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    Alla vigilia del vertice di Bruxelles tra Vučić e Kurti, l’Ue condanna la “retorica incendiaria” tra Serbia e Kosovo

    Bruxelles – I presupposti vanno tutti nella direzione di un vertice tanto atteso quanto delicato e difficilmente risolutivo. A due giorni dal nuovo incontro tra il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, nel quadro del dialogo facilitato dall’Ue, il clima rimane teso e da Bruxelles arrivano richiami alla collaborazione e alla distensione dei rapporti, che hanno conosciuto nuove tensioni nelle ultime settimane.
    “A breve saranno pubblicati i dettagli sui temi da affrontare al vertice di alto livello di giovedì 18 agosto, ma saranno discusse tutte le questioni più importanti“, ha confermato la portavoce della Commissione Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea. “Non voglio speculare sui possibili risultati, per noi rimane importante che entrambe le parti mettano fine alle ostilità e alla retorica incendiaria e mostrino piena responsabilità” nell’affrontare il sesto vertice di alto livello, ha poi precisato la portavoce. Il riferimento è alle dichiarazioni degli scorsi giorni di entrambi i leader balcanici sulla situazione nel nord del Kosovo, dove da inizio mese è tornata di attualità la questione delle targhe automobilistiche al passaggio della frontiera. I disordini – mai fuori controllo, nonostante alcuni incidenti tra le forze dell’ordine di Pristina e i cittadini kosovari di etnia serba – sono stati definiti “a un passo dalla catastrofe” dal presidente serbo Vučić, mente il premier kosovaro Kurti ha utilizzato una serie di interviste (anche a Repubblica) per mettere in guardia da una potenziale guerra serba fomentata dalla Russia di Putin.
    L’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, al vertice di Bruxelles del 15 giugno 2021
    L’avvertimento di non seguire la strada della retorica “incendiaria” era già arrivato domenica (14 agosto) in una nota del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), preoccupato per le dichiarazioni sulla guerra e sul conflitto nei Balcani Occidentali: “I politici di alto livello delle due parti saranno ritenuti responsabili di qualsiasi escalation che porti a un aumento delle tensioni e, potenzialmente, della violenza nella regione”. Un richiamo esplicito al presidente della Serbia e al premier del Kosovo, richiamati alla “responsabilità” e al confronto costruttivo all’interno del dialogo facilitato dall’Ue: “Il raggiungimento di un accordo globale e giuridicamente vincolante sulla piena normalizzazione delle relazioni richiede un clima che contribuisca a ripristinare la fiducia, la riconciliazione e le buone relazioni”, è la posizione di Bruxelles, che continua a insistere sul rispetto e la “piena attuazione” degli accordi già raggiunti, come quello in ambito energetico del 21 giugno scorso e l’intesa del 2013 (che Pristina ancora si rifiuta di attuare sul punto dell’Associazione delle municipalità serbe in Kosovo).
    Nel suo richiamo alle due parti l’Ue è forte anche dello “stretto coordinamento” con gli Stati Uniti e con la Nato, attraverso la collaborazione tra la missione civile Eulex e i 3.700 soldati della Kosovo Force (Kfor), la forza militare internazionale per l’ordine e la pace in Kosovo. È anche per questo motivo che, prima del vertice di giovedì presieduto da Josep Borrell, alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Vučić e Kurti incontreranno domani (mercoledì 17 agosto) il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg. Dopo le notizie delle barricate e dei disordini al confine tra Serbia e Kosovo dello scorso 31 luglio, proprio la missione Nato in Kosovo aveva rilasciato un comunicato in cui avvertiva di essere “pronta a intervenire se la stabilità viene messa a repentaglio” nella regione e a prendere tutte le misure necessarie per mantenere un ambiente sicuro e protetto in Kosovo in ogni momento, in linea con il suo mandato Onu”.

    Sul tavolo dell’incontro di alto livello con il presidente serbo e il premier kosovaro ci saranno “tutti i temi più importanti ancora aperti” tra Belgrado e Pristina. L’Ue si aspetta “piena responsabilità e la fine alle ostilità da entrambe le parti”, in particolare sulla questione delle targhe

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    La centrale nucleare di Zaporizhzhia al centro della guerra in Ucraina. Si cerca accordo per missione di esperti sicurezza

    Bruxelles – Rimane alta la tensione sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia, occupata dall’esercito russo da inizio marzo e nuovamente al centro del conflitto dopo l’intensificarsi della controffensiva di Kiev nel sud-est del Paese invaso dal Cremlino. Mentre i due fronti si scambiano accuse sulla responsabilità dell’aggravarsi dello stato di sicurezza dell’impianto, i leader internazionali chiedono con sempre più insistenza di mettere fine agli atti di ostilità nelle vicinanze della centrale nucleare e in particolare a Mosca di astenersi dall’utilizzare la struttura come base militare da cui partire attacchi al territorio dell’Ucraina.
    Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres
    “Sono molto preoccupato per l’evolversi della situazione all’interno e intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia”, ha commentato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, esortando le forze armate di Kiev e Mosca a “cessare immediatamente tutte le attività militari nelle immediate vicinanze dell’impianto e di non prendere di mira le sue strutture o i dintorni”. Guterres si è appellato al “buon senso e ragionevolezza” di tutti i responsabili in conflitto per “non intraprendere azioni che possano mettere in pericolo l’integrità fisica, la sicurezza o la protezione dell’impianto nucleare”. Tuttavia, “invece di un’attenuazione, negli ultimi giorni sono stati segnalati altri incidenti molto preoccupanti che, se dovessero continuare, potrebbero portare a un disastro”, ha avvertito il segretario generale dell’Onu. In serata è prevista a New York una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla questione, dopo la richiesta arrivata da Mosca. “È necessario un accordo urgente a livello tecnico su un perimetro sicuro di smilitarizzazione per garantire la sicurezza dell’area”, ha spiegato Guterres, che ha ricordato anche la necessità di “fornire alla missione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica un accesso immediato, sicuro e senza ostacoli al sito“.
    Le stesse richieste sono arrivate ieri (mercoledì 10 agosto) dai ministri degli Esteri del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti) e dall’alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell. In una nota è stata richiesta la restituzione “immediata” del “pieno controllo” della centrale nucleare di Zaporizhzhia “e di tutti gli impianti nucleari all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell’Ucraina” alle autorità di Kiev. “Il personale ucraino deve essere in grado di svolgere le proprie mansioni senza subire minacce o pressioni”, dal momento in cui “è il continuo controllo della Russia sull’impianto a mettere in pericolo la regione“, hanno attaccato i ministri, ribadendo che “il sequestro delle strutture nucleari ucraine” aumenta “significativamente” il rischio di un incidente nucleare. È per questo motivo che anche per il G7 rimane cruciale la possibilità di organizzare una missione di esperti internazionali “in modo sicuro e senza impedimenti”.
    Dopo le preoccupazioni di Bruxelles espresse dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, domenica scorsa (7 agosto), anche la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, ha condannato “fermamente” i bombardamenti della centrale nucleare di Zaporizhzhia e dei suoi dintorni: “Questo comportamento sconsiderato delle forze militari russe rappresenta un grande pericolo per il funzionamento sicuro della centrale”. I combattimenti hanno causato “danni significativi alle infrastrutture, anche in prossimità dello stoccaggio a secco del combustibile nucleare esaurito“, ha precisato la commissaria Simson e, nonostante le informazioni ottenute dai sistemi di monitoraggio della radioattività da parte dell’Ue e delle organizzazioni internazionali “non indichino alcuna minaccia immediata di radiazioni”, le attività militari sono “pericolose in modo inaccettabile”. Al centro delle accuse di Bruxelles c’è il dispiegamento di personale e armamenti russi presso l’impianto nucleare, che “costituisce un’aperta violazione di tutte le disposizioni in materia di sicurezza, protezione e salvaguardia concordate a livello internazionale”, ha concluso la commissaria per l’Energia, attaccando il Cremlino: “Deve assumersi la piena responsabilità di fronte alla comunità internazionale per le azioni illegali e sconsiderate, anche in materia di sicurezza nucleare”.

    Mentre continuano i combattimenti nella zona dell’impianto nucleare nel sud del Paese, è in programma un Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite richiesto dalla Russia. Il segretario generale Guterres: “Cessare immediatamente tutte le attività militari nelle immediate vicinanze”

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    Estonia e Finlandia vogliono un coordinamento a livello Ue contro il rilascio di visti turistici ai cittadini russi

    Bruxelles – Una stretta su tutta la popolazione della Federazione Russa, non solo sugli oligarchi della cerchia di Putin. Estonia e Finlandia chiedono un ulteriore passo in avanti da parte dell’Unione Europea nel far pagare le conseguenze della guerra in Ucraina ai cittadini russi, tagliando anche il canale dei visti turistici rilasciati dai Paesi membri dell’area Schengen (con un allineamento anche di Bulgaria, Cipro, Croazia, Irlanda e Romania). La proposta è stata suggerita dalle prime ministre dei rispettivi Paesi, l’estone Kaja Kallas e la finlandese Sanna Marin, dopo alcuni episodi di propaganda del Cremlino attraverso cittadini russi in vacanza nell’Unione e l’attacco del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky: “I russi dovrebbero vivere nel loro mondo finché non cambiano filosofia”, ha dichiarato in un’intervista per il Washington Post.
    “Visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano“, è stato l’affondo della premier estone Kallas, spiegando le conseguenze dell’interruzione dei viaggi aerei dalla Russia: “Mentre i Paesi Schengen rilasciano visti, i vicini [Finlandia, Estonia, Lettonia, ndr] ne portano l’onere“. Di qui la necessità di “porre fine ora al turismo dalla Russia”. Un invito già arrivato lunedì (8 agosto) dall’omologa finlandese Marin, che in un’intervista per il programma televisivo Yle Uutiset ha definito “ingiusta” la possibilità per i cittadini russi di “vivere una vita normale, viaggiare in Europa, essere turisti” e ottenere visti dai Paesi membri dell’Ue, mentre Mosca “sta conducendo una guerra di aggressione aggressiva e brutale in Europa”.

    Stop issuing tourist visas to Russians. Visiting #Europe is a privilege, not a human right. Air travel from RU is shut down. It means while Schengen countries issue visas, neighbours to Russia carry the burden (FI, EE, LV – sole access points). Time to end tourism from Russia now
    — Kaja Kallas (@kajakallas) August 9, 2022

    Per i tre Paesi di confine la questione è vissuta in modo diretto, dal momento in cui ogni cittadino russo – non colpito dalle sanzioni internazionali – può attraversare la frontiera se in possesso di un visto da un qualsiasi Paese dell’area Schengen. Il visto Schengen consente a un visitatore di soggiornare per un massimo di 90 giorni per turismo o affari, con la possibilità di viaggiare liberamente all’interno di una zona che comprende 22 Stati membri Ue, oltre a Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein: è in questo modo che i cittadini russi, anche in assenza di collegamenti aerei diretti, possono ancora visitare per turismo la maggior parte dei Paesi dell’Ue. Estonia e Lettonia non rilasciano più visti Schengen a chi ne fa richiesta da Mosca e lo stesso ha deciso di fare la Bulgaria (con i propri visti nazionali) dopo il duro scontro diplomatico con la Russia a fine giugno.
    Ecco perché le due prime ministre stanno spingendo per portare a Bruxelles la questione dei visti turistici ai cittadini russi, alzando l’asticella ben oltre la raccomandazione della Commissione Ue di limitare i visti d’oro. Secondo quanto affermato dalla premier finlandese, il tema della libertà di movimento è già stato discusso in tutti i Consigli Ue dallo scoppio della guerra in Ucraina, ma è oggetto di non poche perplessità, in particolare per la discriminazione a priori di un’intera popolazione (che non necessariamente è allineata alle scelte del suo presidente) e per i rischi di chiudere le porte ai dissidenti ancora sul suolo russo e in cerca di una via d’uscita in futuro. “Ritengo che nelle future riunioni del Consiglio la questione si presenterà con ancora maggiore forza”, ha precisato Marin, anticipando una possibile discussione al Consiglio Affari Esteri informale di fine agosto.
    A Bruxelles intanto si temporeggia, con la Commissione Ue poco intenzionata a sbilanciarsi sul comunicare ulteriori sanzioni contro la Russia. “È importante sapere che i Paesi membri rilasciano i propri visti sulla base di norme nazionali e ci sono sempre casi in cui possono essere rilasciati, come a dissidenti politici, giornalisti e per questioni umanitarie”, ha spiegato la portavoce per gli Affari interni, Anitta Hipper, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea, precisando che “è competenza degli Stati membri decidere cosa fare”. A questo proposito, Estonia e Finlandia stanno già studiando misure da poter attuare autonomamente: per esempio, inasprire le condizioni per l’ottenimento dei visti turistici, dando priorità a quelli lavorativi e per motivi familiari o di studio, e introdurre sanzioni nazionali ad hoc da affiancare a quelle già in vigore a livello Ue.

    Se in possesso di un visto da un qualsiasi Paese Schengen, per un cittadino russo è possibile attraversare la frontiera e viaggiare per 90 giorni nell’Unione. Le prime ministre Kallas e Marin vogliono portare la questione al Consiglio: “Visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano”

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    La Russia lascia Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca senza petrolio

    Bruxelles – La Russia lascia Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca senza petrolio. Transneft, la compagnia responsabile per il trasporto del greggio, ha chiuso i rubinetti per presunte conseguenze delle sanzioni dell’Unione europea. Non sarebbe stato possibile effettuare un pagamento, effettuato il 22 luglio ma rifiutato sei giorni più tardi. Dal 4 agosto dunque niente più trasporto via Ucraina, e Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca a secco. A non funzionare più è l’oleodotto UkrTransNafta, ramo della pipeline Druzhba che passa per l’Ucraina. Le consegne a Polonia e Germania, attraverso un altro ramo dell’oleodotto Druzhba che attraversa la Bielorussia, invece al momento “proseguono normalmente”, fa sapere Transneft.
    Il trasporto di petrolio attraverso l’oleodotto Druzhba è stato sospeso per diversi giorni, ma la raffineria Slovnaft di Bratislava continua a funzionare e a rifornire il mercato, ha dichiarato in un comunicato il portavoce della società slovacca Anton Molnar. “Secondo le nostre informazioni, ci sono stati problemi tecnici a livello bancario relativi al pagamento delle tasse di transito da parte russa”, ha aggiunto.
    C’è il timore che in realtà Mosca stia usando sempre di più l’energia per fare pressione sul blocco dei Ventisette, usando petrolio, gas e risorse come arma di ricatto. Prima dello stop del petrolio, per cui comunque è previsto l’embargo europeo, c’è stata la riduzione delle forniture di gas, se non addirittura lo stop completo. E’ stato il caso di Polonia e Bulgaria, Stati membri verso cui è stato impedito al gas di arrivare a destinazione. Lo stesso è capitato a Danimarca, Paesi Bassi e Finlandia, sempre per questioni legate a pagamenti, non effettuati in rubli.

    Our emergency plan to reduce gas demand across the EU is now in force.
    Several Member States have already taken valuable, voluntary measures towards our target:
    Together, we aim to reduce gas usage by at least 15%.
    Saving energy is vital to Europe’s energy security.#REPowerEU pic.twitter.com/Iy6b0O0g3O
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) August 9, 2022

    A Bruxelles si cerca di minimizzare. “Il nostro piano di emergenza per ridurre la domanda di Gas in tutta l’Ue è ora in vigore”, ha ricordato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Diversi Stati membri hanno già adottato misure preziose e volontarie per raggiungere il nostro obiettivo”, ovvero di “ridurre il consumo di Gas di almeno il 15 per cento”. La numero uno dell’esecutivo comunitario ribadisce che “il risparmio energetico è fondamentale per la sicurezza energetica dell’Europa” nel contesto della risposta alla guerra russa in Ucraina.

    Transneft ha smesso di trasportare il greggio. Il motivo sono problemi nei pagamenti

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    L’UE porta alla coppa del mondo in Qatar la questione LGBTQI

    Bruxelles – Diritti umani, e soprattutto diritti LGBTQI+, l’Unione europea è decisa a fare pressione sul Qatar in vista del campionato del mondo di calcio in programma quest’inverno. La questione “avrà un ruolo di primo piano nel prossimo quarto dialogo UE-Qatar sui diritti umani, che si terrà a settembre“, assicura l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell. Dunque nessuna scusa e nessuno sconto in vista della coppa del mondo, l’Unione europea continua a tenere alta l’attenzione su un tema che nel Paese ospitante trova invece tutt’altra gestione. 
    L’omosessualità in Qatar è illegale e punita in quanto fuorilegge. Human Rights Watch ha fortemente criticato la repressione della comunità LGBTQI+ nell’emirato, così come il modo in cui la FIFA, il massimo organismo sportivo internazionale, sta fin qui gestendo la cosa. Le autorità nazionali hanno già annunciato l’intenzione di confiscare le bandiere arcobaleno “per proteggere” tutti gli altri tifosi. Un messaggio che stride con il concetto di inclusione dello sport.
    L’Unione europea fin qui ha fatto molto per promuovere e riconoscere i diritti omosessuali e transgender. Ma questa posizione, nel caso specifico, riguarda uno Stato terzo. Servirà dunque una diversa linea d’azione. Può certamente svolgere un’opera di ‘moral suasion’, un’attività di convincimento attraverso un dialogo continuo e continuato. E’ proprio l’intenzione di Borrell. “L’UE continuerà a monitorare da vicino la situazione dei diritti umani in Qatar, compresi i diritti e le libertà delle persone della comunità LGBTQI+, in vista della Coppa del Mondo, durante l’evento e dopo la sua chiusura“. Si vuole insistere sui concetti di “tolleranza e inclusione”, che “hanno un ruolo di primo piano” nel vivere civile e che saranno al centro dei colloqui di settembre e oltre.
    E’ al momento il massimo che l’UE può fare per cercare di garantire a tutti, almeno durante lo svolgimento della manifestazione, il giusto trattamento. Il problema semmai è stata la scelta della FIFA, ma qui l’UE preferisce non entrare nel merito.

    L’impegno dell’Alto rappresentante Borrell. “Al centro del quarto dialogo UE-Qatar sui diritti umani, che si terrà a settembre. Ne parleremo anche durante e dopo”

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    L’Ue a difesa dei popoli indigeni contro minacce linguistiche, sfruttamento ambientale e omicidi di attivisti

    Bruxelles – Più di 4 mila lingue minacciate, 358 difensori dei diritti umani uccisi nel 2021, i più colpiti dagli impatti dei cambiamenti climatici e dal degrado ambientale causato da governi e aziende multinazionali. È questo il quadro in cui vivono le oltre 476 milioni di persone appartenenti ai popoli indigeni di tutto il mondo, dai San e i Khoekhoe del Sudafrica agli Aymara della Cordigliera delle Ande, dai Māori della Nuova Zelanda ai Saami del nord Europa, fino agli Inuit della Groenlandia.
    In occasione della Giornata internazionale dei popoli indigeni, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha voluto ribadire con forza la solidarietà e l’impegno dell’Unione ai leader e agli attivisti dei diritti umani di tutto il mondo su più fronti, in linea con Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. In primis quello ambientale e climatico, dal momento in cui questi popoli abitano quasi un quarto della superficie terrestre del mondo e “sono custodi e difensori fondamentali di oltre l’80 per cento della nostra diversità biologica“, ha sottolineato l’alto rappresentante Borrell. Se possiedono “una profonda conoscenza della gestione sostenibile del territorio”, allo stesso tempo “sono tra i più colpiti dai gravi impatti del cambiamento climatico e del degrado ambientale“. Per questo motivo l’agenda internazionale dovrà occuparsi con urgenza di questo tema, rispettando gli impegni sottoscritti alla Cop26 di Glasgow dello scorso anno.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Strettamente legato alla questione della difesa dell’ambiente naturale c’è anche il tema della protezione dei difensori dei diritti umani. L’Ue ha “ripetutamente” lanciato l’allarme sul numero di omicidi nel 2021: almeno 358, di cui “quasi il 60 per cento era costituito da coraggiosi difensori dei diritti della terra, dell’ambiente o delle popolazioni indigene, e più di un quarto erano essi stessi indigeni”. L’alto rappresentante Borrell ha messo in chiaro senza mezzi termini che “ognuno di loro è uno di troppo” e Bruxelles “continuerà a far leva sulle sue politiche, sui dialoghi e sugli strumenti di finanziamento” per sostenere queste popolazioni e “porre fine all’impunità”.
    Impunità che coinvolge anche le imprese multinazionali e i processi decisionali: “L’Ue si impegna a promuovere la partecipazione dei leader e dei difensori dei diritti umani indigeni ai processi di sviluppo e ai principali forum globali”, tenendo come perno l’applicazione del “principio della consultazione in buona fede” per ottenere in ogni situazione il loro consenso “libero, preventivo e informato” nelle decisioni che li riguardano. A questo proposito Bruxelles si sta attivando per ottenere “norme più efficaci sulla condotta responsabile delle imprese“, con l’obiettivo di promuovere un comportamento aziendale “sostenibile e responsabile, anche nelle terre indigene”.
    Ultimo punto, ma non per importanza, la protezione dell’identità dei popoli indigeni, “spesso strettamente legata alle loro terre e alle loro lingue”. Entrati nel Decennio internazionale delle lingue indigene (2022-2032) – “sistemi di comunicazione complessi sviluppati nel corso di millenni” – l’Ue pone l’accento sulla necessità di proteggere le oltre 4 mila lingue a rischio di estinzione, “perché molte di esse non vengono insegnate a scuola né utilizzate nella sfera pubblica”, ha avvertito l’alto rappresentante Borrell.

    In occasione della Giornata internazionale dei popoli indigeni, l’alto rappresentante Ue Borrell ha ribadito il sostegno dell’Unione a promuovere la partecipazione dei leader e dei difensori dei diritti umani ai processi di sviluppo e per norme più efficaci sulla condotta delle imprese

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    Medio Oriente, Borrell: “Prevenire un conflitto Israele-Palestina più ampio, bene cessate il fuoco”

    Bruxelles – Israele “ha il diritto di proteggere la sua popolazione civile”, e “l’UE non sta valutando la sospensione dell’accordo di associazione”. La Commissione europea chiarisce una volta di più la sua linea, quella di una soluzione a due Stati, fatta di volontà e dialogo politici, ma fa fatica a condannare apertamente i nuovi scontri in Medio Oriente, dove Israele da giorni conduce raid e attacchi nei territori palestinesi. Azione volta a eliminare i nuovi capi del terrorismo islamico, a cui i palestinesi rispondono con lancio di razzi. Una nuova situazione di conflitto a cui l’UE risponde facendo attenzione a non urtare il partner israeliano.
    “E’ necessario fare tutto il possibile per prevenire un conflitto più ampio”, la priorità dell’Unione europea, come espresso dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, che invoca “la massima moderazione da tutte le parti per evitare un’ulteriore escalation”. In Medio Oriente l‘Unione europea “segue con grande preoccupazione gli ultimi sviluppi a Gaza e dintorni”. Una situazione che richiama “la necessità di ripristinare un orizzonte politico e garantire una situazione sostenibile a Gaza“.
    In tal senso il cessate il fuoco raggiunto è una buona notizia. “Ora è fondamentale lavorare per consolidarlo”, commenta Borrell. Sottolinea come questa tregua riguarda “Israele e la jihad islamica palestinese“, a riprova delle posizioni assunte a Bruxelles. L’UE condanna il condannabile, ma resta fedele allo Stato ebraico. Hamas è stata inserita nella lista dell’Unione delle organizzazione terroristiche, e sarebbe difficile immaginare passi indietro in tal senso.
    L’Ue in sostanza invita a deporre le armi e sedersi attorno a un tavolo. Offre una posizione di mediatore, ma non intende scaricare Israele. Borrell critica l’operato delle forze di sicurezza israeliane per quanto accaduto alla giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh, uccisa in circostanza da accertare e oggetto di scontri nel giorno dei suoi funerali. Nella stessa risposta all’interrogazione parlamentare, Borrell assicura che non si intende porre fine all’accordo di associazione, anche perché al decisione va presa dal Consiglio, ma su proposta della Commissione. Proposta che non al momento non si ha intenzione di produrre.

    Di fronte alle operazioni militari israeliane l’Alto rappresentate ricorda che lo Stato ebraico “ha il diritto di difendersi”, e invoca “un orizzonte politico e sostenibile a Gaza”

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    Suona l’allarme a Bruxelles per i bombardamenti vicini alla centrale nucleare di Zaporizhzia, occupata dall’esercito russo

    Bruxelles – Dopo cinque mesi ritorna la paura per incidenti nucleari in Europa. Era il 4 marzo quando l’esercito russo attaccava la centrale nucleare di Zaporizhzhia, scatenando un incendio negli edifici secondari della struttura, e con l’intensificarsi delle operazioni militari nel sud-est dell’Ucraina nelle ultime settimane, l’impianto è tornato pericolosamente al centro del conflitto.
    “Le notizie di bombardamenti sono allarmanti, la sua sicurezza è fonte di massima preoccupazione”, ha scritto in un tweet il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, commentando la discussione sulla situazione nella centrale nucleare più grande d’Europa durante la telefonata di ieri (domenica 7 agosto) con il numero uno ucraino, Volodymyr Zelensky. Lo stesso presidente ucraino ha chiesto una risposta “più forte” da parte della comunità internazionale al “terrore nucleare russo”, ovvero “sanzioni sull’industria e sul combustibile nucleare” del Cremlino, in linea con quanto ventilato nel corso dell’ultima riunione dei ministri dell’Energia del G7. Tra gli altri temi al centro della conversazione tra Bruxelles e Kiev anche l’avvio dell’esportazione di grano via mare, il pacchetto di assistenza macrofinanziaria e “tutti gli aspetti del sostegno politico, militare, economico, finanziario e umanitario dell’Ue all’Ucraina”, ha reso noto il presidente Michel.

    In today’s call @ZelenskyyUa informed me on the the latest developments on the ground.
    Discussed also the situation at the Zaporizhzia nuclear power plant, Europe’s largest; reports of shelling are alarming; its safety is of the highest concern. (1/2)
    — Charles Michel (@CharlesMichel) August 7, 2022

    Ma è sempre la questione della centrale nucleare di Zaporizhzhia a destare le maggiori preoccupazioni sul fronte di guerra meridionale in Ucraina. Kiev e Mosca si rimbalzano le responsabilità della sempre più fragile sicurezza dell’impianto, con il governo ucraino che accusa l’esercito russo di averlo trasformato in una base militare da cui partono attacchi missilistici, mentre la Russia punta il dito contro le forze ucraine, denunciando attacchi con droni alla struttura. Secondo il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, la situazione sarebbe “completamente fuori controllo”, dal momento in cui “tutti i principi di sicurezza nucleare sono stati violati in un modo o nell’altro“.
    Alla luce di queste parole un team di esperti della stessa Agenzia internazionale per l’energia atomica ha condotto delle valutazioni preliminari sulla centrale nucleare ucraina, definendo “stabile” lo scenario dal punto di vista della sicurezza e confermando che “non c’è una minaccia immediata”. Tuttavia, secondo quanto si legge nei risultati preliminari della valutazione resi noti su Twitter, “diversi dei sette pilastri sono stati violati”. È per questo motivo che da più parti si alzano voci per garantire l’accesso all’impianto di Zaporizhzhia per gli ispettori internazionali. Dopo la richiesta arrivata dallo stesso direttore generale Grossi, è stato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, a esortare i due belligeranti a collaborare per garantire la sicurezza dell’impianto: “Qualsiasi attacco a una centrale nucleare è un suicidio“, ha dichiarato dopo aver partecipato alla cerimonia di commemorazione della pace di Hiroshima per il 77esimo anniversario del primo bombardamento atomico al mondo.
    Zaporizhzhia è la più grande delle quattro centrali nucleari attive in Ucraina e produce un quinto di tutta l’elettricità necessaria al Paese, con sei reattori – di cui due attualmente attivi – che a pieno regime possono erogare una potenza totale di 5.700 megawatt. L’impianto si trova sul fiume Dnepr (a circa 550 chilometri dalla capitale) e dall’inizio dell’occupazione da parte dell’esercito russo a marzo i lavoratori ucraini della centrale convivono con le truppe occupanti. Secondo il governo di Kiev l’obiettivo del Cremlino sarebbe quello di staccare la centrale dalla rete elettrica ucraina, in modo da fornire energia solo ai territori controllati dall’esercito russo nella parte orientale e meridionale del Paese. Sempre secondo le informazioni ucraine, in questi cinque mesi gli occupanti avrebbero minato la sponda del fiume Dnepr e trasformato alcune parti delle centrale in una base militare, portando al suo interno mezzi blindati, artiglieria e lanciarazzi: da lì sarebbero partiti anche attacchi al territorio dell’Ucraina. Nella controffensiva dell’esercito di Kiev nei territori occupati da Mosca la centrale di Zaporizhzhia potrebbe ora svolgere un ruolo cruciale per la difesa russa, anche a costo di mettere in conto rischi di incidenti o disastri nucleari.

    In una telefonata con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, ha espresso “massima preoccupazione” per la sicurezza dell’impianto. Kiev chiede alla comunità internazionale sanzioni su industria e combustibile nucleare del Cremlino