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    Nel 2022 i Paesi membri Ue hanno concesso la protezione temporanea a più di 3 milioni di ucraini in fuga dalla guerra

    Bruxelles – Nove mesi di porte aperte per i rifugiati in fuga dalla guerra russa in Ucraina. Nel 2022 i Paesi membri dell’Unione Europea hanno accolto oltre 3 milioni di ucraini, concedendo loro la protezione temporanea come espressione tangibile di solidarietà a chi cerca riparo sul territorio comunitario dalle bombe dell’esercito del Cremlino.
    Come emerge dai dati Eurostat, tra marzo e novembre dello scorso anno (in attesa delle ultime stime del mese di dicembre) sono stati 3.266.480 i beneficiari della protezione temporanea. Il numero maggiore è stato registrato in Polonia (944.360) e in Germania (931.545), mentre l’Italia – quinto Paese per destinazione, dietro a Spagna e Bulgaria – ha concesso lo status a 143.195 persone.
    Se invece si considera le percentuale di ucraini arrivati con lo status di protezione temporanea rispetto alla popolazione del Paese, i dati riconoscono lo sforzo di accoglienza maggiore a Estonia (28,1 per mille abitanti), Polonia (25,1), Lituania (22,9) e Bulgaria (21,2). Il trend segnalato da Eurostat è di una diminuzione progressiva del numero di persone che ricevono la protezione temporanea man mano che passano i mesi.

    🛂 In November 2022, among the EU Member States for which data are available, 🇵🇱Poland granted the highest number of temporary protection statuses to Ukrainians fleeing 🇺🇦Ukraine (40 370). Followed by 🇩🇪Germany (36 385) and 🇷🇴Romania (10 745).
    👉 https://t.co/6iSWpLkw0t pic.twitter.com/nhfK1RYF6E
    — EU_Eurostat (@EU_Eurostat) January 11, 2023

    La direttiva sulla protezione temporanea
    L’attivazione della direttiva europea sulla protezione temporanea è stata proposta dalla Commissione Ue per la prima volta dalla sua entrata in vigore (nel 2001) il 2 marzo dello scorso anno, a meno di una settimana dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Dopo sei giorni si è concretizzata con l’avvio delle procedure di riconoscimento dello status di protezione di gruppo in “situazioni di crisi derivanti da un afflusso massiccio di persone in fuga da una situazione di grande pericolo”. Sfollati e persone in fuga dalla guerra hanno il diritto alla protezione in tutta l’Unione Europea, inclusi i cittadini non ucraini e gli apolidi che non possono tornare nel loro Paese d’origine, come richiedenti asilo o beneficiari di protezione internazionale.
    Secondo quanto previsto dalla direttiva, la protezione temporanea rimane in vigore per un anno (fino a marzo 2023), ma lo scorso 10 ottobre è stato dato il via libera all’estensione fino a marzo 2024 con due rinnovi semestrali. Se poi le condizioni dovessero rimanere critiche, il Consiglio potrà decidere a maggioranza qualificata l’estensione per un terzo anno, su proposta della Commissione. La direttiva fornirà tutti i diritti di protezione internazionale riconosciuti ai rifugiati: residenza, accesso al mercato del lavoro e all’alloggio, assistenza sociale e medica, mezzi di sussistenza, tutela legale e accesso all’istruzione per bambini e adolescenti. Prevista anche la solidarietà e la condivisione delle responsabilità tra Stati membri nell’ospitare gli sfollati ucraini o in arrivo dal Paese invaso dalle truppe di Putin.

    Dall’8 marzo è in vigore la direttiva che prevede allentamenti dei controlli di frontiera, solidarietà tra i Ventisette nell’accoglienza e facilitazioni di ingresso per chi scappa dall’invasione russa. L’Italia ha aperto le porte a più di 143 mila rifugiati, Polonia e Germania a quasi due terzi

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    Iran, l’ong di Vidal-Quadras Roca chiede il ritiro degli ambasciatori Ue e indica Maryam Rajavi come alternativa democratica al regime

    Bruxelles – Richiamare gli ambasciatori dei Paesi europei in Iran e chiudere le rappresentanze di Teheran sul territorio comunitario: è quanto chiede l’ong International Committee In Search of Justice (ISJ), che dal 2014 opera a Bruxelles per contrastare il regime islamico dei mullah iraniani. Il suo presidente, l’ex numero due del Parlamento europeo Alejandro Vidal-Quadras Roca, e gli ex eurodeputati Paulo Casaca e Struan Stevenson, hanno presentato ieri (10 gennaio) il libro Iran’s Democratic Revolution, un breve volume che approfondisce le caratteristiche della repubblica teocratica e le proteste in corso dallo scorso settembre, a seguito della morte della ventiduenne Mahsa Amini.
    Presente anche l’ex senatrice colombiana Ingrid Betancourt, che nel 2002 fu rapita in patria dalle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) e liberata dopo 6 anni di prigionia. È lei che per prima propone il ritiro dei rappresentanti diplomatici da Teheran e la chiusura delle ambasciate del regime, “presidi terroristici” in Europa. Secondo Betancourt stiamo assistendo alla “prima rivoluzione al mondo condotta dalle donne e con un’agenda femminista”, e per questo sarebbero proprio le donne a dover guidare la transizione verso un regime democratico.
    Linea sposata dall’ong di Vidal-Quadras Roca, che ha indicato Maryam Rajavi, leader del National Council of Resistance of Iran (NCRI), come unica guida credibile per immaginare un Iran del futuro democratico, stabile e forte. La 69enne di Teheran, che nel 1982 ha perso una sorella per mano del regime dell’allora ayatollah Khomeini, è un’attivista politica da ormai mezzo secolo ed è conosciuta in tutto il Paese. “C’è bisogno di una faccia che tutti riconosciamo”, ha affermato Vidal-Quadras, secondo cui “l’alternativa deve essere iraniana, non può essere inventata a tavolino dall’Occidente”. Ma non solo: l’alternativa al regime teocratico deve avere un piano d’azione concreto. Anche qui, ISJ converge sul programma politico presentato da Rajavi, 10 punti per traghettare l’Iran fuori dall’oppressivo governo religioso, che prevedono tra gli altri l’uguaglianza di genere, la separazione tra Stato e religione, libertà di culto e la tutela delle minoranze etniche.
    Ingrid Betancourt ha speso alcune parole sul caso dell’operatore umanitario belga Olivier Vandecasteele, incarcerato a Teheran e condannato a 40 anni di carcere e 74 frustate con l’accusa di spionaggio. Il regime iraniano vorrebbe uno scambio di prigionieri con il diplomatico Assadollah Assadi, che sta scontando in Belgio una pena di 20 anni per terrorismo: secondo l’ex ostaggio delle FARC colombiane, Bruxelles non dovrebbe cedere alle richieste della dittatura islamica, ma cercare altre soluzioni per la liberazione di Vandecasteele, come il pagamento di un riscatto in denaro o la chiusura di qualsiasi dossier sull’Iran per mettere pressione al regime.

    L’International Committee in Search of Justice ha presentato a Bruxelles il libro Iran’s Democratic Revolution, in cui indica la leader del National Council of Resistance of Iran come unica alternativa credibile per una transizione democratica a Teheran. L’ong chiede anche l’espulsione di tutti i diplomatici iraniani dal territorio Ue

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    Sono in arrivo nuove sanzioni Ue contro la Bielorussia per il supporto alla guerra russa in Ucraina

    Bruxelles – L’annuncio è arrivato direttamente dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. “Presenteremo una nuova tornata di sanzioni contro la Bielorussia per rispondere al suo ruolo nella guerra russa in Ucraina”, è la secca anticipazione nell’intervento della leader dell’esecutivo comunitario durante la conferenza stampa di presentazione della terza dichiarazione congiunta Ue-Nato di oggi (10 gennaio).
    Da sinistra: Alexander Lukashenko e Vladimir Putin
    Parlando di “tutto ciò che è in nostro potere per supportare il coraggioso popolo ucraino”, per la numero uno della Commissione è cruciale non solo “mantenere la pressione sul Cremlino per tutto il tempo necessario con un duro regime di sanzioni”, ma anche “estendere queste sanzioni contro chi sostiene militarmente la guerra russa“, ha promesso von der Leyen.
    Nei fatti è una risposta a distanza di (molti) mesi alle richieste degli eurodeputati per un adeguamento delle misure restrittive contro il regime di Alexander Lukashenko a quelle già applicate contro Mosca, che sono già arrivate a nove pacchetti di sanzioni. Oltre alla Bielorussia, tra i Paesi terzi che sostegno attivamente la Russia nella sua invasione dell’Ucraina c’è anche l’Iran, ha precisato la stessa von der Leyen. Non è esplicito l’arrivo di nuove sanzioni per Teheran – come lo è stato invece per Minsk – ma il riferimento lascia comunque intendere che nel prossimo futuro a Bruxelles si potrebbe andare nella stessa direzione anche per contro l’Iran.

    “The EU will keep supporting the Ukrainian people and pressing against Russia’s imperial war.
    We will extend sanctions to those who militarily support Russia’s war, such as Belarus and Iran.”
    — President @vonderleyen #StandWithUkraine pic.twitter.com/uxWiHjkNfD
    — European Commission 🇪🇺 (@EU_Commission) January 10, 2023

    Le sanzioni a Bielorussia e Iran
    Le istituzioni comunitarie hanno riconosciuto sin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina il ruolo della Bielorussia come supporto per gli attacchi russi da nord e, proprio per questa ragione, hanno incluso decine di esponenti del regime di Lukasehnko e hanno rinvigorito l’embargo supotassio, acciaio, combustibili e trasporti bielorussi. L’azione della Bielorussia ha permesso alle truppe e alle armi russe di muoversi attraverso il suo territorio, di utilizzare il suo spazio aereo, di rifornirsi di carburante e di immagazzinare munizioni militari, ma è stata cruciale anche la decisione di abbandonare lo status di Paese non-nucleare, attraverso un referendum-farsa. Al momento un totale di 195 persone e 35 entità è interessato dalle misure restrittive dell’Ue – compreso lo stesso Lukasehnko e il figlio Viktor, consigliere per la Sicurezza Nazionale – anche per la repressione delle manifestazioni pacifiche dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020.
    Da sinistra: l’ayatollah Ali Khamenei e Vladimir Putin (credits: Alexandr Demyanchuk / SPUTNIK / AFP)
    Rimane alta l’attenzione delle istituzioni comunitarie anche sul supporto dell’Iran all’aggressione armata russa dell’Ucraina. Da ottobre la Repubblica Islamica invia droni kamikaze, armi e addestratori in Crimea, per rendere più efficaci i bombardamenti del Cremlino sulle città e le infrastrutture civili ucraine, macchiandosi di corresponsabilità negli attacchi con droni Shahed 136 a guida Gps che possono volare per oltre duemila chilometri. Tra il 20 ottobre e il 12 dicembre dello scorso anno sette individui e cinque entità sono stati inseriti per questo motivo nella lista delle misure restrittive dell’Unione, tra cui il capo di Stato maggiore delle forze armate e il capo del comando Uav della forza aerospaziale del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche. A questo si aggiungono 60 individui e 8 entità tra il 17 ottobre e il 15 dicembre per la repressione delle proteste interne e le sentenze di pena di morte pronunciate ed eseguite contro i manifestanti pacifici che chiedono un rinnovamento del regime teocratico.

    Lo ha anticipato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, parlando di “tutto ciò che è in nostro potere per supportare il coraggioso popolo ucraino”. Bruxelles punta il dito anche contro l’Iran: “Estenderemo queste sanzioni contro chi sostiene militarmente” il Cremlino

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    Ucraina, infrastrutture critiche e sfide del cambiamento climatico nella terza dichiarazione congiunta Ue-Nato

    Bruxelles – Un mondo completamente cambiato dal 2018 sul piano della sicurezza transatlantica e globale, che richiede una risposta comune da due partner legati da un’alleanza ormai ventennale. L’Unione Europea e l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato) hanno siglato oggi (10 gennaio) la terza dichiarazione congiunta in un momento “più importante che mai per far avanzare questa cooperazione”, ha messo in chiaro il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, presentando alla stampa i contenuti del documento firmato pochi minuti prima con i presidenti della Commissione, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla firma della terza dichiarazione congiunta Ue-Nato (10 gennaio 2023)
    “Quasi un anno fa iniziava l’invasione russa dell’Ucraina, Putin voleva prendere il Paese in due giorni e dividerci, ma ha fallito su entrambi i fronti“, è il punto di partenza della sinergia rinnovata tra le due organizzazioni, che costituisce il fondamento di una dichiarazione congiunta attesa da cinque anni e prevista inizialmente per il Summit di Madrid del giugno 2022. “Ue e Nato sono rimaste unite a supporto dell’Ucraina, ora dobbiamo continuare il legame vitale transatlantico e rafforzare il supporto all’Ucraina“, ha aggiunto Stoltenberg. Parole confermate da von der Leyen: “Non possiamo dimenticare il 24 febbraio 2022, ma da allora l’unità e la risolutezza sono cresciuti più forti, con un aumento della coordinazione per una risposta comune anche agli attacchi informatici e ibridi”. Per Michel “alleati forti creano alleanze più forti” e “la guerra russa ha portato a due conseguenze” favorevoli per gli alleati: “Ci ha avvicinati e ora siamo più presenti a Est”.
    In termini pratici il “rafforzamento del supporto all’Ucraina” comporterà un continuo afflusso di armi e sostegno finanziario. “I Paesi della Nato e dell’Ue hanno esaurito le loro scorte per fornire aiuti all’Ucraina, ed è stata la cosa giusta da fare, perché si tratta della nostra sicurezza”, ha aggiunto con forza il segretario generale dell’Organizzazione Atlantica, spigando che ora la via da seguire è “aumentare la produzione di armamenti“, perché “tra rispettare le linee guida della Nato sulle scorte di armi o sostenere l’Ucraina è più importante scegliere Kiev”. Anche la presidente della Commissione ha ribadito senza mezzi termini che il partner ucraino “va sostenuto con tutti gli armamenti di cui ha bisogno per difendere il proprio territorio e il diritto internazionale” e questo riguarda anche la fornitura di carri armati: “La prossima settimana il gruppo di contatto Nato si vedrà a Ramestein e valuteremo con Kiev di cosa ha bisogno”, le ha fatto eco Stoltenberg.
    Ma il sostegno sul breve-medio termine all’Ucraina non fa dimenticare la necessità di affrontare anche le altre criticità di lungo periodo che si profilano all’orizzonte. A partire da Pechino: “La crescita dell’influenza e l’espansionismo cinese rappresenta una nuova sfida” per i partner transatlantici, ha avvertito il segretario generale Stoltenberg, mentre la presidente della Commissione Ue ha sottolineato che la Cina “sta cercando di rimodellare il contesto globale a suo vantaggio e dobbiamo essere pronti”. A Bruxelles si parla di “cooperazione senza precedenti” tra Ue e Nato – “ancora più importante quando Svezia e Finlandia entreranno nella Nato” – da portare “al prossimo livello per rispondere alle sfide sulla resilienza e la protezione delle infrastrutture critiche, sullo spazio e sulle implicazioni del cambiamento climatico“. Questioni urgenti per i leader delle istituzioni comunitarie: “Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream ha dimostrato che serve più responsabilità per la sicurezza della nostra rete di infrastrutture critiche”, è il monito di von der Leyen, che ha gettato luce anche sul fatto che “eventi estremi come siccità e alluvioni hanno conseguenze sulla povertà e l’instabilità di tutte le regioni del mondo”.
    La terza dichiarazione congiunta Ue-Nato
    “Valori condivisi” e “determinazione ad affrontare le sfide comuni” sono le parole fondanti della terza dichiarazione congiunta Ue-Nato, di fronte alla “più grave minaccia alla sicurezza euro-atlantica degli ultimi decenni“. Si parla della guerra russa in Ucraina, che “ha esacerbato una crisi alimentare ed energetica che colpisce miliardi di persone in tutto il mondo”, ma anche degli “attori autoritari che sfidano i nostri interessi, i nostri valori e i nostri principi democratici utilizzando molteplici mezzi politici, economici, tecnologici e militari”. Nel testo trovano esplicitamente spazio “la crescente assertività e le politiche della Cina” nell’epoca “di crescente competizione strategica”.
    È gusto il “momento chiave per la sicurezza e la stabilità euro-atlantica”, come sottolineato nel nuovo concetto strategico Nato 2022 e nella Bussola strategica dell’Ue, che richiedono “una più stretta cooperazione Ue-Nato”. L’Alleanza Atlantica riconosce “il valore di una difesa europea più forte e più capace, che contribuisca positivamente alla sicurezza globale e transatlantica” e che allo stesso tempo sia “complementare e interoperabile con la Nato”, mette in chiaro la dichiarazione congiunta. In vista di “minacce e sfide alla sicurezza con cui dobbiamo confrontarci” – in evoluzione “in termini di portata e grandezza” – vengono poi definite le direttrici di questa “espansione e approfondimento della nostra cooperazione per affrontare la crescente competizione geostrategica”. Infrastrutture critiche, tecnologie emergenti, spazio, implicazioni per la sicurezza del cambiamento climatico e interferenze straniere saranno i dossier più caldi nei prossimi decenni per le due organizzazioni partner.

    Siglata la nuova dichiarazione di cooperazione tra le due organizzazioni per affrontare le sfide comuni per la sicurezza transatlantica e globale. Focus sull’aggressione russa e le mire espansionistiche cinesi: “Oggi ci troviamo di fronte alla più grave minaccia degli ultimi decenni”

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    Arresti e condanne a morte, convocato l’ambasciatore iraniano presso l’Ue

    Bruxelles – Basta repressioni, basta arresti e condanne a morte. La situazione in Iran ha passato il limite, e l’Unione europea ha voluto ribadirlo una volta di più al governo di Teheran convocando l’ambasciatore delle repubblica islamica presso l’Ue. A nome dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, il segretario generale del Servizio per l’azione esterna (Seae), Stefano Sannino, ha invitato nei suoi uffici il massimo diplomatico iraniano a Bruxelles.
    Hossein Dehghani è stato convocato a seguito dell’esecuzione di Mohammad Mehdi Karami e Seyyed Mohammad Hosseini, del 7 gennaio scorso, dopo essere arrestati e condannati a morte in relazione alle proteste in corso in Iran. Proteste a cui il regime degli Ayatollah ha risposto e continua a rispondere con il pugno duro, tanto che per questo l’Ue ha già varato sanzioni a ottobre, per poi inasprirle il mese successivo.
    Sannino, a nome dell’Ue, ha ribadito l’appello alle autorità iraniane per uno stop immediato della pratica “condannabile” e per questo condannata di imporre ed eseguire condanne a morte nei confronti dei manifestanti. E’ stato inoltro rivolto l’invito ad “annullare senza indugio le recenti condanne a morte già pronunciate nel contesto delle proteste in corso e di garantire un giusto processo a tutti i detenuti”, fa sapere il Seae.
    E’ quest0 l’ultimo atto in ordine di tempo di una crisi diplomatica tra Bruxelles e Teheran che ha visto nella sospensione delle relazioni tra Parlamento europeo e parlamentari iraniani una prima dimostrazione del deterioramento dei rapporti.

    Richiamato dal segretario generale del Servizio per l’azione esterna, Stefano Sannino: “Basta condanne, e annullare tutte le decisioni prese”

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    Per l’Ue la ricostruzione dell’Ucraina deve passare da energie rinnovabili e transizione verde

    Bruxelles – Un viaggio a Kiev per ribadire l’impegno dell’Unione Europea per la ricostruzione dell’Ucraina. Anche sul piano dell’energia e della transizione verde. Con questo obiettivo il vicepresidente della Commissione Europea per il Green Deal, Frans Timmermans, ha incontrato oggi (9 gennaio) il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro, Denys Shmyhal, per un confronto in prima persona sullo “stato di avanzamento nel Paese e sui bisogni immediati sul campo alla luce degli attacchi intensificati della Russia contro le infrastrutture critiche”, spiega l’esecutivo comunitario. “L’Ucraina ha tutte le carte in regola per diventare un leader nella moderna energia verde, ha un enorme potenziale di energia solare, eolica, idrogeno e biometano”, ha assicurato Timmermans.
    L’incontro tra il vicepresidente della Commissione Europea per il Green Deal, Frans Timmermans, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (9 gennaio 2023)
    In una giornata ricca di incontri anche con i ministri dell’Energia, Herman Galushchenko, e della Protezione ambientale e delle risorse naturali, Ruslan Strilets, il vicepresidente della Commissione Ue si è focalizzato principalmente sul “sostegno concreto al settore all’approvvigionamento energetico, ma anche sul piano del governo per la ricostruzione dell’Ucraina”. Per Bruxelles il supporto al Paese sotto attacco da quasi un anno sarà fondato sugli obiettivi del Green Deal europeo: “Lo sviluppo delle energie rinnovabili e una giusta transizione saranno al centro dei piani di ricostruzione“.
    Una spinta che arriva anche da Kiev, come dimostrano le parole del premier Shmyhal al termine dell’incontro con Timmermans: “L’Ucraina ha un potenziale significativo per lo sviluppo dell’energia verde ed è pronta a diventare un partner dell’Ue nello sviluppo del mercato del biometano e dell’idrogeno“. Un ringraziamento a Bruxelles è arrivato anche per le “iniziative di cooperazione in questa direzione”, che nei fatti dovrebbe impostarsi sul “recupero energetico dell’Ucraina basato su un percorso verde”, ha precisato lo stesso primo ministro. Tutto questo non può prescindere però da “azioni congiunte coordinate per ridurre l’influenza della Russia nel settore energetico dell’Unione Europea“, ma soprattutto – di fronte al continuo bombardamento delle infrastrutture civili da parte dell’esercito russo – da una “punizione per gli attacchi all’energia ucraina e per i crimini contro l’ambiente” e da “sanzioni contro il settore nucleare russo”, è la richiesta di Shmyhal.

    Very good to discuss Ukraine’s #GreenReconstruction plans and European future with President @ZelenskyyUA in Kyiv today.
    Ukraine has what it takes to become a leader in modern green energy. It has huge potential for solar, wind, hydrogen, and biomethane. pic.twitter.com/QnvKAXCEJ7
    — Frans Timmermans (@TimmermansEU) January 9, 2023

    Il supporto energetico Ue all’Ucraina
    La necessità di supportare l’Ucraina anche sul piano energetico è stato evidenziato anche nel corso della conversazione telefonica tra il presidente Zelensky e la numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, di lunedì scorso (2 gennaio), in cui sono state delineate le priorità del vertice Ue-Ucraina in programma il 3 febbraio a Kiev. Sul piano del sostegno immediato le due parti hanno concordato che entro la fine di gennaio sarà consegnato il primo lotto di 15 milioni di lampade a Led finanziate dall’Ue, a cui si aggiungono “generatori, tende e scuolabus”. Un primo passo per quanto riguarda l’impegno di Bruxelles a sborsare 30 milioni di euro per l’acquisto di 30 milioni di lampade al led, “che sono oggi vitali per portare luce all’Ucraina”, aveva spiegato la stessa presidente von der Leyen alla conferenza internazionale di solidarietà di Parigi lo scorso 13 dicembre: “Garantiscono un risparmio dell’88 per cento rispetto alle vecchie lampadine, si potrà così risparmiare un gigawatt di elettricità, che è equivalente alla produzione annuale di una centrale nucleare”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (15 settembre 2022)
    A questo si aggiunge il nuovo hub energetico e umanitario in Polonia, per un trasferimento “veloce e sostenibile” degli aiuti verso l’Ucraina, “anche per le donazioni di Paesi terzi e privati”. Mentre si attende per questo mese l’inizio dei lavori della piattaforma di ricostruzione dell’Ucraina, il sostegno di Bruxelles è già una realtà, con oltre 800 generatori per l’energia sono arrivati in tutto il Paese dall’inizio dell’invasione russa e gli ultimi 40 convogliati dalla riserva rescEu a 30 ospedali nelle regioni di Donetsk, Zaporizhzhia, Mykolaiv e Kherson. Attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue sono stati inviati anche 100 generatori di piccola e media potenza dalla Francia, 19 dalla Slovacchia, 23 dalla Germania, 52 trasformatori dalla Lituania e 4 sistemi di alimentazione di emergenza dalla Polonia.

    Il vicepresidente della Commissione Ue Timmermans ha incontrato a Kiev il presidente Zelensky e il premier Shmyhal per discutere del futuro del Paese, mentre continuano i bombardamenti russi: “Ha un enorme potenziale di energia solare, eolica, idrogeno e biometano”

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    Dalla Bosnia un’onorificenza a Putin. La Republika Srpska di Milorad Dodik irrita l’Ue per il rapporto con la Russia

    Bruxelles – Un’onorificenza a Vladimir Putin nel cuore dell’Europa. Il membro serbo-bosniaco della presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, Milorad Dodik, ha conferito all’autocrate russo l’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico), come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nel confronti delle istanze di Banja Luka. “Questa decisione isola la Republika Srpska in Europa, non c’è spazio per medaglie a politici che invadono Paesi vicini e ne uccidono i cittadini”, ha attaccato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, durante il punto quotidiano con la stampa europea: “È deplorevole, tutto il mondo sa chi è Putin e Dodik è consapevole di cosa ci aspettiamo dalla Bosnia nel suo cammino europeo”.
    Il membro serbo sella presidenza tripartita della Bosnia ed Erzegovina, Milorad Dodik (credits: Elvis Barukcic / Afp)
    Nel corso della cerimonia svoltasi ieri (8 gennaio) proprio Dodik ha dichiarato che “Putin è responsabile dello sviluppo e del rafforzamento della cooperazione e delle relazioni politiche e amichevoli tra la Republika Srpska e la Russia”. Un ringraziamento è arrivato anche sul fatto che “con la posizione di Vladimir Putin e la forza della Federazione Russa la voce e la posizione della Repubblica Srpska sono state ascoltate e rispettate“, di fronte all’ambasciatore russo in Bosnia ed Erzegovina, Igor Kalbukhov. Per Mosca “questo premio è un’affermazione della determinazione strategica delle nostre relazioni volte a rafforzare l’amicizia tra i nostri popoli fratelli”, ha aggiunto l’ambasciatore russo. La medaglia dovrebbe essere consegnata direttamente Putin nel corso di un prossimo incontro con Dodik, verosimilmente a Mosca.
    L’evento di premiazione dell’autocrate russo si è svolto per commemorare la Giornata nazionale della Republika Srpska (la cui parata si terrà nella giornata di oggi con oltre duemila poliziotti serbo-bosniaci e una delegazione in arrivo anche dalla Serbia), nonostante la Corte Costituzionale della Bosnia ed Erzegovina abbia da tempo dichiarato incostituzionale la festività. A Banja Luka il 9 gennaio si celebra il giorno in cui i serbo-bosniaci istituirono la propria Assemblea separatista nel 1992, considerato il momento decisivo per lo scoppio del conflitto etnico in Bosnia ed Erzegovina (durato fino al 1995) e della campagna di pulizia etnica contro le altre componenti non-serbe, in particolare i bosniaci musulmani. “La leadership politica deve rispettare le decisioni della Corte Costituzionale ed è ancora più importante dopo la concessione dello status di candidato” all’adesione Ue per la Bosnia ed Erzegovina, ha precisato Stano.
    La Republika Srpska tra secessionismo e sanzioni
    Dall’ottobre del 2021 proprio Dodik si è fatto promotore di un progetto secessionista per sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, per cui il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e su cui la Commissione ha iniziato a ragionare. Dopo la dura condanna da parte dell’Unione dei tentativi secessionisti della Republika Srpska (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno dello scorso anno i leader bosniaci si erano radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme necessarie sul piano elettorale e costituzionale nel Paese balcanico.
    Il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, e il membro serbo della presidenza tripartita di Bosnia, Milorad Dodik (24 novembre 2021)
    La provocazioni secessioniste mai sopite nella Republika Srpska si accompagnano alla questione della destabilizzazione russa e dell’allineamento alle sanzioni internazionali contro Mosca, dopo l’invasione armata dell’Ucraina. Insieme alla Serbia la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese europeo a non aver adottato le misure restrittive dell’Ue, a causa dell’opposizione della componente serba della presidenza tripartita. Anche considerata la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, per Bruxelles non è ipotizzabile un mancato allineamento ai principi fondanti della Politica estera e di sicurezza comune (Pesc), “incluse le misure restrittive”, come messo in chiaro dal vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre scorso a Tirana.
    Ma Dodik – e le autorità della Republika Srpska in generale – non ha mai nascosto la propria ambiguità non solo sul conflitto in corso in Ucraina, ma anche sull’annessione illegale da parte del Cremlino delle regioni ucraine Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia: “Incontrerò personalmente Putin, per confrontarci su progetti energetici concreti e del comportamento dell’Occidente“, era stata la provocazione di fine settembre dello scorso anno dopo i referendum illegali in Ucraina. Un incontro concretizzatosi lo scorso 20 settembre, a cui dovrebbe seguirne ora quello per la consegna della medaglia all’autocrate russo. Un altro nodo che si stringe sull’asse Banja Luka-Mosca e che allontana l’entità a maggioranza serba in Bosnia dall’Ue.

    L’entità a maggioranza serba ha premiato l’autocrate russo per “la preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti di Banja Luka. È un passo ulteriore di rottura con le richieste Ue: “Non c’è spazio in Europa per medaglie a politici che invadono Paesi vicini e ne uccidono i cittadini”

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    Assalto alla democrazia in Brasile, l’Unione europea si schiera al fianco di Lula

    Roma – Da Ursula von der Leyen a Josep Borrell, da Roberta Metsola a Charles Michel. E’ ferma la condanna da parte di tutte le istituzioni comunitarie di Bruxelles all’assalto nella notte europea (e giornata americana) da parte di migliaia di sostenitori dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro della sede del parlamento, del palazzo presidenziale e della Corte suprema a Brasilia, la capitale del Brasile, per protestare contro il risultato delle ultime elezioni, vinte da Luiz Inácio Lula da Silva. Solo alle 21 locali (circa l’una di notte per Bruxelles) le forze di sicurezza brasiliane sono riuscite a riprendere il controllo delle tre istituzioni.
    “Condanno fermamente l’assalto alla democrazia in Brasile. Questa è una grande preoccupazione per tutti noi, i difensori della democrazia”, ha scritto su twitter questa mattina (9 gennaio) la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, assicurando il pieno sostegno al presidente Lula “eletto liberamente ed equamente”.

    I strongly condemn the assault on democracy in Brasil.
    This is a major concern to all of us, the defenders of democracy.
    My full support to President @LulaOficial, who was elected freely and fairly.
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) January 9, 2023

    Mentre le violenze erano ancora in corso, ieri sera anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha condannato l’assalto alle istituzioni democratiche del Brasile”, confermando il pieno sostegno a Lula in quanto presidente “eletto democraticamente da milioni di brasiliani attraverso elezioni libere e corrette”. Per Roberta Metsola alla guida dell’Eurocamera la “democrazia va sempre rispettata”, ha sottolineato, manifestando “profonda preoccupazione” per i fatti della notte a Brasilia. Un urgente ritorno alla normalità è quello evocato dalla premier Giorgia Meloni che sul social scrive che “quanto accade in Brasile non può lasciarci indifferenti. Le immagini dell’irruzione nelle sedi istituzionali sono inaccettabili e incompatibili con qualsiasi forma di dissenso democratico. È urgente un ritorno alla normalità ed esprimiamo solidarietà alle Istituzioni brasiliane”.

    Quanto accade in Brasile non può lasciarci indifferenti. Le immagini dell’irruzione nelle sedi istituzionali sono inaccettabili e incompatibili con qualsiasi forma di dissenso democratico. È urgente un ritorno alla normalità ed esprimiamo solidarietà alle Istituzioni brasiliane.
    — Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) January 8, 2023

    Lula può contare anche sul sostegno “incondizionato della Francia”, ha assicurato il presidente francese Emmanuel Macron, scrivendo su twitter che la “volontà del popolo brasiliano e delle istituzioni democratiche deve essere rispettata”.
    Le immagini diffuse dalle televisioni nazionali e dai social parlano di circa 400 persone che sono riuscite a rompere le barriere delle forze dell’ordine, senza troppa difficoltà, intorno alle tre principali sedi istituzionali del Paese. Immagini che ricordano e che sono state paragonate a più riprese all’assalto del Campidoglio degli Stati Uniti il ​​6 gennaio di ormai due anni fa, incoraggiato dall’ex presidente di Washington, Donald Trump, incapace di accettare la sconfitta contro Joe Biden.
    Al momento dell’assalto, Lula si era insediato come nuovo presidente del Brasile da appena una settimana dopo le celebrazioni di rito a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di brasiliani. Gli estremisti pro-Bolsonaro si sono rifiutati di accettare la vittoria di Lula nelle elezioni di ottobre, e hanno trascorso le ultime settimane a evocare un colpo di stato militare. Lula non era a Brasilia al momento dell’attacco, ma ha fatto ritorno nella capitale solo questa mattina, incolpando Bolsonaro per il caos e promettendo che “chiunque sia coinvolto sarà punito”. Secondo il Guardian, il presidente in carica avrebbe definito “vandali, neofascisti e fanatici” coloro che hanno preso parte alle violenze, annunciando un intervento di emergenza del governo federale per riportare l’ordine nella capitale.
    Bolsonaro, che si trova in Florida, ha commentato in una serie di tweet sottolineando che “le manifestazioni pacifiche, nel rispetto della legge, fanno parte della democrazia”, ma “saccheggi e invasioni di edifici pubblici come quelli che sono avvenuti oggi, così come quelli praticati dalla sinistra nel 2013 e nel 2017, sono eccezioni alla regola”. Non ha condannato apertamente i fatti della notte ma ha respinto le accuse di Lula su un suo coinvolgimento nella vicenda. “Durante tutto il mio mandato, sono sempre rimasto entro le quattro linee della costituzione, rispettando e difendendo le leggi, la democrazia, la trasparenza e la nostra sacra libertà. Inoltre, respingo le accuse infondate che mi sono state attribuite dall’attuale capo dell’esecutivo in Brasile”, ha scritto.

    – No mais, repudio as acusações, sem provas, a mim atribuídas por parte do atual chefe do executivo do Brasil.
    — Jair M. Bolsonaro 2️⃣2️⃣ (@jairbolsonaro) January 9, 2023

    L’assalto nella notte europea da parte di migliaia di sostenitori dell’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro della sede del parlamento, del palazzo presidenziale e della Corte suprema a Brasilia fa preoccupare Bruxelles per la tenuta democratica del Paese