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    Von der Leyen vola in Azerbaigian, l’UE cerca l’intesa per raddoppiare la capacità del gasdotto TAP

    Bruxelles – Se all’inizio dell’invasione dell’Ucraina un’interruzione “grave” delle forniture di gas russo all’Europa era solo possibile, oggi l’Unione europea è sempre più certa che ci sarà, e dunque accelera il lavoro per diversificare i fornitori di energia. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e la sua commissaria per l’energia, Kadri Simson, voleranno oggi (18 luglio) in Azerbaigian per “rafforzare ulteriormente la cooperazione esistente” tra i due partner. Cooperazione soprattutto energetica, di fronte a un possibile taglio alle forniture di gas dal principale fornitore all’Europa, la Russia.
    Del viaggio a Baku dell’esecutivo comunitario aveva parlato per la prima volta lo scorso 27 giugno la commissaria Simson, al termine di un Consiglio dei ministri europei dell’energia in cui si era mostrata preoccupata della possibilità concreta di vedersi tagliare completamente il gas dalla Russia. Bruxelles si prepara dunque a siglare un memorandum d’intesa con l’Azerbaigian per aumentare le importazioni di gas provenienti dalla regione. “Il corridoio meridionale del gas ha un ruolo centrale da svolgere nell’approvvigionamento di gas naturale dell’Ue, in particolare per l’Europa sudorientale“, si legge in una nota dell’esecutivo comunitario in cui è stata comunicata la traversata.
    Il memorandum dovrebbe spianare la strada al raddoppio della capacità del Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto TAP che trasporta in Europa il gas naturale proveniente dal giacimento gigante di Shah Deniz nel settore azero del Mar Caspio. Il gasdotto è lungo 878 km e si collega con il Trans Anatolian Pipeline (TANAP) al confine turco-greco a Kipoi, attraversa la Grecia e l’Albania e il Mar Adriatico, prima di approdare in Italia, a San Foca (in Puglia). Con il completamento della costruzione del TAP il 31 dicembre 2020, l’Azerbaigian ha iniziato le forniture commerciali di gas all’Europa attraverso il Southern Gas Corridor, il corridoio meridionale del gas, una rotta di approvvigionamento di gas naturale dalle regioni del Caspio e del Medio Oriente all’Europa. La rotta dall’Azerbaigian all’Europa è costituita dal gasdotto del Caucaso meridionale (SCPX), Gasdotto Trans Anatolico (TANAP) e dal TAP.
    Il corridoio meridionale del gas
    Il TAP a gennaio 2022 ha erogato circa 8 miliardi di metri cubi standard, con la previsione di raggiungere i 10 miliardi di metri cubi nell’estate 2022. Le trattative con l’Azerbaigian sono iniziate già lo scorso febbraio – nell’ottica di diminuire la dipendenza delle forniture dalla Russia, da cui provengono il 40 per cento delle importazioni di gas all’Europa – per aumentare la capacità di erogazione massima da 10 miliardi di metri cubi l’anno a circa 20, raddoppiandone quindi la capacità.
    A metà giugno Bruxelles aveva già siglato un memorandum d’intesa con cui Egitto e Israele si sono impegnati a incrementare le esportazioni di gas naturale verso il Continente. L’insicurezza per ulteriori tagli alla fornitura di gas russo è aumentata questa settimana quando è iniziata la manutenzione programmata del gasdotto Nord Stream 1 che porta gas russo in Germania attraverso il Mar Baltico. Impianti fermi almeno fino al 21 luglio, ma si teme un prolungamento del fermo anche oltre. A quanto riferito da Bruxelles, l’Ue e l’Azerbaigian stanno anche lavorando insieme per costruire un partenariato a lungo termine sull’energia pulita e l’efficienza energetica e negoziando un nuovo accordo globale, che consentirà una cooperazione rafforzata in un’ampia gamma di settori, tra cui la diversificazione economica, gli investimenti e il commercio.

    La presidente della Commissione europea oggi a Baku insieme alla commissaria per l’Energia, Kadri Simson. Si punta a raddoppiare i flussi ad almeno 20 miliardi di metri cubi annui entro il 2027, nell’ottica dei piani di diversificazione dei fornitori di gas dalla Russia

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    Da Belgrado un altro schiaffo a Bruxelles e alle sanzioni Ue. Dopo Sputnik, anche Russia Today aprirà una sede in Serbia

    Bruxelles – Se l’Unione Europea ancora continua ad appellarsi alla Serbia di Aleksandar Vučić per un allineamento alle sanzioni internazionali contro la Russia, la realtà dei fatti rimane ben distante. Non solo da un punto di vista di politica estera ed energetica, ma anche di informazione e disinformazione. L’ultima dimostrazione di questa assenza di volontà da parte di Belgrado nel chiudere la porta a Mosca per stringere i legami con Bruxelles è la notizia che “sono in corso i preparativi” per l’apertura in Serbia di una sede di Russia Today, organo di propaganda del Cremlino entrato nella lista delle sanzioni dell’UE a pochi giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
    La caporedattrice di Sputnik Serbia, Ljubinka Milinčić
    A confermarlo in un’intervista per la rete televisiva serba Nova.rs è Ljubinka Milinčić, caporedattrice di Sputnik Serbia, l’altro media statale russo la cui distribuzione sul territorio comunitario è stata sospesa a inizio marzo per arginare la diffusione della disinformazione di Mosca sulla guerra in corso in Ucraina (dal 3 giugno sono state aggiunte altre tre grandi emittenti del Cremlino, Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24/Russia 24 e TV Centre International). Ad assumere la guida di Russia Today in Serbia potrebbe essere la figlia della stessa caporedattrice di Sputnik Serbia, anche se Milinčić non ha voluto commentare l’indiscrezione di Nova.rs.
    Questa decisione allontana ancora di più le speranze di Bruxelles di una – ormai quasi irrealizzabile – adozione da parte di Belgrado delle sanzioni internazionali contro la Russia, considerato il fatto che la Serbia è un Paese candidato all’adesione Ue e che tra i capitoli negoziali compare anche l’allineamento alla politica estera dell’Unione. Sul piano della disinformazione, per Bruxelles Russia Today e Sputnik sono considerati “essenziali e strumentali” nel sostenere l’aggressione della Russia contro l’Ucraina, specifica una nota del Consiglio sulla sospensione della distribuzione via cavo, satellite, Iptv (sistema di trasmissione di segnali televisivi su reti informatiche), piattaforme, siti web e app. Come documentato dalla task force East StratCom del Servizio europeo di azione esterna (Seae) contro la disinformazione, i due media statali russi rappresentano una minaccia “significativa e diretta” per la sicurezza dell’Unione Europea e per i partner già stretti – tra cui sarebbe inclusa anche la Serbia – dal momento in cui “fanno parte di uno sforzo coordinato di manipolazione delle informazioni”.
    La questione del non-allineamento della Serbia alle sanzioni UE non riguarda solo l’ambito della disinformazione, ma anche – e soprattutto – quello energetico. A fine maggio il presidente Vučić ha stretto un accordo con Vladimir Putin per la fornitura di 2,2 miliardi di metri cubi di gas (il 73 per cento del fabbisogno annuale nazionale) a condizioni economiche particolarmente favorevoli, proprio mentre i Paesi membri dell’Ue si stanno vedendo tagliare le forniture di gas dal colosso energetico russo Gazprom e Bruxelles sta cercando di spingere l’indipendenza energetica dalle fonti fossili di Mosca entro il prossimo autunno. A inizio giugno il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, si sarebbe dovuto recare in visita a Belgrado per definire i dettagli dell’accordo informale sull’energia tra i due Paesi. Ma sono state proprio le sanzioni Ue in vigore in Bulgaria (uno dei Ventisette), in Macedonia del Nord e in Montenegro (partner balcanici dell’Unione) a impedire il viaggio di Lavrov in Serbia con la chiusura dei rispettivi spazi aerei, come previsto dalle misure restrittive che includono il divieto di ingresso e transito sul territorio dei Paesi membri e dei partner allineati per gli individui sanzionati.

    La caporedattrice di Sputnik Serbia, Ljubinka Milinčić, ha confermato che anche l’altro organo di propaganda del Cremlino aprirà un ufficio di rappresentanza nella capitale. La distribuzione dei due media statali russi è stata sospesa sul territorio Ue dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina

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    Von der Leyen a Skopje ha sperimentato personalmente le divisioni in Macedonia del Nord sulla proposta francese

    Bruxelles – Non una passerella a Skopje per la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ma un vero e proprio bagno di realtà sulla situazione particolarmente delicata in Macedonia del Nord, a proposito del possibile sblocco dello stallo sui negoziati di adesione all’Ue. Nel suo discorso di oggi (giovedì 14 luglio) alla sessione plenaria del Parlamento nazionale la numero uno dell’esecutivo comunitario ha vissuto in prima persona il significato delle divisioni del Paese balcanico sulla proposta francese aggiornata per superare il veto bulgaro: da una parte dell’emiciclo – quello dell’opposizione nazionalista di VMRO-DPMNE (Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone) – è stata fischiata, mentre la maggioranza le ha riservato una lunga standing ovation per il suo ergersi a tutela dell’identità nazionale macedone, al pari di tutte le altre nell’Unione Europea.
    “Volevo esser qui con voi per dirvelo direttamente: l’Europa vi sta aspettando e speriamo che facciate un nuovo passo verso l’Unione“, ha esordito davanti ai deputati macedoni la presidente von der Leyen. Il riferimento è al voto del Parlamento, che stabilirà se il governo guidato da Dimitar Kovačevski potrà presentare ufficialmente la risposta positiva a Bruxelles sulla nuova versione della mediazione francese, che tiene conto delle richieste della Macedonia del Nord sul riconoscimento della lingua macedone al pari di tutte le altre in uso nel Paesi membri dell’Unione e dell’esclusione delle questioni storiche, culturali e di istruzione (quelle che fanno parte della contesta identitaria con la Bulgaria) dal quadro dei negoziati a livello UE.
    “Dobbiamo cogliere l’opportunità che abbiamo davanti”, ha esortato la leader della Commissione, indicando nella “prossima settimana” il momento in cui si potrà compiere “il primo passo della proposta francese rivista”. La decisione “spetta a voi e voi solamente”, ha sottolineato von der Leyen, che però ha voluto anche ricordare che “se deciderete di approvarla, nei giorni immediatamente successivi si terrà una Conferenza intergovernativa“, il primo passo del processo negoziale. E ancora, se saranno introdotti gli emendamenti alla Costituzione sul piano dei diritti fondamentali, “questo completerà automaticamente la fase di apertura dei negoziati e si attiverà un’altra conferenza intergovernativa, senza ulteriori decisioni”. È stato a questo punto che dai banchi dell’opposizione si sono alzati fischi e proteste, con una deputata che è arrivata al podio di von der Leyen e ha appoggiato un foglio con la scritta “la Macedonia dice NO!“, con quel’нe (‘no’) che è diventato il simbolo delle proteste nazionaliste dell’ultima settimana a Skopje (anche durante il discorso della presidente della Commissione).
    La protesta dell’opposizione nazionalista al Parlamento della Macedonia del Nord durante il discorso della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (14 luglio 2022)
    Ma al Parlamento della Macedonia del Nord c’è tutto uno schieramento – che al momento costituisce la maggioranza delle forze politiche rappresentate – che ha applaudito a lungo alle parole della presidente von der Leyen. Il momento di standing ovation si è registrato dopo la “garanzia” offerta dalla presidente della Commissione Europea non solo sul fatto che “non ci possono essere dubbi che lingua macedone è la vostra lingua, né sul rispetto della vostra identità nazionale“, ma anche che “il processo si baserà su principi e standard europei non negoziabili”, a cui proprio la proposta francese aggiornata fa riferimento: “Il principio dell’autoidentificazione è importante per ognuno di noi, potete contare su di me”, ha insistito con forza von der Leyen. Altri applausi sono arrivati sulla precisazione che “Le questioni bilaterali [con la Bulgaria, ndr] come l’interpretazione della storia non sono condizioni per l’accesso all’UE“, sgombrando il campo dai dubbi che temi come l’istruzione, la storia e la cultura possano entrare nei negoziati tra Skopje e Bruxelles. Allo stesso tempo “la cooperazione regionale e le buone relazioni fanno parte del Dna europeo ed è un elemento essenziale del processo di allargamento”, ha avvertito la numero uno dell’esecutivo comunitario, per ricordare che comunque tutte queste criticità tra i due Paesi dovranno essere risolte bilateralmente. 

    I assured President @SPendarovski and Prime Minister @DKovachevski of my full support to progress towards making North Macedonia an EU Member State. pic.twitter.com/hDhEVQQKJd
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) July 14, 2022

    Durante il suo discorso al Parlamento nazionale, la presidente della Commissione Ue è stata fischiata dai nazionalisti sul tentativo di sblocco dei negoziati di adesione, ma applaudita a lungo dalla maggioranza per aver garantito il rispetto della lingua e dell’identità macedone

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    Da oggi la Lituania farà transitare le merci russe sanzionate dall’UE in direzione Kaliningrad. L’ok dalla Commissione

    Bruxelles – Dopo quasi un mese di tensioni commerciali e diplomatiche tra Russia e Lituania, è stata messa nero su bianco dalla Commissione Ue la gestione del trasporto di merci russe sottoposte a sanzioni internazionali in direzione dell’exclave di Kaliningrad: Vilnius consentirà il transito, solo su rotaia, anche di questo tipo di merci sul suo territorio nazionale, ma allo stesso tempo monitorerà i flussi commerciali tra Mosca e il territorio situato all’esterno della Russia (a cui politicamente appartiene) “per garantire che le merci sanzionate non possano entrare nel territorio doganale dell’Unione”.
    Come si legge nell’aggiornamento delle linee-guida della Commissione sulla messa a terra dei sei pacchetti di sanzioni contro la Russia, “alle imprese di trasporto stabilite in Russia è vietato trasportare merci su strada nel territorio dell’Unione, anche in transito”. Tuttavia, “questo divieto non si applica al trasporto di merci in transito nell’Unione tra l’Oblast di Kaliningrad e la Russia“, con la specifica che anche per questo caso specifico “il transito di merci sanzionate su strada non è consentito”. Questo perché il trasporto su rotaia (senza fermate intermedie sul territorio lituano) può garantire che le merci russe sottoposte a sanzioni – in particolare carbone, metalli, legno, cementi e tecnologie avanzate – non entrino nel Mercato unico dell’UE, senza violare la continuità territoriale tra la Russia e Kaliningrad.
    Le linee-guida che vengono applicate da Vilnius a partire da oggi (giovedì 14 luglio) risolvono una questione particolarmente tesa venutasi a creare dopo l’entrata in vigore lo scorso 18 giugno del divieto di transito dei beni commerciali sottoposti a sanzioni internazionali sul territorio dei Paesi membri dell’Unione. Da allora è stato bloccato alla frontiera lituana (con la Bielorussia, alleata di Mosca) questo tipo di merci in direzione Kaliningrad, territorio che ospita il quartier generale della marina russa nel Baltico. Lo stop all’export russo ha rappresentato un problema di natura logistica per l’exclave russa, considerato il fatto che riceve le forniture critiche da Mosca via ferrovia attraverso la Lituania. Il caso è finito sul tavolo dei 27 leader UE nel corso del Consiglio Europeo di giugno, con la richiesta alla Commissione di fornire un aggiornamento delle linee-guida per risolvere la questione ed evitare un’escalation di tensione ulteriore – e questa volta diretta – tra Bruxelles e Mosca.

    Dopo la pubblicazione da parte del gabinetto von der Leyen dell’aggiornamento delle linee-guida sulle sanzioni contro la Russia, Vilnius garantirà il passaggio su rotaia e il monitoraggio del flussi commerciali tra Mosca e l’exclave russa

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    Clima, appello del Papa all’ ‘eco-conversione’: Urge ridurre le emissioni

    Rona – A una settimana dall’annuncio dell’adesione della Santa Sede alla Convenzione dell’Onu sul Clima e all’Accordo di Parigi, Papa Francesco lancia un nuovo appello per ridurre le emissioni e chiede una conversione ecologica.
    Il fenomeno del cambiamento climatico, sottolinea, è diventato un’emergenza che “non resta più ai margini della società”. Ha, al contrario, assunto un ruolo “centrale”, rimodellando non solo i sistemi industriali e agricoli ma anche “influenzando negativamente la famiglia umana globale, specialmente i poveri e coloro che vivono nelle periferie economiche del nostro mondo”. Il Pontefice parla in un messaggio inviato alla Conferenza ‘Resilience of People and Ecosystems under Climate Stress’, organizzata in Vaticano dalla Pontificia Accademia delle Scienze.
    Le sfide che abbiamo davanti, è il richiamo, sono due: “Ridurre i rischi climatici riducendo le emissioni e aiutare e consentire alle persone di adattarsi ai cambiamenti del clima che si stanno progressivamente aggravando“. Francesco si confessa preoccupato per la perdita di biodiversità e le numerose guerre in corso. I conflitti che piegano diverse regioni del mondo, tuona, “comportano conseguenze dannose per la sopravvivenza e il benessere dell’uomo, tra cui i problemi di sicurezza alimentare e l’inquinamento crescente”. Queste crisi dimostrano che “tutto è collegato” e che la promozione del bene comune a lungo termine del nostro pianeta è “essenziale per un’autentica conversione ecologica”.
    Servono “sforzi coraggiosi, cooperativi e lungimiranti tra i leader religiosi, politici, sociali e culturali a livello locale, nazionale e internazionale”, afferma, pensando, in particolare, al ruolo che “le nazioni economicamente più avvantaggiate possono svolgere nel ridurre le proprie emissioni” e nel fornire assistenza finanziaria e tecnologica, affinché le aree meno prospere del mondo possano seguire il loro esempio. Fondamentale, scandisce, è “l’accesso all’energia pulita e all’acqua potabile, il sostegno agli agricoltori di tutto il mondo, perché passino a un’agricoltura resiliente”.

    A una settimana dall’annuncio dell’adesione della Santa Sede alla Convenzione dell’Onu e all’Accordo di Parigi, nuovo richiamo del Pontefice per salvare il Pianeta

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    L’Unione Europea ha congelato quasi 14 miliardi di euro agli oligarchi russi nei quattro mesi di guerra in Ucraina

    Bruxelles – Si stringe il cerchio attorno agli oligarchi russi della cerchia di Vladimir Putin, con il congelamento degli asset delle persone e delle entità sanzionate dall’UE dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina decisa dal Cremlino il 24 febbraio scorso. In poco più di quattro mesi di guerra oltre i confini orientali dell’Unione, è salito a 13,8 miliardi di euro il valore degli asset sequestrati agli oligarchi russi (erano 9,89 a fine maggio), grazie agli sforzi della Commissione UE di rafforzare il rintracciamento, il congelamento, la gestione e la confisca dei beni dei soggetti sottoposti ai sei pacchetti di misure restrittive.
    A riportare la cifra “piuttosto enorme” dei beni sequestrati è stato il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders, in un punto con la stampa a margine del Consiglio Affari Interni informale a Praga. “Dei 13,8 miliardi di euro sequestrati, oltre 12 miliardi vengono da cinque Paesi membri“, ha puntualizzato il commissario. Per questo motivo la Commissione vuole “continuare a convincere” tutti i membri dell’Unione “a fare lo stesso”: a questo proposito, è stata inviata una lettera alle 27 capitali “per chiedere informazioni e per illustrare le migliori pratiche” per il sequestro e il congelamento di beni e proprietà. Il commissario per la Giustizia è sembrato sicuro del fatto che “nelle prossime settimane vedremo progressi in tutti i Paesi membri” anche grazie al coordinamento della task force Freeze and Seize istituita a marzo: “Più dettagli sui singoli Stati membri arriveranno dopo l’estate“, ha aggiunto Reynders.

    Sul tema del sequestro dei beni agli oligarchi russi si ricollega la questione non solo del congelamento, ma anche della confisca e riutilizzo, per chiunque violi le misure restrittive imposte dall’UE. Lo scorso 25 maggio la Commissione ha proposto un rafforzamento e un’estensione dei crimini dell’Unione Europea, includendo la violazione delle sanzioni tra i reati penali in tutti i 27 Paesi membri. “Abbiamo l’approvazione del Parlamento Europeo e il consenso al Consiglio, che approverà la proposta dopo la pausa estiva”, ha assicurato ai giornalisti Reynders: “In ottobre avremo una direttiva aggiornata e sarà possibile in tutti Paesi membri avviare procedure giudiziarie per la confisca se c’è stata una violazione”. Quanto recuperato sarà destinato a sostenere la ricostruzione dell’Ucraina, come confermato dal commissario per la Giustizia: “Dopo la confisca i soldi andranno direttamente al popolo ucraino“.
    La revisione della direttiva andrebbe a risolvere il problema della gestione dei beni congelati per i Ventisette, a causa delle spese per il loro mantenimento. Lo strumento di tipo economico al momento applicato non prevede che i beni congelati possano essere messi all’asta o assegnati ad associazioni, rimanendo proprietà degli oligarchi sanzionati: non possono essere utilizzati, ma rappresentano un costo per le finanze dello Stato. In Italia, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 109, la custodia, amministrazione e gestione delle risorse economiche “oggetto di congelamento” spettano all’Agenzia del demanio, che deve pagare tutte le spese legate a un bene sottoposto a questo strumento economico. L’Agenzia può utilizzare eventuali utili prodotti dal bene, ma in caso contrario attinge a un fondo apposito del bilancio statale. Quando il bene viene ‘scongelato’ e restituito, il proprietario deve risarcire lo Stato italiano per tutte le spese sostenute.

    La cifra è stata resa nota dal commissario per la Giustizia, Didier Reynders, a margine del Consiglio Affari interni informale a Praga: “Più di 12 miliardi provengono da cinque Paesi membri UE”, ma a ottobre arriverà la direttiva aggiornata sulla confisca e riutilizzo dei beni sequestrati

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    Ucraina, dall’UE un miliardo di aiuti in prestiti agevolati a lungo termine

    Bruxelles – Rispondere alle necessità più urgenti, e garantire che lo Stato possa continuare a svolgere le sue funzioni più critiche. Permettere di andare avanti, funzionare come in tempi di normalità, nonostante la guerra. L’Unione europea concede all’Ucraina un sostegno finanziario da un miliardo di euro sotto forma di prestiti di lungo periodo altamente agevolati. I ministri dell’Economia e delle finanze riuniti a Bruxelles per il primo Ecofin a guida ceca trovano l’accordo per continuare a finanziare Kiev.
    La speciale forma di sostegno avrà una periodo disponibilità di un anno. L’intenzione è quella di erogare l’intero ammontare tutto e subito, in un’unica rata, con la possibilità comunque di procedere “eventualmente in più tranches”. L’accordo è stato in bilico, con gli Stati divisi sulla natura del sostegno. C’è chi voleva dare al patner ucraino garanzie, e quindi aiuti a fondo perduto, e chi invece pretendeva prestiti da rimborsare. Alla fine passa questa seconda linea, che consente all’UE di chiudere l’accordo per la soddisfazione della presidenza di turno.

    #ECOFIN | €1 billion to Ukraine 🇺🇦! After a sped-up adoption the EU will provide the war-stricken state with macro-financial assistance. Money will go to different areas. Czech presidency fulfils its promises and even more help will follow. #EU2022CZ pic.twitter.com/8RAJ6RqGvm
    — EU2022_CZ (@EU2022_CZ) July 12, 2022

    “Continuare con l’aiuto materiale e finanziario non è un’opzione, ma un nostro dovere“, scandisce Zbyněk Stanjura, ministro delle Finanze della Repubblica ceca e presidente di turno dell’Ecofin, che si dice “lieto” per il via libera ai prestiti agevolati per un miliardo di euro. “Ciò fornirà all’Ucraina i fondi necessari per coprire i bisogni urgenti e garantire il funzionamento delle infrastrutture critiche”.
    L’esborso avverrà “una volta concordato un protocollo d’intesa con le autorità ucraine”. Tale protocollo comprenderà una “maggiore trasparenza e rendicontazione sull’uso dei fondi” e definirà l’istituzione di obblighi di rendicontazione. Vista la situazione estremamente difficile che sta affrontando l’Ucraina, il bilancio dell’UE coprirà “eccezionalmente” i costi dei tassi di interesse derivanti, sotto forma di prestito, limitando così l’impatto sulla sostenibilità di bilancio del paese. In questo modo, l’UE fornirà ulteriore sgravio finanziario all’Ucraina e contribuirà a migliorare la sostenibilità del suo debito pubblico.

    Il via libera dal consiglio Ecofin. La soddisfazione della presidenza ceca. “Continuare con l’aiuto materiale e finanziario non è un’opzione, ma un nostro dovere”

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    Il Parlamento UE ha issato le bandiere dell’Unione Europea a mezz’asta in solidarietà con il lutto nazionale in Giappone

    Bruxelles – La bandiera dell’Unione Europea a mezz’asta in tutti gli edifici del Parlamento UE, in solidarietà con il giorno di lutto nazionale dichiarato dal Giappone per la morte di Shinzo Abe di venerdì scorso (8 luglio). Lo ha deciso la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, per manifestare vicinanza al popolo giapponese nel giorno dei funerali di Stato dell’ex-premier Abe, rimasto vittima di un attentato nella città di Nara. Le bandiere dell’UE rimarranno a mezz’asta per commemorare Shinzo Abe fino alle ore 20 di questa sera, fanno sapere fonti del Parlamento Europeo.
    Verso le ore 11.30 locali (le 4.30 italiane) di venerdì l’ex-premier Abe aveva iniziato da circa un minuto il suo intervento per la campagna elettorale del Partito Liberal Democratico in vista delle elezioni della Camera dei Consiglieri (la camera alta della Dieta del Giappone), quando è stato colpito alla schiena a pochi metri di distanza da due spari di arma da fuoco. Si è subito accasciato al suolo sanguinante, con i paramedici che lo hanno circondato per prestargli i primi soccorsi, mentre le forze dell’ordine hanno bloccato il tentativo di fuga dell’attentatore. A sparare è stato Tetsuya Yamagami, uomo di 41 anni residente a Nara ed ex-membro della Kaijō Jieitai, la Forza di autodifesa marittima giapponese.
    L’ex-premier giapponese aveva riportato due ferite sulla parte anteriore del collo e uno dei proiettili è penetrato nel cuore. Poco dopo l’attentato l’ex-governatore di Tokyo, Yoichi Masuzoe, aveva fatto sapere in un tweet che Abe si trovava in uno “stato di arresto cardiopolmonare“, termine spesso utilizzato in Giappone prima di dare conferma ufficiale di morte. A curarlo è stata un’équipe di una ventina di medici, ma non è stato possibile fermare l’emorragia: Hidetada Fukushima, professore di medicina d’urgenza presso l’ospedale dell’Università di Nara dove è stato portato Abe subito dopo l’attentato, ha specificato che al momento del trasferimento in ospedale non erano stati rilevati segni di vita.
    “Oggi il Parlamento UE si unisce al mondo e al popolo giapponese nel piangere l’ex-primo ministro Shinzo Abe“, ha scritto su Twitter la presidente Metsola: “Il suo lascito e il suo impegno per un forte partenariato tra Unione Europea e Giappone saranno ricordati”.

    Today, @Europarl_EN joins the world and the people of Japan in mourning former Prime Minister @AbeShinzo.
    His legacy and commitment to a strong 🇪🇺-🇯🇵 partnership will be remembered. pic.twitter.com/LGmpoSOuBS
    — Roberta Metsola (@EP_President) July 12, 2022

    La presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha deciso di manifestare vicinanza al popolo giapponese nel giorno dei funerali di Stato dell’ex-premier rimasto vittima di un attentato l’8 luglio mentre stava tenendo un discorso elettorale