More stories

  • in

    I fondi UE per la Palestina saranno erogati “rapidamente”. L’annuncio di von der Leyen sblocca lo stallo di oltre 6 mesi

    Bruxelles – Si sbloccano i fondi 2021 dell’UE per la Palestina, circa 215 milioni di euro che saranno erogati “rapidamente” dopo il via libera della Commissione. Ad annunciarlo nel corso della sua visita di ieri (martedì 14 giugno) a Ramallah è stata la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, felicitandosi che dopo oltre sei mesi sono state superate “tutte le difficoltà” all’interno del suo gabinetto. “Abbiamo chiarito che l’erogazione avverrà”, ha dichiarato durante una conferenza stampa congiunta con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, la prima del viaggio di due giorni di von der Leyen, che l’ha portata anche in Egitto e Israele per stringere i rapporti in materia di sicurezza energetica e alimentare.
    “È importante avere questi finanziamenti per sostenere la popolazione, soprattutto quella più vulnerabile, perché contribuiscono a creare le condizioni per opportunità economiche“, ha sottolineato la presidente della Commissione UE, a poche ore dalla luce verde arrivata da Bruxelles. Le ha fatto eco l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che ha ribadito l’importanza di questo passo compiuto a sostegno del popolo palestinese, “dopo l’enorme approvazione della nuova proposta da parte degli Stati membri”. L’alto rappresentante Borrell ha posto l’accento sul “trattamento equo” da parte dell’Unione e sul fatto che “il finanziamento non include la condizionalità per l’istruzione, che andrebbe contro i principi” dei Ventisette.

    Good to be in Ramallah to meet PM @DrStayyeh.#TeamEurope is the largest donor of support to the Palestinian people.
    We’ll discuss how to boost economic, social development, including access to clean water, reliable energy supply and food security. https://t.co/NkKJstvMra
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) June 14, 2022

    Il riferimento dell’alto rappresentante UE – e delle “difficoltà” lasciate tra le righe da von der Leyen – riguarda la posizione del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Oliver Várhelyi, che aveva portato allo stallo nell’autunno dello scorso anno. Da giugno del 2021 il commissario ungherese ha portato avanti la linea dura del governo di Budapest, secondo cui sarebbe necessario vincolare i finanziamenti UE alla modifica del contenuto dei libri di testo nelle scuole della Palestina. Secondo l’Ungheria – unico Paese membro tra tutti i Ventisette che sposa la visione di alcuni gruppi integralisti della società israeliana – diversi libri promuoverebbero l’antisemitismo tra i bambini palestinesi, che non godrebbero del “diritto sancito dall’UNESCO a un’istruzione di pace, tolleranza, coesistenza e non-violenza”, aveva attaccato in un tweet lo stesso commissario Várhelyi, motivando il bisogno di condizionare i 215 milioni di euro che Bruxelles avrebbe dovuto erogare a Ramallah nel 2021.
    L’UE è il principale donatore della Palestina e per la Commissione – escluso il commissario ungherese – era considerato cruciale dare un segno del proprio sostegno, proprio nel giorno in cui la presidente von der Leyen aveva in programma la visita a Gerusalemme per negoziare più forniture di gas in risposta alle necessità di approvvigionamento alternativo dalla Russia di Putin. Il via libera è arrivato dopo il parere positivo di 26 Paesi membri UE su 27 alla proposta di eliminare qualsiasi condizione per i finanziamenti comunitari alla Palestina che riguardino l’ambito dell’istruzione. Senza sorprese, l’Ungheria è stata l’unico Stato membro a non allinearsi.

    L’annuncio della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, durante la visita a Ramallah. Si tratta di circa 215 milioni di euro bloccati dal commissario ungherese per la Politica di vicinato, Oliver Várhelyi, nel tentativo di condizionarli al contenuto di alcuni libri di testo

  • in

    Von der Leyen sigla l’intesa con Egitto e Israele per più forniture di gas all’Europa

    Bruxelles – Da Israele all’Europa, passando per l’Egitto. L’Unione Europea ha siglato oggi (15 giugno) un Memorandum d’intesa con cui Egitto e Israele si sono impegnati a incrementare le esportazioni di gas naturale verso il Continente, alle prese con il tentativo di ridurre la sua dipendenza dalle forniture di idrocarburi importati dalla Russia nel contesto della guerra in Ucraina.
    Abdel Fattah El-Sisi, a destra, e Ursula von der Leyen
    Un “grande passo avanti nella fornitura di energia all’Europa, ma anche per l’Egitto nel diventare un hub energetico regionale”, ha rivendicato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa con il presidente egiziano Abdel Fattah-Sisi annunciando l’intesa che Bruxelles cercava da settimane. Il gas israeliano sarà trasportato tramite gasdotto in Egitto, dove sarà liquefatto in GNL e poi trasportato via mare in Europa per essere rigassificato. L’Egitto dispone di due impianti di GNL, uno a est di Alessandria, a Idku, e l’altro nella città portuale di Damietta, che ha una capacità produttiva di 5 milioni di tonnellate all’anno.
    L’accordo quadro è stato siglato al Cairo dalla commissaria per l’Energia, Kadri Simson, insieme al ministro egiziano, Tāreq El Molla, e alla ministra israeliana, Karine Elharrar. Conclude il tour mediorientale di tre giorni della leader dell’Esecutivo comunitario, che l’ha vista impegnata da lunedì prima in Israele e Palestina e poi in Egitto e Giordania nel tentativo di rafforzare la cooperazione con la regione.
    Bruxelles lavorava a questo accordo trilaterale almeno da inizio aprile, nel quadro del suo piano per sbarazzarsi degli idrocarburi in arrivo da Mosca, che rappresentano oltre il 40 per cento delle sue forniture importate per circa 150 miliardi di metri cubi di gas. Per arrivare a liberarsi dalla dipendenza energetica russa, Bruxelles stima che sarà necessario aumentare le sue importazioni di gas da fonti non russe, principalmente gas naturale liquefatto (+50 miliardi di metri cubi), ma anche gas proveniente da gasdotto (+10 bcm) visti i limiti infrastrutturali di molti Paesi membri UE che dispongono di pochi rigassificatori sul proprio territorio.
    Nel memorandum non si parla di volumi precisi di gas che arriveranno in Europa, ma secondo la ministra israeliana si tratta del primo accordo a “consentire esportazioni significative” di gas israeliano verso l’Europa. “Oggi l’Egitto e Israele si impegnano a condividere il nostro gas naturale con l’Europa e ad aiutare con la crisi energetica”, ha commentato Elharrar dopo la firma dell’intesa, definendolo un grande momento per Israele per diventare un grande attore sul mercato globale, approfittando del “vuoto” che la Russia lascia sul mercato.

    Israele, da solo, non può rimpiazzare tutto il gas russo ma secondo l’UE tutti gli Stati del Mediterraneo orientale possono fornire circa 20 miliardi di metri cubi all’anno, la maggior parte dei quali proverrebbe da Israele. L’UE ha già siglato un accordo con gli Stati Uniti per la consegna di almeno 15 miliardi di metri cubi di Gnl nel 2022 e circa 50 miliardi di metri cubi all’anno almeno fino al 2030. Dopo l’intesa con Israele ed Egitto, la commissaria Simson volerà Azerbaijan a luglio, nel contesto del lavoro che l’Unione Europea sta facendo per trovare fornitori di gas alternativi alla Russia.
    Bruxelles rafforza la cooperazione con l’Egitto anche in vista della prossima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, la COP27, che si terrà proprio in Egitto (a Sharm El-Sheikh) dal 7 al 18 novembre 2022. E’ in questa occasione che sarà annunciata una nuova partnership UE-Egitto sull’idrogeno, come anticipato dalla presidente in conferenza stampa. “L’Egitto ha il potenziale per essere un leader nella produzione e nell’esportazione di energia rinnovabile”, ha detto von der Leyen, definendo l’Egitto un partner affidabile dal punto di vista energetico. Con Israele, invece, Bruxelles porta avanti altri due progetti in parallelo, un nuovo gasdotto per trasporto prima di gas (e poi, nei piani di Bruxelles) di idrogeno pulito nel Mediterraneo orientale; un cavo elettrico sottomarino per connettere Israele, Cipro e Grecia che nel tempo sarà elettrificato con energie rinnovabili.

    Il gas israeliano arriverà in Egitto tramite gasdotto, poi sarà liquefatto in Gnl e trasportato via mare in Europa per essere rigassificato. “Un grande passo avanti nella fornitura di energia all’Europa, ma anche per l’Egitto nel diventare un hub energetico regionale”, sostiene la presidente dell’Esecutivo comunitario

  • in

    L’UE investirà 3 miliardi di euro nel Nord Africa contro l’insicurezza alimentare: “Ruolo centrale dell’Egitto”

    Bruxelles – Oltre all’energia, la sicurezza alimentare. Nell’agenda della presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen – in viaggio in Israele e in Egitto per stringere i rapporti con un Memorandum d’intesa trilaterale – rimane centrale il tema dell’accesso al cibo nei Paesi che rischiano di essere colpiti dalle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina, o, come l’ha definita la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario nel corso della conferenza stampa congiunta con il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, la “guerra contro il granaio del mondo”. La risposta sarà un aiuto immediato di 100 milioni di euro all’Egitto, ma anche programmi di agricoltura e nutrizione, acqua e servizi igienico-sanitari nella regione del Nord Africa pari a 3 miliardi di euro “nei prossimi anni”.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, a Il Cairo (15 giugno 2022)
    La decisione parte dalle valutazioni sulle esportazioni di grano dai porti dall’Ucraina, bloccate dall’esercito e dalla marina russa nel Mar Nero. Nel contesto degli sforzi per liberare le 20 milioni di tonnellate di grano “intrappolate” nei depositi ucraini, l’UE sta valutando anche l’impatto sui Paesi partner: “L’80 per cento delle vostre importazioni di grano proviene da Russia e Ucraina, è reale in Egitto la preoccupazione per la sicurezza alimentare e i prezzi del cibo“, ha sottolineato von der Leyen, ribadendo che Bruxelles è “al vostro fianco”. Lo stanziamento di 100 milioni di euro sul breve termine si pone l’obiettivo di “aumentare la capacità di stoccaggio del grano”, ma anche di “fornire finanziamenti per le imprese rurali e gli agricoltori“.
    La strategia però si proietta anche sul lungo termine, per affrontare una situazione che rischia di diventare strutturale. Al Cairo i leader della Commissione e dell’Egitto hanno discusso “intensamente” del potenziamento della produzione alimentare globale, con un impegno diretto dell’Unione nella regione nordafricana. I 3 miliardi di euro che arriveranno per i programmi agricoli andranno a sostenere sia i sistemi alimentari sia gli sviluppi tecnologici, come quelli di precisione, l’intelligenza artificiale e le nuove colture in risposta ai cambiamenti climatici. “Per noi è importante che la produzione di cibo sia migliorata e aumentata, riducendo la dipendenza da altre regioni”, ha sottolineato von der Leyen, riconoscendo “l’interesse comune” di garantire “forniture stabili di cibo di qualità e a prezzi accessibili per tutti”.
    Rivolgendosi ad Al-Sisi, la presidente della Commissione Europea ha messo in chiaro che “l’Egitto sarà al centro di questo grande cambiamento“, ma comunque all’interno di una cornice di risposta globale alla crisi di sicurezza alimentare: “È importante trovare soluzioni eque per tutti e fare attenzione ai più Paesi vulnerabili”. Non è un caso se pochi giorni fa la Banca Mondiale ha annunciato il finanziamento per 150 milioni di dollari delle iniziative dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) contro l’insicurezza alimentare anche in Afghanistan, attraverso programmi di sussistenza alle popolazioni rurali e di aumento della produzione locale dei piccoli agricoltori.

    Lo ha annunciato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, nel corso della conferenza stampa con il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi. Il Cairo riceverà 100 milioni in aiuti immediati per affrontare le conseguenze del blocco delle esportazioni dall’Ucraina

  • in

    Il Regno Unito vuole modificare unilateralmente il Protocollo sull’Irlanda del Nord. L’UE risponde con procedure d’infrazione

    Bruxelles – Una violazione degli obblighi internazionali, una decisione “illegale” che non poggia su “nessuna motivazione accettabile, né giuridica né politica”. Sono passate poco più di 24 ore dalla condanna del vicepresidente della Commissione UE per le Relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, Maroš Šefčovič, a proposito della proposta di legge britannica che modificherebbe unilateralmente il protocollo sull’Irlanda del Nord, e alle ore 11 di mercoledì 15 giugno la decisione è stata presa: Bruxelles ha scongelato una procedura d’infrazione contro il Regno Unito e ne ha attivate altre due.
    Come spiegato dal vicepresidente della Commissione, l’obiettivo della procedura d’infrazione – avviata nel marzo dello scorso anno e sospesa dopo sei mesi per cercare soluzioni comuni – è quello di “ripristinare la conformità del Protocollo in una serie di settori chiave” in cui Londra “non lo ha attuato correttamente”. Si tratta in particolare della questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli UE sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord (che nel contesto post-Brexit sono necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda). Il problema maggiore riguarda le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles. Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte del governo guidato da Boris Johnson aveva scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra luglio e ottobre dello scorso anno: l’esecutivo comunitario aveva prima sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare poi delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati, ma senza mai mettere in discussione l’integrità della parte dell’accordo di recesso tra UE e Regno Unito siglato per garantire l’unità sull’isola d’Irlanda.
    Il vicepresidente della Commissione UE per le Relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, Maroš Šefčovič (15 giugno 2022)
    Dopo mesi alla ricerca di un’intesa mai veramente decollata, il progetto di legge al vaglio del Parlamento britannico che concederebbe a Downing Street 10 il potere di modificare unilateralmente Protocollo sull’Irlanda del Nord ha squarciato il velo del rapporto fragilissimo tra Londra e Bruxelles. “In ottobre abbiamo mostrato una flessibilità senza precedenti, con un’offerta solida che farebbe la differenza sul campo”, ha attaccato il vicepresidente Šefčovič, mostrando alla stampa tre fogli pre-compilati: “Le aziende dovrebbero compilare e firmare solo 3 pagine per ogni spedizione o solo una volta al mese, se ricorrenti. Non 300, ma solo tre”. Una dimostrazione di “come è facile lavorare insieme per semplificare la burocrazia”, che si scontra con “l’inaccettabile volontà del gabinetto britannico di decidere unilateralmente con quali merci entrare nel nostro Mercato Interno”.
    Rimangono intatte le proposte di compromesso dell’ottobre dello scorso anno sulle norme doganali, sanitarie e fitosanitarie, per cui la controparte è stata invitata nuovamente a impegnarsi in un dialogo che è fermo da febbraio. Ma nel frattempo passa la linea dura, che l’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen aveva deciso da mesi di tenere come ultima opzione. La procedura d’infrazione del marzo 2021 è stata scongelata e passa ora alla seconda fase, quella del parere motivato: se Londra non risponderà entro due mesi, la Commissione potrà valutare di deferire il Regno Unito alla Corte di Giustizia dell’UE, così come previsto dall’accordo di recesso.
    Parallelamente, Bruxelles ha inviato altre due lettere di costituzione in mora (il primo passo per per aprire una procedura d’infrazione). La prima per non aver adempiuto agli obblighi previsti dalle norme sanitarie e fitosanitarie dell’UE: “Il Regno Unito non sta effettuando i controlli necessari e non sta garantendo personale e infrastrutture adeguate ai posti di controllo di frontiera in Irlanda del Nord”. La seconda per non aver fornito dati statistici commerciali relativi all’Irlanda del Nord, come previsto dal Protocollo. Il gabinetto Johnson dovrà rispondere entro il 15 agosto, adottando “misure correttive per ripristinare la conformità con i termini del Protocollo”, ha messo in chiaro la Commissione.

    La decisione è stata annunciata dal vicepresidente della Commissione Maroš Šefčovič. Si riapre il dossier avviato nel marzo 2021 (e ne vengono attivate altre due)

  • in

    Da Israele all’Egitto, il tour di von der Leyen per la sicurezza energetica dell’Europa

    Bruxelles – E’ il gas il filo rosso che lega tutte le tappe del tour di Ursula von der Leyen nella regione del Medio Oriente, che vede la presidente della Commissione europea impegnata da ieri (13 giugno) a domani prima in Israele e Palestina, poi in Egitto e Giordania. Alla ricerca di alternative al gas importato dalla Russia, da cui deve ridurre gradualmente le importazioni al più tardi entro il 2027.
    Mosca “usa la nostra dipendenza dai combustibili fossili per ricattarci. Dall’inizio della guerra ha deliberatamente tagliato le forniture di gas a Polonia, Bulgaria, Finlandia, a compagnie olandesi e tedesche come ritorsione per il nostro sostegno all’Ucraina”, ha dichiarato questa mattina von der Leyen nel corso del discorso all’Università Ben Gurion a Negev, in Israele, dove ha ricevuto il dottorato honoris causa. Ha sottolineato che “il comportamento del Cremlino rafforza solo la nostra volontà di porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili russi”. Ed è questo il motivo del suo tour mediorientale, trovare forniture alternative alla Russia.
    L’Unione europea sta esplorando “modi per rafforzare la nostra cooperazione energetica con Israele, abbiamo due grandi progetti in preparazione”, ha confermato la presidente, spiegandoli poi più nel dettaglio. Il primo progetto in lavorazione è “il più grande e lungo cavo (elettrico) sottomarino per connettere Israele, Cipro e Grecia che nel tempo sarà elettrificato con energie rinnovabili, cioè dove gli investimenti devono andare dal momento” che nella regione ci sono “abbondanti risorse per produrre energia pulita”. Il secondo progetto a cui Bruxelles lavora è “un gasdotto per il gas e l’idrogeno pulito nel Mediterraneo orientale”, che sarà “un investimento nella sicurezza energetica sia di Israele che dell’Unione europea”, e secondo l’Esecutivo europeo “ci aiuterà anche a decarbonizzare il nostro mix energetico”.
    Il Memorandum del gas con Israele ed Egitto
    Ursula von der Leyen insieme al primo ministro israeliano, Naftali Bennett
    Ma dal viaggio della leader dell’Esecutivo punta a concretizzare anche altro. Bruxelles ha intenzione di concludere “prima dell’estate” (come si legge nel piano REPower EU’, presentato lo scorso 18 maggio per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili russi) un accordo trilaterale con Egitto e Israele per maggiori forniture di Gnl, gas naturale liquefatto, all’Europa, per svincolare l’UE dalla dipendenza dai combustibili fossili importati dalla Russia. E così è stato confermato da von der Leyen.
    La leader dell’Esecutivo firmerà domani “un Memorandum d’Intesa trilaterale con Israele ed Egitto per maggiori forniture di gas all’Europa”, ha annunciato von der Leyen in un punto stampa a Gerusalemme insieme al primo ministro israeliano Naftali Bennett. Un accordo che “contribuirà a intensificare le consegne di energia in Europa”, ha aggiunto, spiegando che il gas arriverà in Egitto da Israele, tramite un gasdotto – “si spera un giorno un gasdotto pronto per l’idrogeno”, ha sottolineato –, dove sarà liquefatto in GNL e poi portato nell’Unione Europea per essere rigassificato. “Penso che questo sia un progetto molto importante, ma sappiamo che, nel tempo, dovremmo esplorare insieme l’uso delle infrastrutture per le energie rinnovabili. Questa è l’energia del futuro”, ha detto ancora.
    La presidente ha ricordato che l’Unione Europea “era il più grande, il più importante cliente del fornitore russo per petrolio, gas e carbone” ma l’invasione dell’Ucraina “e il tentativo della Russia di ricattarci attraverso l’energia” ha spinto l’UE “a tagliare e liberarci dalla dipendenza dai combustibili fossili russi, e ad allontanarci da Mosca diversificando verso fornitori affidabili”.
    Questo il motivo per cui von der Leyen farà tappa domani anche in Egitto, dove incontrerà il presidente Abdel Fattah Al-Sisi, accompagnata dalla commissione per l’Energia, Kadri Simson, che prenderà parte alla riunione ministeriale dell’East Mediterranean Gas Forum. Proprio Simson in audizione all’Europarlamento ha confermato che la Commissione “sta lavorando il più velocemente possibile per sostituire il gas russo” dal mix energetico europeo, di cui è dipendente per il 40 per cento delle proprie importazioni. A luglio la commissaria sarà poi in Azerbaijan, sempre con l’idea di rafforzare le partnership con fornitori di gas alternativi alla Russia, come anche gli USA, la Norvegia, Qatar, Canada e Algeria. Bruxelles ha già siglato un accordo con gli Stati Uniti per la consegna di almeno 15 miliardi di metri cubi di Gnl nel 2022 e circa 50 miliardi di metri cubi all’anno almeno fino al 2030, mentre Giappone e Corea hanno già reindirizzato una serie di carichi di Gnl verso l’Europa.

    La presidente dell’Esecutivo comunitario impegnata in Medio Oriente annuncia il Memorandum d’intesa con Israele ed Egitto per più forniture di gas all’Unione Europea, nel tentativo di diversificare le forniture e ridurre quelle importate dalla Russia. Mercoledì l’incontro al Cairo con il presidente Abdel Fattah Al-Sisi

  • in

    Il Parlamento UE non demorde sull’integrazione dei Balcani. Ma avverte Serbia e Bosnia di allinearsi alle sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Nonostante le difficoltà, i ritardi e gli stalli, il Parlamento Europeo non si stanca di ribadire la necessità per tutta l’UE di accelerare il processo di adesione dei Balcani Occidentali. Lo confermano tutte le relazioni sullo stato di avanzamento dell’integrazione europea nei sei Paesi della regione ancora esclusi dall’Unione, comprese le ultime tre votate oggi (martedì 14 giugno) in commissione Affari esteri (AFET). Relazioni che partono dal Pacchetto Allargamento 2021 presentato dalla Commissione Europea nell’ottobre dello scorso anno, analizzando la situazione specifica sia sul piano della tendenza generale sia delle ultime novità politiche e sociali.
    In attesa del voto in sessione plenaria previsto per l’inizio di luglio, la commissione AFET ha completato il suo lavoro, dando il via libera alle relazioni su Bosnia ed Erzegovina, Kosovo e Serbia. Per quanto riguarda la situazione in Bosnia ed Erzegovina, è stata sottolineata la necessità di mettere fine allo stallo politico fatto di retorica d’odio e di ritiro dalle istituzioni statali da parte delle autorità della Republika Srpska. Così come è emerso domenica (12 giugno) dall’accordo di Bruxelles, è necessaria una svolta rispetto alla “mancanza di volontà politica nei negoziati sulle riforme costituzionali ed elettorali” prima delle elezioni generali del prossimo autunno, ha sottolineato il relatore Paulo Rangel (PPE). Ma per la tenuta democratica del Paese e per il percorso sulla strada dell’Unione è cruciale anche che Sarajevo “attui le sanzioni dell’UE contro la Russia a cui si è allineato”, considerato soprattutto il “continuo interesse” di Mosca nella destabilizzazione del più fragile tra tutti i Paesi dei Balcani Occidentali.
    E a proposito di sanzioni contro la Russia, è la Serbia a essere richiamata all’impegno di sposare la politica estera dell’Unione. Gli eurodeputati si sono detti “rammaricati” della resistenza di Belgrado ad allinearsi alle misure contro il Cremlino, in particolare il relatore Vladimír Bilčík (PPE): “Dopo le elezioni dell’aprile 2022 e la guerra di aggressione della Russia, è mio sincero desiderio che i nostri partner comprendano il senso di urgenza nell’andare avanti nel loro percorso europeo”. La relazione riconosce che per la Serbia l’adesione all’UE continua a essere l’obiettivo strategico, tuttavia non può essere nascosto il fatto che sia l’unico dei sei Paesi dei Balcani Occidentali ad aver fatto “passi indietro” sulle tappe fondamentali di avvicinamento all’Unione. Serve un cambio di passo nella lotta contro la disinformazione e la propaganda russa – agevolata da un rapporto particolarmente stretto tra Mosca e Belgrado – ma anche progressi in materia di Stato di diritto, diritti fondamentali, libertà di espressione, rafforzamento del pluralismo dei media e normalizzazione delle relazioni con il Kosovo.
    È quest’ultimo, da più di dieci anni, uno dei temi più urgenti di tutta la regione. La relazione a firma Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/ALE) riconferma il sostegno “inequivocabile” al dialogo Belgrado-Pristina facilitato dall’UE, ribadendo l’importanza di raggiungere un accordo di normalizzazione “completo e giuridicamente vincolante”, in cui comunque l’indipendenza di Pristina è considerata “irreversibile”. Gli eurodeputati mostrano particolare apprezzamento per la “maggiore stabilità politica” e il forte impegno del Kosovo per diventare “un partner molto affidabile, profondamente ancorato all’alleanza europea e transatlantica“, anche per l’allineamento sulle sanzioni contro la Russia e la solidarietà espressa nei confronti dell’Ucraina. Le critiche sono invece tutte per il Consiglio e per sette Paesi membri. Non solo i cinque che non ne riconoscono l’indipendenza (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) – che sono stati invitati a farlo “immediatamente” – ma anche Francia e Paesi Bassi, a cui la relatrice si è rivolta direttamente: “Spero davvero che questo sia l’ultimo rapporto che menziona il fallimento di non aver mantenuto la promessa di fornire ai cittadini del Kosovo l’esenzione dal visto, attesa da tempo”.
    Montenegro, Albania e Macedonia del Nord
    Oltre alle tre relazioni approvate oggi, la commissione AFET si è già espressa il mese scorso sullo stato di avanzamento del percorso verso l’UE degli altri tre Paesi dei Balcani Occidentali. La relazione sul Montenegro sarà votata alla mini-sessione plenaria del Parlamento Europeo della settimana prossima (22-23 giugno) e metterà l’accento sulla priorità per Podgorica di portare avanti le riforme elettorali e giudiziarie e la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione. Se è vero che il Montenegro rimane impegnato verso l’integrazione europea, nessuno dei 33 capitoli negoziali è stato chiuso e questo rallenta il bilancio positivo del Paese balcanico allo stadio più avanzato nel processo di adesione all’UE. “Ci auguriamo che il nuovo governo non si trovi ad affrontare i problemi del precedente”, ha sottolineato il relatore Tonino Picula (S&D), facendo riferimento al “clima polarizzato” nella politica nazionale, che potrà essere affrontato dai partiti pro-europei che formano l’esecutivo di minoranza guidato da Dritan Abazović. Alla luce della “continua influenza dei partiti e delle narrative politiche filo-russe” e del crescente volume di campagne di disinformazione di Russia e Cina – “anche attraverso la strumentalizzazione degli istituti religiosi” – la relazione incoraggia la Commissione UE a valutare un’assistenza economica e finanziaria per i Paesi dei Balcani Occidentali che hanno aderito alle sanzioni dell’Unione, come ha fatto il Montenegro.
    Per quanto riguarda Albania e Macedonia del Nord, le relazioni del Parlamento UE sono già state votate alla mini-sessione plenaria del 18-19 maggio ed entrambe hanno posto l’accento sull’urgenza di avviare i negoziati di adesione all’UE in seno al Consiglio UE, sbloccando lo stallo del veto bulgaro. “Il mancato intervento potrebbe avere implicazioni di sicurezza storicamente importanti per la stabilità dell’Europa“, è l’allarme lanciato dagli eurodeputati. Entrambi i Paesi hanno soddisfatto tutte le condizioni richieste da Bruxelles, ma il temporeggiare dei Ventisette “ha minato l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti dell’Unione”. È per questo che Bulgaria e Macedonia del Nord devono risolvere “rapidamente” le questioni bilaterali in sospeso – o quantomeno affrontare la disputa storico-culturale “separatamente dal processo di adesione” – sfruttando il rinnovato impegno della Francia di Emmanuel Macron. Sbloccare i negoziati è un dovere dell’UE nei confronti della Macedonia del Nord, considerato il fatto che Skopje “detiene il miglior record di transizione democratica nella regione dei Balcani Occidentali”, sottolinea la relazione a firma del deputato bulgaro Ilhan Kyuchyuk (Renew Europe). Questo risultato è il frutto del lavoro sullo Stato di diritto, ma anche dell’allineamento alla politica estera di Bruxelles, come ha dimostrato la chiusura dello spazio aereo (con Montenegro e Bulgaria) al ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, una settimana fa. Tuttavia, esistono rischi di una “crescente dipendenza economica ed energetica dalla Russia e dalla Cina”, a partire dalla dipendenza dai prestiti di Pechino.
    Lo stallo sui negoziati di adesione sembra ancora più paradossale se si considera la situazione dell’Albania, vincolata dallo stesso pacchetto della Macedonia del Nord. Già tra il 2018 e il 2019 il dossier macedone-albanese si era bloccato in Consiglio per l’opposizione di Francia, Danimarca e Paesi Bassi – con la richiesta di implementare le riforme strutturali dei due Paesi – ma dopo il via libera della primavera del 2020 sembrava che tutto fosse pronto per il cammino di adesione di Tirana (e di Skopje) nell’Unione. Come sottolineato dalla relazione del Parlamento Europeo, l’Albania ha continuato a mostrare un “impegno incrollabile verso l’integrazione europea” e a intensificare gli sforzi su Stato di diritto, economia e democrazia, nonostante il veto del Consiglio non la riguardi direttamente. Il Paese “rimane un partner strategico pienamente affidabile e impegnato”, ha ribadito con forza la relatrice Isabel Santos (S&D), che ha esortato i Ventisette a compiere un passo che non hanno avuto il coraggio di fare per quattro anni. Nel frattempo il governo guidato da Edi Rama dovrà impegnarsi per “rafforzare la società civile, contrastare la corruzione e la criminalità organizzata”, ma anche “assicurare la libertà dei media e garantire la tutela dei diritti delle minoranze, compresa la comunità LGBTQ+”, è l’ultimo richiamo della relazione votata dagli eurodeputati.

    Adottate in commissione Affari esteri (AFET) le relazioni 2021 sullo stato di avanzamento dei 6 Paesi balcanici. Gli eurodeputati continuano a chiedere al Consiglio lo sblocco dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord e la liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo

  • in

    Dopo 9 mesi la Commissione UE sta considerando di riattivare la procedura d’infrazione contro il Regno Unito

    Bruxelles – Sembra una storia senza fine quella del divorzio tra UE e Regno Unito. A un anno e mezzo dall’uscita formale di Londra dall’Unione, la Brexit continua a essere causa di grosse tensioni tra le due sponde della Manica. Per voce del suo vicepresidente per le Relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, Maroš Šefčovič, la Commissione Europea si è detta “pronta a considerare” la riattivazione della procedura d’infrazione avviata nel marzo dello scorso anno e sospesa dopo sei mesi con l’obiettivo di cercare soluzioni comuni. “L’azione unilaterale del Regno Unito va direttamente contro questo spirito”, ha commentato senza giri di parole Šefčovič, nel corso di una breve conferenza stampa in cui non sono nemmeno state ammesse domande. A questo si aggiungono “nuove procedure d’infrazione” al vaglio dell’esecutivo comunitario, per “proteggere il Mercato Unico dai rischi che la violazione del Protocollo crea per le imprese dell’UE e per la salute e la sicurezza dei cittadini dell’Unione”.
    La dura reazione del gabinetto guidato da Ursula von der Leyen è arrivata nel giorno dell’inizio dell’iter legislativo della proposta del primo ministro britannico, Boris Johnson, che – se approvata – attribuirà a Downing Street 10 il potere di modificare unilateralmente Protocollo sull’Irlanda del Nord dell’accordo di recesso tra UE e Regno Unito (siglato per garantire l’unità sull’isola). Già lo scorso anno il Protocollo era stato al centro dello scontro diplomatico tra Bruxelles e Londra, quando il governo Johnson aveva cercato di prorogare unilateralmente il periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli dei certificati sanitari per il commercio di generi alimentari refrigerati dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord da parte delle autorità UE (che nel contesto post-Brexit sono necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda). Dopo aver avviato la lettera di messa in mora a inizio marzo, Bruxelles aveva cercato un difficile compromesso, prima concedendo una proroga al periodo di grazia e successivamente sospendendo la procedura d’infrazione. Ma non era mai stata messa in discussione la possibilità di rinegoziare un’intesa siglata tra le due parti solo pochi mesi prima.
    A quasi un anno di distanza, BoJo ha deciso però di riprovarci e ora sta passando da Westminster. È per questa ragione che – al netto del danneggiamento della fiducia reciproca causato da un’azione unilaterale – la Commissione “valuterà il progetto di legge britannico” e il vicepresidente Šefčovič si rivolgerà al Parlamento Europeo e ai governi dei 27 Stati membri. “Rinegoziare il Protocollo non è realistico”, ha attaccato il membro dell’esecutivo comunitario: “Non è stata trovata alcuna soluzione alternativa praticabile a questo delicato equilibrio negoziato da tempo”, perciò “qualsiasi rinegoziazione comporterebbe semplicemente un’ulteriore incertezza giuridica per i cittadini e le imprese dell’Irlanda del Nord”.
    La risposta di Bruxelles si chiama “flessibilità”, già mostrata lo scorso anno con accordi di “ampia portata e su misura”, in particolare per facilitare la circolazione delle merci tra la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord. Nonostante tutto, la volontà di trovare soluzioni comuni rimane nelle intenzioni della Commissione. Ma se dall’altra parte della Manica non ci sarà un riscontro “la nostra reazione alle azioni unilaterali del Regno Unito sarà proporzionata“, ha minacciato Šefčovič, prima di anticipare che “presto” l’esecutivo comunitario presenterà “in modo più dettagliato il nostro modello per un’attuazione flessibile del Protocollo, basato su soluzioni durature”.

    Al centro della nuova disputa tra Londra e Bruxelles c’è la volontà del governo di Boris Johnson di modificare unilateralmente il Procollo sull’Irlanda del Nord. L’iter parlamentare è stato definito dal vicepresidente, Maroš Šefčovič, “un’azione unilaterale danneggia la fiducia reciproca”

  • in

    La carta dei principi per pace e stabilità in Bosnia ed Erzegovina: i leader del Paese siglano l’accordo di Bruxelles

    Bruxelles – Non si ferma l’iniziativa dell’Unione Europea nei Balcani Occidentali, in particolare quella del presidente del Consiglio UE, Charles Michel. Dopo essere volato a Sarajevo, Tirana e Belgrado tre settimane fa per cercare di spingere la proposta di una comunità geopolitica europea e di una riforma del processo di adesione all’UE, il numero uno del Consiglio si è fatto artefice ieri (domenica 12 giugno) dell’accordo di Bruxelles tra i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina, per far uscire il Paese dalla crisi politico-istituzionale che rischia di avere ripercussioni in tutta la regione balcanica.
    L’incontro tra il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, con i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina (12 giugno 2022)
    L’accordo politico patrocinato anche dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è stato il frutto della riunione svoltasi nella sede del Consiglio con 11 leader della Bosnia ed Erzegovina, tra cui i membri della presidenza tripartita Željko Komšić (croato-bosniaco), Šefik Džaferović (bosniaco musulmano) e Milorad Dodik (servo-bosniaco). Proprio all’indirizzo di quest’ultimo sembra indirizzato il monito di “preservare e costruire uno Stato europeo funzionale pacifico, stabile, sovrano e indipendente“, che rispetti non solo gli Accordi di Dayton (siglati il 21 novembre del 1995 per mettere fine alla guerra in Bosnia e sancire la nascita di uno Stato composto dalle tre più consistenti componenti etniche del Paese), ma anche i principi fondanti dell’UE, come lo Stato di diritto, le elezioni libere e le istituzioni democratiche.
    In linea con le 14 priorità-chiave delineate dalla Commissione Europea per l’avvicinamento della Bosnia al conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE, l’accordo di Bruxelles ha definito 19 punti su cui è necessario un impegno da parte di tutti i leader partitici e politici in entrambe le entità territoriali (la Republika Srpska e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina), per “rafforzare la fiducia, il dialogo, la costruzione di compromessi”. In questo senso va letto lo sforzo per organizzare in modo “efficiente e ordinato” le elezioni generali previste per l’autunno di quest’anno – il che significa anche una campagna elettorale “priva di retorica divisiva e di odio” – e per la successiva “rapida formazione” delle nuove autorità legislative ed esecutive a tutti i livelli di governo. Subito dopo dovrà essere intrapreso il “costruttivo” percorso di riforme, che in sei mesi dovrà adottare “con urgenza” la legge sul Consiglio superiore della magistratura, della procura e dei tribunali, la legge sulla prevenzione del conflitto di interessi e sugli appalti pubblici, oltre alle riforme elettorali e costituzionali necessarie per garantire la piena conformità con le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e alle misure necessarie perché Sarajevo possa beneficiare dei fondi UE nell’ambito dello Strumento di assistenza preadesione (IPA III).
    A proposito di riforme, i leader bosniaci dovranno garantire il pieno funzionamento delle istituzioni statali, a partire dai settori in cui le competenze sono condivise (e per cui proprio il secessionismo di Dodik sta minacciando la tenuta del tessuto sociale e istituzionale dall’autunno dello scorso anno). Per il rafforzamento dello Stato, è necessario un rafforzamento della prevenzione e della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata – anche garantendo che le forze dell’ordine e la magistratura possano operare in modo indipendente – e un miglioramento del funzionamento della pubblica amministrazione. Nell’accordo di Bruxelles compare anche il riferimento all’estensione del mandato esecutivo dell’EUFOR Althea “per mantenere un ambiente sicuro e protetto”, considerate soprattutto le minacce di destabilizzazione della Russia in Bosnia ed Erzegovina in particolare e nella penisola balcanica in generale. Un richiamo non solo interno al Paese, ma anche di allineamento alla politica estera e di sicurezza comune dell’UE, visto che la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese balcanico, insieme alla Serbia, a non aver adottato le sanzioni internazionali contro Mosca dopo l’aggressione militare dell’Ucraina.

    L’intesa politica in 19 punti voluta da Charles Michel e Josep Borrell impegna tutti i partiti nazionali a preservare uno Stato “pacifico, stabile, sovrano e indipendente”, in linea con le 14 priorità-chiave dell’Unione Europea su Stato di diritto, elezioni libere e istituzioni democratiche