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    UE-Cina ai ferri corti, Bruxelles prepara la risposta alle restrizioni di Pechino sulle terre rare

    Bruxelles – Una crisi dopo l’altra, ora “alle nostre porte“: il rischio è quello di uno stop all’approvvigionamento di materie prime critiche. A Bruxelles – e a Washington – è scattato l’allarme dopo che la Cina ha annunciato restrizioni sull’export di terre rare e tecnologie correlate. L’intesa sui dazi tra Trump e Xi Jinping, con Pechino che si sarebbe impegnata a rimandare di un anno l’entrata in vigore delle restrizioni, è una segnale di disgelo. Intanto, da questa parte dell’Atlantico, l’Unione europea affila le armi a sua disposizione.In un discorso tenuto sabato (25 ottobre) al Berlin Global Dialogue 2025, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha affermato: “Siamo pronti a utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione per rispondere, se necessario”. La priorità – così com’è stata per mesi durante i negoziati per l’intesa sui dazi con Washington – è “cercare soluzioni con i nostri omologhi cinesi”. Ma un’altra capitolazione al volere di una grande potenza rischierebbe di essere fatale alla leader Ue. Che dunque non esclude di mettere sul tavolo quelle misure coercitive che invece aveva lasciato nel cassetto nelle trattative con l’alleato occidentale.In realtà, von der Leyen rivede nella decisione di Pechino il rischio di un ricatto simile a quello energetico subito dalla Russia di Vladimir Putin. L’UE è vulnerabile perché estremamente dipendente dalle importazioni cinesi di materie prime critiche, fondamentali per la doppia transizione verde e digitale, così come lo era dal gas di Mosca. “Se si considera che oltre il 90 per cento del nostro consumo di magneti in terre rare proviene dalle importazioni cinesi, si comprendono i rischi per l’Europa e i suoi settori industriali più strategici, dall’automobile ai motori industriali, passando per la difesa, l’aerospaziale, i chip per l’intelligenza artificiale e i centri dati”, ha ammesso nel suo intervento alla kermesse berlinese. Un “rischio significativo”, una “minaccia per la stabilità delle catene di approvvigionamento globali” che “avrà un impatto diretto sulle imprese europee”.Antonio Costa, Xi Jinping e Ursula von der Leyen al summit UE-Cina a Pechino, 24/07/25A disposizione di Bruxelles c’è il cosiddetto ‘bazooka’ europeo, lo strumento anti-coercizione entrato in vigore nel dicembre 2023 ma ancora mai utilizzato, che offre – in caso di minacce commerciali deliberate di Paesi terzi – un ventaglio di contromisure che vanno dall’imposizione di dazi alle restrizioni al commercio dei servizi e agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale, fino a restrizioni all’accesso agli investimenti diretti esteri e agli appalti pubblici. A soli tre mesi dal vertice UE-Cina in cui si sono celebrati i 50 anni delle relazioni diplomatiche tra Bruxelles e Pechino, l’ipotesi di utilizzare un tale strumento rende l’idea di quanto stia precipitando il rapporto con il gigante asiatico.Parallelamente, la Commissione europea avrebbe messo in cantiere un nuovo piano per affrontare la “sfida strutturale” dell’approvvigionamento di materie prime. Si chiamerà ‘ReSourceEU’, sulla falsa riga di quel ‘RePowerEU’ lanciato nel maggio 2022 per far fronte alla crisi dei prezzi dell’energia innescata dall’invasione russa in Ucraina. Sarà presentato “entro la fine dell’anno”, ha precisato un portavoce della Commissione europea. “L’obiettivo è garantire l’accesso a fonti alternative di materie prime essenziali a breve, medio e lungo termine per la nostra industria europea”, ha illustrato ancora von der Leyen. Il piano includerà misure per promuovere l’economia circolare, in modo da riutilizzare al meglio le materie prime essenziali già contenute nei prodotti venduti in Europa, acquisti collettivi e stoccaggio strategico. Inoltre, “accelereremo i lavori sui partenariati per le materie prime essenziali con paesi come Ucraina, Australia, Canada, Kazakistan, Uzbekistan, Cile o Groenlandia”, ha aggiunto la presidente dell’esecutivo Ue. Proprio il giorno prima, l’Ue ha siglato uno di questi accordi rafforzati (Epca) con l’Uzbekistan.Intanto questa mattina, a margine del vertice dei Paesi ASEAN a Kuala Lumpur, si è mosso anche il presidente del Consiglio europeo. In un bilaterale con il premier cinese Li Qiang, Antonio Costa ha sottolineato “l’importanza che l’Ue attribuisce a relazioni costruttive e stabili con la Cina” ed espresso “forte preoccupazione per l’estensione dei controlli sulle esportazioni di materie prime critiche e di beni e tecnologie correlati”. Costa ha invitato Pechino a “ripristinare quanto prima catene di approvvigionamento fluide, affidabili e prevedibili”. Giovedì 30 ottobre è attesa a Bruxelles una delegazione di tecnici del governo cinese per un incontro di alto livello sul tema con la Commissione europea.

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    Zelensky: “Non è l’interesse della Cina che la Russia perda la guerra”. Come Pechino ridisegna gli equilibri

    Bruxelles – “La Cina ha promesso di non vendere armi, ma so una cosa: la Cina aiuta la Russia, non aiuta l’Ucraina. E non ha interesse a che la Russia perda questa guerra“. Il presidente ucraino, Volodymir Zelensky, è certamente contento e soddisfatto dell’aiuto ricevuto fin qui dai partner europei, ma sceglie il vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE per riportare l’attenzione sul vero vincitore di questo conflitto russo-ucraino ormai al terzo anno di combattimenti e l’effetto collaterale dell’indebolimento economico russo derivante dalle sanzioni: un rafforzamento cinese di fronte al quale gli europei potranno sempre meno.Che la Repubblica popolare aiuti la Federazione russa è cosa nota e risaputa anche a Bruxelles, con la Commissione che ha manifestato malumori per il sostegno garantito da Pechino a Mosca. Zelensky, nella conferenza stampa tenuta dopo il confronto con i leader, tocca però il vero nodo geopolitico della questione, quello di un nuovo ordine mondiale dove la Cina acquista potere e fa della Russia il suo socio di minoranza.[foto: Wikimedia Commons]Perché il prolungamento del conflitto giova alla CinaFinché la guerra va avanti la Cina è costretta concentrare sforzi e attenzioni sulla Russia, per distoglierle dall’Asia centrale. Questo offre alla Cina la possibilità di penetrare e accrescere presenza e influenza, innanzitutto economica e commerciale. L’iniziativa nota come ‘via della seta’ mira proprio a portare Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan al centro dell’orbita cinese. In sostanza, più si combatte e meglio è. Inoltre, con Stati europei e Stati Uniti concentrati sulla Russia e preoccupati di come contrastarla, distoglie attenzioni sulle manovre di Pechino, che trae giovamento da questa ‘guerra diversiva’.Perché la Cina non vuole la sconfitta di MoscaPer Pechino l’attuale leadership russa rappresenta una garanzia in chiave anti-USA. Del resto il presidente cinese Xi Jinping non ha fatto mistero di voler continuare a collaborare a stretto contatto con il presidente russo, Vladimir Putin, per dare un impulso tutto nuovo all’ONU (dove sia Cina sia Russia hanno diritto di veto in seno al Consiglio di sicurezza), difendere con fermezza i diritti e gli interessi delle due nazioni, nonché quelli dei paesi in via di sviluppo, di fronte all’unilateralismo e alle prepotenze. Inoltre, per la Cina la sponda con la Russia diventa un elemento centrale nella contrapposizione economica agli Stati Uniti, che la politica dei dazi voluta dall’attuale amministrazione Trump non ha fatto che rilanciare.Certamente una Russia forte non è nell’interesse della Cina, desiderosa di accrescere peso regionale e continentale. Una sconfitta militare della Russia offre però scenari difficili da gestire e governare. Una nuova leadership non necessariamente garantirebbe canali privilegiati con Pechino, inoltre un’economia completamente in ginocchio diventerebbe difficile da puntellare . Meglio una Russia indebolita ma stabile che una Russia sconfitta. In un simile scenario Mosca sarebbe costretta a fare più affidamento su Pechino, in grado di rendere così la Federazione russa ‘partner minore’ di questa coalizione vista come strategica per resistere alle potenze occidentali, prima fra tutte quella statunitense.Borrell: “Esercitazione militare Sudafrica-Cina-Russia grave preoccupazione”Zelensky ha dunque ragione quando sottolinea che “i cinesi non hanno interesse nell’indebolire i russi” al punto da metterli nelle condizioni di perdere la guerra, “per questo li aiuta”. E’ un’accusa, la sua, ma pure un pro-memoria per gli europei, che nell’immediato futuro rischiano di dover fare i conti con una nuova Russia a trazione cinese. Il vero paradosso dei 19 pacchetti di sanzioni rischia di essere questo, quello di spingere la Russia nell’orbita cinese, a vantaggio cinese. L’Ucraina può poco perché “non abbiamo un dialogo permanente con i cinesi”, riconosce il presidente ucraino. Ma neppure l’UE fa molto, critica: “L’Europa dovrebbe essere più forte” nei confronti della Cina.Era previsto che i leader UE discutessero della ‘questione Cina’ in questo vertice, nel dibattito su competitività e pratiche commerciali scelte dal governo cinese. Zelensky non fa che porre ancor più al centro il Paese asiatico.

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    La NATO ora accelera sulla difesa anti-droni. Rutte: “Avanti con nuove misure”

    Bruxelles  – La NATO andrà avanti con sistemi di difesa anti-droni, e in questo “non ci saranno duplicazioni” né sovrapposizioni con l’Unione europea. Il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, ostenta sicurezza e determinazione. Al termine della riunione dei ministri della Difesa parla alla stampa, ma è alla Russia che in realtà si rivolge. Tutto il lavorio dell’Organizzazione ruota attorno a Mosca e al suo operato, nel rispetto di una missione e di una vocazione mai perse, neppure dopo caduta della cortina di ferro.Non entra nel merito di un piano di fatto messo a punto, non vuole offrire vantaggi al nemico, ma Rutte chiarisce senza girarci troppo attorno che la NATO “metterà in atto una serie di ulteriori misure anti-droni che rafforzeranno, estenderanno e accelereranno la nostra capacità di contrastare questa minaccia”. Non si perde tempo, visto che “sistemi di test” risultano in funzione mentre lo stesso Rutte parla ai giornalisti. “Innovazione e adattamento fanno parte del DNA della NATO”, ricorda il segretario generale dell’Organizzazione, che assicura come “continueremo a imparare dalla cooperazione con l’Ucraina, ad accelerare la nostra innovazione e a rafforzare la collaborazione con il settore privato”.Il segretario generale della NATO, Mark Rutte [Bruxelles, 15 ottobre 2025]La strategia concordata con gli alleati prevede sviluppo di nuovi sistemi attraverso “cicli rigorosi e ripetuti di test, prove ed esercitazioni”, a cui si aggiungeranno meccanismi di approvvigionamento comuni per facilitare un rapido accesso alle tecnologie più efficaci. Nella perenne e oggi rinnovata sfida a Mosca, Rutte ringrazia e punzecchia il presidente russo Putin. Le violazioni dello spazio aereo europee da parte di velivoli senza pilota “hanno messo in evidenza l’efficacia della nostra postura di deterrenza e difesa, fornendo al contempo un ulteriore impulso a migliorarla”.Difesa armata e presenza non espansionisticaNelle logiche proprie del confronto e dello scontro la narrativa viene rimodulata e rimodellata in automatico, e il segretario generale della NATO fa prova di grande capacità retorica nella scelta di un linguaggio certamente di propaganda – o contro-propaganda – ma comunque ben scelto. Intanto cerca di rassicurare spiegando che “la NATO è un’alleanza di difesa e rimarrà un’alleanza di difesa“, salvo poi dire che però ci si armerà. I ministri della Difesa dei 32 alleati “hanno ribadito che stanno aumentando gli investimenti nella difesa, potenziando la produzione nel settore della difesa e intensificando” il sostegno all’Ucraina. Avanti con la difesa armata e potenziata, dunque.C’è poi la questione della presenza sull’intero scacchiere internazionale. Rutte ha già avuto modo di dire che la NATO non ha intenzione di espandersi nel quadrante di sud-est ma di avere lì degli amici, e tanto basta per mettere in chiaro che si presidierà, pronti a intervenire. “Atlantico e Indo-Pacifico non dobbiamo vederli come versanti isolati“, quanto interconnessi. E’ convinzione di Rutte che “se la Cina volesse attaccare Taiwan la Russia sarebbe obbligata ad attaccare su un altro fronte“. Parole che dimostrano come la NATO viva sul ‘chi va là’, in stato di allerta perenne, e per questo si vuole essere pronti.Ucraina, gli europei acquistino USAInfine il capito Ucraina. I ministri della Difesa della NATO ribadiscono la volontà di continuare a sostenere Kiev, ma questo sostegno passa inevitabilmente per Casa Bianca, Pentagono e industria a stelle e striscei. “Molti sistemi di difesa aerea sono già stati forniti all’Ucraina, ora ci sono delle tecnologie che solo gli Stati Uniti possono fornire, come ad esempio gli intercettori per i sistemi Patriot”, taglia corto Rutte. Questo implica che gli europei devono comprarli per darli all’Ucraina, e che i membri UE della NATO devono dirottare e distogliere acquisti dalle proprie industria in barba alla voglia di stimolare il comparto pesante europeo.Gli Stati Uniti hanno ripreso a fornire supporto militare essenziale, letale e non letale all’Ucraina, finanziato dagli Alleati, con già due miliardi di dollari impegnati. Ad oggi, sottollinea Rutte, “più della metà dei Paesi membri della Nato ha aderito” alla Purl Initiative, lo speciale programma che per l’appunto consente agli alleati di finanziare la fornitura di equipaggiamenti militari statunitensi essenziali per la difesa dell’Ucraina. Una buona notizia per Kiev, certamente, e per il suo presidente Volodymir Zelenski, che venerdì incontrerà il presidente USA Donald Trump per cercare di definire il futuro scenario del conflitto russo-ucraina e, auspicabilmente, post-conflitto e condizioni di pace.

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    La BCE: “Dalla dipendenza da terre rare cinesi rischi per economia e inflazione”

    Bruxelles – Economia, consumi, sviluppo: il futuro industriale, produttivo e competitivo dell’Unione euroepea è un’incognita. C’è una carenza di terre rare eccessiva da cui dipende tutto, con la Cina a decidere delle sorti europee. “L’area dell’euro rimane esposta a rischi economici e legati all’inflazione a causa della sua dipendenza dalla Cina per la fornitura di terre rare ai settori industriali critici“, avverte la Banca centrale europea in uno studio dedicato al tema. “Le interruzioni della catena di approvvigionamento derivanti dalle restrizioni all’esportazione imposte dalla Cina potrebbero comportare un aumento dei costi di produzione per i produttori, in particolare nei settori automobilistico, elettronico e delle energie rinnovabili”.Quanto è vulnerabile l’UE alle scelte di Pechino in materie di terre rare? La risposta contenuta nel documento di analisi che ruota attorno a questo quesito esistenziale non lascia spazio ai dubbi: “L’area dell’euro è esposta ai rischi della catena di approvvigionamento legati alle esportazioni cinesi di terre rare”. La Repubblica popolare cinese domina il mercato globale delle terre rare, producendo il 95 per cento delle terre rare mondiali. Occupa inoltre una posizione centrale nella raffinazione di altre materie prime essenziali, come il litio e il cobalto, entrambi essenziali per le batterie delle auto elettriche.Attualmente il 70 per cento delle importazioni di terre rare nell’area euro proviene dalla Cina e alternative disponibili non ve ne sono. “Anche quando l’area dell’euro si rifornisce di prodotti secondari contenenti terre rare da paesi diversi dalla Cina, i fornitori dipendono fortemente dalla Cina per le terre rare grezze”, avvertono ancora gli esperti della BCE. Un esempio in tal caso è rappresentato dagli Stati Uniti, la cui domanda di terre rare è soddisfatta all’80 per cento proprio da Pechino. Ne deriva che nonostante le strategie concepite a Bruxelles per rispondere al problema “l’area dell’euro rimane indirettamente esposta alle catene di approvvigionamento cinesi quando importa prodotti statunitensi che utilizzano terre rare”.I tecnici della Bce suonano l’allarme: “L’influenza della Cina sull’eurozona aumenta”Situazioni di crisi non si profilano all’orizzonte, vuole rassicurare la BCE. “Gli indicatori attuali non suggeriscono che le pressioni sulla catena di approvvigionamento e gli aumenti dei prezzi siano imminenti nell’immediato“. Tuttavia, “è fondamentale rimanere vigili” e monitorare attentamente gli sviluppi, dato il potenziale di rapidi cambiamenti nelle dinamiche di approvvigionamento globali. “La Cina potrebbe utilizzare le terre rare per esercitare pressione nei negoziati commerciali in corso con l’UE”, mette in guardia la Banca centrale europea.In gioco c’è praticamente tutto. L’inflazione e l’aumento dei prezzi, ma pure lo stop per settori produttivi con ricadute di natura politica. Le industrie manifatturiere sono particolarmente esposte, a cominciare da quella automobilistica, che fa ampio affidamento sui magneti permanenti realizzati con terre rare. Analogamente, anche il settore energetico dipende fortemente dalle terre rare per i magneti al neodimio utilizzati nelle turbine eoliche. Ma le terre rare trovano un ampio impiego nel settore tecnologico (semiconduttori, computer, telefonia). Una buona fetta di Green deal e doppia transizione si gioca qui, nella dipendenza dalla Cina in ciò che serve per tradurre in pratica le ambizioni di sostenibilità.

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    La Bce: “Con la Cina nel Wto meno democrazia nel mondo in nome del commercio, ma l’Ue ha le sue colpe”

    Bruxelles – L’ingresso della Cina nell’organizzazione mondiale per il commercio (Wto) ha segnato un arretramento del livello democratico dei partner commerciali dell’Ue. Questo sostiene la Banca centrale europea, in un’analisi pubblicata sul blog della Bce, che rappresenta un attacco frontale alla Repubblica popolare e al suo modello politico.Commercio e libero scambio fanno bene all’economia e al quieto vivere, permettendo rapporti cordiali e prosperità. Questo il credo dietro l’azione dell’Unione europea, a cui ora però, la Bce ‘fa le pulci’. Il risultato è che con il libero scambio senza ‘se’ e senza ‘ma’ è che a rimetterci sono valori, principi e diritti. In sostanza, col troppo libero commercio a rimetterci è la democrazia.La questione di fondo è la seguente: perché il profilo democratico dei partner commerciali europei è diminuito negli ultimi 25 anni? Per la Bce “è possibile che questo sviluppo sia interamente dovuto alla Cina“. Come viene messo in risalto, dopo aver trascorso decenni al di fuori del sistema commerciale internazionale, nel 2001 la Cina è entrata a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. “Dato il punteggio molto basso della Cina” nell’indice commerciale ponderato per la democrazia, “è possibile che il deterioramento osservato nel profilo democratico delle importazioni dell’Ue sia interamente dovuto al commercio dell’UE con questo partner molto influente“, afferma la Bce.I presidenti di Cina e Russia, Xi Jinping e Vladimir Putin, tra i generali durante la parata miliare a Mosca per le celebrazioni della grande vittoria [foto: imagoeconomica]C’è però un problema di fondo che riguarda un più generale deterioramento globale e scelte proprie dell’Unione europea, quella di non isolare governi autoritari e illiberali. “Commerciare con i dittatori equivale a generare profitti per regimi che spesso hanno un’esplicita agenda espansionistica e militarista“, rileva l’analisi della Bce. Decidere di non chiudere le porte a determinati soggetti produce “l’aumento del rischio geopolitico ha implicazioni per tutti gli aspetti dell’ordine economico globale”. Nella lista degli aspetti figurano la politica monetaria, la stabilità finanziaria e i flussi di capitali internazionali, “soprattutto per un’economia aperta come quella europea”. In definitiva, che si tratti della Turchia dell’anti-democratico Erdogan, dell’Israele guidato da un Benjamin Netanyahu accusato di crimini contro l’umanità e o della Russia di Putin, cambia poco: “Questo può potenzialmente diventare una sfida esistenziale per l’Ue”.La Cina può aver giocato un ruolo, ma per l’Ue la sfida “più ovvia” in materia di contratti e accordi commerciali “riguarda la sua reputazione di unione economica e politica basata sui valori”. In tal senso, rileva ancora la Bce, “il declino della qualità della governance democratica del suo partner commerciale medio dal 1999 può essere percepito come incoerente con gli obiettivi di politica commerciale sostenibile dell’Ue, volti al rispetto dei diritti democratici, umani e sociali”. Considerando che negli ultimi 25 anni l’Unione “ha commerciato sempre più con autocrati e dittatori”, questo aspetto “non può essere rivendicato con successo dall’Ue”.

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    Niente più mascherine, protesi e dispositivi medici dalla Cina: l’Ue esclude le imprese di Pechino dagli appalti pubblici

    Bruxelles – Nuovo bisticcio commerciale tra Bruxelles e Pechino: la Commissione europea ha deciso che escluderà le imprese cinesi dagli appalti pubblici dell’Ue per dispositivi medici di valore superiore a 5 milioni di euro. E lo fa come “risposta proporzionata alle barriere imposte dalla Cina”, che secondo l’esecutivo Ue discrimina sistematicamente le aziende europee nelle proprie gare d’appalto.Proprio mentre sono in corso i preparativi per il summit di fine luglio che celebrerà i 50 anni di relazioni diplomatiche tra l’Unione europea e la Cina, i due partner (e competitor e rivali, ndr) aggiungono benzina sul fuoco. Oltre agli attriti sul ruolo di Pechino nella guerra della Russia in Ucraina, c’è ancora da risolvere il nodo dei dazi aggiuntivi che Bruxelles ha imposto dallo scorso novembre alle importazioni di auto elettriche cinesi, in risposta ai sussidi che la Cina fornisce ai suoi produttori di veicoli a batteria.La chiusura dell’Ue a mascherine, protesi, apparecchiature e software per radiografie e diagnosi specialistiche prodotte in Cina fa seguito alle conclusioni di un’approfondita indagine avviata già ad aprile 2024 ai sensi del regolamento Ue per gli appalti internazionali (IPI). La Commissione europea accusa sostanzialmente il gigante asiatico di aver eretto “ostacoli giuridici e amministrativi significativi e ricorrenti al proprio mercato degli appalti”: secondo Bruxelles, l’87 per cento degli appalti pubblici per dispositivi medici in Cina è soggetto a misure e pratiche di esclusione e discriminazione nei confronti dei dispositivi medici fabbricati nell’Ue e dei fornitori dai 27 Paesi membri. Mentre d’altra parte, tra il 2015 e il 2023, le esportazioni cinesi di dispositivi medici verso l’Ue “sono più che raddoppiate”.Dopo aver “sollevato ripetutamente la questione con le autorità cinesi alla ricerca di una soluzione costruttiva ed equa”, l’Ue ha deciso di rispondere con la stessa moneta. Oltre a escludere le imprese cinesi dagli appalti dal valore superiore a 5 milioni di euro, il contenuto cinese delle offerte aggiudicatrici sarà limitato ad un massimo del 50 per cento. La Commissione europea assicura che la rappresaglia non metterà a rischio la disponibilità dei dispositivi necessari ai sistemi sanitari dei Paesi membri, e che in ogni caso “sono previste deroghe nei casi in cui non esistono fornitori alternativi“.Il commissario Ue per il Commercio, Maroš Šefčovič, ha riaffermato “l’impegno nel dialogo con la Cina per risolvere tali questioni”. In una nota, la Commissione precisa che “qualora la Cina offrisse soluzioni concrete, verificabili e soddisfacenti che affrontino efficacemente le preoccupazioni individuate, il quadro IPI consentirebbe la sospensione o la revoca delle misure”. Da Pechino, la risposta a caldo non è stata conciliante: il portavoce del Ministero degli Affari esteri cinese, Guo Jiakun, ha denunciato i “doppi standard” di Bruxelles, che “agisce in nome della concorrenza leale mentre pratica la concorrenza sleale”.

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    Niente più mascherine, protesi e dispositivi medici dalla Cina: l’Ue esclude le imprese di Pechino dagli appalti pubblici

    Bruxelles – Nuovo bisticcio commerciale tra Bruxelles e Pechino: la Commissione europea ha deciso che escluderà le imprese cinesi dagli appalti pubblici dell’Ue per dispositivi medici di valore superiore a 5 milioni di euro. E lo fa come “risposta proporzionata alle barriere imposte dalla Cina”, che secondo l’esecutivo Ue discrimina sistematicamente le aziende europee nelle proprie gare d’appalto.Proprio mentre sono in corso i preparativi per il summit di fine luglio che celebrerà i 50 anni di relazioni diplomatiche tra l’Unione europea e la Cina, i due partner (e competitor e rivali, ndr) aggiungono benzina sul fuoco. Oltre agli attriti sul ruolo di Pechino nella guerra della Russia in Ucraina, c’è ancora da risolvere il nodo dei dazi aggiuntivi che Bruxelles ha imposto dallo scorso novembre alle importazioni di auto elettriche cinesi, in risposta ai sussidi che la Cina fornisce ai suoi produttori di veicoli a batteria.La chiusura dell’Ue a mascherine, protesi, apparecchiature e software per radiografie e diagnosi specialistiche prodotte in Cina fa seguito alle conclusioni di un’approfondita indagine avviata già ad aprile 2024 ai sensi del regolamento Ue per gli appalti internazionali (IPI). La Commissione europea accusa sostanzialmente il gigante asiatico di aver eretto “ostacoli giuridici e amministrativi significativi e ricorrenti al proprio mercato degli appalti”: secondo Bruxelles, l’87 per cento degli appalti pubblici per dispositivi medici in Cina è soggetto a misure e pratiche di esclusione e discriminazione nei confronti dei dispositivi medici fabbricati nell’Ue e dei fornitori dai 27 Paesi membri. Mentre d’altra parte, tra il 2015 e il 2023, le esportazioni cinesi di dispositivi medici verso l’Ue “sono più che raddoppiate”.Dopo aver “sollevato ripetutamente la questione con le autorità cinesi alla ricerca di una soluzione costruttiva ed equa”, l’Ue ha deciso di rispondere con la stessa moneta. Oltre a escludere le imprese cinesi dagli appalti dal valore superiore a 5 milioni di euro, il contenuto cinese delle offerte aggiudicatrici sarà limitato ad un massimo del 50 per cento. La Commissione europea assicura che la rappresaglia non metterà a rischio la disponibilità dei dispositivi necessari ai sistemi sanitari dei Paesi membri, e che in ogni caso “sono previste deroghe nei casi in cui non esistono fornitori alternativi“.Il commissario Ue per il Commercio, Maroš Šefčovič, ha riaffermato “l’impegno nel dialogo con la Cina per risolvere tali questioni”. In una nota, la Commissione precisa che “qualora la Cina offrisse soluzioni concrete, verificabili e soddisfacenti che affrontino efficacemente le preoccupazioni individuate, il quadro IPI consentirebbe la sospensione o la revoca delle misure”. Da Pechino, la risposta a caldo non è stata conciliante: il portavoce del Ministero degli Affari esteri cinese, Guo Jiakun, ha denunciato i “doppi standard” di Bruxelles, che “agisce in nome della concorrenza leale mentre pratica la concorrenza sleale”.

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    Niente più mascherine, protesi e dispositivi medici dalla Cina: l’Ue esclude le imprese di Pechino dagli appalti pubblici

    Bruxelles – Nuovo bisticcio commerciale tra Bruxelles e Pechino: la Commissione europea ha deciso che escluderà le imprese cinesi dagli appalti pubblici dell’Ue per dispositivi medici di valore superiore a 5 milioni di euro. E lo fa come “risposta proporzionata alle barriere imposte dalla Cina”, che secondo l’esecutivo Ue discrimina sistematicamente le aziende europee nelle proprie gare d’appalto.Proprio mentre sono in corso i preparativi per il summit di fine luglio che celebrerà i 50 anni di relazioni diplomatiche tra l’Unione europea e la Cina, i due partner (e competitor e rivali, ndr) aggiungono benzina sul fuoco. Oltre agli attriti sul ruolo di Pechino nella guerra della Russia in Ucraina, c’è ancora da risolvere il nodo dei dazi aggiuntivi che Bruxelles ha imposto dallo scorso novembre alle importazioni di auto elettriche cinesi, in risposta ai sussidi che la Cina fornisce ai suoi produttori di veicoli a batteria.La chiusura dell’Ue a mascherine, protesi, apparecchiature e software per radiografie e diagnosi specialistiche prodotte in Cina fa seguito alle conclusioni di un’approfondita indagine avviata già ad aprile 2024 ai sensi del regolamento Ue per gli appalti internazionali (IPI). La Commissione europea accusa sostanzialmente il gigante asiatico di aver eretto “ostacoli giuridici e amministrativi significativi e ricorrenti al proprio mercato degli appalti”: secondo Bruxelles, l’87 per cento degli appalti pubblici per dispositivi medici in Cina è soggetto a misure e pratiche di esclusione e discriminazione nei confronti dei dispositivi medici fabbricati nell’Ue e dei fornitori dai 27 Paesi membri. Mentre d’altra parte, tra il 2015 e il 2023, le esportazioni cinesi di dispositivi medici verso l’Ue “sono più che raddoppiate”.Dopo aver “sollevato ripetutamente la questione con le autorità cinesi alla ricerca di una soluzione costruttiva ed equa”, l’Ue ha deciso di rispondere con la stessa moneta. Oltre a escludere le imprese cinesi dagli appalti dal valore superiore a 5 milioni di euro, il contenuto cinese delle offerte aggiudicatrici sarà limitato ad un massimo del 50 per cento. La Commissione europea assicura che la rappresaglia non metterà a rischio la disponibilità dei dispositivi necessari ai sistemi sanitari dei Paesi membri, e che in ogni caso “sono previste deroghe nei casi in cui non esistono fornitori alternativi“.Il commissario Ue per il Commercio, Maroš Šefčovič, ha riaffermato “l’impegno nel dialogo con la Cina per risolvere tali questioni”. In una nota, la Commissione precisa che “qualora la Cina offrisse soluzioni concrete, verificabili e soddisfacenti che affrontino efficacemente le preoccupazioni individuate, il quadro IPI consentirebbe la sospensione o la revoca delle misure”. Da Pechino, la risposta a caldo non è stata conciliante: il portavoce del Ministero degli Affari esteri cinese, Guo Jiakun, ha denunciato i “doppi standard” di Bruxelles, che “agisce in nome della concorrenza leale mentre pratica la concorrenza sleale”.