addestramento degli ucraini allo sminamento, dal lavoro per sostenere i sopravvissuti alle violenze sessuali, fino a un programma dedicato per sostenere i giornalisti ucraini per continuare a raccontare la verità”.
    Tornando alla situazione interna del Paese balcanico, Osmani si è soffermata a lungo sui miglioramenti democratici nei 15 anni di indipendenza del Kosovo e soprattutto sulla spinta verso l’uguaglianza di genere. Non solo in termini astratti. Diverse donne kosovare hanno accompagnato la presidente a Strasburgo, tra cui Vasfije Krasniqi Goodman, sopravvissuta e testimone delle violenze sessuali durante la guerra in Kosovo (1998-1999), Fahrije Hoti, vedova di guerra e proprietaria della Kooperativa Krusha – “un’azienda che ha dato il via allo sviluppo economico e all’emancipazione delle donne attraverso il loro impegno attivo nella forza lavoro” – Blerta Basholli, regista che ha trasformato la storia di Hoti in un film che ha vinto premi al Sundance Festival 2021, e Hana Qerimi, co-fondatrice delle start-up Digital School e StarLabs che “stanno facendo del Kosovo un leader nella regione come hub tecnologico”. Esempi concreti di cosa sta diventando il Paese balcanico ancora non riconosciuto da tutti i membri Ue, che dà un significato al “percorso di trasformazione, crescita e crescente prosperità” e allo “Stato di diritto come fondamento di una democrazia funzionante”.
    L’ultimo punto trattato da Osmani è legato a quanto sta accadendo nel nord del Kosovo. “Siamo assolutamente determinati nei nostri sforzi per garantire che tutti gli individui, indipendentemente dalla loro posizione o influenza, siano ritenuti responsabili delle loro azioni“, è il riferimento alle violenze dell’ultimo mese nei comuni di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Ma allo stesso tempo “costruire una società sempre più diversificata rimane il nostro impegno quotidiano” e “in questo spirito di inclusione, invito tutti i serbi che vivono in Kosovo ad avvalersi dei diritti avanzati previsti dalla Costituzione, questa Repubblica è la vostra casa e noi faremo tutto ciò che è in nostro potere per assicurarci che vi sentiate protetti, inclusi, uguali e ascoltati”, ha concluso la presidente kosovara il suo intervento davanti agli eurodeputati.
    La situazione in Kosovo
    È proprio la situazione in corso nel nord del Kosovo a preoccupare particolarmente le istituzioni comunitarie e la comunità internazionale. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 truppe aggiuntive della forza militare internazionale Kfor, sono state ripetute le richieste al primo ministro kosovaro, Albin Kurti, di non aumentare la tensioni nelle regioni di confine con la Serbia e di sospendere le operazioni di polizia, per spingere sulla strada del dialogo e di nuove elezioni amministrative. Tuttavia, per la comunità internazionale queste esortazioni non sembrano aver avuto sufficiente effetto, al punto che proprio oggi (14 giugno) il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, ha confermato esplicitamente alla stampa di Bruxelles che “mentre il lavoro diplomatico continua, l’Ue ha preparato delle proposte di misure con effetto immediato“. L’esortazione è sempre quella di rispettare le “richieste contenute nella lettera” inviata dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che rimane la chiave per ritornare al tavolo del dialogo non solo con la Serbia, ma a questo punto anche con Bruxelles, Washington e Tirana (il premier albanese, Edi Rama, ha annullato una riunione con il governo kosovaro prevista per oggi, nonostante sia il primo sponsor della causa kosovara).
    Tutto è iniziato con lo scoppio dele proteste delle frange violente della minoranza serba nel nord del Kosovo lo scorso 26 maggio, a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica, trasformatesi tre giorni più tardi in violente proteste che hanno coinvolto anche i soldati Kfor (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). A far deflagrare la tensione è stata la decisione del governo di Pristina di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci, nonostante le perplessità internazionali per l’affluenza al voto tendente all’irrisorio alle elezioni dello scorso 23 aprile – attorno al 3 per cento. Secondo il governo Kurti la decisione è stata determinata dagli episodi di ostruzionismo messi in atto dagli esponenti di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo, Aleksandar Vučić. Dopo una settimana di apparente stallo, le proteste sono scoppiate nuovamente negli ultimi giorni per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra gli organizzatori delle proteste violente di fine maggio.

    Mentre Pristina rischia sanzioni internazionali per le tensioni nel nord, la presidente Vjosa Osmani si è soffermata sul percorso di adesione all’Unione, sul sostegno alla resistenza ucraina, sul rispetto dello Stato di diritto e sulle garanzie di inclusione della minoranza serba nel Paese

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    Von der Leyen in Argentina sigla il Memorandum d’intesa sulle materie prime critiche

    Bruxelles – Catene del valore integrate delle materie prime sostenibili, cooperazione per la ricerca e l’innovazione e per sfruttare i criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) e allineamento agli standard internazionali; infrastrutture per lo sviluppo dei progetti, riducendo al minimo il loro impatto ambientale e climatico; e rafforzamento delle capacità, l’istruzione e la formazione professionale e lo sviluppo delle competenze lungo le catene del valore delle materie prime sostenibili.
    Sono cinque le aree di collaborazione del Memorandum d’intesa sulle materie prime critiche tra Unione europea e Argentina siglato a Buenos Aires dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dal presidente dell’Argentina, Alberto Fernandez. L’Argentina è la seconda tappa del tour che vede impegnata la presidente della Commissione europea da lunedì a giovedì in America Latina con l’obiettivo di rafforzare le relazioni con i principali Paesi della regione. Bruxelles getta le basi per preparare il vertice Ue-Celac (Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi) che sarà ospitato nella capitale d’Europa il 17 e 18 luglio e von der Leyen dovrebbe annunciare in questi giorni una serie di progetti e iniziative d’investimento nella regione attraverso Global Gateway, la strategia di finanziamento da 300 miliardi di euro con cui l’Unione europea aspira a dar vita a una alternativa alla Via della Seta cinese.
    Di questi 300 miliardi, l’Ue ne ha riservati 10 alla regione dell’America latina e nei Caraibi, a cui pensa di poter integrare ulteriori risorse con i contributi bilaterali degli Stati membri e da investimenti del settore privato. Dopo la prima tappa di lunedì in Brasile il partenariato strategico con l’Argentina è il primo grande ‘annuncio’ fatto da von der Leyen. L’intesa mira a garantire lo sviluppo di un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime necessarie per l’energia pulita e la transizione digitale. Per von der Leyen “si tratta di un’iniziativa davvero vincente. È un grande passo avanti per le ambizioni climatiche dell’UE ed è vantaggioso per l’Argentina in quanto attore globale chiave nella transizione verso l’energia pulita. Una partnership basata su impegni condivisi per un futuro più verde, digitale e resiliente per tutti”.
    In conferenza stampa al fianco del presidente argentino, Alberto Fernández, von der Leyen ha insistito sul ruolo del litio nella transizione. “È praticamente ovunque: è nelle batterie; è nelle turbine eoliche. E mentre il mondo intero si sta imbarcando in queste tecnologie pulite per combattere il cambiamento climatico, la domanda di litio crescerà in modo significativo, non solo in America Latina ma in tutto il mondo. E questa è l’opportunità per l’Argentina di sviluppare questo settore con le catene del valore”, ha ricordato von der Leyen, precisando che la domanda europea di litio entro il 2030 sarà 12 volte maggiore di quanto non sia oggi. “Quindi il protocollo d’intesa che abbiamo appena firmato, ma anche l’accordo UE-Mercosur, renderanno possibili flussi di investimenti cruciali”, ha concluso.

    Buenos Aires è la seconda tappa del tour che vede impegnata la presidente della Commissione da lunedì a giovedì in America Latina con l’obiettivo di rafforzare le relazioni con i principali Paesi della regione. Bruxelles getta le basi per preparare il vertice Ue-Celac che sarà ospitato nella capitale d’Europa il 17 e 18 luglio

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    Il generale Barbano nuovo capo missione per EULEX Kosovo

    Bruxelles – Il Consiglio dell’Unione europea ha nominato oggi un nuovo capo missione (HoM) per la missione dell’Ue sullo stato di diritto in Kosovo (EULEX Kosovo). L’italiano Giovanni Pietro Barbano sostituirà Lars-Gunnar Wigemark come HoM. Barbano è un Maggiore Generale dell’Arma dei Carabinieri ed è l’attuale Direttore del Centro di Eccellenza per le Unità di Polizia di Stabilità a Vicenza. Il suo mandato come capo di EULEX Kosovo durerà dal 26 giugno 2023 al 14 giugno 2025.
    La decisione di nominare Barbano è stata presa dagli Stati in seno al Comitato politico e di sicurezza (CPS).
    Inoltre, il Consiglio ha recentemente prorogato il mandato della missione fino al 14 giugno 2025 e, in linea con l’ultima revisione strategica di EULEX Kosovo, ha deciso che, oltre a continuare a svolgere i suoi compiti, la missione assisterà le autorità di contrasto del Kosovo nello sviluppo delle loro capacità di scambiare informazioni con le controparti regionali e internazionali nel campo dell’assistenza legale e della cooperazione in materia penale.
    EULEX Kosovo è stata lanciata nel 2008 come la più grande missione civile nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune dell’Unione europea. La missione generale di EULEX consiste nell’assistere le autorità kosovare nella creazione di istituzioni dello Stato di diritto sostenibili e indipendenti, con particolare attenzione ai settori della polizia, del sistema giudiziario e delle dogane e attraverso i pilastri del monitoraggio e delle operazioni.
    Nell’ambito dell’attuale mandato di EULEX, la missione svolge attività di monitoraggio e ha limitate funzioni esecutive, tra cui quella di responder di secondo livello in materia di sicurezza. EULEX continua a sostenere le Camere specializzate e la Procura specializzata in linea con la legislazione del Kosovo. La missione opera nel quadro della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

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    Cipro, l’Unione europea vuole riprendere i negoziati per la riunificazione. Christodoulides propone un emissario Ue a Nicosia

    Bruxelles – “Finché Cipro sarà divisa, l’Unione europea non sarà mai completa”. Con queste parole la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha accolto oggi (13 giugno) il premier cipriota, Nikos Christodoulides, alla plenaria di Strasburgo. A quasi mezzo secolo dall’invasione turca del nord dell’isola, nel luglio del 1974, il presidente eletto lo scorso febbraio ha scelto la sua priorità: lasciare in eredità alle generazioni future “una Cipro riunificata”.
    Per ridare vigore ai negoziati con la Repubblica turca di Cipro del Nord, arenatisi l’ultima volta nel 2021, Christodoulides ha chiesto a gran voce che Bruxelles giochi un ruolo da protagonista, incaricando un rappresentante speciale dell’Ue a Nicosia che supporti il processo guidato dalle Nazioni Unite. “Credo, con l’impegno di tutte le parti e dell’Ue, di poter essere il presidente che risolverà il problema di Cipro”, ha dichiarato con convinzione il presidente nell’aula di Strasburgo. Christodoulides ha incassato il sostegno di tutti i gruppi politici e della presidente Metsola, secondo cui “il problema di Cipro è una questione europea, e credo che un maggiore coinvolgimento dell’Ue in tutte le fasi del negoziato non possa che essere utile”.
    Nikos Christodoulides, Presidente di Cipro, al Parlamento europeo
    In linea con la risoluzione 2561 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, del 29 gennaio 2021, che individuava una soluzione basata su una federazione composta da due comunità e due zone e caratterizzata da uguaglianza politica, Metsola ha indicato “l’unica via percorribile”: un unico Stato europeo con “zone federate”. Il problema però, al di là dello sforzo diplomatico che potrà mettere in campo Bruxelles, sta dall’altra parte del muro che divide Nicosia, l’ultima capitale europea a portare ancora una ferita aperta nel proprio territorio. Ha un nome e un cognome: Recep Tayyip Erdoğan, fresco di riconferma alla guida della Turchia, che proprio ieri si è recato in visita nella parte settentrionale dell’isola, internazionalmente riconosciuta solo da Ankara, per incontrare il suo fedele omologo Ersin Tatar.
    Perché Ankara, da cui dipende l’economia e in definitiva la sopravvivenza stessa del governo turco-cipriota, negli anni ha intensificato la propria influenza sulla repubblica secessionista, sostenendo alle ultime elezioni presidenziali la candidatura di Tatar, favorevole alla divisione permanente dell’isola. Nell’aprile del 2021 infatti, data dell’ultimo tentativo Onu di riaprire il negoziato, il governo di Tatar ha avanzato per la prima volta la proposta di accettare lo status quo e di riconoscere due stati sovrani a Cipro. Il dialogo tra Christodoulides e Tatar si preannuncia dunque molto più complesso di quanto non lo fosse ad esempio tra i loro predecessori, il greco-cipriota Nicos Anastasiades e il turco-cipriota Mustafa Akıncı, che nel 2017 traghettarono le due parti vicinissimo all’accordo. Accordo che, nonostante il loro sincero rapporto di amicizia e il fatto che lo stesso Akıncı fosse un sostenitore della riunificazione, fallì a causa di rivendicazioni e accuse reciproche sedimentate in quasi cinquant’anni di discriminazioni e scontri etnici.
    La partenza è tutta in salita, ma Christodoulides e l’Unione europea sembrano convinti di potere contare su due carte per riaprire la partita. La prima è proprio la rielezione di Erdogan, ormai ventennale interlocutore di Bruxelles che, se stimolato nelle corde giuste, ha dimostrato più volte la disponibilità a sedersi al tavolo delle trattative. La seconda è il logoramento della popolazione turco-cipriota, provata da mezzo secolo di isolamento pressoché totale dal resto del mondo, che storicamente non si è mai opposta apertamente alla riunificazione. Paradossalmente, è sempre stato il sud dell’isola a storcere il naso: nel referendum del 2004 per la creazione di uno Stato federale, il 75 per cento dei greco-ciprioti si oppose, mentre il 65 per cento della parte turca votò a favore.
    Dall’Eurocamera, Christodoulides ha voluto mandare un messaggio proprio agli abitanti della Repubblica di Cipro del Nord, “che sono cittadini della Repubblica di Cipro e dell’Unione europea: il vostro futuro e quello di tutti gli abitanti di Cipro passa attraverso la nostra identità comune di stato membro dell’Ue”.

    A quasi mezzo secolo dall’invasione turca del Nord dell’isola, dall’Eurocamera di Strasburgo il leader cipriota si candida come “il presidente che risolverà il problema”. Per Metsola l’unica via percorribile è “un unico Stato europeo con zone federate”, in linea con le risoluzioni Onu