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    Ucraina-Cina, colloquio tra i ministri Kuleba e Wang: “Non siamo indifferenti”

    Bruxelles – “La Cina non ha un approccio indifferente rispetto alla questione ucraina”. La posizione di Pechino sulla guerra è stata ribadita il 4 aprile nella telefonata tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e l’omologo ucraino Dmytro Kuleba, la seconda dallo scoppio della guerra. La parola “pace” ricorre per ben sette volte nel comunicato stampa riportato dal ministero degli Esteri cinese, insieme all’invito, continuo, a procedere con i negoziati, “per quanto grandi le difficoltà e numerose le divergenze”.
    “Il mantenimento della pace e l’essere contrari ai conflitti sono parte della tradizione culturale della storia cinese”, ha sottolineato Wang, “e appartengono da sempre alla nostra politica estera”. Nessuna parola di condanna però verso la Russia, come già durante il vertice di venerdì scorso tra Unione Europea e Cina. “La guerra finirà a un certo punto”, ha incalzato il ministro degli Esteri, quasi in un monito, aggiungendo che sarà “cruciale” imparare da questo momento di crisi “per difendere la sicurezza duratura dell’Europa”. “La Cina ritiene che si debba, in conformità con il principio di sicurezza indivisibile e attraverso un dialogo equo, stabilire realmente un meccanismo di sicurezza europea equilibrato, valido e sostenibile”, continua il comunicato. Lo stesso principio era stato invocato anche dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov già lo scorso febbraio.
    Il termine “principio di sicurezza indivisibile” compare per la prima volta nell’Atto finale di Helsinki (1975), lo storico documento che ha messo nero su bianco una serie di principi fondamentali riconosciuti dal blocco della Nato e da quello sovietico. È da qui che in ambito di quella che diventerà l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) nasce la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE, dal 1994 OSCE). Un’idea che torna nella Carta di Parigi per una Nuova Europa (OSCE, 1990), secondo cui “la sicurezza è indivisibile e la sicurezza di ogni Stato partecipante è inseparabilmente connessa a quella di tutti gli altri”. Mentre nel Documento di Istanbul (1999), viene ulteriormente articolata in “uno spazio di sicurezza comune e indivisibile, promuovendo un’area OSCE priva di linee divisorie e zone con diversi livelli di sicurezza”. Nello stesso Documento di Istanbul, si stabilisce che “gli Stati non rafforzeranno la propria sicurezza a scapito della sicurezza di altri Stati”: cosa che, secondo l’interpretazione unilaterale di Mosca, un ulteriore allargamento a est della Nato comporterebbe per la Russia.
    Kuleba in un Tweet nel quale non mostra particolare soddisfazione per il colloquio, ha spiegato che nella telefonata è stato ribadito che la fine della guerra “soddisfa i comuni interessi di pace, della sicurezza alimentare e del commercio internazionale.”

    Had a call with State Councilor and Foreign Minister Wang Yi. Grateful to my Chinese counterpart for solidarity with civilian victims. We both share the conviction that ending the war against Ukraine serves common interests of peace, global food security, and international trade.
    — Dmytro Kuleba (@DmytroKuleba) April 4, 2022

    Wang Yi ha espresso solidarietà verso i civili ucraini e ringraziato il governo di Kiev e tutti coloro che hanno contribuito finora all’evacuazione dei cittadini dal Paese, chiedendo anche che si continui a garantire la sicurezza dei cinesi ancora presenti sul territorio.

    Pechino però continua a non sbilanciarsi sull’attacco russo

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    Metsola vuole una risposta dura dall’UE ai crimini di guerra russi in Ucraina: “Embargo energetico e sanzioni forti”

    Strasburgo, dall’inviato – Di tolleranza verso il Cremlino ne era rimasta poca, ma i fatti di Bucha e Irpin’ l’hanno spezzata via completamente. “Le atrocità commesse dall’esercito della Russia sono orribili, disonorevoli e vergognose, ma la realtà è che queste immagini sono le stesse di altre città dell’Ucraina”, ha denunciato con forza la presidente del Parlamento UE, Roberta Metsola, aprendo la sessione plenaria dell’Eurocamera di ritorno dal viaggio a Kiev. “Questi sono crimini di guerra perpetrati da criminali di guerra e non possono rimanere senza risposta”, ha aggiunto Metsola, invitando i Ventisette ad “accelerare una politica di dipendenza zero dal Cremlino“.
    La presidente del Parlamento UE, Roberta Metsola, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (primo aprile 2022)
    In sostanza, la presidente Metsola ha chiesto di “sganciare l’Europa dalle forniture energetiche russe” e nello specifico di “attuare embarghi vincolanti” al gas e al petrolio che arriva dal territorio della Russia, smettendo così di finanziare “indirettamente” le bombe sull’Ucraina. Si spiega così l’invito agli eurodeputati di tutti gli schieramenti politici di stimolare i rispettivi governi nazionali ad allinearsi a una politica di sanzioni che coinvolga anche il settore energetico: “Dobbiamo intensificare la nostra strategia per rendere questa invasione illegale l’errore più costoso che il Cremlino abbia mai fatto”, ha incalzato Metsola, mettendo in chiaro che “il colpo all’economia della Russia deve essere proporzionato alle atrocità senza precedenti a cui stiamo assistendo”. Con un messaggio rivolto a tutte le imprese UE: “Devono cercare altrove la crescita, e noi le sosterremo nel farlo“.
    Spiegando la sua decisione di recarsi in visita di persona a Kiev lo scorso fine settimana, la presidente del Parlamento UE ha riconosciuto la “difficoltà” del viaggio, ma ha anche sottolineato che “portare il nostro messaggio e mostrare che siamo al loro fianco in questi tempi bui” è stato “significativo per coloro che combattono”. Metsola ha ricordato che “gli ucraini stanno combattendo per i nostri valori, nelle condizioni più impossibili” e il dovere dell’Unione è “sostenerli concretamente”. Questo significa, in primis, l’adozione “immediata” di un nuovo pacchetto di sanzioni forti, che chiudano “tutte le scappatoie ancora esistenti”. In secondo luogo, “offrire più sostegno all’Ucraina a livello logistico, umanitario e di attrezzature militari di cui hanno disperatamente bisogno”, ha aggiunto la presidente Metsola, prima di chiedere a tutta la plenaria un minuto di silenzio in memoria dei civili uccisi a Bucha e Irpin’ e per “tutte le vittime della guerra, del terrore e della violenza” causata dall’esercito russo nei territori occupati.

    Di ritorno dal suo viaggio a Kiev, la numero uno del Parlamento Europeo ha aperto la sessione plenaria con l’invito a rispondere alle atrocità compiute dal Cremlino a Bucha e nei territori occupati: “Serve una politica di zero dipendenza da Mosca, per non finanziare le bombe russe”

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    Il governo tedesco assume il controllo della filiale di Gazprom

    Bruxelles – Il governo tedesco ha preso il controllo di Gazprom Germania, attraverso l’Autorità di regolamentazione tedesca per garantire la sicurezza energetica. Lo ha annunciato il ministro dell’Economia Robert Habeck, dopo che la casa madre russa ha “abbandonato” la sua filiale.
    Tutti i diritti di voto nella società saranno trasferiti all’autorità di regolamentazione, la Bundesnetzagentur, ha detto Habeck in una conferenza stampa.
    “L’ordine dell’amministrazione fiduciaria serve a proteggere la sicurezza e l’ordine pubblico e a mantenere la sicurezza dell’approvvigionamento”, ha affermato Habeck. “Questo passaggio è obbligatorio”.
    La Bundesnetzagentur assumerà il controllo fino al 30 settembre 2022. Avrà il diritto di rimuovere dirigenti, assumere nuovo personale e indicare alla direzione come procedere.
    “Il nostro obiettivo sarà gestire la Gazprom Germania nell’interesse della Germania e dell’Europa”, ha dichiarato Klaus Mueller, capo della Bundesnetzagentur.
    Gazprom non ha fornito dettagli o spiegazioni sulla sua decisione di cessare la sua partecipazione in Gazprom Germania e tutte le sue attività, che includono filiali in Gran Bretagna, Svizzera e Repubblica Ceca.

    Dopo che la casa-madre russa aveva deciso di abbandonare la sua partecipazione nella succursale

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    I crimini di Bucha aumentano le pressioni sull’Europa per l’embargo di petrolio e gas dalla Russia

    Bruxelles – Nuove sanzioni alla Russia per la guerra in Ucraina, senza escludere la fine delle importazioni di idrocarburi in arrivo da Mosca. Sono le immagini delle violenze subite dalla popolazione civile di Bucha, cittadina ucraina a qualche decina di chilometri di Kiev, dalle truppe di Putin in ritirata nel fine settimana a far crescere le pressioni sui governi europei per sanzionare le importazioni energetiche in arrivo dalla Russia.
    “L’Unione Europea continuerà a sostenere l’Ucraina fermamente e farà avanzare, con urgenza, i lavori su ulteriori sanzioni contro la Russia”, ha annunciato durante il consueto briefing di mezzogiorno della Commissione il portavoce per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza Peter Stano. L’intento è di “incrementare l’isolamento della Russia a livello internazionale”, ha continuato il portavoce, pur non specificando la natura delle prossime sanzioni. L’Alto rappresentante Joseph Borrell ha anche condannato le violenze riportate dalle forze di occupazione russe: “I colpevoli di crimini di guerra e altre violazioni, così come gli ufficiali governativi e leader militari coinvolti, verranno ritenuti responsabili”. 
    Una decisione che l’Unione Europea ha cercato di rimandare fino a quanto ha potuto, vista la dipendenza del continente per il 40 per cento dal gas, per circa il 27 per cento dal petrolio e dal 46 per cento di carbone importati da Mosca. La strategia adottata da Bruxelles è quella di diversificare le proprie forniture di idrocarburi (di gas) e spingere sull’energia pulita e rinnovabile, ma entrambe sono soluzioni che non consentono di ridurre la dipendenza dalla Russia dall’oggi al domani. La condanna unanime e l’indignazione internazionale per quelli che molti leader europei hanno denunciato come “crimini di guerra” perpetrati dalle truppe di Putin, dovrebbero infine portarli a invertire la rotta.
    Per settimane, da quando l’invasione dell’Ucraina è iniziata lo scorso 24 febbraio, sull’embargo all’energia è pesato il veto di Paesi come la Germania in primis ma anche dell’Ungheria e la Slovacchia, che hanno portato l’UE a colpire fino a questo momento solo le tecnologie di raffinazione del petrolio che Mosca importa da Bruxelles e a lasciare la banca statale Gazprombank, controllata dell’omonoma compagnia energetica di bandiera, attaccata al sistema delle banche internazionali Swift. L’ipotesi di un quinto pacchetto di sanzioni è sul tavolo di Bruxelles da settimane, anche se mai è stato tanto vicino lo sblocco dell’impasse sulla questione energia. Almeno per quanto riguarda il petrolio.
    Ad aprire in questi termini è stata nel fine settimana la stessa Germania, il cui ministro della difesa Christine Lambrecht ha dichiarato domenica che l’Unione europea deve necessariamente discutere di vietare l’importazione di gas russo, per non lasciare impuniti i crimini dell’esercito di Putin. La Germania è tra i Paesi in Europa più dipendenti dal gas russo, fino a questo momento anche quello più restio alle richieste di imporre un embargo sulle importazioni di energia dalla Russia. Berlino ha avviato un piano di emergenza per ridurre progressivamente le forniture in arrivo, ma chiudere del tutto i rubinetti del gas russo è un’altra questione. All’interno della stessa coalizione di governo si continua a rimanere su posizioni distanti, il ministro dell’Economia Robert Habeck ha ripetuto che la Germania sta progressivamente riducendo la sua dipendenza dall’energia russa ma è da escludere una interruzione nell’immediato. Il presidente francese Emmanuel Macron nel condannare le atrocità commesse ai danni di civili ha impegnato Parigi e l’Unione Europea a discutere “nei prossimi giorni” di nuove sanzioni, e trovare una posizione comune almeno sul carbone e sul petrolio.
    Anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio non ha escluso “che nelle prossime ore possa esserci un dibattito sulla questione delle importazioni di idrocarburi dalla Russia “. Il collega dell’Agricoltura Stefano Patuanelli in un’intervista a La Stampa afferma che un embargo totale del gas russo “è percorribile, perché entriamo in una stagione in cui viene usato meno gas e perché stiamo affrontando bene la diversificazione dei nostri approvvigionamenti”. L’Italia si dice pronta a sostenere un quinto pacchetto di sanzioni concordato a livello europeo, mentre il presidente della Lituania Gitanas Nausėda già venerdì ha fatto sapere che dal primo aprile ha smesso di importare gas naturale russo: la Lituania nel 2015 ha ricevuto il 100% del suo gas naturale dalla Russia e oltre il 60% proveniva ancora dai produttori di energia russi nel 2020. “Se possiamo farlo noi, possono farlo anche gli altri”, ha incalzato Nauseda in un tweet. Il premier di Polonia Mateusz Morawiecki ha esortato gli altri capi di Stato e governo a tenere un nuovo Vertice straordinario, invitandoli “ad agire con decisione e ad attuare azioni che alla fine spezzeranno la macchina da guerra di Putin, confischeranno i beni della Federazione Russa e gli oligarchi depositati nelle banche d’Europa e di rompere questa politica aggressiva di Putin”. Il riferimento, sebbene non esplicito, è a porre fine alle importazioni energetiche, con cui indirettamente l’UE finanzia la guerra di Russia. È probabile che il tema arrivi in discussione lunedì e martedì alla riunione dei ministri europei dell’Eurogruppo e dell’Economia e finanza (ECOFIN) riuniti a Lussemburgo per discutere anche dell’impatto della guerra sull’economia europea.

    Berlino apre a nuove sanzioni contro i crimini di guerra di Putin in Ucraina e a lavorare in modo coordinato con gli altri leader UE per lo stop all’import di gas e petrolio russi. Un quinto pacchetto di misure restrittive sul tavolo di Bruxelles

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    Il vento nazionalista soffia ancora in Ungheria e Serbia: Orbán e Vučić stravincono le elezioni (tra le polemiche)

    Strasburgo, dall’inviato – Dentro e appena fuori i confini dell’UE, là dove l’Unione sta spingendo il processo di allargamento, non si è placato il vento dei populismi di destra, i più vicini alla Russia di Vladimir Putin. L’intensa domenica di elezioni (3 aprile) in Ungheria e Serbia ha sancito il trionfo rispettivamente del premier Viktor Orbán e del presidente Aleksandar Vučić, i due leader che stanno costruendo una forte alleanza nazionalista sull’asse Budapest-Belgrado, non completamente allineata alla politica di Bruxelles nei confronti della Russia. Due tornate elettorali particolarmente intense alla vigilia – per le aspettative di un cambiamento al vertice dei due Paesi – ma anche dopo la chiusura dei seggi, a causa delle grosse polemiche sul processo di voto e delle rivendicazioni di vittoria delle elezioni, sia in Ungheria sia in Serbia.
    Qui Budapest
    Niente da fare per l’opposizione unita guidata da Péter Márki-Zay. Nonostante il testa a testa previsto alla vigilia del voto, il partito Fidesz del premier Orbán ha conquistato il 53,13 per cento dei voti alle elezioni parlamentari, migliorando di quattro punti percentuali il risultato di quattro anni fa e assicurandosi nuovamente la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea nazionale (135 seggi su 199). Con il 98,96 per cento delle schede scrutinate, la commissione elettorale ungherese ha confermato il nuovo trionfo dell’uomo forte di Budapest, che ora riceverà il quarto mandato consecutivo per formare l’esecutivo (al potere ininterrottamente dal 29 maggio 2010).
    Alta l’affluenza, al 69,54 per cento – in leggera flessione rispetto alle elezioni del 2018 (70,22) – che però non ha premiato l’opposizione formata dai sei partiti guidati dall’economista conservatore Márki-Zay (socialisti, verdi, liberali, progressisti e conservatori): nel sistema elettorale che assegna 106 seggi ai collegi uninominali, la coalizione ne ha conquistati 56, fermandosi al 35,04 per cento dei voti. A superare la soglia di sbarramento al 5 per cento anche i nazionalisti di estrema destra del Movimento Nostra Patria (6,17 punti percentuali, per 7 deputati), più il seggio garantito alla minoranza tedesca.

    Hungary, national parliament election:
    With 99% counted, the right-wing Fidesz/KDNP (NI|EPP) alliance of Prime Minister Viktor Orbán wins a 2/3-parliamentary majority for the 3rd time in a row.
    The right-wing extremist Mi Hazánk (~NI) enters parliament for the 1st time. #Ungarn pic.twitter.com/kRkvIvJWyz
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    “Abbiamo ottenuto una vittoria così grande che può essere vista anche dalla luna, e sicuramente da Bruxelles”, ha esultato il premier Orbán, polemizzando contro “la più grande forza che ha provato a schiacciarci” prima del voto: “Contro il globalismo, contro i burocrati di Bruxelles, contro Soros, contro i media mainstream europei e anche contro il presidente ucraino”, Volodymyr Zelensky, in riferimento ai rimproveri rivoltigli durante l’ultimo Consiglio Europeo. La prima dichiarazione populista del premier ungherese è servita e porta con sé una nota sinistra sui rapporti con Kiev e soprattutto con Putin, tradizionale alleato di Orbán. Dopo aver tenuto un profilo basso nell’ultimo mese di campagna elettorale, che è coinciso con l’inizio della campagna militare russa in Ucraina, ora da Budapest potrebbero arrivare picconate all’unanimità sempre raggiunta tra i leader UE sulle sanzioni e sulla lotta senza quartiere a Mosca. “Fidesz rappresenta una forza conservatrice patriottica e cristiana, è il futuro dell’Europa. Prima l’Ungheria!”, ha concluso il suo messaggio post-voto Orbán, facendo capire con quale spirito tornerà ad approcciarsi a Bruxelles.
    Il premier ungherese ha però taciuto la sconfitta personale arrivata dal referendum sulla legge anti-LGBT+, che si è tenuto sempre ieri contemporaneamente alle elezioni parlamentari. Solo il 44,46 per cento degli elettori ha espresso un voto valido, non raggiungendo il quorum richiesto per avallare la proposta legislativa del governo. Un’altra criticità ha riguardato lo svolgimento del processo elettorale, reso opaco dalle modifiche alla legge elettorale, dalle regole di registrazione degli indirizzi, dai problemi di trasparenza dei finanziamenti della campagna e dall’influenza del partito al potere sui media. Riconoscendo la sconfitta “in questo sistema”, il candidato premier dell’opposizione Márki-Zay ha ribadito che “è la propaganda ad aver vinto queste elezioni, non l’onestà, abbiamo fatto tutto quello che potevamo”.

    Hungary: national referendum today:
    “Do you support the teaching of sexual orientation to minors in public education institutions without parental consent?”
    Vote among all eligible voters
    No: 41%Yes: 3%
    Threshold to meet: 50%+ of eligible voters voting either ‘yes’ or ‘no’ pic.twitter.com/7P2F20ABIk
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 4, 2022

    Qui Belgrado
    Contemporaneamente alle elezioni in Ungheria, anche per la Serbia il 3 aprile 2022 segna una data-chiave per la riaffermazione delle forze nazionaliste legate alla Russia di Putin. Con il 90 per cento delle schede scrutinate, il presidente Vučić è proiettato alla seconda vittoria consecutiva al primo turno delle presidenziali, con il 59,55 per cento dei voti, mentre il principale candidato dell’opposizione unita, Zdravko Ponoš, si ferma al 17. Per quanto riguarda le elezioni parlamentari, il Partito Progressista Serbo di Vučić si attesta al 43,45 per cento dei voti, assicurandosi 122 deputati sui 250 dell’Assemblea nazionale: lontano il cartello di opposizione Serbia Unita, con 13 punti percentuali e 36 seggi. Sembrano tramontare anche le possibilità per l’opposizione di strappare dalle mani dei nazionalisti la capitale Belgrado: il candidato dell’SNS, Aleksandar Šapić, si sta affermando con quasi il 40 per cento delle preferenze, mentre quelli dell’opposizione Serbia Unita, Vladeta Janković, e del movimento della sinistra ecologista Moramo, Dobrica Veselinović, rispettivamente al 20 e al 10 per cento.
    Nel mezzo di un processo elettorale su cui si attende il giudizio degli osservatori internazionali anche del Parlamento Europeo per le sospette irregolarità di voto e le violenze contro i candidati dell’opposizione al Partito Progressista Serbo fuori da alcuni seggi, l’UE guarda con preoccupazione alle dichiarazioni del presidente Vučić, che ieri sera si è attribuito la vittoria dalla sede dell’SNS. “Quello che è importante per europei, russi e americani è che proseguiremo nella nostra politica di neutralità“, ha affermato, confermando che Belgrado manterrà buoni rapporti con la Russia e, implicitamente, non aderirà alle sanzioni occidentali. “Dobbiamo vedere cosa fare sul petrolio e ci saranno colloqui sul gas” russo, ha aggiunto Vučić, ribadendo con forza che “questa crisi ha scosso economie molto più forti della nostra, ma noi siamo completamente stabili”.

    Serbia (Presidential Election), 88.7% parallel count:
    Vučić (SNS+-EPP): 59% (+4)Ponoš (US-S&D): 18% (+2)Jovanović (NADA-*): 6% (+1)…
    Source: CeSID / Ipsos
    +/- vs. 2017 election result
    ➤ https://t.co/eWnraQ39P8#Izbori2022 #Srbija #Serbia #SerbiaElections pic.twitter.com/IXba6uQHet
    — Europe Elects (@EuropeElects) April 3, 2022

    I due più stretti alleati di Putin in Europa, il premier ungherese e il presidente serbo, sono stati riconfermati con un’ampia maggioranza dai rispettivi elettorati. Contestazioni sul processo elettorale e sullo svolgimento del voto, oltre alle provocazioni rivolte all’UE

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    I Paesi UE cercano una risposta coordinata alle minacce di Putin sul gas

    Bruxelles – Unità. È quella che cercano Stati membri e Commissione Europea per rispondere alle pressioni della Russia sul gas, dopo la decisione di giovedì del presidente Vladimir Putin di obbligare tutti i “Paesi ostili” a Mosca (quindi, tutti i Paesi occidentali) a pagare le forniture di gas nella valuta locale. Non facendoli pagare direttamente in rubli quanto obbligando la banca di stato Gazprombank a convertire i pagamenti in euro o in dollari.
    La reazione dell’UE è stata compatta nel condannare l’ultimatum del Cremlino, ma ancora non è chiaro come e in che termini i governi si adegueranno alle condizioni poste da Putin. La Commissione sta lavorando per coordinare una posizione comune europea a quello che considera un bluff da parte di Putin, tanto che già venerdì il Cremlino ha fatto sapere che non ha intenzione di interrompere immediatamente le esportazioni di gas in Europa. L’Unione europea dipende dal gas russo per il 40 per cento del suo mix energetico totale, ma questo rende l’Europa anche il principale acquirente del gas di Mosca che quindi avrebbe non poche ripercussioni economiche tagliando completamente le esportazioni.
    “Lavoriamo a stretto contatto con gli Stati membri e gli operatori” dell’energia per definire un “approccio comune sui pagamenti in valuta per i contratti di gas con la Russia”, ha riferito venerdì Ditte Juul Jorgensen, direttore generale della DG Energia della Commissione Europea, anticipando le informazioni su un confronto tra governi e operatori di settore sulla questione, anche se l’Esecutivo europeo non ha voluto fornire ulteriori dettagli.

    Our unity is our strength 🇪🇺Working closely with Member States and operators. EU coordination today to establish a common approach on currency payments for gas contracts with Russia @Energy4Europe
    — Ditte Juul Jorgensen (@JorgensenJuul) April 1, 2022

    I Paesi del G7, compresa l’Unione Europea, hanno respinto ormai una settimana fa la possibilità di pagare in rubli il gas, appellandosi principalmente al fatto che i contratti in essere con la compagnia energetica russa Gazprom prevedono espressamente il pagamento delle forniture in euro o in dollari. A Bruxelles si discute piuttosto di come prepararsi a dover tagliare le forniture, come è in discussione anche un quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia con l’ipotesi sempre presente di introdurre un divieto sulle importazioni di energia russa, su cui i governi sono molto divisi.

    Da quando l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Mosca è iniziata lo scorso 24 febbraio, i governi europei stanno mettendo a punto dei piani di emergenza in caso di interruzione completa delle forniture da parte di Mosca, volontaria o forzata. Il “come” farlo è stato lasciato completamente nelle mani dei governi, sotto la supervisione di Bruxelles, tra l’idea di prolungare l’impiego del carbone o delle centrali nucleari per aggirare il ruolo del gas naturale nella transizione verso le rinnovabili, per ridurne l’impiego e quindi la dipendenza da terzi. Ogni Stato membro ha un mix energetico diverso, c’è chi come l’Italia e la Germania usa più gas di altri, e quindi anche l’impatto in caso di tagli alle forniture da parte di Mosca sarebbe sostanzialmente diverso. Proprio Berlino, tra i Paesi più dipendenti dal gas russo, ha fatto sapere di aver già attivato un piano di emergenza con l’idea di arrivare a un razionamento del gas se le forniture dovessero diventare scarse.

    Confronto a Bruxelles tra Commissione, Stati e operatori dell’energia sulla richiesta del presidente russo di far pagare in rubli il gas all’Europa, attraverso un meccanismo di conversione attraverso la banca di stato. Si cerca un approccio comune, mentre i governi si preparano in caso di tagli alle forniture

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    Ucraina, Papa vede Duda in Vaticano: profughi al centro. Il presidente lo invita in Polonia

    Città del Vaticano – Non si placano le violenze in Ucraina e, con gli orrori, l’emorragia di profughi costretti ad abbandonare le loro case. Secondo l’Unhcr sono già due milioni le persone che hanno lasciato l’Ucraina, la maggior parte trova rifugio nella vicina Polonia. Mentre Varsavia è alle prese con l’emergenza, il presidente Andrzej Duda vola a Roma per incontrare Papa Francesco. Più volte la Santa Sede si è proposta di mediare nella crisi.
    Al colloquio a porte chiuse, durato 35 minuti,  è seguito un faccia a faccia tra il presidente polacco e il cardinale Segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, e il ‘ministro degli Esteri’ del Vaticano, monsignor Paul Gallagher. Conflitto, sicurezza e pace in Europa il focus, con un riferimento particolare alla situazione dei rifugiati, filtra dalle mura Leonine.  Delle sue preoccupazioni Bergoglio ha parlato anche con il presidente della Conferenza episcopale polacca, monsignor Stanislaw Gadecki, ricevuto il 29 marzo. Al centro, hanno fatto sapere i vescovi, “l’impegno della Chiesa a fronte della crisi umanitaria”.
    Tra i doni del Papa per Duda oggi ce ne è uno che torna frequentemente: il medaglione di San Martino. Secondo la tradizione, durante un temporale il santo donò una metà del suo mantello a un mendicante seminudo e l’altra metà a un secondo indigente incontrato poco dopo. ‘Icona dell’impegno verso i bisognosi’, recita la nota di accompagnamento.  Con il medaglione, Francesco regala anche i documenti del suo Pontificato (le encicliche, le esortazioni apostoliche, l’ultimo messaggio per la Pace, la dichiarazione sulla fratellanza umana, il libro sulla Statio Orbis del 27 marzo 2020).  Il presidente polacco ricambia con un dipinto raffigurante il cardinale Stefan Wyszynski, un album fotografico degli eventi del primo anno dell’attuale mandato della Presidenza e una collana di cd con opere del musicista polacco Fryederyk Chopin.
    La Polonia, che ha aperto le porte ai rifugiati, è tornata più volte nei ringraziamenti del Papa, dall’inizio del conflitto. Duda lo ringrazia, invita Bergoglio a visitare di nuovo il Paese, in queste settimane, gli racconta dei colloqui avuti con il presidente ucraino, Volodomyr Zelensky. “Abbiamo quasi due milioni di cittadini ucraini, questa sarebbe una occasione di incontro con due nazioni, quella polacca e quella ucraina”, spiega poi in un briefing, senza spingersi a fornire altri dettagli.  Ma a chi gli chiede conto della richiesta di tanti attori di trovare una soluzione onorevole per il presidente russo Vladimir Putin,  Duda risponde senza indugi: “Non c’è onore per la gente senza onore”.

    Francesco riceve in Vaticano il presidente polacco: confronto sul dramma del conflitto in Ucraina

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    La presidente del Parlamento UE Roberta Metsola è in viaggio per Kiev

    Bruxelles – Cinque parole e una fotografia, che hanno un valore pesantissimo sul piano diplomatico. On my way to Kiev, “sulla strada per Kiev“. La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, ha annunciato così – con un tweet in inglese e ucraino alle ore 22.33 di giovedì 31 marzo – la sua partenza per la capitale dell’Ucraina, sotto bombardamento russo dal 24 febbraio.
    Nessun dettaglio né indiscrezione sul viaggio di Metsola in Ucraina era trapelato prima del tweet, per questioni di sicurezza. La numero uno dell’Eurocamera era presente mercoledì (30 marzo) a Bruxelles per la cerimonia d’inaugurazione del ritratto di David Sassoli nella galleria degli ex-presisdenti del Parlamento Europeo, mentre lunedì prossimo (4 aprile) è prevista la sua presenza a Strasburgo per presiedere la sessione plenaria in programma fino a giovedì (7 aprile), come confermano a Eunews fonti del Parlamento UE.

    On my way to Kyiv 🇺🇦
    На шляху до Києва 🇺🇦 #StandWithUkraine pic.twitter.com/8fz43BkapJ
    — Roberta Metsola (@EP_President) March 31, 2022

    Metsola è la prima alta carica UE a fare visita nell’Ucraina invasa e bombardata dall’esercito di occupazione russo, mentre i presidenti di Commissione, Ursula von der Leyen, e Consiglio Europeo, Charles Michel, non si sono ancora esposti sulla possibilità di incontrare il presidente Volodymyr Zelensky ‘in trasferta’ a Kiev per portare un messaggio di sostegno e solidarietà diplomaticamente incisivo nei confronti del Cremlino. A intraprendere lo stesso viaggio erano stati lo scorso 15 marzo i primi ministri di Slovenia, Janez Janša, Polonia, Mateusz Morawiecki, e Repubblica Ceca, Petr Fiala, che si erano presentati a Kiev come “rappresentanti del Consiglio Europeo” (ma senza “alcun mandato” da parte dei leader UE, avevano smentito fonti europee).
    Il viaggio in territorio ucraino e la presenza a Kiev della leader del Parlamento Europeo comporta senza dubbio dei rischi sul piano della sicurezza personale, nonostante sia anche nell’interesse di Mosca assicurarsi che non sia violata la sua incolumità. La decisione di Metsola si inserisce in linea con la richiesta avanzata da diversi eurodeputati (in particolare socialdemocratici) di una delegazione europea a Kiev per mediare un negoziato tra Russia e Ucraina attraverso il dialogo, la diplomazia e la presenza fisica dei leader UE nel territorio assediato, per tentare di far tacere le armi. La speranza è che l’esempio della presidente Metsola venga raccolto anche da altre altre cariche dell’Unione e dei Ventisette.

    I capi dei governi e delle istituzioni europee in #Ucraina per sostenere un popolo aggredito e per chiedere l’apertura di un vero negoziato.Continuo a dirlo, continuo a scriverlo. Un gesto straordinario in un momento terribile.
    — Pierfrancesco Majorino (@pfmajorino) March 16, 2022

    La numero uno dell’Eurocamera è la prima alta carica UE a recarsi in Ucraina da quando è iniziata l’invasione russa (dopo il viaggio dei premier polacco, sloveno e ceco). Lo ha annunciato con un breve tweet in inglese e ucraino: “Sulla strada per Kiev”