More stories

  • in

    Tajani: “Continuiamo a insistere perché si faccia luce su Giulio Regeni”

    Bruxelles – L’Italia torna a chiedere verità per Giulio Regeni, il ricercatore italiano, torturato e ucciso dalle forze di sicurezza egiziana nel 2016. Il 25 gennaio ricorre il settimo anniversario della sparizione del giovane, e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, fresco di missione in Egitto, torna a sollevare la questione. “Ho posto il problema”, assicura a margine dei lavori del consiglio Affari esteri. Come Italia “continuiamo a lavorare e insistere perché si faccia luce sulla vicenda“. Alla controparte egiziana ha chiarito che per garantite ciò “soprattutto si colpiscano responsabili”. Dalla Farnesina arriva la richiesta di “un processo” nei loro confronti, che il Paese del nord Africa “ci dia le risposte per procedere”.
    A Roma “vogliamo un processo per i responsabili”, continua il titolare della Farnesina, e adesso si attende che il Cairo tenga fede agli impegni. “Il presidente as Sisi ha promesso che il Paese rimuoverà tutti gli ostacoli” incontrati fino a oggi e “mi auguro che a queste parole seguano i fatti”.
    L’Italia in questa vicenda gode del pieno sostegno dell’Unione europea. La questione è stata posta dall’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, che a nome della Commissione ha esortato l’Egitto a garantire piena collaborazione. Il Parlamento europeo, già nel 2020, ha approvato una risoluzione per chiedere che si chiarisca l’accaduto di sette anni fa. “Voglio essere ottimista“, ammette Tajani prima di avviarsi per riprendere parte ai lavori.

    Alla vigilia del settimo anniversario della sua sparizione il ministro degli Esteri ha ottenuto rassicurazioni dalla autorità egiziane. “Voglio essere ottimista, alle parole ora seguano i fatti”

  • in

    In Armenia sarà dispiegata una missione civile dell’Ue per stabilizzare il confine con Azerbaigian e il Nagorno-Karabakh

    Bruxelles – L’impegno dell’Unione Europea per sostenere gli sforzi diplomatici tra Armenia e Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh diventa concreto. I ministri degli Affari Esteri dei Paesi membri Ue hanno stabilito oggi (23 gennaio) di istituire una missione civile dell’Unione Europea in Armenia nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di “contribuire alla stabilità nelle zone di confine, rafforzare la fiducia sul terreno e garantire un ambiente favorevole agli sforzi di normalizzazione” dei due Paesi caucasici. È da quasi un anno che Bruxelles sta cercando di prendere le redini della diplomazia nel Caucaso meridionale, ma la situazione sul campo continua a deteriorarsi e al momento non si vede una via d’uscita alla crisi umanitaria nel Nagorno-Karabakh.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    La missione civile Euma “avvia una nuova fase dell’impegno dell’UE nel Caucaso meridionale, verso una pace sostenibile”, ha rimarcato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, commentando la decisione del Consiglio dell’Ue di continuare a sostenere e rendere più efficaci gli sforzi di allentamento della tensione tra Armenia e Azerbaigian. Dopo il dispiegamento di 40 esperti di monitoraggio dalla missione in Georgia (Eumm) a metà ottobre e i 176 pattugliamenti fino al 19 dicembre, a Bruxelles è stato dato il via libera al mandato della nuova missione civile dell’Ue in Armenia (inizialmente di due anni) con a capo Stefano Tomat, amministratore delegato della capacità civile di pianificazione e condotta del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae).
    In risposta alla richiesta dell’Armenia “l’Euma effettuerà pattugliamenti di routine e riferirà sulla situazione”, ha precisato in una nota l’alto rappresentante Borrell, aggiungendo che la missione “contribuirà anche agli sforzi di mediazione nel quadro del processo guidato dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel“. Dal maggio dello scorso anno l’Unione Europea ha preso il posto della Russia come mediatrice tra Armenia e Azerbaigian, sia lungo il confine sia nella regione del Nagorno-Karabakh. Nell’enclave cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (Paese a maggioranza musulmano) è dal 1992 che si protrae un conflitto congelato, con scoppi di violenze armate come quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh.

    We establish today a civilian EU Mission in Armenia #EUMA, to contribute to stability, build confidence & ensure an environment conducive to normalisation efforts between Armenia & Azerbaijan.
    It launches a new phase in our South Caucasus engagement, towards sustainable peace. https://t.co/lLJFN04pee pic.twitter.com/dS50l1UQ0P
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) January 23, 2023

    Dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio il presidente del Consiglio Ue Michel ha reso sempre più frequenti i contatti diretti con il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, ponendo come priorità dei colloqui di alto livello la delimitazione degli oltre mille chilometri di confine tra i due Paesi. Tuttavia, mentre a Bruxelles si gioca la partita diplomatica, sul campo non si è mai allentata la tensione: nel mese di settembre sono riprese le ostilità tra i due Paesi caucasici, che si accusano a vicenda di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan (22 maggio 2022)
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte del principale mediatore internazionale ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Il compromesso iniziale è stato raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, durante il vertice bilaterale tra il presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan mediato dal presidente francese, Emmanuel Macron, e del Consiglio Ue Michel. A pochi giorni dalla fine della missione dei 40 esperti a dicembre, la situazione si è ulteriormente aggravata nel Nagorno-Karabakh. Il 12 dicembre l’Azerbaigian ha bloccato il corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh: da 43 giorni su questa strada non transitano più beni essenziali come cibo e farmaci, ma Baku ha tagliato anche l’erogazione di gas e acqua potabile.
    L’appello degli eurodeputati sul Nagorno-Karabakh
    Proprio sulla crisi umanitaria in atto nel Nagorno-Karabakh è arrivata la denuncia del Parlamento Europeo la scorsa settimana durante la sessione plenaria a Strasburgo. La risoluzione approvata dagli eurodeputati ha accusato Baku per le “tragiche conseguenze” del blocco del corridoio di Lachin da parte di “sedicenti ambientalisti”, che viola la tregua del novembre 2020. Considerata “l’inerzia” della diplomazia russa nella regione e l’impossibilità per gli armeni dell’enclave di accedere a beni essenziali e fonti energetiche – case, ospedali e scuole sono senza riscaldamento – il Parlamento Ue ha intimato all’Azerbaigian di “riaprire immediatamente” la strada e ad “astenersi dal compromettere il funzionamento dei collegamenti di trasporto, energia e comunicazione tra l’Armenia e il Nagorno-Karabakh”.
    In questo contesto è considerata necessaria la sostituzione dei peacekeeper russi con forze di pace internazionali dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) su mandato delle Nazioni Unite, così come un ruolo attivo da parte dell’Unione Europea nel “partecipare attivamente” e “garantire che gli abitanti del Nagorno-Karabakh non siano più tenuti in ostaggio dall’attivismo di Baku, dal ruolo distruttivo della Russia e dall’inattività del gruppo di Minsk”. L’obiettivo ultimo è “un accordo di pace globale, che deve garantire i diritti e la sicurezza della popolazione armena” nell’enclave in Azerbaigian, che ne tuteli i diritti e la metta al riparo dalla “retorica incendiaria che invoca la discriminazione nei confronti degli armeni” perché lascino la regione.

    Il Consiglio dell’Ue ha deciso di istituire la missione Euma con l’obiettivo di “garantire un ambiente favorevole” agli sforzi diplomatici per la normalizzazione dei rapporti dei due Paesi caucasici. Oltre 120 mila persone nell’enclave armena sono tagliate dal mondo esterno da quasi 50 giorni

  • in

    Iran, avanti con le sanzioni. L’Ue rinuncia a inserire i Guardiani della Rivoluzione islamica nelle organizzazioni terroristiche

    Bruxelles – Non cambia la strategia dei leader Ue sull’Iran: accantonate le richieste del Parlamento europeo di riconoscere il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (Irgc) come organizzazione terroristica e di imporre sanzioni contro la Guida Suprema Ali Khamenei e il presidente Ebrahim Raisi, i ministri degli Esteri dei 27 hanno deciso oggi (23 gennaio) di aggiungere alla lista delle persone oggetto di misure restrittive 37 membri e entità legati al regime teocratico, elenco che ora conta 173 individui e 31 unità.
    “Il quarto pacchetto di sanzioni adottato oggi è un chiaro messaggio che non rimarremo con le mani in mano davanti alle violazioni dei diritti umani in Iran”, ha commentato su Twitter il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Questa volta, in continuità con il precedente pacchetto di sanzioni del 12 dicembre, a essere presa di mira dalle sanzioni Ue è soprattutto la rete di forze dell’ordine responsabile della repressione delle proteste. Tra i 18 individui sanzionati, oltre al ministro dello Sport e della Gioventù di Teheran, figurano diversi governatori delle province del Paese, comandanti dell’Irgc e delle forze dell’ordine (Lef), membri dell’Assemblea islamica e dirigenti dell’Irib, l’emittente televisiva del regime. Le 19 entità colpite dalle misure restrittive sono per la maggior parte i corpi regionali e le basi operative dell’Irgc, a cui si aggiunge il corpo delle Forze speciali di polizia iraniane. Per tutti loro è previsto il congelamento dei beni, il divieto di viaggio nell’Ue e l’impossibilità di ricevere fondi o risorse economiche provenienti dal territorio comunitario.
    Manifestanti in supporto al National Council of Resistance of Iran, 23/01/23
    Davanti alla sede del Consiglio europeo, dove era in corso il vertice, si erano radunati già in mattinata qualche centinaia di manifestanti iraniani, sostenitori del National Council of Resistance of Iran (Ncri), uno dei principali movimenti di opposizione al regime dei mullah. “L’Ncri e la sua leader, Maryam Rajavi, chiedono di riconoscere i Guardiani della Rivoluzione come organizzazione terroristica da decenni”, ha dichiarato Ali Bagheri, ricercatore iraniano a Bruxelles a capo del presidio. “Ora che il Parlamento europeo ha votato per l’inserimento nella lista, crediamo che sia anche la volontà di 450 milioni di cittadini europei”.
    L’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha spiegato che per inserire i Guardiani della Rivoluzione nella lista europea delle organizzazioni terroristiche manca una fondamentale base giuridica: “È una decisione che non può essere presa senza avere prima la sentenza di un tribunale, c’è bisogno che la Corte di uno Stato membro emetta una condanna concreta, dopo di ché si può lavorare a livello europeo”. Esiste anche un secondo problema, di natura politica: l’iscrizione dei Guardiani della rivoluzione nell’elenco delle organizzazioni terroristiche potrebbe compromettere definitivamente tutti i dossier in corso con Teheran. Due su tutti, l’accordo sul nucleare iraniano e le trattative per la liberazione di alcuni cittadini europei presi in ostaggio dalla Repubblica islamica.
    Nel fine settimana infatti Borrell ha avuto una discussione al telefono con il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, che avrebbe minacciato “il ritiro di Teheran dal Trattato di non proliferazione (Tnp) o l’espulsione degli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aeia)”.  Riferendosi alle richieste dell’eurocamera, il ministro avrebbe affermato che “il Parlamento europeo si è sparato sui piedi”, aggiungendo che il parlamento iraniano sta discutendo un piano per designare “elementi degli eserciti degli Stati europei come terroristi”.
    Manifestazione per la liberazione di Oliver Vandecasteele a Bruxelles, 22/01/23 (Photo by Kenzo TRIBOUILLARD / AFP)
    Per quanto riguarda i cittadini europei detenuti nelle prigioni iraniane, la ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, ha suggerito che sia arrivato “il tempo che, come europei, riflettiamo su come rispondere alla politica degli ostaggi di Stato praticata dall’Iran”. A tenere banco a Bruxelles è soprattutto il caso di Olivier Vandecasteele, operatore umanitario arrestato nel febbraio 2022 e condannato a 40 di carcere per spionaggio contro la Repubblica islamica. La ministra degli Esteri belga, Hadja Lahbib, in mattinata ha dichiarato: “Siamo d’accordo con le nuove misure restrittive contro l’Iran, la situazione è totalmente inaccettabile, dobbiamo ottenere la liberazione dei nostri concittadini ingiustamente imprigionati in Iran”. 

    I ministri degli Esteri Ue hanno aggiunto 18 individui e 19 entità all’elenco delle sanzioni all’Iran, colpiti diversi organi delle forze dell’ordine responsabili della repressione. Ma per riconoscere le Irgc come terroristi serve una sentenza di un tribunale nazionale

  • in

    Edi Rama sbeffeggia l’Ue sul Qatargate. Ma dovrebbe prima preoccuparsi per il livello di corruzione in Albania

    Bruxelles – Con un sorriso sornione e la classica loquela tra lo scherzoso e il cinico, il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, si toglie un sassolino dalla scarpa con la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, al World Economic Forum di Davos: “Quando lo scandalo di corruzione [Qatargate, ndr] è emerso, ho pensato subito che karma is a bitch“. Un’espressione piuttosto colorita – almeno per un forum internazionale come Davos – per sottolineare che il destino talvolta sa essere beffardo e che, dopo anni a chiedere all’Albania e agli altri Paesi dei Balcani Occidentali maggiori sforzi sullo Stato di diritto, è proprio Unione Europea a dover fare i conti con le falle nel sistema di integrità e trasparenza delle sue stesse istituzioni.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (a sinistra), e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (a destra), al World Economic Forum di Davos (19 gennaio 2023)
    Nel suo intervento di ieri pomeriggio (19 gennaio) al panel ‘Widening Europe’s Horizons‘ organizzato da Politico al World Economic Forum, il premier albanese Rama ha lanciato più di una provocazione a Bruxelles, senza però strappare con il partner “a cui apparteniamo” e che dopo anni di attesa ha aperto le porte dei negoziati per l’adesione. “Dall’Ue ci è stato chiesto  di fare passi avanti contro la corruzione nel sistema giudiziario”, ha voluto ricordare l’uomo forte di Tirana: “Noi siamo stati radicali e abbiamo imposto le dimissioni di 9 giudici della Corte Costituzionale su 11 perché non potevano giustificare la propria ricchezza, ma poi ci è stato rinfacciato di non avere più una Corte Costituzionale”. Allo stesso tempo Rama ha voluto porre l’accento sul fatto che “il processo di allargamento è diventato nevrotico e ingiusto” e, se oggi Bruxelles trattasse nello stesso modo i suoi stessi Stati membri, “molti non sarebbero più in grado di entrare” nell’Unione: “E non parlo solo dei Paesi ex-comunisti, ma anche dei fondatori”.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, al World Economic Forum di Davos (19 gennaio 2023)
    Annuisce e si lascia sfuggire un “è vero” la presidente Metsola, incassando la provocazione di Rama e probabilmente pensando a Paesi come Ungheria e Polonia e alle accuse arrivate proprio ieri dagli avvocati dell’ex-vicepresidente dell’Eurocamera, Eva Kaili, sullo stato di detenzione dell’eurodeputata nella capitale del Belgio (uno dei Paesi fondatori dell’Unione, appunto). Parlando dello scandalo QatarGate, la numero uno del Parlamento Ue l’ha definito “un pugno nello stomaco” e ha assicurato che “è mia responsabilità fare in modo che i campanelli di allarme suonino prima e le contromisure vengano prese immediatamente”. Il piano in 14 punti approvato dalla Conferenza dei presidenti la settimana scorsa rappresenta “una serie di misure immediate per garantire l’integrità, la responsabilità e l’indipendenza” dell’istituzione comunitaria, che dovranno essere accompagnate da “riforme già necessarie prima”, come confermato anche dalla commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson.
    Dietro le parole di Rama: lo Stato di diritto in Albania
    Ma rinfacciare all’Unione Europea lo scoppio di uno scandalo all’interno di una delle sue istituzioni è una coperta molto corta per il premier Rama. Come emerge dal rapporto 2022 dell’organizzazione internazionale World Justice Project, l’Albania è all’87esimo posto su 140 Paesi per il livello di rispetto dello Stato di diritto, ultima in Europa a pari merito con la Serbia (se non si tengono in considerazione le paria internazionali di Russia e Bielorussia). I Paesi membri dell’Ue peggiori sono Bulgaria e Ungheria, ma comunque rispettivamente al 30esimo e 31esimo posto in classifica nel 2022. Il trend in Albania è di leggero ma costante declino della situazione negli ultimi anni, con le criticità maggiori registrate proprio nell’ambito della corruzione, della giustizia criminale e dell’applicazione delle normative.
    Il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (a destra), al World Economic Forum di Davos (19 gennaio 2023)
    A questo si aggiunge quanto messo nero su bianco dalla Commissione Europea nel dossier Albania del Pacchetto Allargamento 2022, pubblicato nell’ottobre dello scorso anno. “Nonostante alcuni progressi, l’aumento degli sforzi e l’impegno politico nella lotta alla corruzione, questa rimane un’area di grave preoccupazione“, si legge nel documento. La questione si pone “in molti settori della vita pubblica e imprenditoriale”, come dimostrato da alcune “condanne definitive di funzionari statali di alto livello”. Secondo l’esecutivo comunitario “i settori più vulnerabili alla corruzione richiedono valutazioni del rischio mirate e azioni specifiche”, in particolare sul fatto che i procedimenti penali siano avviati “in modo coerente e sistematico” contro gli accusati di condotta criminale: “Bisogna garantire che la Struttura specializzata per la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata si occupi ulteriormente della corruzione ad alto livello”.
    Per quanto riguarda specificamente il sistema giudiziario – citato da Rama – l’analisi della Commissione Ue evidenzia che “l’Albania è moderatamente preparata”, grazie ai “buoni progressi sul proseguimento dell’attuazione della riforma della giustizia” e le “nuove nomine di giudici dell’Alta Corte, che ha raggiunto il quorum per effettuare le nomine di giudici alla Corte Costituzionale, procedendo a una di queste”. Tuttavia, l’efficienza del sistema giudiziario “è influenzata negativamente dalla lunghezza dei procedimenti, dal basso tasso di liquidazione e dall’ampio arretrato di cause”. Senza cercare scuse nel QatarGate per abbassare gli standard anti-corruzione durante i negoziati di adesione all’Ue, la raccomandazione per il 2023 a Tirana rimane il “consolidamento degli sforzi per migliorare l’efficienza e la trasparenza di tutti i tribunali e le procure”.

    Al World Economic Forum di Davos il premier albanese ha punzecchiato la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola: “Karma is a bitch”. La lotta alla corruzione rimane però di “grave preoccupazione” per Bruxelles sul piano dello Stato di diritto nel Paese in via di adesione

  • in

    Green Deal, adesso la sfida geopolitica dell’Ue è con gli Stati Uniti

    Bruxelles – Alla fine il Green Deal si scontra con la realpolitik. L’enfasi, sia pur giustificata e comprensibile, su una trasformazione dell’economia in senso nuovo e più sostenibile, ora fa i conti con il mondo reale. L’Unione europea ha deciso di essere leader, di dare il buon esempio. Nel fare da apri-pista, però, si è improvvisamente schiacciata da un partner deciso a superarla, gli Stati Uniti, e il mondo orientale – Paesi del golfo, Cina e India su tutti – ancora legata a quei vecchi sistemi produttivi che invece l’Ue vorrebbe superare. Il blocco a dodici stelle può rivendicare una svolta ‘green’ oltre Atlantico, che però rischia di tradursi in una sfida Ue-Stati Uniti tutta nuova.
    Le ripercussioni a livello globale della guerra tra Russia e Ucraina hanno indotto l’amministrazione Biden al varo dell’Inflation reduction act. Il provvedimento, varato per frenare l’inflazione, finisce per favorire quel settore in cui l’Ue vorrebbe tanto essere all’avanguardia. Credito d’imposta per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili per i progetti che iniziano la costruzione prima dell’1 gennaio 2025, 250 milioni di dollari in sovvenzioni per la produzione domestica di pompe di calore disponibili fino a settembre 2024, sovvenzioni per 5,8 miliardi di dollari per l’industria ad alta intensità energetica per l’installazione di tecnologie avanzate per ridurre le emissioni di gas serra delle strutture. Ancora, credito d’imposta sulla produzione per la produzione nazionale di componenti per l’energia solare ed eolica, inverter, componenti per batterie e minerali critici, programma di sovvenzioni da 2 miliardi di dollari per la produzione nazionale di veicoli puliti (ibridi, ibridi elettrici plug-in, elettrici plug-in e a celle a combustibile a idrogeno).
    L’Unione europea si vede ‘aggredita’ su quel terreno di sviluppo industriale dove cercava di ricostruire una competitività persa. A oriente l’Europa degli Stati l‘Ue dipende dalla Russia per una quota significativa delle sue importazioni per tre materie prime critiche, platino, palladio e titanio, materiali indispensabili per lo sviluppo della tecnologia dell’idrogeno. Ancora più a est l’Ue dipende fortemente dalla Cina da tutte le materie prime utilizzate per la produzione di batterie, ad eccezione del litio. L’Ue non ciò di cui ha bisogno per le sue transizioni, e al contempo deve rispondere al dilemma statunitense.
    C’è il rischio che il massiccio piano degli Stati Uniti possa mettere questi in una posizione di vantaggio a scapito dell’Europa delle verdi ambizioni. L‘industria europea teme di perdere la corsa globale per la competitività, con l’impatto maggiore delle industrie automobilistiche e delle tecnologie pulite dell’Ue, come i produttori di batterie o di apparecchiature per l’energia solare o eolica. Timori aggravati dalla prospettiva che i prezzi dell’energia in Europa rimangano più alti che negli Stati Uniti e in altre parti del mondo nel medio termine, come conseguenza della guerra della Russia in Ucraina e dell’allontanamento dal gasdotto russo.
    Non è un caso se la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato il piano industriale per il Green Deal. Ma servirà prudenza. Se da una parte non agire di fronte all’Inflation Reduction Act potrebbe avere conseguenze negative sull’industria dell’Ue, dall’altra parte una guerra commerciale in piena regola con gli Stati Uniti minerebbe l’unità transatlantica in tempo di guerra e trasmetterebbe l’immagine di un Occidente diviso sia alla Russia che alla Cina. “L’Ue si trova di fronte alla sfida di impostare una reazione coerente agli Stati Uniti“, mettono in rilievo gli analisti del centro ricerche del Parlamento.
    L’Ue deve fare i conti con la realtà, e la realtà è che il conflitto in Ucraina rischia di far saltare tutta la strategie a dodici stelle. La situazione che si è creata – azzeramento delle relazioni con la Russia, aumento dei prezzi, crisi energetica, dipendenza dalla Cina – è “aggravata dal limitato spazio di manovra dell’amministrazione Biden che rende altamente improbabili modifiche legislative all’Inflation Reduction Act“. Servirà una capacità negoziale nell’auspicio che il partner transatlantico non spinga troppo sull’acceleratore di un svolta green che potrebbe spazzare via le velleità europee.

    L’Inflation Reduction Act rischia di vedere l’Ue inseguire il progresso Usa anziché essere leader. Gli analisti avvertono: “Altamente improbabili modifiche legislative, una guerra commerciale non aiuterebbe”

  • in

    Qatargate, gli eurodeputati chiedono la sospensione dell’accesso al Parlamento Ue ai rappresentanti del Marocco

    Bruxelles – Il Marocco è sotto la lente d’ingrandimento del Parlamento europeo: dopo lo scoppio del presunto scandalo di corruzione che coinvolge alcuni membri, ex membri e funzionari dell’aula di Bruxelles in un giro di “mazzette” per ripulire l’immagine di Qatar e Marocco, l’Eurocamera prende una posizione netta nei confronti di Rabat e alla presidenza “chiede l’applicazione delle stesse misure applicate ai rappresentanti di Doha”. Che significa la sospensione degli accessi alle sedi del Parlamento Ue per tutti gli inviati del Paese nordafricano.
    La madre di Omar Radi (Photo by FADEL SENNA / AFP)
    In una risoluzione approvata oggi (19 gennaio) all’emiciclo di Strasburgo con 356 voti a favore, 32 contrari e 42 astensioni, gli eurodeputati hanno ribadito il proprio impegno a “indagare e ad affrontare in modo approfondito i casi di corruzione nei quali sono coinvolti paesi terzi che tentano di acquisire influenza in seno al Parlamento europeo”. Nel testo adottato, dito puntato anche contro la situazione dei diritti umani e della libertà di stampa nel regno di Mohammed VI: l’Eurocamera chiede “il rilascio provvisorio immediato per Omar Radi, Souleimen Raissouni e Taoufik Bouachrine e tutti i giornalisti in prigione, e la fine delle vessazioni nei confronti di tutti i giornalisti del Paese, nonché dei loro avvocati e delle loro famiglie”. Per i tre giornalisti citati nella risoluzione, condannati rispettivamente a 6, 5 e 15 anni di carcere, e per tutti gli altri lavoratori del mondo dell’informazione, “devono essere garantiti processi equi”.
    “Come Parlamento europeo abbiamo il dovere di sostenere il coraggio dei giornalisti marocchini, che sono stati tra i primi al mondo a denunciare l’uso di spyware contro i reporter e le inquietanti criticità dietro questa pratica di sorveglianza digitale già nel 2015″, ha dichiarato in aula l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle, Fabio Massimo Castaldo. Il Parlamento ha inserito nel testo anche la richiesta di porre fine all’esportazione da parte dei Paesi Ue del software di sorveglianza Pegasus in Marocco.

  • in

    Per Michel “il 2023 sarà l’anno della vittoria e della pace” per l’Ucraina e chiede ai Ventisette di inviare carri armati a Kiev

    Bruxelles – La terza volta in un anno, la prima di un 2023 che “sarà l’anno della vittoria e della pace” per l’Ucraina. Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, è tornato a Kiev oggi (19 gennaio) su invito del leader del Paese, Volodymyr Zelensky, per partecipare alla sessione plenaria della Verkhovna Rada, il Parlamento monocamerale. “Abbiamo ascoltato il vostro messaggio, avete bisogno di più sistemi di difesa aerea e di artiglieria, di più munizioni e sono fermamente convinto che debbano essere consegnati i carri armati“, ha messo in chiaro il numero uno del Consiglio: “Vogliamo sostenervi perché siamo consapevoli che le prossime settimane potrebbero essere decisive per ciò che verrà” sul campo di battaglia.
    L’intervento del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla Verkhovna Rada (Kiev, 19 gennaio 2023)
    Dopo aver reso noto questa mattina di essere nuovamente in viaggio verso Kiev – a due settimane dal vertice Ue-Ucraina che si terrà proprio nella capitale del Paese sotto attacco russo – Michel ha voluto sottolineare davanti ai deputati ucraini che “per quasi un anno il mondo ha guardato con orrore alla guerra“, come mostrato dalla “brutalità della Russia a Soledar, a Bakhmut e in tante altre città e villaggi”. Il recente attacco russo a un condominio di Dnipro “è l’ultimo di una lunga lista di crimini” del Cremlino, per cui “tutti i responsabili, senza eccezioni, saranno chiamati a rispondere“, ha promesso Michel. Lo scenario è quello della fine della guerra di aggressione – che l’Unione caldeggia – e per questo motivo le istituzioni comunitarie sostengono “l’iniziativa del presidente Zelensky sul piano di pace in 10 punti”, ha messo in chiaro il numero uno del Consiglio, anticipando che sarà sul tavolo del vertice del 3 febbraio con il presidente ucraino e la leader della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (19 gennaio 2023)
    Ma prima l’Ucraina “dovrà vincere la guerra”. E questo per Bruxelles passerà inevitabilmente dal supporto militare dei Ventisette: “Avete bisogno di più sistemi di difesa aerea, più missili a lungo raggio, munizioni e soprattutto avete bisogno di carri armati, proprio ora“. Proprio ieri (18 gennaio) anche gli eurodeputati hanno messo nero su bianco nel rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune che i Paesi membri Ue devono “immediatamente dispiegare armi moderne e un sistema di difesa aerea di nuova generazione”, con un’esortazione esplicita al cancelliere tedesco, Olaf Scholz, di consegnare all’Ucraina i carri armati Leopard 2 “senza ulteriori ritardi”. In quasi un anno di guerra i Ventisette hanno mobilitato 11 miliardi di euro in sostegno militare (sia attraverso il Fondo europeo per la pace, sia come impegno bilaterale) e stanno addestrando 15 mila soldati ucraini con una missione di formazione militare ad hoc.
    Il sostegno europeo all’Ucraina è considerato dal presidente Michel una difesa anche della stessa Unione Europea, “che abbiamo forgiato dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, ancorata alla dignità umana, alla libertà e alla solidarietà”. I missili contro le città ucraine “sono missili lanciati contro tutto ciò in cui crede l’Ue”, ma Kiev ha fatto una scelta di campo, chiedendo di aderire all’Unione. “A giugno abbiamo preso una decisione che per molti era impensabile“, ovvero quella di concedere all’Ucraina lo status di Paese candidato all’adesione all’Ue: “Non dobbiamo lesinare gli sforzi per trasformare questa promessa il più rapidamente possibile in realtà”, è l’esortazione di Michel ai capi di Stato e di governo dei Paesi membri. Il “sogno” del numero uno del Consiglio è che “un giorno, spero presto, un ucraino ricopra il mio posto”, o quello di “presidente del Parlamento o della Commissione Europea”.

    Nearly a year after Russia’s brutal attack against the Ukrainian people and the values and principles of European democracy, I am touched to be back on Ukrainian soil today. Watch the press conference after the meeting with President @ZelenskyyUA. https://t.co/8Ovi6aQBfR
    — Charles Michel (@CharlesMichel) January 19, 2023

    Il presidente del Consiglio Ue è tornato nella capitale ucraina, dove si è rivolto alla plenaria della Verkhovna Rada (il Parlamento monocamerale): “Sogno che un giorno un ucraino ricopra il mio posto”. Sostegno al piano di pace in 10 punti di Zelensky, in vista del vertice del 3 febbraio

  • in

    Iran, il Parlamento Ue vuole sanzioni per la guida suprema Khamenei e il presidente Raisi

    Bruxelles – Dopo i Pasdaran, le massime figure politiche dell’Iran. L’Aula del Parlamento europeo chiede che la Guida Suprema Ali Khamenei e il presidente Ebrahim Raisi siano inseriti nell’elenco delle persone oggetto di sanzioni dell’Ue. Un invito per i governi dei 27, a cui spetta il compito di decidere in materia di misure restrittive, contenuto nella risoluzione approvata per alzata di mano. Per la repressione delle proteste nel Paese e il sostegno di Teheran alla Russia, per l’eurocamera servono ” ulteriori adeguamenti della posizione dell’UE nei confronti dell’Iran”, si legge nella risoluzione adottata per alzata di mano.
    Il voto d’Aula si aggiunge a quello che ha già visto chiedere di considerare le Guardie della Rivoluzione un’organizzazione terroristica. A distanza di ventiquattro ore da quel voto adesso l’ulteriore passo che segna il momento più alto delle tensioni diplomatiche con la repubblica islamica. Oltre alle due massima figure politiche, gli europarlamentari riuniti a Strasburgo vorrebbero che nella lista nera dell’Unione europea finissero anche  il procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri e tutte le fondazioni (“bonyad”) legate al Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRCG).
    “Oggi il Parlamento europeo si è espresso con forza contro la violenta repressione e le uccisioni del suo popolo da parte del regime iraniano”, il commento di Ernest Urtasun, vicepresidente dei Verdi. “La Repubblica islamica deve essere ritenuta responsabile dei suoi crimini e deve consentire l’accesso alla nuova missione conoscitiva delle Nazioni Unite”.
    Soddisfatto anche Marco Campomenosi, capo delegazione della Lega al Parlamento Europeo, componente della delegazione per i rapporti con l’Iran, che però chiede “un impegno più forte, concreto e deciso contro il regime di Teheran” da parte dell’Unione europea. Fin qui, lamenta, “le sanzioni da parte delle istituzioni europee sono ancora troppo timide”.

    La richiesta segue quella di dichiarare i Pasdaran terroristi. Le relazioni tra l’Ue e Teheran si fanno sempre più tese