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    Il primo ripensamento post-Brexit di Londra. Accordo con Bruxelles per il ritorno del Regno Unito in due programmi Ue

    Bruxelles – Cadono le prime resistenze del Regno Unito post-Brexit a un ritorno nei programmi dell’Unione Europea, con tutto quello che significa anche da un punto di vista finanziario. Questa mattina (7 settembre) il governo britannico guidato da Rishi Sunak e la Commissione Europea hanno raggiunto un’intesa politica sulla partecipazione di Londra ai programmi Horizon Europe e Copernicus a partire dal primo gennaio 2024. Ricerca e innovazione e osservazione satellitare – con tutte le implicazioni sul piano della lotta alle conseguenze dei cambiamenti climatici e alle ambizioni di transizione energetica – hanno permesso di superare i dissapori degli ultimi due anni e mezzo a proposito dell’implementazione dell’Accordo di commercio e cooperazione, aprendo uno spiraglio per altri ripensamenti (come per esempio il programma d mobilità studentesca Erasmus+).
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak (27 febbraio 2023)
    “L’Unione Europea è leader mondiale nella ricerca e nell’innovazione, Horizon è fondamentale per mantenere il vantaggio tecnologico”, è stato il commento soddisfatto della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a proposito di un accordo tra “partner e alleati strategici fondamentali” che “rafforzerà la scienza in tutta Europa”. Una soluzione concordata “di comune accordo”, precisa una nota congiunta, che permetterà alle due parti di rimettere in contatto le rispettive comunità di ricerca e spaziali per approfondire le relazioni sulle materie di innovazione comune. È la stessa Commissione a fornire alcuni dettagli dell’accordo: in primis il fatto che l’intesa di oggi è “pienamente in linea” con l’accordo negoziato per il post-Brexit e soprattutto che il Regno Unito “dovrà contribuire finanziariamente al bilancio dell’UE ed è soggetto a tutte le garanzie” previste. La stima per quanto riguarda il contributo finanziario di Londra per la partecipazione a Horizon Europe e a Copernicus è di 2,6 miliardi di euro all’anno (pari a 2,2 miliardi di sterline ogni 12 mesi).
    “Abbiamo lavorato con i nostri partner dell’Ue per assicurarci che questo sia l’accordo giusto per il Regno Unito, sbloccando opportunità di ricerca senza precedenti“, ha voluto sottolineare il premier Sunak, precisando che questa intesa è “giusta per i contribuenti britannici”. Anche se l’espressione “senza precedenti” è senza dubbio fuorviante – per nascondere un evidente fallimento della Brexit – considerato il fatto che nel programma predecessore di Horizon Europe, Horizon 2020 (nel bilancio pluriennale 2014-2020), il Regno Unito era il secondo maggior beneficiario di fondi Ue alle spalle della Germania. Se approvato dal Consiglio e adottato formalmente dal Comitato specializzato Ue-Regno Unito sulla partecipazione ai programmi dell’Unione, l’accordo politico permetterà a ricercatori ed enti di ricerca britannici di ritornare a partire dal prossimo anno in una “rete mondiale per affrontare le sfide globali in materia di clima, energia, mobilità, digitale, industria e spazio, salute”.
    Il totale dei finanziamenti da Horizon 2020 ai Paesi beneficiari
    Nelle intenzioni di Bruxelles c’è quella di tornare a stringere i legami con Londra per saldare l’alleanza sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici – grazie al programma satellitare Copernicus per il monitoraggio della Terra – e su quello del raggiungimento degli obiettivi climatici e del Green Deal – attraverso l’innovazione portata avanti con Horizon Europe (il 35 per cento dei 95,5 miliardi di euro complessivi stanziati sono destinati a questo proposito). Soddisfatto anche il vicepresidente della Commissione Ue per le Relazioni interistituzionali e vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, Maroš Šefčovič: “L’accordo garantirà che i ricercatori e l’industria dell’Ue e del Regno Unito beneficino reciprocamente dell’esperienza degli altri e della proficua collaborazione nei programmi scientifici e spaziali dell’Ue”. Prove generali di responsabile per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù nel gabinetto von der Leyen per la commissaria designata Iliana Ivanova: “Come ho detto nel mio scambio con i membri del Parlamento Ue, abbiamo bisogno di cooperare con i Paesi che la pensano allo stesso modo”.
    Due anni di contesa tra Ue e Regno Unito
    Dal momento in cui la Brexit è diventata a tutti gli effetti una realtà, i due anni e mezzo che hanno seguito l’entrata in vigore dell’Accordo di commercio e cooperazione sono stati particolarmente tortuosi per i rapporti tra Bruxelles e Londra. La contesa tra Londra e Bruxelles è iniziata nel marzo del 2021 attorno alla questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Nel contesto post-Brexit questi controlli sonoritenuti necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda. Il problema maggiore ha riguardato le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’ex-primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson
    Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte dell’allora governo guidato da Boris Johnson ha scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra il luglio e l’ottobre dello stesso anno. L’esecutivo comunitario ha così sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati. Ma nel giugno dello scorso anno la Commissione Ue ha scongelato la stessa procedura d’infrazione, attivandone altre due, per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del Protocollo sull’Irlanda del Nord.
    Il crollo del governo Johnson prima e di quello disastroso di Liz Truss poi – con la contemporanea crisi economica che da allora ha travolto il Paese – ha agevolato le aperture da entrambe le parti verso una soluzione sostenibile per un accordo di compromesso. Accordo trovato con il Framework di Windsor il 27 febbraio 2023, firmato dalla presidente von der Leyen e dal premier Sunak. L’intesa raggiunta su Horizon Europe e Copernicus rappresenta “una pietra miliare dopo l’accordo sul Windsor Framework“, hanno voluto sottolineare le due parti.

    Trovata l’intesa politica per la partecipazione dal primo gennaio 2024 a Horizon Europe (per ricerca e innovazione) e Copernicus (per l’osservazione satellitare), secondo l’Accordo di commercio e cooperazione. La Commissione stima un contributo di 2,6 miliardi di euro all’anno

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    Prove di avvicinamento tra Bruxelles e Ankara, ma la Turchia fa la voce grossa: “Senza di noi l’Ue non può essere un vero attore globale”

    Bruxelles – Qualcosa si muove nelle relazioni tra Ue e Turchia, ma in che direzione è ancora difficile saperlo. Anticipato di qualche giorno dal benaugurante ingresso di Ankara nel programma Europa digitale, il commissario Ue per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, è in missione per conto dell’esecutivo comunitario al di là del Bosforo, dove oggi (6 settembre) ha incontrato il ministro degli Esteri, Hakan Fidan, e quello del Commercio, Omar Bolat, del nuovo governo presieduto da Recep Tayyip Erdoğan.
    L’input a ridare vigore ai rapporti con la Repubblica turca è arrivato direttamente dai leader dei 27 Paesi Ue, che nelle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo invitavano la Commissione a “presentare una relazione sullo stato delle relazioni con la Turchia”. Il commissario Ue si è detto ottimista che il dossier Turchia possa tornare “entro la fine dell’anno” sul tavolo dei capi di stato e di governo con qualcosa di “tangibile e positivo”. Qualcosa che non significa per forza riprendere i discorsi sull’adesione di Ankara al blocco, congelati dal 2018, ma riconoscere un “forte impegno politico e ed economico” comune.
    Vista l’urgenza con cui il tema dell’allargamento è tornato di casa a Bruxelles, il ministro degli Esteri Fidan in conferenza stampa ha provato ad afferrare il coltello dalla parte del manico. “Per l’Ue non è possibile essere un vero attore globale senza la Turchia- ha esordito-, è ovvio che le relazioni (Ue-Turchia, ndr) non vanno sacrificate per gli interessi politici meschini di alcuni Paesi membri“. A chi si riferisse non è dato saperlo, ma i sospetti cadono inevitabilmente su Grecia e Cipro, che nel Mediterraneo orientale convivono difficilmente con l’aggressiva presenza turca e che -in particolare Nicosia- hanno posto severi paletti a una distensione dei rapporti con Erdogan. “Crediamo che sarebbe un grosso errore escludere la Turchia dal processo di adesione all’Ue, in un periodo di forti preoccupazioni geopolitiche in cui l’allargamento è tornato nell’agenda europea”, ha avvertito Fidan.
    Nel frattempo, per “ricostruire nuovamente la fiducia”, il ministro degli Esteri turco ha fissato le condizioni di Ankara: l’aggiornamento dell’unione doganale, che “dovrebbe essere rivista sui bisogni di oggi e sulle aspettative di domani”, e un avanzamento sulla liberalizzazione dei visti. L’unione doganale tra Turchia e Ue risale a quasi 30 anni fa, ma si applica soprattutto ai beni industriali: Ankara vuole estendere il regolamento ai servizi, all’agricoltura e all’energia.
    Fidan, che ha inoltre invitato l’Ue a una “giusta condivisione di responsabilità” sull’immigrazione irregolare, ha firmato oggi con Varhelyi il rinnovamento dell’accordo sulla rete di sicurezza sociale per i rifugiati in Turchia, che prevede lo stanziamento di un’ultima tranche di 781 milioni di euro per gli aiuti umanitari agli oltre 4 milioni di profughi siriani presenti nel Paese, a cui Ankara blocca le porte dell’Europa. “Siamo grati per il lavoro svolto dalla Turchia, in totale abbiamo portato qui 10 miliardi di euro di sostegno, ma sappiamo che non coprono tutto lo sforzo”, ha dichiarato il commissario Ue.
    Se sull’unione doganale e sui visti Varhelyi ha confermato la buona volontà della Commissione europea ad agire nell’immediato, sull’inclusione della Turchia nel processo di allargamento il commissario ungherese è stato molto più cauto. “Dove siamo ora è chiaro, il negoziato per l’adesione è in stallo. L’Ue ha indicato criteri molto chiari, relativi alla democrazia e allo stato di diritto, che devono essere affrontati“, ha ricordato Varhelyi, suggerendo che “una tabella di marcia credibile per portare avanti le riforme potrebbe sicuramente riaccendere la discussione tra i 27”.

    Il commissario Ue per l’allargamento ha incontrato esponenti del governo Erdogan nella capitale turca. Firmato l’accordo per l’ultima tranche da 781 milioni di euro per i rifugiati in Turchia, sul processo di adesione Varhelyi ricorda i problemi “relativi alla democrazia e allo stato di diritto”

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    “Membri onorari dell’allargamento”. Il Cese lancia un’iniziativa per avvicinare i Paesi candidati all’adesione Ue

    Bruxelles – Mentre le altre istituzioni comunitarie discutono in maniera abbastanza sterile della data o non-data entro cui si dovrà realizzare il processo di allargamento Ue, il Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) ha iniziato i lavori per mettere a terra un’iniziativa che renderà concreto l’avvicinamento all’Unione per i Paesi candidati all’adesione. Si chiama ‘Iniziativa dei Membri onorari dell’allargamento‘ e – se approvata dall’ufficio di presidenza del Cese nelle prossime settimane – rappresenterà la prima promessa rispettata dal nuovo presidente dell’organo consultivo Ue, Oliver Röpke, sul piano delle relazioni esterne dal momento del suo insediamento lo scorso 26 aprile.
    Il presidente del Comitato Economico e Sociale Europeo, Oliver Röpke, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (31 agosto 2023)
    “Voglio che il nostro Comitato sostenga efficacemente la società civile nei Paesi candidati all’adesione all’Ue”, ha confermato lo stesso Röpke in un incontro con la stampa europea: “Per questo motivo desidero che partecipino gradualmente al nostro lavoro quotidiano“. Una conferma alle parole d’esordio di poco più di quattro mesi fa, quando il neo-presidente eletto aveva presentato il manifesto Stand up for democracy. Speak up for Europe per le priorità del mandato fino all’autunno del 2025. “Faremo tutto il possibile perché la nostra istituzione apra le porte a questi Paesi, non è sufficiente dare loro solo lo status di candidati“, aveva messo in chiaro allora, sottolineando che “serve un impegno attivo, sfruttando la nostra esperienza per aumentare la rapidità delle riforme” per avvicinarsi all’Unione. Il forum di discussione del Cese con Balcani Occidentali, Moldova, Ucraina e Georgia si sta intensificando, ma con la nuova iniziativa l’obiettivo è quello di fare un passo più concreto. Nei limiti dei suoi poteri e competenze, ma in modo forse anche più prolifico rispetto alle promesse di “essere pronti entro il 2030” per l’allargamento Ue fatte dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel.
    La proposta prevede di includere 3 membri onorari della società civile per ciascun Paese candidato nel processo di stesura dei pareri del Cese: dall’energia ai diritti sociali e del lavoro, dalla transizione digitale e verde alla politica industriale, fino allo sviluppo sostenibile e il Mercato unico. Al momento si tratterebbe di 24 nuovi membri – onorari – da otto Paesi candidati all’adesione Ue: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina. Non sarebbero inclusi per ora Kosovo (che ha fatto richiesta di adesione lo scorso anno) e Georgia (a cui è stata garantita la prospettiva europea ma non ancora lo status di candidato), anche se il presidente Röpke parlando con Eunews non esclude una “collaborazione più stretta” con i due Paesi, nonostante per l’iniziativa “abbiamo deciso di attenerci alle decisioni del Consiglio sullo status di candidato“. La partecipazione sarà estesa a tutto il ciclo dei pareri: gruppi di studio, riunioni di sezione e sessioni plenarie. Nelle intenzioni del Comitato c’è anche quella di organizzare una volta all’anno una sessione plenaria con i membri del Cese provenienti da ciascuno dei Paesi candidati che rappresentano gli interessi dei datori di lavoro, dei sindacati e delle organizzazioni della società civile per discutere delle questioni relative all’allargamento.
    Con la partecipazione ai lavori del Cese, le organizzazioni della società civile di questi Paesi potranno approfondire i principi e il funzionamento del dialogo civile comunitario, per poterli poi applicare a livello nazionale in vista della futura applicazione della legislazione comunitaria. A loro volta, “i nostri pareri rifletteranno anche le sfide e le priorità specifiche che i Paesi candidati devono affrontare nei settori politici per loro importanti“. In collaborazione con il Parlamento Ue – considerato un “partner naturale” da Röpke – il Cese vuole partire dalla società civile come parte integrante del processo di allargamento dell’Unione, fornendo il sostegno necessario per migliorare i sistemi socioeconomici e democratici nazionali e per soddisfare gli standard del Mercato unico, del Green Deal e del Pilastro europeo dei diritti sociali. L’iniziativa dei membri onorari dell’allargamento è “pienamente in linea” con la metodologia di adesione rafforzata della Commissione Ue, in particolare nella parte sulla “più stretta integrazione dei Paesi dell’allargamento con l’Unione Europea e un’adesione graduale alle singole politiche dell’Ue”, mette in chiaro lo stesso Comitato.
    Come funziona il Cese
    Il Comitato Economico e Sociale Europeo è un organo consultivo che rappresenta le organizzazioni dei datori di lavoro, dei lavoratori e di altri gruppi di interesse della società civile, e ha come incarico quello di formulare pareri per la Commissione, il Parlamento e il Consiglio dell’Ue. Fondato nel 1957 con i Trattati di Roma, ha la sua sede a Bruxelles e i suoi 329 membri sono nominati dai governi nazionali e designati dal Consiglio dell’Ue per un mandato quinquennale rinnovabile (la quota per ogni Paese dipende dalla sua popolazione, l’Italia attualmente ne esprime 24). Il Cese è guidato da un presidente e da due vicepresidenti, che vengono rinnovati ogni due anni e mezzo in occasione della revisione di metà mandato.
    I membri appartengono ai tre gruppi istituiti (ciascuno con un suo presidente): Datori di lavoro, Lavoratori e Organizzazioni della società civile. I tre gruppi possono esprimersi formalmente sulle proposte legislative dell’Ue, con tre compiti principali: garantire che la legislazione comunitaria sia adeguata alle condizioni economiche e sociali, promuovere e assicurare il dialogo con tutti i gruppi d’interesse della società civile e promuovere i valori dell’integrazione europea. Da un punto di vista pratico, il Cese può emettere pareri di propria iniziativa o può essere consultato da Commissione, Parlamento e Consiglio dell’Ue. I membri del Comitato lavorano indipendentemente dai rispettivi governi e adottano i propri pareri a maggioranza semplice: le nove riunioni annuali vengono preparate dalle sezioni specializzate e dalla commissione consultiva per le trasformazioni industriali (Ccmi).
    A che punto è l’allargamento Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.

    Il Comitato Economico e Sociale Europeo ha presentato una proposta (in attesa solo del via libera dall’ufficio di presidenza) che permetterebbe a 3 membri per ciascuno dei più stretti partner dell’Unione di partecipare al processo di stesura dei pareri dell’organo consultivo

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    Il partito al governo in Georgia ha avviato la procedura di impeachment contro la presidente per i suoi viaggi nell’Ue

    Bruxelles – Non trova pace la Georgia sul piano politico, a pochi mesi da quello che potrebbe essere l’appuntamento decisivo per le speranze del Paese caucasico di fare il primo passo verso l’ingresso nell’Unione Europea. Il partito al governo Sogno Georgiano ha avviato la procedura di impeachment contro la presidente della Repubblica, Salomé Nino Zourabichvili, per una serie di viaggi nell’Ue che rappresenterebbero – secondo l’accusa – una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale. Al centro delle recenti visite di Zourabichvili a Berlino e a Bruxelles c’era proprio la raccolta di sostegno per la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue per la Georgia, ma l’autonomia della presidente ha scatenato la dura reazione del controverso partito attualmente al potere.
    La presidente della Georgia, Salomé Nino Zourabichvili, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo (31 maggio 2023)
    “Chiudere un occhio su gravi violazioni della Costituzione mina lo Stato di diritto di un sistema costituzionale democratico”, è l’attacco del presidente di Sogno Georgiano, Irakli Kobakhidze, che venerdì (primo settembre) ha annunciato di essere pronto ad avviare la procedura di impeachment per rivelare che “ancora una volta l’agenda comune dell’opposizione radicale e di Zourabichvili è diretta contro gli interessi della Georgia, compreso lo status di candidato” all’adesione all’Unione. La violazione “in modo flagrante” della Costituzione riguarderebbe la decisione della numero uno del Paese caucasico di effettuare una serie di viaggi diplomatici all’estero senza consultarsi con il governo, gli ultimi dei quali tra il 31 agosto e il primo settembre a Berlino (con il presidente tedesco, Frank-Walter Steinmeier) e a Bruxelles (con il leader del Consiglio Ue, Charles Michel). All’orizzonte c’è un cruciale Consiglio Europeo di dicembre, in cui i leader dei Ventisette dovranno decidere se concedere a Tbilisi lo status di candidato all’adesione, dopo aver ricevuto a ottobre il parere della Commissione Ue nel Pacchetto sull’Allargamento annuale.
    Il ruolo della figura presidenziale in Georgia è perlopiù cerimoniale, ma dallo scorso anno Zourabichvili si è ritagliata uno spazio sempre più ampio di autonomia nello spingere gli interessi filo-Ue di Tbilisi e proponendosi come punto di riferimento dell’opposizione popolare a un partito considerato – con tutte le eccezioni del caso in un Paese in cui la prospettiva di adesione Ue e Nato è scritta nella Costituzione – su molti aspetti filo-russo. Lo ha dimostrato sia nel rifiuto di firmare una controversa legge sugli agenti stranieri a inizio marzo (poi ritirata per la reazione di piazza di centinaia di migliaia di cittadini georgiani) sia nel suo appassionato discorso alla sessione plenaria del Parlamento Europeo a fine maggio, quando ha chiesto a Bruxelles di garantire alla Georgia lo status di candidato all’adesione Ue entro la fine del 2023 come “riconoscimento delle lotte del nostro popolo, dell’identità e dell’importanza dell’Ue”. Secondo quanto reso noto al termine del confronto tra Michel e Zourabichvili – in cui sono stati discussi gli “sviluppi più ampi” nel Caucaso meridionale della guerra russa in Ucraina – il numero uno del Consiglio Europeo ha non solo “ribadito l’impegno dell’Ue a sostenere la Georgia nel suo percorso europeo”, ma ha anche “elogiato l’impegno personale della presidente georgiana” in questo senso: “È stato particolarmente apprezzato il ruolo da lei svolto nel contribuire al controllo legislativo, nell’esercitare il suo diritto di grazia, che ha contribuito alla depolarizzazione, e la sua forte attenzione politica all’agenda Ue-Georgia”.
    Da sinistra: il primo ministro della Georgia, Irakli Garibashvili, e il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel (14 giugno 2023)
    Non è per niente chiaro come il comportamento della presidente “si oppone direttamente agli sforzi del governo georgiano per ricevere tale status” di candidato all’adesione Ue, come recita l’accusa di Sogno Georgiano. Lo stesso leader del partito ha però ammesso che l’impeachment “è impossibile nella situazione politica attuale”, dal momento in cui è necessario l’appoggio dei due terzi del Parlamento nazionale (di 150 seggi) e perciò “senza i voti dell’opposizione radicale non ha alcuna prospettiva di esecuzione”. Questo non ha tuttavia impedito l’avvio della procedura presso la Corte Costituzionale e l’invio di una lettera in cui viene negata l’autorizzazione a tenere in futuro altri incontri diplomatici alla presidente georgiana nata a Parigi nel 1952. La mossa politica di Sogno Georgiano potrebbe avere conseguenze pesanti su ciò che Michel ha definito “un’opportunità storica da non perdere”, ovvero la prospettiva europea a fronte di “riforme necessarie” da implementare su giustizia, deoligarchizzazione, lotta alla corruzione e pluralismo dei media”, ma soprattutto per “la depolarizzazione e la costruzione di una cultura politica inclusiva”.
    La situazione politica a Tbilisi
    Con il passare dei mesi e degli avvicendamenti politici a Tbilisi è sempre più evidente che per l’Unione Europea la Georgia rimane uno dei Paesi partner più complessi da gestire, a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino). Tra le notizie che hanno sollevato più preoccupazioni a Bruxelles va ricordata la ripresa dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, ma anche l’avvicinamento del premier Irakli Garibashvili (che da ancora membro osservatore del Partito del Socialismo Europeo ha partecipato alla convention di quest’anno dei conservatori europei e statunitensi a Budapest) all’omologo ungherese, Viktor Orbán, e alle sue politiche autoritarie e anti-Lgbtq+.
    Le proteste pro-Ue dei manifestanti georgiani a Tbilisi, 7 marzo 2023 (credits: Afp)
    La richiesta della Georgia di aderire all’Ue è arrivata il 3 marzo 2022, a una settimana dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Mentre il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde alle richieste di Ucraina e Moldova, alla Georgia è stata indicata la necessità di lavorare su una serie di priorità. La decisione ufficiale è arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione: Kiev e Chișinău sono diventati Paesi candidati, Tbilisi ha ricevuto solo la “prospettiva europea”. A causa di questo ‘fallimento’, nella capitale georgiana si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia.
    Sei mesi fa sono poi scoppiate dure proteste popolari contro un controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria, voluta proprio dal premier Garibashvili per registrare tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo simile a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento decine di migliaia di cittadini georgiani sono scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea – gridando slogan come Fuck Russian law e tappezzando la città di insulti a Putin – sostenuti sia dalle istituzioni comunitarie sia dalla presidente Zourabichvili. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano ha ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa. Il fondatore del partito al potere è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Europeo in cui è richiesto alla Commissione di imporre nei suoi confronti sanzioni personali.
    La Georgia verso il Consiglio Ue di dicembre
    In vista del Consiglio Europeo di dicembre in cui il dossier allargamento sarà prioritario sul tavolo dei 27 leader, la Commissione ha anticipato per la prima volta il suo consueto Pacchetto Allargamento con una presentazione orale dello stato di avanzamento delle riforme in Ucraina, Moldova e Georgia. Secondo quanto illustrato dal commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, lo scorso 22 giugno, al momento Tbilisi ha completato 3 priorità su 12: quella sull’uguaglianza di genere e sulla lotta contro la violenza di genere, quella sull’implementazione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nei tribunali nazionali e quella sulla nomina di un difensore d’ufficio nei processi. In altre 7 priorità sono stati registrati alcuni progressi: impegno contro la polarizzazione politica, funzionamento delle istituzioni pubbliche e del sistema elettorale, adozione delle riforme giudiziarie, rafforzamento delle agenzie anti-corruzione, lotta contro la criminalità organizzata, rafforzamento della difesa dei diritti umani e coinvolgimento della società civile nel processo decisionale. Solo progressi limitati nella de-oligarchizzazione, mentre nessun progresso sul pluralismo dei media e gli standard sui procedimenti contro i proprietari dei media.
    Ora l’attenzione è tutta rivolta all’esito delle valutazioni della Commissione e alla decisione del Consiglio di dicembre sul percorso di allineamento di Tbilisi alle priorità per la candidatura all’adesione Ue. In caso di nuovo responso negativo si potrebbe assistere ad ancora più rabbia sociale contro il governo e al rischio di un crescente risentimento verso Bruxelles, con conseguenze al momento non prevedibili sull’appuntamento elettorale per il rinnovo del Parlamento georgiano nel 2024.

    Le recenti visite a Berlino e Bruxelles di Salomé Nino Zourabichvili per raccogliere sostegno sulla concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue ha scatenato la dura reazione del partito Sogno Georgiano, che accusa la leader di violare la Costituzione con la sua autonomia

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    “Soluzioni africane a problemi africani”: l’Ue segue la linea dell’Ecowas sul Niger e prepara sanzioni per la giunta militare

    Bruxelles – L’Ue è pronta ad “ascoltare qualsiasi richiesta” che provenga dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), l’attore che si sta prendendo carico degli sforzi per riportare stabilità nella polveriera africana del Sahel. È questa la linea concordata dai 27 ministri degli Esteri dell’Unione, riuniti a Toledo per il vertice informale di fine agosto, assieme al Presidente dell’Ecowas, Omar Alieu Touray e al ministro degli Esteri del governo rovesciato solo un mese fa in Niger, Hassoumi Massaoudou.
    L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, in conferenza stampa a margine del meeting informale dei Ministri degli Esteri Ue a Toledo, in Spagna
    Per ora, per ristabilire l’ordine costituzionale a Niamey l’Ecowas ha intrapreso la strada del dialogo politico e delle sanzioni economiche. E l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, ha confermato “il pieno sostegno agli sforzi dell’Ecowas per mettere il massimo di pressione sulla giunta militare” che dallo scorso 26 luglio tiene imprigionato il presidente democraticamente eletto, Mohamed Bazoum, e governa il Paese. La prima mossa di Bruxelles è la sospensione di tutti i programmi di supporto finanziario e di cooperazione in materia di difesa e sicurezza con il Niger. Fatto salvo per gli aiuti umanitari alla popolazione nigerina.
    La seconda e più incisiva mossa sarà un regime di sanzioni individuali contro il Consiglio nazionale per la Salvaguardia del Paese, il gruppo di militari protagonisti del putsch. “Abbiamo deciso di iniziare il processo per costruire un quadro di sanzioni seguendo strettamente quelle emanate dall’Ecowas”, ha annunciato Borrell. L’istituzione dei Paesi dell’Africa Occidentale avrebbe poi illustrato ai ministri Ue la situazione sul campo e le proprie riflessioni sulla possibilità di un intervento militare. Che, almeno parzialmente, potrebbe essere sostenuto attraverso l’European Peace Facility, lo strumento finanziario Ue per la risoluzione di conflitti.
    Cittadini nigerini manifestano contro l’ex potenza coloniale francese (Photo by AFP)
    “È evidente che privilegiamo soluzioni diplomatiche, nessuno desidera azioni militari. È questo che sta facendo l’Ecowas”, ha chiarito il capo della diplomazia europea, sottolineando però che “non sappiamo cosa succederà dopo, perché è l’Ecowas a decidere”. Sull’ipotesi di sostegno ad un intervento armato le posizioni tra i 27 sono distanti: se la Francia, l’ex potenza coloniale contro cui si si è scatenata la rabbia dei nigerini che appoggiano la giunta militare – è arrivata nel pomeriggio la notizia dell’espulsione dell’ambasciatore di Parigi da parte dei golpisti-, si è mostrata più possibilista, per il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani “la soluzione militare in Niger sarebbe un disastro”.
    La crisi del Sahel è endemica, ma sul golpe in Gabon l’Ue rimane prudente
    L’ondata di colpi di stato militari che ha investito il Sahel negli ultimi due anni, dal Mali alla Guinea al Burkina Faso e ora il Niger, rischia di propagarsi anche più a sud, verso il Golfo di Guinea. “Abbiamo studiato la situazione nel Golfo di Guinea, che diventa sempre più cruciale e dove la minaccia del terrorismo jihadista sta crescendo”, ha dichiarato l’Alto rappresentante.
    Cittadini del Gabon festeggiano il colpo di Stato contro il governo del presidente Ali Bongo (Photo by AFP)
    Ieri l‘esercito del Gabon ha deposto il presidente Ali Bongo Ondimba, al potere dal 2009 e fresco della terza rielezione in un appuntamento elettorale che agli occhi della comunità internazionale è parso quanto meno dubbioso. Per ora Borrell ha voluto tracciare una linea tra Niamey e Libreville, sottolineando “la differenza tra la situazione in Niger e in Gabon“. Da un lato Bazoum, “l’unica autorità democraticamente eletta in tutta la regione”, dall’altro Bongo e un processo elettorale su cui l’Ue “condivide serie preoccupazioni”. Nonostante il contesto profondamente differente, l’Ue “respinge qualsiasi presa di potere con la forza in Gabon e invita tutti gli attori alla moderazione”, ha dichiarato Borrell.
    Nel Paese centrafricano si trovano attualmente circa 10 mila cittadini europei, ma “non è prevista alcuna evacuazione“: il capo della diplomazia europea ha assicurato che “la situazione è tranquilla e non c’è alcuna situazione che possa indicare rischio di violenza e pericolo”.

    I ministri degli Esteri dei 27 alle prese con la polveriera del Sahel. L’Alto rappresentante Borrell ammette: “Dobbiamo rivedere le nostre politiche nella regione”, ma sottolinea le differenze tra i colpi di stato in Niger e in Gabon, dove il golpe è frutto di “elezioni che hanno lasciato molto a desiderare”

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    20 miliardi di sostegno militare fino al 2027. Borrell svela il piano per la difesa a lungo termine dell’Ucraina

    Bruxelles – Cinque miliardi di euro all’anno per i prossimi quattro anni per garantire un sostegno continuo alla difesa dell’Ucraina. Dopo averne accennato l’idea a fine luglio, l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, ha proposto oggi (30 agosto) ai 27 ministri europei della difesa riuniti al Consiglio informale a Toledo, in Spagna, di dare vita a un fondo di assistenza militare all’Ucraina per il periodo 2024-2027.
    Non sarà propriamente un fondo nuovo, ma una sezione incorporata al Fondo europeo per la pace, (European Peace Facility), lo strumento finanziario fuori dal bilancio comunitario isitituito nel 2021 per migliorare la capacità dell’Ue di prevenire i conflitti e di finanziare azioni operative che hanno implicazioni militari o di difesa nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune. E per Borrell “dovrebbe essere un elemento centrale del nostro contributo a lungo termine alla sicurezza dell’Ucraina, come hanno concordato i leader europei a giugno”, ha dichiarato nel corso della conferenza stampa conclusiva della riunione dei ministri della Difesa europei a Toledo. Le discussioni, se pure informalmente, proseguiranno domani (31 agosto) sul tavolo dei ventisette ministri riuniti al Consiglio Esteri informale Gymnich, che si riuniranno nella cornice della Fabbrica di Armi di Toledo.
    Il capo della diplomazia europea ha spiegato che i 5 miliardi rappresentano un tetto massimo di spesa. “I ministri hanno discusso di questo argomento, e lo faremo anche domani con i ministri degli Esteri, e spero che si possa raggiungere un accordo il prima possibile, anche entro la fine dell’anno”, ha concluso. Borrell ha parlato di venti miliardi di risorse extra da mobilitare fino al 2027, una cifra frutto di una valutazione dei bisogni e delle necessità per garantire il sostegno dell’Ucraina fatta dalla Commissione europea. La proposta di Borrell fa parte di un più ampio sforzo per porre il sostegno europeo a Kiev su una base a più lungo termine, dopo più di un anno di tentativi per rispondere ai bisogni immediati dell’Ucraina a seguito dell’invasione della Russia.
    L’Unione europea ha da poco raggiunto un accordo politico sull’Asap, il piano Ue per aumentare la consegna di munizioni e missili all’Ucraina e imprimere un cambio di passo sulla capacità di produzione bellica nei 27 Stati membri. Acronimo di ‘Act in support of ammunition production’, il piano prevede di mobilitare in via d’urgenza cinquecento milioni di euro dal bilancio comunitario fino a giugno 2025 per aumentare la capacità dell’industria europea di produrre munizioni, con l’obiettivo di produrre almeno un milione di pezzi all’anno, tra munizioni terra-terra, artiglieria e missili. Ultimo di tre pilastri di un più ampio e complesso ‘Piano per la difesa’ proposto ai Ventisette dal commissario al Mercato interno, Thierry Breton, e dall’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, per rispondere all’emergenza della fornitura di munizioni all’Ucraina, ma anche per costruire una visione di lungo termine per la difesa europea. Oltre all’Asap, il Piano per la difesa comprende un miliardo di euro mobilitato attraverso lo strumento europeo per la pace (strumento fuori bilancio comunitario) per la consegna immediata di munizioni a Kiev attraverso le scorte degli Stati membri e un altro miliardo di euro per gli acquisti congiunti di armi.
    In quanto informale, dalla riunione di domani non si aspettano decisioni sulla proposta di Borrell ma un primo scambio di idee da parte dei ventisette ministri. Non solo la guerra di Russia in Ucraina, ma i ministri degli Esteri si occuperanno della situazione nel Sahel e, in particolare, del Niger, dopo il colpo di stato.

    A Toledo la riunione informale dei ministri della difesa e degli Esteri dei 27, che discuteranno anche della proposta dell’alto rappresentante Josep Borrell di mobilitare risorse extra per cinque miliardi di euro l’anno per i prossimi quattro anni per il sostegno a lungo termine a Kiev

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    Il possibile accordo tra Bruxelles e San Marino-Monaco-Andorra allarma le autorità di regolamentazione Ue

    Bruxelles – La Commissione Europea ha fissato l’obiettivo alla fine del 2023, ma un possibile accordo tra l’Unione e tre microstati europei – Repubblica di San Marino, Principato di Andorra e Principato di Monaco – potrebbe comportare “rischi significativi” su molti livelli. Il fulmine a ciel sereno è arrivato sotto forma di lettera, inviata al gabinetto von der Leyen dai presidenti di tre autorità di regolamentazione Ue, che cercano di frenare la spinta dell’esecutivo comunitario nel cercare di stringere i legami con i tre microstati che si trovano inclusi all’interno dei confini dei Paesi membri.
    Come appreso da Politico, i vertici dell’Autorità bancaria europea (Eba), dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) e dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (Eiopa), hanno avvertito la Commissione che finalizzare Accordi di Associazione con i tre microstati europei potrebbe aprire le porte del Mercato Unico a una destabilizzazione dei servizi finanziari, anche considerato il fatto che “hanno mantenuto storicamente regolamenti meno rigorosi” e per questa ragione si troverebbero in una posizione “più incline al riciclaggio di denaro e ad altre attività illecite”. In altre parole, le aziende potrebbero essere tentate di stabilirsi nei tre microstati europei nel tentativo “deliberato” di beneficiare di standard finanziari più leggeri, con “rischi significativi per i consumatori” derivanti dal libero mercato dell’Union
    Era stato il vicepresidente della Commissione Ue responsabile per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič, a presentare il 30 giugno 2022 una roadmap per arrivare alla firma entro il 2024 degli Accordi di Associazione con la Repubblica di San Marino, il Principato di Andorra e il Principato di Monaco. Per il gabinetto von der Leyen è “una priorità, ambiziosa ma realizzabile“, dal momento in cui la mancata intesa prima della fine della legislatura potrebbe frenare il percorso di avvicinamento dei tre microstati europei all’integrazione con i Ventisette. I negoziati per l’Accordo di Associazione sono iniziati nel marzo del 2015, ma con le conseguenze della guerra russa in Ucraina è stata riconosciuta la necessità di accelerare i tempi. Calendario e considerazioni specifiche sono state definite per ciascuno dei tre microstati, con il rafforzamento dell’integrazione in ciascuna delle libertà del Mercato Unico: libera circolazione di persone, merci, capitali e servizi.
    Lo stato attuale dei microstati europei
    I tre microstati europei in questione hanno degli status diversi. Né San Marino né Andorra sono parte dello spazio Schengen (che prevede la libera circolazione delle persone tra Stati membri Ue e l’abolizione delle frontiere comuni), tuttavia esiste un’unione doganale con l’Unione dal 1991: solo San Marino lo è anche per i prodotti agricoli (dal 2002). Andorra mantiene parte dei suoi controlli al confine, solamente in alcuni valichi di frontiera con la Spagna. Il Principato di Monaco attualmente è in una situazione ibrida, e applica alcune politiche dell’Ue attraverso la relazione speciale che ha con la Francia: è membro di fatto di Schengen, mentre è a pieno titolo parte del territorio doganale dell’Unione.
    Da sinistra: l’alta commissaria per gli Affari europei del Principato di Monaco, Isabelle Costa, il ministro per gli Affari esteri di San Marino, Luca Beccari, il vicepresidente della Commissione Europea per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič, e il segretario di Stato per gli Affari europei di Andorra, Landry Riba Mandicó (4 luglio 2023)
    Per quanto riguarda gli altri microstati europei, il Liechtenstein è l’unico a far parte dello Spazio economico europeo e del Mercato Unico (dal primo maggio del 1995), mentre dal 19 dicembre del 2011 ha firmato gli accordi Schengen. La Città del Vaticano è il più piccolo Stato riconosciuto al mondo e ha solamente il confine aperto con l’Italia. Tutti i microstati europei (fatta eccezione per il Liechtenstein, che usa il franco svizzero) usano come moneta ufficiale l’euro e hanno il diritto di coniarne un numero limitato, perché viene riconosciuto loro l’aver utilizzato o essere stati legati a valute non più in circolazione di alcuni Paesi membri (lira per San Marino e Città del Vaticano, franco francese per Monaco, peseta spagnola e franco francese per Andorra). Da parte di Bruxelles non c’è l’interesse di integrare nessuno dei microstati europei come Paese membro, dal momento in cui sarebbe eccessivamente complesso gestire questioni interne all’Unione (come le presidenze di turno del Consiglio dell’Ue, o il diritto di veto degli Stati membri) per entità territoriali troppo limitate a livello di superficie e popolazione.

    I presidenti dell’Autorità bancaria europea, degli strumenti finanziari e dei mercati, e delle assicurazioni e pensioni, in una lettera alla Commissione hanno avvertito che gli standard meno severi nei tre microstati potrebbero portare “rischi significativi” per consumatori e lotta al riciclaggio

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    La politica pro-russi della Serbia preoccupa l’Ue

    Bruxelles – Slavi, ortodossi, un’affinità culturale che ha prodotto amicizia e legami di lungo corso. Serbia-Russia, la relazione speciale si ripropone in una chiave tutta nuova che inquieta l’Unione europea. Belgrado, attraverso le sue politiche, starebbe attirando cittadini e imprese russi in un modo di cui si chiede conto. Al Paese balcanico, ovviamente, ma alla Commissione, affinché questa faccia pressioni sull’alleato. Ma alleato di chi? Nell’europarlamento i Verdi si pongono questa e altre domande.
    Si ritiene che dall’inizio della guerra in Ucraina siano arrivati in Serbia 219.153 cittadini russi. Di questi, sostengono i greens, “ufficialmente circa 30mila hanno attualmente il permesso approvato per il soggiorno temporaneo in Serbia”. A questo dato si aggiunge l’annuncio del governo serbo per modifiche alla legge sulla cittadinanza, che può essere concessa dopo solo un anno di residenza ininterrotta nel Paese. C’è poi la questione economica. “Il numero di aziende e imprenditori russi in Serbia nei primi quattro mesi del 2023 è cresciuto del 37 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso”. Risultato: allo stato attuale “in Serbia i russi possiedono o hanno fondato complessivamente 6.976 imprese”.
    Tutto questo pone la questione dell’aggiramento delle sanzioni, ma soprattutto il rispetto di degli obblighi che la Serbia avrebbe nei confronti dell’Ue in quanto Paese candidato all’adesione dal 2012. A Bruxelles l’auspicio è che Belgrado ‘righi dritto’, tenendo fede agli impegni derivanti dalle scelte compiute in materia di avvicinamento all’Ue. Tuttavia, riconosce il commissario per l’Allargamento, Oliver Varhely, “la Commissione ha espresso preoccupazione per il fatto che le modifiche previste alla legge sulla cittadinanza serba potrebbero comportare rischi per la migrazione o la sicurezza per l’Ue, dato che i cittadini serbi godono dell’accesso senza visto all’Unione europea”.
    A livello comunitario si esercitano pressioni sulla Serbia, o almeno ci si prova nei limiti del possibile. Se da una parta la Commissione “ha chiesto alla Serbia di prendere in considerazione le sue preoccupazioni, in particolare garantendo che nelle modifiche alla legge sull’acquisizione della cittadinanza siano introdotte forti garanzie e controlli di sicurezza”, dall’altra parte, continua Varhely, la Commissione e le autorità serbe “restano in stretto contatto su questo argomento”. L’esecutivo comunitario in sostanza monitora, e prova a correre ai ripari.

    La concessione più veloce della cittadinanza richiama cittadini nel Paese. Aumenta anche il numero di imprese russe sul territorio. Il timore per sicurezza e aggiramento delle sanzioni contro Mosca