More stories

  • in

    Da Macron a Merz, fino a Orbán. La vicinanza dei leader europei a Netanyahu e la sconfitta del diritto internazionale

    Bruxelles – Mercoledì 2 aprile il premier israeliano Benjamin Netanyahu metterà piede per la prima volta sul territorio europeo da quando è oggetto di un mandato d’arresto della Corte penale internazionale (Icc). Sarà ospite di Viktor Orbán, che come altre volte rompe tabù che a ben vedere stanno stretti anche ai suoi omologhi europei. Dal futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz al presidente francese Emmanuel Macron e al ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, sono già diversi i Paesi Ue che hanno messo in dubbio – se non proprio respinto – la possibilità di perseguire Netanyahu per crimini di guerra e contro l’umanità commessi a Gaza.Nel weekend, ci ha pensato il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis a varcare la prima linea rossa, incontrando Netanyahu a Gerusalemme, proprio mentre – nel primo giorno dell’Eid al-Fitr, la festività che segna la fine del Ramadan – i raid israeliani su Gaza avrebbero ucciso almeno 64 palestinesi. I due hanno “ribadito la relazione strategica tra Grecia e Israele” e discusso “l’ulteriore approfondimento della cooperazione bilaterale, in particolare nel campo della difesa”.Kyriakos Mitsotakis e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme, 30/3/25 [Credits: Account X Kyriakos Mitsotakis]Dal 21 novembre scorso, quando il Tribunale de L’Aia ha emesso il mandato di cattura per Netanyahu e l’ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, nessun leader europeo aveva ancora incontrato di persona il capo del governo israeliano. Ma in realtà, nessuno dei 27 ha veramente tagliato i ponti con l’uomo accusato di crimini di guerra, come invece è stato fatto con il presidente russo Vladimir Putin, su cui pende lo stesso mandato d’arresto internazionale. Ieri sera, Macron ha diffuso un resoconto di una telefonata con Netanyahu, in cui ha ribadito che “la liberazione di tutti gli ostaggi e la sicurezza di Israele sono una priorità per la Francia” e ha chiesto “al primo ministro israeliano di porre fine agli attacchi su Gaza e di tornare al cessate il fuoco, che Hamas deve accettare”.Parigi era stata tra le prime capitali Ue a mettere in discussione la legittimità del mandato d’arresto, chiamando in causa un articolo dello Statuto di Roma – fondativo della Corte – che garantirebbe un’immunità agli Stati che non fanno parte dell’Icc. Il ministero degli Esteri francese è stato seguito a ruota da quello italiano, con Tajani che ha sostenuto che il mandato d’arresto non può essere applicato almeno fino alla fine dell’incarico di Netanyahu e ribadito poi in differenti occasioni che l’Italia non arresterebbe il premier israeliano. Roma la sua picconata al diritto internazionale l’ha già data, scegliendo di riaccompagnare in Libia con un volo di Stato il torturatore e capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Najim Osama Al Masri, ricercato dal Tribunale de l’Aia per crimini di guerra, omicidio, tortura e trattamenti crudeli.Berlino aveva invece  sottolineato che la posizione tedesca non poteva che essere frutto “della storia tedesca” e della “grande responsabilità” che la Germania sente nei confronti di Israele dopo lo sterminio degli ebrei perpetrato dal regime nazista. Il cancelliere eletto Friedrich Merz ha poi sfidato apertamente la Corte, definendo “completamente assurda” l’idea che un primo ministro israeliano non possa visitare la Germania e invitando espressamente Netanyahu nella Repubblica Federale.Viktor Orban e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme nel febbraio 2019 (Photo by Ariel Schalit / POOL / AFP)Berlino, Roma e Parigi, così come tutti i 27 Paesi Ue, fanno parte della Corte Penale Internazionale e sono quindi tenuti ad applicare le sue decisioni. Alla fine, ad ospitare per primo Netanyahu in questa inquietante gara a violare il diritto internazionale sarà Orbán, che dall’inizio aveva definito il mandato d’arresto “vergognoso” e annunciato che non l’avrebbe eseguito. Anzi, dopo la decisione americana di imporre sanzioni contro l’Icc, Orbán ha annunciato l’intenzione di “rivedere l’impegno” dell’Ungheria nei confronti di un tribunale “degradato a strumento politico di parte”.I due dovrebbero discutere del piano per il futuro di Gaza. Netanyahu – nonostante il supporto della comunità internazionale per il piano elaborato dai Paesi arabi – è convinto di poter allargare il consenso sulla controversa e fumosa proposta di Trump, che prevede la “migrazione volontaria” della popolazione locale e la trasformazione della Striscia di Gaza in una lussuosa riviera aperta al turismo internazionale.Il sostegno di Orbán al piano di Trump e Netanyahu va contro la posizione presa dall’Unione europea, che appoggia invece l’iniziativa araba e si oppone fermamente a qualsiasi tentativo di emigrazione forzata della popolazione gazawi. A ben vedere, il viaggio di Netanyahu in Ungheria va letto anche come un’ennesima provocazione del premier magiaro nei confronti di Bruxelles, che a parole continua a sostenere la Corte Penale. “Come affermato nelle Conclusioni del Consiglio del 2023, il Consiglio invita tutti gli Stati a garantire la piena cooperazione con la Corte, anche mediante la rapida esecuzione dei mandati di arresto pendenti, e a stipulare accordi volontari”, ha dichiarato ancora a proposito della vicenda un portavoce della Commissione europea.

  • in

    Dazi, l’Ue non cede: “Preparati a qualunque cosa possa accadere”

    Bruxelles – Nessun ripensamento, nessun cedimento. Sulla questione dazi l’Ue tira dritto, e non ha paura di ingaggiare una guerra commerciale aperta. Perché, spiega il portavoce della Commissione europea responsabile per le questioni di commercio, Olof Gill, le minacce del presidente statunitense Donald Trump di imporre sanzioni ulteriori all’Europa in caso di mancata sospensione dei controdazi a dodici stelle non spaventa: “Siamo preparati per qualunque cosa possa accadere, e lo siamo da oltre un anno“.L’Unione europea offre la possibilità di una soluzione condivisa, a patto che i passi indietro si facciano. “Esortiamo gli Stati Uniti a revocare immediatamente i dazi decretati e avviare negoziati per evitare nuove tariffe in futuro“, l’invito di Gill a nome della Commissione europea per l’amministrazione Trump. La linea del team von der Leyen non cambia: si ritiene che la guerra dei dazi “sia una soluzione in cui perdono tutti”, viceversa “noi vogliamo focalizzare l’attenzione sulle formule mutualmente vantaggiose”, vale a dire soluzioni negoziate.Da Bruxelles arrivano anche le critiche per Trump e la sua narrativa considerata prossima alle fake news. “L’Ue non è parte del problema” quando si parla di acciaio, continua il portavoce. “Sostenere che l’Ue è parte del problema è fuorviante“, in quanto “il problema è la sovra-capacità globale, e l’Unione europea può lavorare con gli Stati Uniti per trovare una soluzione”. In questo dibattito tramutatosi in confronto muscolare l’Ue, conclude Gill, “siamo impegnati con il settore siderurgico” europeo.Ad ogni modo, l’Ue non intende retrocedere: “Siamo preparate alle potenziali conseguenze delle decisioni deplorevoli adottate dagli Stati Uniti”. La Commissione è dunque pronta allo scontro commerciale con l’amministrazione Trump.

  • in

    Droni, pezzi di ricambio e sanzioni: l’Ue presenta il piano d’azione per la sicurezza dei cavi sottomarini

    Bruxelles – In risposta al preoccupante aumento di incidenti sospetti sui fondali del mar Baltico, la Commissione europea ha presentato oggi a Helsinki, in Finlandia, un piano d’azione per la sicurezza e la resilienza dei cavi sottomarini. Bruxelles si muoverà in diverse direzioni: finanzierà il posizionamento di nuovi cavi, migliorerà la sorveglianza dei mari europei con droni, sensori e immagini satellitari, strutturerà una riserva per riparare tempestivamente eventuali danneggiamenti. La vicepresidente esecutiva Henna Virkkunen promette inoltre misure di deterrenza: “Chiunque sia ritenuto responsabile di sabotaggio dovrebbe essere punito di conseguenza, anche con sanzioni”.L’Unione europea è sull’attenti: “Quasi tutto può essere usato come arma contro di noi“, ha ammesso Virkkunen in conferenza stampa. Dalla strumentalizzazione dei migranti agli attacchi informatici, fino al danneggiamento delle infrastrutture critiche dei Paesi membri. Come i cavi sottomarini di comunicazione, che trasportano il 99 per cento del traffico internet intercontinentale, e i cavi elettrici, che facilitano l’integrazione dei mercati dell’energia elettrica dei 27 Paesi Ue, rafforzano la loro sicurezza di approvvigionamento e forniscono energia rinnovabile offshore al continente.Dopo una serie di incidenti misteriosi che in pochi mesi hanno coinvolto Germania, Finlandia, Lituania, Svezia e Lettonia, l’Ue accorre in aiuto. Ma, sottolinea la Commissione, il piano non è specifico per il Mar Baltico, vale per tutti i mari d’Europa. Schematicamente, Bruxelles interverrà in quattro fasi: prevenzione, rilevamento, risposta e recupero, deterrenza. Innanzitutto, l’idea è intensificare i requisiti di sicurezza e le valutazioni dei rischi, aumentando contemporaneamente i finanziamenti per posare cavi nuovi più “intelligenti”. Nei prossimi anni “spenderemo circa mezzo miliardo in cavi ottici” – 540 milioni di euro – precisano fonti vicine al dossier. Per investire in nuove tecnologie intorno ai cavi, l’Ue svilupperà di una roadmap insieme agli Stati membri. Sono previsti poi “fino a 30 milioni” di euro per gli stress test.EVP Henna Virkkunen and PM Petteri Orpo press point at the Prime Ministers´s residenceFondamentale il rilevamento delle minacce. E qui, il piano consiste nell’istituire un Meccanismo di Sorveglianza Integrata per ogni mare. Su base volontaria, con un approccio “civile e militare”, in grado di condividere le informazioni e le immagini satellitari in tempo reale. Ma non solo: l’Ue vuole installare una rete di sensori sottomarini nei suoi mari e – come spiegato dal commissario alla Difesa, Andrius Kubilius, utilizzare droni a doppio uso (civile e militare) “sia sott’acqua che sulla superficie del mare e nei cieli“.Uno dei problemi emersi nei recenti episodi di presunti sabotaggi è che spesso la gestione delle infrastrutture marine – di competenza dei Paesi membri – è delegata ad operatori privati. Ecco perché “è estremamente importante stabilire una buona partnership pubblico-privato”, ha sottolineato Virkkunen.Quando si verificano gli incidenti, anche a centinaia di chilometri dalla costa più vicina, bisogna essere in grado di riparare i danni rapidamente. Qui il piano propone di istituire una riserva Ue di navi posacavi multiuso e di fornire maggiori tecnologie e capacità alle imbarcazioni. La riserva dovrà garantire inoltre lo stoccaggio e la disponibilità di pezzi di ricambio. In questa fase, così come nelle precedenti, l’Ue ha sottolineato l’importanza della cooperazione con l’Alleanza Atlantica.C’è poi il nodo della deterrenza, di competenza del Servizio europeo di Azione esterna (Eeas) e dell’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas. Bruxelles ha preso di mira la flotta ombra russa, ritenuta responsabile di alcuni di questi sabotaggi – oltre che dell’elusione delle sanzioni al Cremlino -: sono già 79 le imbarcazioni oggetto di misure restrittive e lunedì 24 febbraio, in occasione dell’adozione formale del sedicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, alla lista ne saranno aggiunte altre 73. Ma non basta: l’imperativo è “aumentare i costi per i responsabili”, spiegano dal Seae. Virkkunen ha posto un problema: c’è bisogno di “chiarire il diritto del mare, assicurarsi che non ci siano scappatoie e che la libertà di navigazione non venga usata contro di noi”.La Commissione metterà insieme i suoi esperti legali per “capire come sfruttare al meglio” il quadro giuridico internazionale già esistente e “esaminare quali sono le possibilità di intraprendere azioni concrete”. Tutto questo, apparentemente, senza ricorrere a nuovi fondi. “Non ci sono ulteriori stanziamenti di bilancio, ma un riorientamento delle risorse in azioni più specifiche”, chiariscono fonti europee.

  • in

    L’Ue attende Trump sui dazi: “Finora solo dichiarazioni, risponderemo a notifiche ufficiali”

    Bruxelles – L’Unione europea attende gli Stati Uniti e il suo presidente, Donald Trump. Sui dazi minacciati contro beni Ue, l’esecutivo comunitario sceglie la linea del silenzio. “Non risponderemo ad annunci generici privi di dettagli o chiarimenti scritti“, spiega il comunicato ufficiale diramato a Bruxelles, dove si fa presente che “in questa fase non abbiamo ricevuto alcuna notifica ufficiale in merito all’imposizione di tariffe aggiuntive sui beni dell’Ue“, e che questo fa dunque fede. Si risponderà se e quando arriverà il momento, in sostanza. Lo spiega chiaramente Olof Gill, portavoce dell’esecutivo comunitario responsabile per il Commercio: “Stiamo ancora parlando di minacce, non c’è niente di concreto, nessun dazio è stato ancora imposto”. Per questa ragione la linea dell’esecutivo comunitario è di evitare di concentrarsi su un tema ammantato da troppi punti interrogativi. Certamente, riconosce Gill, eventuali tariffe “metterebbero in discussione relazioni tra partner” di lungo corso. Fermo restando, aggiunge, che con dazi ai prodotti Ue “gli Stati Uniti tasserebbero i propri cittadini, aumentando i costi per le imprese e alimentando l’inflazione”.Olof Gill, portavoce della Commissione europea responsabile per questioni di commercio [Bruxelles, 10 febbraio 2025]In ogni caso, ribadisce la Commissione europea, “reagiremo per proteggere gli interessi delle aziende, dei lavoratori e dei consumatori europei da misure ingiustificate”. In tal senso il team von der Leyen sottolinea che alla luce degli annunci privi di documenti di accompagnamento e così come raccontati tramite dichiarazioni pubbliche, “l’Ue non vede alcuna giustificazione per l’imposizione di tariffe sulle sue esportazioni“, anche perché la bilancia commerciale non è così sbilanciata come sostiene la Casa Bianca.Secondo la Commissione europea l’Ue ha un surplus commerciale di 154 miliardi di euro in beni con gli Stati Uniti, mentre gli Stati Uniti mantengono un surplus di 104 miliardi di euro in servizi con l’Ue, con un conseguente surplus commerciale complessivo dell’Ue del tre percento su un flusso commerciale totale di 1,5 trilioni di euro. Nel 2023, gli Usa erano il principale partner per le esportazioni di beni dell’Ue e il secondo partner per le importazioni di beni dell’Ue.

  • in

    “Gaza parte essenziale del futuro stato palestinese”. L’Ue, alla fine, risponde a Trump

    Bruxelles – “Gaza è una parte essenziale di un futuro stato palestinese“. Alla fine la Commissione europea si esprime pubblicamente. E’ Anouar El Anouni, portavoce della Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, a chiarire la linea e rispondere alle provocazioni del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, deciso a calpestare decenni di faticosi processi di una pace in Medio Oriente che l’Ue vuole. “L’Ue sostiene pienamente la soluzione dei due stati, che riteniamo sia l’unico modo per raggiungere una pace sostenibile sia per gli israeliani che per i palestinesi”, aggiunge il portavoce di Kaja Kallas.La risposta però è tardiva. La Commissione europea impiega qualcosa come 36 ore per commentare le uscite di Trump. Alle parole riecheggiate in Europa nella mattina di mercoledì, 5 febbraio, la prima replica ufficiale e pubblica è affidata a un portavoce poco dopo le 12 del giorno dopo, giovedì 6 febbraio. Una ‘calma’ che offre la riprova dell’incapacità ad agire sui grandi temi e tradendo una volta di più le aspirazioni geopolitiche morte e sepolte comunque da anni.Anouar El Anouni, portavoce dell’Alta rappresentante Ue [Bruxelles, 6 febbraio 2025]Nel frenetico attivismo delle alte sfere Ue, sempre pronte a commentare qualunque cosa e sempre smaniose di apparire, comparire e presenziare, sui mezzi d’informazione e ancor più sui social, si nota l’assenza di commenti da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, come dell’Alta rappresentante Kaja Kallas, incapaci anche di esprimersi sulla volontà dichiarata di Trump di spostare la popolazione di Gaza.La questione è grossa. In Parlamento europeo non mancano malumori tra le file dei gruppi che hanno stretto alleanza con il Ppe. Si vede in von der Leyen e nella sua Commissione “assenza di leadership”. Così riferiscono fonti parlamentari. Prima della ‘questione Gaza’ si imputava all’esecutivo comunitario la mancata reazione all’imperversare di Elon Musk e le sue ingerenze nelle questioni dell’Unione europea tramite il suo social X. Adesso si aggiunge una reazione tardiva sulla questione arabo-israeliana, con la Commissione che, parole del portavoce El Anouni, “prende nota delle dichiarazioni del presidente Trump”. Non proprio una figura delle migliori per chi vorrebbe un ruolo di peso nel mondo e una politica estera europea.

  • in

    L’Ue finanzierà con 170 milioni di euro il controllo delle frontiere (e i respingimenti) con Russia e Bielorussia

    Bruxelles – La Commissione europea in soccorso dei Paesi baltici, della Finlandia e della Polonia, alle prese con un aumento degli ingressi irregolari di persone migranti da Russia e Bielorussia. Bruxelles mette a disposizione 170 milioni di euro per far fronte alla “natura grave e persistente” delle minacce ibride da Mosca e Minsk, colpevoli di un “inaccettabile armamento della migrazione”.Nella comunicazione adottata oggi (11 dicembre) dalla Commissione europea, si afferma che “per garantire la sicurezza e l’integrità territoriale in questo contesto eccezionale, gli Stati membri confinanti con la Russia e la Bielorussia devono essere in grado di agire con decisione“. L’Ue ha già messo a terre diverse misure per contrastare la strumentalizzazione dei migranti da parte della Bielorussia in Lettonia, Lituania e Polonia nel 2021 e da parte della Russia al confine con la Finlandia. In termini finanziari, operativi e diplomatici. Ora, per migliorare ulteriormente la sorveglianza delle frontiere, Bruxelles mette a disposizione 170 milioni per aggiornare le apparecchiature di sorveglianza elettronica, migliorare le reti di telecomunicazione, distribuire apparecchiature mobili di rilevamento e contrastare le intrusioni dei droni.Fondi che verranno distribuiti nei vari Paesi coinvolti: 19,4 milioni all’Estonia, 50 milioni alla Finlandia, 17 milioni alla Lettonia, 15,4 milioni alla Lituania, 52 milioni alla Polonia e 16,4 milioni alla Norvegia. “I Paesi confinanti con la Russia e la Bielorussia, come la Finlandia con i suoi 1.340 chilometri di confine con la Russia, stanno affrontando la pesante sfida di garantire la sicurezza dell’Unione e l’integrità territoriale degli Stati membri”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.Secondo i dati diffusi da Bruxelles, finora nel 2024 gli arrivi irregolari alla frontiera tra l’Ue e la Bielorussia – in particolare alla frontiera polacco-bielorussa – sono aumentati del 66 per cento rispetto al 2023. E nove persone migranti su dieci attraversano illegalmente il confine polacco-bielorusso possiede un visto russo da studente o da turista. “Non si deve mai permettere agli autocrati di usare i nostri valori europei contro di noi”, ha affermato von der Leyen. Ma la questione è complessa, perché se gli Stati membri hanno l’obbligo di proteggere le frontiere esterne dell’Ue, allo stesso tempo, devono rispettare i diritti fondamentali delle persone e il principio di non respingimento.Henna Virkkunen, Vicepresidente esecutivo Ue per la sovranità tecnica, la sicurezza e la democraziaGià a metà ottobre, il primo ministro polacco Donald Tusk ha annunciato la sospensione del diritto di asilo per far fronte al tentativo di destabilizzazione ibrida al confine. Oggi Bruxelles ha delineato le condizioni per l’adozione di misure “che possono comportare gravi interferenze con i diritti fondamentali, come il diritto di asilo e le relative garanzie”. In sostanza per la Commissione devono essere “proporzionate, limitate allo stretto necessario in casi chiaramente definiti e temporanee”.La vicepresidente esecutiva della Commissione europea con delega alla Sovranità tecnologica e alla sicurezza, Henna Virkkunen, ha affermato che “i diritti dell’uomo devono essere sempre rispettati quando vengono introdotte misure eccezionali, ma al tempo stesso sappiamo che la Russia e la Bielorussia stanno organizzando flussi di migranti verso le nostre frontiere perché stanno cercando di destabilizzare le nostre società” ed “è una cosa che non possiamo accettare”.In sostanza, per Virkkunen “occorrono delle misure eccezionali a carattere temporaneo negli Stati membri”, e pace se queste potrebbero ledere i diritti fondamentali delle persone migranti che Mosca e Minsk spingono al confine europeo. Le vere vittime rischiano di essere loro. Solo nella seconda metà dello scorso anno, il governo polacco – al tempo presieduto dall’ultra conservatore Mateusz Morawiecki, ha respinto più di 6 mila persone. In un rapporto pubblicato ieri (10 dicembre) da Human Rights Watch, l’ong ha accusato le forze dell’ordine polacche di “respingimenti illegali e a volte violenti” di persone che “rischiano di subire gravi abusi da parte dei funzionari bielorussi o di rimanere intrappolati in condizioni difficili” nel Paese fantoccio di Mosca.

  • in

    L’Ue al lavoro per rimpatriare i rifugiati siriani, ma le ong avvertono: “Rischiano persecuzioni, la Siria non è sicura”

    Bruxelles – Creare le condizioni per il “rimpatrio sicuro, volontario e dignitoso” dei rifugiati siriani. Una strada che i governi europei sono sempre più decisi a percorrere, ora più che mai, in vista di un’eventuale ondata di arrivi di profughi siriani che scappano dal sud del Libano dilaniato dalle bombe israeliane. Il problema però – come denunciano le organizzazioni che vigilano sui diritti umani – è che la situazione a Damasco non è cambiata e i siriani che rientrano rischiano violenze e persecuzioni da parte del regime di Bashar al-Assad. O dei gruppi armati che controllano parte del territorio.L’idea di rivedere la Strategia Ue sulla Siria, relativa al 2017, circola da tempo a Bruxelles. Secondo le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), i Paesi europei ospitano oltre un milione di richiedenti asilo siriani, di cui il 59 per cento solo in Germania. E il tema del rimpatrio dei rifugiati siriani “è reso ancora più urgente dell’evoluzione delle ostilità nel Medio Oriente e nel Libano”, ammettono fonti diplomatiche. Perché sempre secondo l’Unhcr, il Paese dei Cedri ospiterebbe più di un milione e mezzo di profughi dalla Siria.Già al Consiglio europeo dello scorso aprile, i leader avevano messo nero su bianco la “necessità” di mettere in moto i rimpatri “in linea con le condizioni definite dall’Unhcr“, invitando la Commissione europea a “esaminare e rafforzare l’efficacia dell’assistenza dell’Ue ai rifugiati siriani e agli sfollati in Siria e nella regione”. A luglio poi, otto Paesi membri – Italia, Austria, Croazia, Cipro, Cechia, Grecia, Slovacchia e Slovenia – hanno presentato durante una riunione dei ministri degli Esteri Ue un non paper (un documento informale) per chiedere di riconsiderare la Strategia sula Siria “nel mutato contesto regionale”, senza “legittimare in alcun modo il regime” di Assad e “senza compromessi su democrazia e diritti umani”.Bashar al-Assad, presidente della Siria dal 2000La Commissione europea sembra determinata a dare seguito alla richiesta di impostare un “approccio più realistico” alle relazioni con Damasco, una strategia “più attiva, orientata ai risultati e operativa”, con l’obiettivo di garantire il rientro sicuro dei profughi della guerra cominciata nel 2011: a quanto si apprende, nella giornata di ieri (30 ottobre), durante una riunione con gli ambasciatori dei Paesi membri, l’esecutivo Ue ha presentato un nuovo documento informale per tastare le posizioni dei 27 sul tema. Il non paper di Bruxelles rifletterebbe “in larga misura” le proposte lanciate a luglio dai governi italiano e austriaco, in particolare l’ipotesi di un Inviato speciale Ue nel Paese, il sostegno al settore privato, la cooperazione con l’Unhcr sul campo per favorire i rimpatri volontari e per sostenere l’emergenza attraverso progetti di ‘early recovery‘.Dallo scambio di opinioni tra i corpi diplomatici Ue, sarebbe emerso “ampio sostegno per il piano d’azione delineato – confermano fonti Ue -, sottolineando il coordinamento con l’Unhcr, ma anche la cautela nell’evitare qualsiasi percezione di normalizzazione delle relazioni con il regime di Assad”.D’altra parte però, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati fa notare che “nonostante una serie di iniziative politiche nell’arco del 2023, le condizioni all’interno della Siria non sono ancora favorevoli per facilitare i rimpatri volontari su larga scala in sicurezza e dignità”. Secondo i dati dell’Unhcr, nel 2023 sono rientrati in Siria circa 38.300 rifugiati, in calo rispetto ai quasi 51 mila che avevano scelto di rientrare nel 2022. Per ora, l’Unhcr non ha modificato la sua posizione aggiornata al marzo 2021, secondo cui la Siria non è un Paese sicuro per i rimpatri.Una donna in un campo per gli sfollati interni siriani a Raqa (Photo by Delil SOULEIMAN / AFP)Una posizione condivisa e rilanciata da diverse organizzazioni internazionali, tra cui Human Rights Watch, che in un rapporto pubblicato ieri ha sottolineato che “i siriani che fuggono dalle violenze in Libano rischiano la repressione e la persecuzione da parte del governo siriano al loro ritorno”. Secondo la Mezzaluna Rossa Araba Siriana (Sarc), tra il 24 settembre e il 22 ottobre circa 440 mila persone – più dei due terzi siriani e i restanti libanesi – sono fuggiti dal Libano in Siria. Nonostante Damasco abbia finora mantenuto “aperte le frontiere e alleggerito le procedure di immigrazione”, Human Rights Watch sostiene che “il governo siriano e i gruppi armati che controllano alcune zone della Siria continuano a impedire alle organizzazioni umanitarie e per i diritti umani di accedere pienamente e senza ostacoli a tutte le aree, compresi i siti di detenzione, ostacolando gli sforzi di documentazione e oscurando la reale portata degli abusi”.Secondo l’organizzazione per i diritti umani chi rientra in Siria, “in particolare gli uomini, rischia detenzioni arbitrarie e abusi da parte delle autorità”. Human Rights Watch ha documentato numerosi casi di detenzioni arbitrarie, torture e uccisioni di rifugiati di ritorno dal 2017. Il rapporto punta il dito contro “alcuni leader europei” che sostengono “sempre più spesso che la Siria è sicura per i rimpatri, promuovendo politiche che potrebbero revocare le protezioni per i rifugiati, nonostante le continue preoccupazioni per la sicurezza e i diritti umani”.

  • in

    Moldova al bivio, ecco il referendum che può portarla nell’Ue o lanciarla nell’orbita di Putin

    Bruxelles – La Moldova al bivio. Scegliere se restare nel limbo di un Paese sospeso tra Unione europea e interessi russi, o seguire la via che porta all’adesione al club a dodici stelle. Le elezioni di domenica (20 ottobre) non sono solo un momento per capire chi guiderà il Paese, se la presidente uscente a caccia di un nuovo mandato, Maia Sandu, dichiaratamente pro-Ue, o altri leader con diverse visioni. Si deve anche decidere se emendare la costituzione nazionale prevedendo l’accesso all’Unione europea come obiettivo. La consultazione referendaria assume nuove valenza geopolitiche alla luce del rinnovato scontro tra Russia e blocco euro-occidentale.“Sostieni la modifica della costituzione in vista dell’adesione della Repubblica di Moldavia all’Unione Europea?” è il quesito che sarà posto agli elettori. Un eventuale ‘sì’ renderà il tutto vincolante, segnando un momento storico nella vita della repubblica. Non sembra impossibile, dati i quorum previsti nel Paese. Per modificare la costituzione è necessario un risultato positivo, con la partecipazione di almeno un terzo degli elettori. Gli ultimi sondaggi disponibili, a cui da Bruxelles si guarda con grande attenzione, suggeriscono che il 69 per cento degli aventi diritto intendono partecipare al voto, e che il 63 per cento di loro intenda esprimersi per l’adesione all’Ue. Le premesse pre-voto inviano già un messaggio chiaro.Più nello specifico il preambolo della Carta nazionale sarebbe completato con due nuovi paragrafi per “riconfermare l’identità europea del popolo della Repubblica di Moldova e l’irreversibilità del percorso europeo” e per “dichiarare l’integrazione nell’Unione Europea un obiettivo strategico della Repubblica di Moldova”.L’Unione europea teme l’attività russa, in particolare i tentativi di influenzare il voto attraverso interferenze, contro-informazione e anche corruzione. Un’operazione mirata sarebbe stata messa in piedi appositamente per creare reti di supporto alla campagna del ‘no’ in cambio di denaro, con oltre 15 milioni di dollari inviati dalla Russia a più di 130mila cittadini moldavi per votare contro la prospettiva a dodici stelle. L’operazione sarebbe stata guidata da Ilan Shor, imprenditore in esilio in Russia. “La Russia ha aumentato la propria attività per intervenire direttamente nel voto”, denuncia Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell: “Spetta al popolo moldavo decidere dove andare, se verso di noi o se abbracciare la Russia che vuole imporre il suo imperialismo per soggiogare il Paese”.Ufficialmente l’esecutivo comunitario non entra nel merito del segreto delle urne, ma offre indicazioni di voto chiaro, dalle non scontate conseguenze. Perché la Moldova è un Paese i cui confini non sono chiari. La Transnistria ha auto-proclamato la propria indipendenza dalla Moldova nel 1990. La comunità internazionale non riconosce quello che è un territorio indipendente sotto tutela e controllo russi. Qui Mosca schiera ancora un contingente di 1.500 soldati. A loro e al ministero delle Difesa russo le autorità di Tiraspol hanno chiesto più protezione dai vicini moldavi.Incide inoltra la decisione della commissione elettorale di non iscrivere Pobeda, formazione vicina a Ilan Shor e con posizioni filo-russe. Una mossa che acuisce ancora di più le tensioni per un voto che diventa anche un referendum su Putin. La Moldova per un momento sarà al centro del mondo. Qualunque cosa accada domenica la storia in movimento proporrà nuovi scenari, nuovi assetti e nuovi motivi di tensione e contrapposizione.