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    Da Strasburgo il presidente ceco incalza i governi sull’allargamento: “Il successo dei Paesi candidati sarà anche nostro”

    Bruxelles – “L’anno prossimo segnerà il ventesimo anniversario dell’adesione all’Ue di dieci Stati membri, tra cui la Repubblica ceca. In un certo senso, abbiamo recentemente raggiunto la maggiore età come membri della famiglia europea. Non siamo né nuovi né inesperti”, ha ricordato il presidente della Repubblica Ceca Petr Pavel, durante la seduta plenaria del Parlamento europeo di oggi (4ottobre) a Strasburgo.
    Potrebbe essere di questi giorni, secondo Politico, la decisione della Commissione di iniziare i colloqui di adesione dell’Ucraina all’Unione europea a fine anno, a conferma del fatto che il tema dell’allargamento è molto discusso in questo periodo. Proprio il progetto dell’Unione europea di allargarsi ad altri Paesi europei è stato uno dei temi chiave del discorso di Pavel all’Eurocamera: “L’allargamento dovrebbe essere visto come un’opportunità per ricalibrare l’idea europea. Dovrebbe essere vista come un’opportunità per realizzare un’Unione più unificata ed efficiente. Un’Unione che resta ambiziosa e competitiva. Un’Unione più flessibile e proattiva. Un’Unione in grado di reagire rapidamente quando necessario. Un’Unione di cui siamo tutti orgogliosi”.
    Ed è proprio l’Ucraina a fornire al presidente ceco l’esempio per dimostrare l’importanza dell’allargamento, ricordando come aprire le porte dell’Ue alle zone a est può significare anche più sicurezza per i cittadini comunitari, come sta dimostrando l’invasione russa: “Ora è più evidente che mai che la garanzia della pace non può limitarsi solo ai nostri confini. Sono infatti convinto che tutti i paesi dei Balcani occidentali e del Trio associato debbano perseguire una piena prospettiva europea. Non è solo un nostro dovere morale. Nel lungo termine, si tratta di un investimento nella sicurezza e nella resilienza dell’Europa e dei suoi cittadini. Abbiamo già perso troppo tempo. È nel nostro interesse che i paesi candidati abbiano successo. Il loro successo sarà il nostro stesso successo“, ha aggiunto. L’allargamento è il processo che consente agli Stati di aderire all’Unione europea, dopo che questi hanno soddisfatto una serie di condizioni politiche ed economiche. Qualsiasi Stato europeo che rispetti i valori democratici dell’Unione e si impegni a promuoverli può presentare domanda di adesione all’Ue. Nel 2004 si è compiuta la più grande fase di allargamento della storia dell’Unione europea, che ha visto l’adesione di dieci Paesi: Polonia, Ungheria, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Cipro e Malta.

    A vent’anni dall’ingresso della Repubbblica Ceca nell’Unione europea, Petr Pavel ha ricordato di fronte all’Eurocamera che allargare i confini ad altri Stati è “un’opportunità”

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    Bruxelles si sta preparando per migliorare i collegamenti dei trasporti tra l’Unione Europea e i Balcani Occidentali

    Bruxelles – Unione Europea e Balcani Occidentali sono pronti a stringere sempre più i rapporti, non solo a livello politico ma anche sul piano più cruciale per gli scambi economici, commerciali e culturali: i collegamenti dei trasporti. È per questo motivo che è in programma una nuova revisione del Regolamento che definisce la mappa della rete transeuropea dei trasporti (Ten-T) nei sei Paesi partner – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia – per rafforzare i collegamenti transfrontalieri tra l’Unione Europea e i Balcani Occidentali.
    La rete stradale Ten-t nei Balcani Occidentali
    È quanto emerge dalla bozza dell’atto delegato che prevede “modifiche che contribuiranno a dare una migliore priorità ai progetti infrastrutturali situati sulla Ten-T nella regione” dei Balcani Occidentali, in particolare “migliorando il collegamento ferroviario tra Durazzo e Skopje dalla rete globale alla rete centrale estesa“. I miglioramenti previsti nei trasporti sia “all’interno della regione” sia “tra la regione e gli Stati membri dell’Ue” riguarderanno non solo nuovi collegamenti ferroviari e stradali, ma anche “altri nodi” come aeroporti e porti, con l’obiettivo di “rafforzare la coerenza della Ten-T” prevista dal Regolamento del 2013. La possibilità di adottare atti delegati per “adattare o includere mappe indicative basate su intese di alto livello” tra l’Unione e i Paesi “limitrofi interessati” è prevista dallo stesso Regolamento che compie 10 anni e con i sei partner dei Balcani Occidentali le intese sono state firmate a maggio e giugno di quest’anno. La richiesta da parte dei partner più vicini dell’Unione, nello specifico, è quella di allineare la rete Ten-T con lo sviluppo delle infrastrutture nei singoli Paesi.
    Se l’obiettivo è quello di aggiornare il Regolamento con “lievi modifiche alla rete stradale e ferroviaria”, l’esecutivo comunitario vuole conoscere l’opinione di tutte le parti interessate nei Paesi membri dell’Unione. È per questo che è stata aperta fino al 19 ottobre una consultazione pubblica in vista dell’adozione dell’atto delegato prevista inizialmente per il secondo trimestre del 2023, ma slittata a fine 2023/inizio 2024. La necessità di alcune modifiche è emerso dall’ultimo report Sviluppo di estensioni indicative Ten-T della rete globale e della rete centrale nei Balcani Occidentali, sulla base degli ultimi sviluppi e adeguamenti del 2022. Nella regione la rete transeuropea dei trasporti prevede 36 progetti, di cui la metà in Bosnia ed Erzegovina (oltre a 2 in Albania, 2 in Kosovo, 3 in Macedonia del Nord, 6 in Montenegro e 5 in Serbia) e comprende attualmente 5.336 chilometri di strade Ten-T, di cui 3.573 sulla rete centrale, 3.898 chilometri di ferrovie di cui 2.546 sulla rete centrale, 1.345 chilometri di vie navigabili interne della rete centrale, 3 porti marittimi, 4 porti fluviali e 10 aeroporti.
    La rete ferroviaria Ten-t nei Balcani Occidentali
    Sempre secondo quanto si legge nel report annuale di riferimento della Transport Community, il tasso di conformità della rete stradale principale è passato in un anno dal 44,86% al 46,80%, e sono stati compiuti progressi “significativi” anche nella velocità di progettazione delle linee ferroviarie per il trasporto merci, passata dal 71,99% (nel 2021) al 79,57% (nel 2022) della rete principale. Tuttavia, meno del 14% della rete ferroviaria principale consente velocità superiori a 100 chilometri orari e “la manutenzione insufficiente rimane un problema fondamentale nella regione“, dal momento in cui “la regione ha sempre avuto una propensione per i grandi progetti, trascurando sistematicamente la manutenzione ordinaria”. Anche se “le prospettive per il 2027 sembrano ancora incoraggianti”, l’elenco degli interventi prioritari “non si è ancora stabilizzato” e sono necessari più sforzi attraverso il Piano economico e di investimento (nessun progetto-faro è passato da “maturo” a “in corso” nel 2022). Destano “preoccupazione” progetti prioritari come il collegamento stradale Sarajevo-Podgorica (tra Bosnia e Montenegro), la ‘Peace Highway’ Niš-Merdare (Serbia) e la circonvallazione di Budva (Montenegro), dal momento in cui “la maggior parte delle date previste” per la chiusura dei lavori “non sono più valide”.

    Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

    La Commissione Ue sta raccogliendo commenti in vista dell’aggiornamento del Regolamento del 2013 che definisce la mappa della rete Ten-T nei sei Paesi partner. Previste nuove connessioni ferroviarie e stradali, aeroporti e porti per dare “migliore priorità” ai progetti transfrontalieri

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    Bruxelles sfida Pechino, von der Leyen avvia l’indagine anti-sussidi sulle auto elettriche cinesi

    Bruxelles – L’aveva annunciata Ursula von der Leyen nel suo Discorso sullo stato dell’Unione a metà settembre, ora è una realtà. La Commissione europea ha avviato formalmente oggi (4 ottobre) l’indagine antisovvenzioni sui veicoli elettrici a batteria provenienti dalla Cina, e si dice pronta a prendere misure compensative se sarà necessario.
    L’indagine – annuncia Bruxelles in una nota – è stata avviata di iniziativa della stessa Commissione (senza quindi che ci fosse qualche denuncia da parte di aziende europee) e “determinerà innanzitutto se le catene del valore” dei veicoli elettrici a batteria in Cina beneficiano “di sovvenzioni illegali e se tali sovvenzioni causano o minacciano di causare un danno economico ai produttori europei”, si legge nella nota. Se Bruxelles dovesse riscontrare che i fatti sussistono, l’indagine “esaminerà le probabili conseguenze e l’impatto delle misure su importatori, utenti e consumatori di veicoli elettrici a batteria nell’Ue”, spiega ancora.
    Sulla base dei risultati dell’indagine, la Commissione stabilirà se sia nell’interesse dell’Ue “porre rimedio agli effetti delle pratiche commerciali sleali accertate” imponendo dazi antisovvenzioni sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina. L’indagine si concluderà entro un massimo di 13 mesi dall’avvio, ma se “giuridicamente giustificato” eventuali dazi provvisori potranno essere imposti da Bruxelles già entro 9 mesi dall’apertura dell’indagine, mentre eventuali misure definitive possono essere istituite fino a 4 mesi dopo o entro 13 mesi dall’apertura dell’inchiesta. L’Unione europea è convinta che Pechino stia inondando i mercati globali con auto elettriche a basso prezzo. E il loro prezzo è tenuto artificialmente basso da enormi sussidi di stato. Questo, a detta di Bruxelles, rischia di distorcere i mercati.
    Valdis Dombrovskis
    “Il settore dei veicoli elettrici racchiude un enorme potenziale per la futura competitività dell’Europa e per la leadership industriale verde. I produttori automobilistici dell’Ue e i settori correlati stanno già investendo e innovando per sviluppare appieno questo potenziale”, ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Ovunque troveremo prove che i loro sforzi sono ostacolati da distorsioni del mercato e concorrenza sleale, agiremo con decisione. E lo faremo nel pieno rispetto dei nostri obblighi comunitari e internazionali, perché l’Europa rispetta le regole, all’interno dei suoi confini e a livello globale. Questa indagine antisovvenzioni sarà approfondita, equa e basata sui fatti”, ha assicurato la leader tedesca. A farle eco anche il vicepresidente esecutivo con delega al Commercio, Valdis Dombrovskis, che ricorda come i veicoli elettrici a batteria siano “fondamentali per la transizione verde e per rispettare i nostri impegni internazionali volti a ridurre le emissioni di CO2. Questo è il motivo per cui abbiamo sempre accolto con favore la concorrenza globale in questo settore, che significa più scelta per i consumatori e più innovazione. Ma la concorrenza deve essere leale e le importazioni devono competere alle stesse condizioni della nostra industria”. 

    Si concluderà entro un massimo di 13 mesi dall’avvio, ma se “giuridicamente giustificato” Bruxelles potrà imporre eventuali dazi provvisori entro 9 mesi dall’apertura dell’indagine

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    Ucraina, saldo il sostegno dell’Occidente, ma le armi scarseggiano: “Il fondo del barile è ora visibile”

    Bruxelles – Urge un più stretto coordinamento sugli aiuti all’Ucraina e forti pressioni sulla Russia tramite le sanzioni. È quanto hanno concordato oggi (3 ottobre) la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel in un colloquio telefonico, organizzato da parte statunitense, con i Capi di Stato e di Governo di Stati Uniti, Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Canada, Giappone, Polonia e Romania e il Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg. “I leader hanno confermato l’urgenza di uno stretto coordinamento in merito all’assistenza all’Ucraina in tutte le sue dimensioni in questa ulteriore fase del conflitto e hanno al tempo stesso reiterato la necessità di continuare a mantenere forte pressione sulla Russia tramite un impianto sanzionatorio che si sta rivelando molto efficace”, si legge in una nota di Palazzo Chigi. Sia il presidente degli Stati Uniti Joe Biden sia la presidente del consiglio italiano Giorgia Meloni, durante il colloquio, hanno ribadito il loro sostegno all’Ucraina “finché sarà necessario e con l’obiettivo di raggiungere una pace giusta, duratura e complessiva”.
    L’annuncio è arrivato insieme alla notizia, riportata dal The Guardian, secondo la quale Nato e Regno Unito hanno avverito che le potenze militari occidentali stanno esaurendo le munizioni da dare all’Ucraina per fronteggiare l’invasione russa. I governi e i produttori di armi per la difesa ora devono “aumentare la produzione a un ritmo molto più rapido”, ha annunciato Rob Bauer, il più alto funzionario militare della Nato. “Il fondo del barile è ora visibile“, ha aggiunto, in relazione al fatto che l’Ucraina spara migliaia di proiettili al giorno. Molti dei quali provengono dalla stessa Nato.

    I leader dei Paesi occidentali confermano le sanzioni alla Russia e il sostegno militare al Paese invaso “con l’obiettivo di raggiugere una pace giusta”

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    L’Ue sfida Putin: Vertice con i Paesi dell’Asia centrale il prossimo anno

    Bruxelles – Dopo Caucaso e Ucraina, l’Asia centrale. La certosina opera di espansione dell’Europa verso est, per rosicchiare quelle zone di mondo storicamente e tradizionalmente più vicine ad altre logiche e visioni, più moscovite e russofone, continua. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, sta pensando di portare a Bruxelles i leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan. “Stiamo cercando di organizzare un vertice dell’Unione europea con l’Asia centrale l’anno prossimo“, riconosce un alto funzionario Ue. Si tratta del “primo vertice di sempre” in questo formato.
    Una sfida alla Russia e al suo ‘zar’ dei tempi contemporanei, Vladimir Putin. Kazakistan e Kirghizistan, Tagikistan sono stati membri dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), l’alleanza militare istituita nel 1992 come riorganizzazione post-sovietica di cui la Russia è capofila. Kazakistan e Kirghizistan fanno anche parte dell’Unione economico euro-asiatica (EAEU), unione doganale e commerciale sempre con capofila la Russia e che vede l’Uzbekistan nella veste di osservatore esterno. Portare attorno al tavolo i leader di questi Paesi vuol dire cercare di scardinare il modello putiniano nella regione o, comunque, avviare una nuova fase nei rapporti con Stati improvvisamente meno lontani.
    Politicamente la guerra lanciata da Mosca contro l’Ucraina ha indebolito l’immagine di Putin. Il contestuale cambio di potere in Kazakistan, con l’attuale presidente Kassym-Jomart Kemeluly Tokayev meno assertivo nei confronti del Cremlino, offre all’Ue l’opportunità di provare ad accrescere la propria presenza nella regione. Vero è, ammette lo stesso alto funzionario europeo, che l’idea di un summit Ue-Asia centrale è stata presa “basandosi sul successo” degli incontri con lo stesso Tokayev, l’ultimo dei quali a Berlino la settimana scorsa, e “sulla partecipazione del presidente Michel agli incontri con tutti i leader dell’Asia centrale”. Perché Michel è molto attivo su questo fronte, e non è un caso.
    Si intravede una strategia, che va nella direzione di eliminare ciò che ancora rimane di un vecchio ordine mondiale basato su due blocchi. Il ragionamento che si fa sull’Armenia lo dimostra. Anche l’Armenia è membro CSTO e EAEU. Ma l’offensiva dell’Azerbaijan in Nagorno-Karabakh offre un’opportunità. L’Ue può poco per soddisfare le rivendicazioni armene su un territorio mai riconosciuto come armeno, ma può offrire prospettive europee.
    In occasione della riunione della Comunità politica europea in programma a Granada il 5 ottobre “dobbiamo essere in ‘modalità ascolto’ per capire cosa meglio fare per sostenere Armenia”, spiegano fonti Ue. Il governo di Yerevan, lasciato solo per l’occasione dal partner russo, “potrebbe anche dover decidere cosa fare a lungo termine con la sua adesione alla CSTO e cosa fare a lungo termine con la sua adesione all’unione doganale eurasiatica”. Si guarda alle scelte dell’Armenia, pronti a offrire una nuova sponda consapevoli di un’intesa russo-azera disegnata per circumnavigare le sanzioni Ue contro la Russia.
    Il blocco a dodici stelle ha tagliato gli acquisti di gas russo e aumentato la domanda di quello dell’Azerebaijan, che per soddisfare il proprio fabbisogno interno si rifornisce da Gazprom al fine di compensare l’aumento di vendite all’Europa. In sostanza, alla fine è Baku a finanziare il regime russo con i soldi presi dall’Europa per il gas venduto proprio all’Europa. Uno dei motivi che ha spinto Mosca a non intervenire nella contesa tutta caucasica.
    L’Ue è consapevole che le sanzioni non stanno dando un’efficacia al 100 per cento. Un meccanismo anti-elusione è stato inserito nell’11esimo pacchetto proprio per questo. Michel vorrebbe che i Paesi dell’Asia centrale si allineassero alla politica Ue in materia di restrizioni contro il Cremlino. Ha già iniziato a porre la questione certamente continuerà. Magari nel vertice che verrà. Per ora ci si lavora, per gradi. Con l’obiettivo di ridefinire i rapporti di forza in Asia centrale.
    Questa idea di un summit Ue-Asia centrale si va ad aggiungere all’espansione che il blocco occidentale tutto, incluso quello europeo, ha già visto con l’adesione di Svezia e Finlandia nella Nato. C’è dunque un pressione euro-atlantica che cresce verso est. L’iniziativa di un ‘allargamento’ Ue verso i Paesi dell’Asia centrale tradizionalmente partner della Russia non fa che accrescere quel senso di accerchiamento denunciato da Putin già dal 2007 , in occasione della conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco.

    L’idea a cui lavora il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Si cerca di scardinare l’alleanza economica e militare regionale della Russia

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    I ministri degli Esteri dei 27 nella capitale dell’Ucraina in guerra. Borrell: “L’impegno più forte è la futura adesione all’Ue”

    Bruxelles – Una data storica. La prima volta di un Consiglio Affari Esteri dell’Ue fuori dai confini comunitari, la prima volta in un Paese candidato, la prima volta in uno Stato in guerra. Da Kiev, i ministri dei 27 e l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, riaffermano “l’unità” dei Paesi membri nel supporto all’Ucraina.
    Sul tavolo del vertice informale il sostegno militare promesso a Kiev per i prossimi 4 anni – 5 miliardi all’anno attraverso l’European Peace Facility -, l’impegno per una pace giusta secondo le dieci condizioni della formula del presidente Volodymyr Zelensky e il processo di adesione dell’Ucraina al blocco dei 27. Quest’ultimo punto, ha dichiarato in conferenza stampa Borrell, “è l’impegno più forte in termini di sicurezza che possiamo dare all’Ucraina”.
    Per poter entrare a far parte dell’Ue a tempo di record – il presidente ucraino ha evidenziato la necessità di iniziare i negoziati sull’adesione entro quest’anno – Kiev deve soddisfare i criteri di adesione e realizzare le sette priorità indicate da Bruxelles. Priorità che spaziano dalla riforma del sistema giudiziario e della legislazione dei media, dalla lotta alla corruzione al potere degli oligarchi e al rispetto dei diritti delle minoranze. “È troppo presto per dire se tutti e 7 i criteri sono stati soddisfatti, da parte nostra saremo pronti quando l’Ucraina sarà pronta”, ha commentato il commissario Ue per l’Allargamento, Olivér Várhelyi.
    Josep Borrell e Volodymyr Zelensky
    Sul sostegno allo resistenza militare ucraina, il punto sottolineato dal capo della diplomazia europea è che non si tratta di fare qualcosa di nuovo, ma di “fare di più e più velocemente” quello che l’Unione europea sta già facendo. Borrell ha già proposto una sezione dello European Peace Facility dedicata a Kiev, con cui l’Ue metterebbe sul piatto 5 miliardi all’anno per quattro anni, e ha indicato l’obiettivo di “addestrare 40 mila soldati nei prossimi mesi, incluso l’addestramento speciale per i piloti di aerei da combattimento”. Oltre alla fornitura di armi e munizioni e all’addestramento dell’esercito ucraino, Zelensky e Borrell hanno insistito sull’aumento della “capacità produttiva congiunta dell’industria della difesa“.
    Borrell si augura in più di finalizzare entro l’anno l’accordo tra i 27 sulla revisione del quadro finanziario pluriennale, che prevederebbe la mobilitazione di 50 miliardi di euro per l’Ucraina in sette anni. Ma un accordo all’unanimità non sarà facile, visto l’ostruzionismo a oltranza dell’Ungheria. E la fresca elezione del filo-russo Robert Fico in Slovacchia.
    Bilaterale tra Zelensky E Tajani: l’Italia ricostruirà la cattedrale di Odessa
    La priorità che appare ancora lontana all’orizzonte è quella della pace: per Zelensky “occorre coinvolgere il maggior numero possibile di leader e Stati” nell’attuazione della formula di pace in dieci punti, che il presidente ucraino ha presentato ormai un anno fa al G20 in Indonesia. “Abbiamo preso nota che la formula di Zelensky è l’unica discussa nei vertici internazionali – ha sottolineato Borrell – ed è quindi l’unica valida”. Anche il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha ribadito il suo endorsement alla formula di Pace in 10 punti e in un bilaterale con il presidente ucraino ha assicurato che Roma “continuerà a lavorare per dialogare con partner e interlocutori globali, inclusa la Cina, per la sua attuazione”.
    Nell’incontro con Zelensky, il ministro ha promesso che l’Ucraina e la sua ricostruzione avranno la massima priorità durante la Presidenza italiana del G7, nel 2024. Tajani ha dichiarato che “è stato raggiunto un accordo per la ricostruzione della cattedrale di Odessa“, spiegando che “l’Italia darà i migliori architetti per la ricostruzione di questa cattedrale. A margine del bilaterale, Zelensky ha insignito Tajani dell’onorificenza dell’Ordine di Jaroslav il Saggio, un riconoscimento che viene conferito per i servizi resi allo Stato e al popolo ucraino.

    Al vertice informale di Kiev Zelensky ha indicato tre priorità per l’Ucraina: l’aumento di produzione bellica congiunta, l’impegno per l’attuazione della formula di pace in dieci punti e il via ai negoziati per l’adesione di Kiev all’Ue entro quest’anno. Tajani: “l’Ucraina al centro della presidenza italiana del G7”

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    La Moldova è nuovo membro del Meccanismo di protezione civile Ue: “Siederà allo stesso tavolo degli altri 36 membri”

    Bruxelles – Tre nuovi membri in nemmeno un anno. Con l’aumento dell’incidenza e della portata dei disastri naturali, il Meccanismo di protezione civile Ue si sta dimostrando lo strumento più efficace per la preparazione e la risposta solidale a incendi, terremoti, alluvioni e altre crisi (comprese quelle umanitarie) non solo sul territorio dei 27 Stati membri dell’Unione Europea ma anche oltre i suoi confini. È così che – dopo Albania e Ucraina – anche la Moldova è diventato un nuovo membro del Meccanismo di protezione civile Ue, grazie alla firma dell’accordo di adesione questa mattina (29 settembre) a Chișinău, portando il totale degli aderenti a 37.
    Da sinistra: il ministro degli Interni della Moldova, Adrian Efros, e il commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, a Chișinău (29 settembre 2023)
    “In futuro, quando vorrà offrire assistenza a chi ne ha bisogno, sarà facilita e co-finanziata dal Meccanismo, ho speranza di un ruolo attivo della Moldova e aspetto aiuti concreti e partecipazione dei soccorritori”, ha sottolineato con forza il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, presenziando alla cerimonia di adesione. Dopo l’entrata in vigore provvisoria dell’intesa, la Moldova diventerà un membro effettivo del Meccanismo di protezione civile Ue dal primo gennaio 2024, quando “siederà allo stesso tavolo con uguali diritti e obblighi degli altri 36 membri”. In altre parole – utilizzando quelle del commissario Lenarčič – “parteciperà alle discussioni per definire il futuro e le politiche nell’area della protezione civile“.
    Come ricordato dal responsabile per la Gestione delle crisi nel gabinetto von der Leyen, la Moldova “ha già beneficiato del Meccanismo in passato”, come per esempio “con la situazione a cui è stata esposta dopo l’invasione russa dell’Ucraina”. La richiesta di assistenza è stata necessaria sia per far fronte all’arrivo massiccio di profughi ucraini, sia sul piano energetico: “Tutti gli ospedali ora sono energeticamente indipendenti con generatori di piccole o medie dimensioni” inviati da 20 partecipanti del Meccanismo di protezione civile Ue. Tuttavia, “diventare un membro è molto di più”, dal momento in cui “sarà in grado di fornire supporto, coordinazione e fondi in ogni situazione in cui deciderà di intervenire per chi ne ha bisogno“. Anche in questo caso Chișinău dimostra già esperienza “molto recente”, come dimostrato dall’invio di “assistenza alla Turchia dopo il terribile terremoto di quest’anno e all’Ucraina dopo la distruzione della diga di Kakhovka”.
    Cos’è il Meccanismo di protezione civile Ue
    Istituito nel 2001 dalla Commissione, il Meccanismo di protezione civile Ue è il mezzo attraverso cui i 27 Paesi membri e altri 10 Stati partecipanti (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Islanda, Macedonia del Nord, Montenegro, Norvegia, Serbia, Turchia, Ucraina e da oggi Moldova) possono rafforzare la cooperazione per la prevenzione, la preparazione e la risposta ai disastri, in particolare quelli naturali. Una o più autorità nazionali possono richiedere l’attivazione del Meccanismo quando un’emergenza supera le capacità di risposta dei singoli Paesi colpiti. La Commissione coordina la risposta di solidarietà degli altri partecipanti con un unico punto di contatto, contribuendo almeno a tre quarti dei costi operativi degli interventi di ricerca e soccorso e di lotta agli incendi. In questo modo vengono messe in comune le migliori competenze delle squadre di soccorritori e si evita la duplicazione degli sforzi.
    Sempre parte del Meccanismo di protezione civile Ue è il pool europeo di protezione civile, formato da risorse pre-impegnate dagli Stati aderenti, che possono essere dispiegate immediatamente all’occorrenza. Il centro di coordinamento della risposta alle emergenze è il cuore operativo ed è attivo tutti i giorni 24 ore su 24. A questo si aggiunge la riserva rescEu, la flotta di aerei ed elicotteri antincendio (oltre a ospedali da campo e stock di articoli medici per le emergenze sanitarie) per potenziare le componenti della gestione del rischio di catastrofi. Per l’estate 2023 è stato messo a punto un piano di emergenza che prevede il raddoppio della flotta della riserva rescEu a 28 tra aerei ed elicotteri antincendio (rispettivamente 24 e 4) provenienti da dieci Paesi – Croazia, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Italia, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna e Svezia.

    Con la firma del documento a Chișinău alla presenza del commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, il Paese diventerà dal primo gennaio 2024 il 37esimo Stato partecipante al sistema di prevenzione e riposta del rischio di catastrofi dei Ventisette e dei 10 partner

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    In nome dell’energia l’Ue “potrebbe minare gli obiettivi di promuovere la democrazia e i diritti umani”

    Bruxelles – Energia e risorse energetiche o valori e democrazia? Più di una semplice domanda. Per l’Unione europea è un bivio. Le une non sempre possono andare con le altre. Perché se il presidente russo Vladimir Putin, ormai vecchio rivenditore di gas e petrolio, e scaricato in quanto aggressore e criminale di guerra, i nuovi acquirenti a cui l’Ue si rivolge per sopperire a risorse che non ha e che deve trovare altrove non sembrano essere così migliori. Il rischio, neanche troppo velato, è che volutamente o meno l’Ue sacrifichi la sua battaglia per i valori in nome dell’economia.
    In uno degli ultimi documenti prodotti dal centro studi e ricerche del Parlamento europeo, si mette in luce proprio questo dilemma. Con il riposizionamento sul mercato globale dell’energia e l’Ue che acquista da altri produttori, “nei Paesi terzi le entrate aggiuntive possono ridurre la volontà degli elettori di chiedere conto ai propri governi, favorendo la corruzione e il clientelismo”. Di conseguenza “il risultato potrebbe essere quello di consolidare il potere di regimi autoritari con situazioni contrastanti in materia di diritti umani e politici, minando gli obiettivi dell’Ue di promuovere la democrazia e difendere i diritti umani”, e tradendo una certa visione di Europa, quella di David Sassoli.
    Si fa la lista di Paesi terzi con cui l’Ue ha già avviato e sottoscritto accordi di cooperazione economica, intesa all’acquisto e alla fornitura di energia. Arabia Saudita, Qatar, Azerbaijan, Algeria. Non proprio Paesi e sistemi presi a modello democratico. Ben venga dunque l’accordo con la Norvegia per i rifornimenti di gas, che può far dormire sonni certamente più tranquilli ad un’Europa in difficoltà sia sul fronte energetico sia per quanto riguarda l’aspetto valoriale.
    Che si tratti di gas naturale o liquefatto (Gnl), chiedere il prodotto e fare pressioni politiche per riforme interne a Stati indipendenti e sovrani risulta poco pratico e poco praticabile. L’Ue dunque, nel guardare alle necessità più urgenti, non potrà fare a meno di dare priorità a queste. Che non sono i valori.
    Nel 2020, ricorda il documento, la Russia è stata il principale fornitore dell’Ue di gas naturale (tasso di dipendenza dalle importazioni dell’83,6 per cento, dipendenza dell’Ue dalla Russia 41,1 per cento), petrolio greggio (dipendenza dalle importazioni 96,2 per cento, dipendenza dalla Russia 25,7 per cento) e carbon fossile (dipendenza dalle importazioni 10,5 per cento, dipendenza dalla Russia 52,7 per cento).
    C’è dunque un mercato energetico che l’Ue non può permettersi di non trascurare. Il prezzo da pagare, oltre il bene richiesto, forse troppe volte è finanziare i regimi che tradiscono i valori europei.

    Uno studio dell’Europarlamento mette in luce un aspetto controverso della nuova politica a dodici stelle: “Nei Paesi terzi le entrate aggiuntive possono consolidare il potere di regimi autoritari”