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    L’Ue potrebbe mobilitare 2 miliardi di euro per munizioni a Ucraina. Cautela sulle notizie del sabotaggio di Nord Stream

    Bruxelles – Un piano in tre passi, per uno stanziamento complessivo da due miliardi di euro per la fornitura di munizioni. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha anticipato oggi (8 marzo) alla stampa le intenzioni della Commissione Europea per un ulteriore sostegno all’Ucraina sul piano del sostegno militare, proprio mentre “la situazione militare sul campo rimane molto difficile, in particolare a Bakhmut, dove continuano le battaglie strada per strada, e le prossime settimane saranno critiche”.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Dal momento in cui Kiev “ha bisogno di continuo supporto, soprattutto di munizioni per l’artiglieria”, la soluzione a inizio 2023 da Bruxelles è un piano di “tre fasi complementari, che vanno insieme e non in modo isolato”, ha precisato con forza l’alto rappresentante Borrell. In primis una donazione di munizioni di artiglieria da 152/155 millimetri “dagli stock già esistenti”, il cui “rimborso arriverà attraverso un miliardo di euro dall’European Peace Facility”, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale. In secondo luogo, un altro miliardo per il “coordinamento della domanda per gli ordini di altre munizioni attraverso l’Agenzia Europea della Difesa”, per cui è necessaria “una procedura veloce, per abbattere il prezzo e i tempi di consegna”. E infine un “aumento della capacità manifatturiera europea e la diminuzione dei tempi di produzione”.
    Nel corso del Consiglio Difesa informale a Stoccolma è stata raggiunta “un’intesa in linea generale” a proposito della fornitura di munizioni all’Ucraina, ma “ci sono ancora questioni da discutere“, ha confessato Borrell: “Spero che al prossimo Consiglio [al momento calendarizzato per il 23 maggio, ndr] si raggiunga un accordo formale”. Le parole dell’alto rappresentante sono dure: “Serve una mentalità da guerra, perché siamo in guerra, sfortunatamente dobbiamo parlare così perché il conflitto continua”, anche se “dobbiamo tenere aperta la porta per ogni negoziato di pace“. Intanto gli ambasciatori dell’Ue hanno approvato l’ulteriore stanziamento da 2 miliardi di euro per il Fondo europeo per la pace, dando seguito all’intesa politica di dicembre tra i ministri Ue della Difesa.

    #COREPERII Today, EU Ambassadors approved an additional €2 billion to the European Peace Facility. This decision sends a clear signal of the EU’s enduring commitment to military support for Ukraine and other partners. pic.twitter.com/T4U44gak4Q
    — Swedish Presidency of the Council of the EU (@sweden2023eu) March 8, 2023

    Oltre le munizioni, le notizie su Nord Stream
    Fuoriuscita di gas metano nel Mar Baltico dal gasdotto Nord Stream 1 (27 settembre 2022)
    “È una cosa molto seria, ma non bisogna mai avere paura della verità, di nessuna verità”, è la cauta presa di posizione dell’alto rappresentante Borrell a proposito dell’altro tema che ha agitato i 27 ministri Ue a Stoccolma. Secondo quanto riportano il quotidiano tedesco Die Zeit e lo statunitense New York Times, dietro al sabotaggio dei due gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 con la fuoriuscita di metano nel Mar Baltico di fine settembre dello scorso anno ci sarebbe un gruppo filo-ucraino. “Stiamo parlando di speculazioni, le indagini stanno ancora andando avanti in Svezia, Germania e Danimarca”, ha cercato di gettare acqua sul fuoco Borrell. Fino a quando non si arriverà alla fine delle investigazioni, “non possiamo giungere a conclusioni affrettate“.
    Secondo le rivelazioni dei due quotidiani, l’operazione potrebbe essere stata condotta in modo non ufficiale da un gruppo con legami con il governo o con i servizi di sicurezza ucraini. Anche se ci sono ancora molti buchi nella versione trapelata sulla stampa, gli investigatori tedeschi avrebbero identificato un’imbarcazione utilizzata per piazzare gli esplosivi, appartenente a una società registrata in Polonia e di proprietà di due cittadini ucraini. La squadra che avrebbe condotto l’operazione di sabotaggio ai danni dei due gasdotti sarebbe stata composta da sei individui di nazionalità sconosciuta. “Non c’entriamo nulla con l’operazione di sabotaggio ai danni dei gasdotti Nord Stream, sarebbe un bel complimento per i nostri servizi speciali ma quando si concluderanno le indagini si vedrà che l’Ucraina non ha nulla a che fare con tutto ciò“, si è smarcato da ogni tentativo di accusa il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, arrivando a Stoccolma, dove ha partecipato al vertice informale.
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    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha anticipato il piano in tre step, che prevede donazioni immediate e coordinazione della domanda futura. Sulle speculazioni di gruppo pro-Kiev dietro al sabotaggio “non bisogna avere paura della verità, ma aspettare la fine delle indagini”

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    Laptop per l’Ucraina, raccolti altri 13mila dispositivi da inviare a Kiev. Bruxelles valuta l’estensione della protezione temporanea al 2025

    Bruxelles – Computer portatili, smartphone e tablet. Sono almeno 13mila i dispositivi elettronici che saranno consegnati all’Ucraina attraverso l’iniziativa ‘Laptop per l’Ucraina’, sostenuta dalla Commissione europea, per essere consegnati a studenti, infermieri e dipendenti governativi colpiti dalla guerra in Russia. Secondo le stime di Bruxelles, da quando la guerra della Russia in Ucraina è iniziata il 24 febbraio di un anno fa, sono stati spediti a Kiev almeno 12mila dispositivi donati attraverso il meccanismo di protezione civile dell’UE. Gli altri 13mila – fa sapere l’esecutivo comunitario in una nota – saranno trasportati nelle prossime settimane.
    L’iniziativa ‘Laptop per l’Ucraina’ è stata lanciata a dicembre scorso, insieme al ministero ucraino per la trasformazione digitale e a DIGITALEUROPE, l’organizzazione europea che rappresenta la tecnologia digitale. L’obiettivo è quello di raccogliere oltre 50mila tra laptop, tablet e smartphone per aiutare scuole, ospedali e amministrazioni governative a mantenere i servizi essenziali e garantire che i cittadini ucraini rimangano connessi a Internet.
    L’iniziativa si è rapidamente diffusa e conta oggi oltre 17 poli di raccolta dei dispositivi in tutta Europa, in Belgio, Repubblica ceca, Germania, Estonia, Spagna, Francia, Lituania, Ungheria, Romania e Slovenia. Questa spedizione sarà la prima di molte, poiché le donazioni dagli altri centri di raccolta europei verranno raccolte su base continuativa. Aziende e privati ​​possono ancora donare dispositivi di ricambio funzionanti in uno dei 17 centri di raccolta Inoltre, sono in fase di lancio nuovi poli di raccolta. I cittadini sono invitati a donare attraverso uno degli hub e le aziende private possono mettersi in contatto con la Commissione per organizzare il trasferimento di donazioni più consistenti.
    Nel frattempo la Commissione europea ha presentato oggi il primo rapporto sulla direttiva sulla protezione temporanea concessa agli ucraini in fuga dalla guerra, attivata per la prima volta il 4 marzo di un anno fa in risposta all’aggressione della Russia contro l’Ucraina. Bruxelles stima che sono circa 4 milioni le persone ad aver ottenuto da allora protezione immediata nell’Ue, di cui oltre 3 milioni nella prima metà del 2022. La protezione è già stata prorogato fino a marzo 2024 e può essere ulteriormente prorogato fino al 2025 e Bruxelles non lo esclude. “L’Unione europea è pronta a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario. La protezione è già stata prorogata fino al marzo 2024 e può essere ulteriormente prorogata fino al 2025. La Commissione è pronta ad adottare le misure necessarie per un’ulteriore proroga, se necessario”, annuncia pubblicando il rapporto annuale. “Allo stesso tempo l’Ue perseguirà un solido approccio coordinato a livello europeo per garantire una transizione agevole verso status giuridici alternativi che consentano l’accesso ai diritti oltre la durata massima della protezione temporanea, nonché un sostegno mirato per le persone che, fuggite dall’Ucraina, desiderano ritornare a casa”, spiega l’esecutivo europeo.

    Computer portatili, smartphone e tablet: sono almeno 13mila i dispositivi elettronici che saranno consegnati all’Ucraina attraverso l’iniziativa ‘Laptop per l’Ucraina’, sostenuta dalla Commissione europea,

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    Talebani, Iran e Russia. Per la prima volta l’Ue adotta sanzioni contro la violenza sessuale e sulle donne

    Bruxelles – Dai talebani agli ufficiali di polizia russa, dalle milizie sud sudanesi al viceministro degli affari interni in Myanmar. Sono in tutto nove le persone e tre le entità che l’Unione europea ha deciso di sanzionare per violazioni e abusi dei diritti umani, ma in particolare per le loro violenze sessuale e di genere. In Unione europea è la ‘prima volta’ che si riconosce e si adottano sanzioni relative alla violenza di genere, un annuncio che arriva oggi (7 marzo) alla vigilia della Giornata internazionale della donna che sarà celebrata domani.
    Nello specifico l’elenco include due ministri talebani ad interim per l’istruzione superiore e per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio, che sono dietro i decreti che vietano alle donne l’istruzione superiore e le pratiche di segregazione di genere negli spazi pubblici in Afghanistan. Poi ancora, gli ufficiali della stazione di polizia di Mosca responsabili di arresti e detenzioni arbitrari e di torture e altri trattamenti che Bruxelles definisce “crudeli, inumani e degradanti” nel contesto della censura e dell’oppressione perpetrata dalle autorità russe.
    Una nota del Consiglio Ue precisa che nell’elenco figureranno anche membri di alto rango delle forze armate di Mosca, le cui unità hanno “sistematicamente partecipato ad atti di violenza sessuale e di genere in Ucraina” tra marzo e aprile dello scorso anno, nel pieno della guerra di Russia in Ucraina. Poi ancora comandanti delle milizie sud sudanesi responsabili “dell’uso diffuso e sistematico della violenza sessuale e di genere come tattica di guerra nel Paese”, il viceministro degli affari interni in Myanmar/Birmania e infine la prigione di Qarchak in Iran, la guardia repubblicana siriana e l’ufficio del capo degli affari di sicurezza militare in Myanmar/Birmania sono sanzionati per il loro ruolo in gravi violazioni dei diritti umani sessuali e di genere. I sanzionati andranno incontro al congelamento dei beni nell’Ue e saranno soggette a un divieto di viaggio verso l’Ue. Inoltre, alle persone ed entità nell’UE sarà vietato mettere fondi a disposizione , direttamente o indirettamente, delle persone elencate.
    “In vista della Giornata internazionale della donna, passiamo dalle parole ai fatti. Non importa dove accada, combatteremo ed elimineremo tutte le forme di violenza contro le donne. Con la decisione odierna, stiamo intensificando gli sforzi per contrastare la violenza sessuale e di genere, per garantire che i responsabili siano pienamente responsabili delle loro azioni e per combattere l’impunità”, ha dichiarato l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell.

    Ahead of #IWD2023, we move from words to action.
    We are sanctioning 12 individuals and entities for violence against women & girls.
    We are enhancing efforts to counter sexual & gender-based violence, to ensure that those responsible are fully accountable https://t.co/6eaNXVL1ZS
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) March 7, 2023

    Sono nove le persone e tre le entità che l’Unione europea inserisce nella lista nera di sanzionati a cui congelare i beni e vietare i viaggi. Per la prima volta l’Ue colpisce il reato di violenza sessuale e violenza di genera e lo annuncia alla vigilia della Giornata internazionale della donna

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    La condanna a 15 anni di carcere per la leader bielorussa Tsikhanouskaya. L’Ue: “Il regime Lukashenko ne risponderà”

    Bruxelles – Il Paese delle condanne già scritte. A soli tre giorni dalla sentenza a 10 anni di carcere per il Premio Nobel per la Pace 2022, Ales Bialiatski, anche la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya, ha ricevuto la sua condanna – in contumacia – dal regime di Alexander Lukashenko. Quindici anni in prigione, se mai ritornerà nel Paese. O, sarebbe meglio dire, se lo farà mentre l’autoproclamato presidente bielorusso ancora sarà a capo della macchina di repressione dell’opposizione e della libertà di pensiero.
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, con la foto del marito Siarhei Tsikhanouski (credits: John Thys / Afp)
    “Quindici anni di carcere, è così che il regime ha ‘premiato’ il mio lavoro per i cambiamenti democratici in Bielorussia“, è quanto rende noto la stessa Tsikhanouskaya da Vilnius (Lituania), città in cui vive da esule da quando è stata costretta a fuggire per non fare la fine dei quasi 1.500 oppositori in carcere per la partecipazione alle manifestazioni pacifiche e la richiesta di democrazia nel Paese. “Oggi non penso alla mia condanna, penso a migliaia di innocenti, detenuti e condannati a pene detentive reali”, ha incalzato la leader dell’opposizione, promettendo di non fermarsi “finché ognuno di loro non sarà rilasciato”. Il processo in contumacia a carico di Tsikhanouskaya era iniziato lo scorso 17 gennaio, con accuse di matrice politica – dall’alto tradimento alla creazione di un’organizzazione estremista. La pena massima prevista dal Codice penale bielorusso era di 15 anni di reclusione, che nel pomeriggio di ieri (6 marzo) è stata effettivamente inflitta alla leader che aveva corso per le elezioni presidenziali del 2020.
    “È una farsa che non ha niente a che fare con la giustizia“, era stato l’avvertimento di Tsikhanouskaya durante la sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) dello scorso 22 febbraio. A Minsk è stata modificata la legislazione sulla cittadinanza del 2002 con la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. A questo si aggiunge il fatto che il marito della leader dell’opposizione, Siarhei Tsikhanouski – già condannato a 18 anni di reclusione dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali – ha ricevuto un’ulteriore inasprimento della condanna di un anno e mezzo lunedì scorso (27 febbraio): “Vogliono spezzarlo e fare pressione su di me, ma non ce la faranno”.

    15 years of prison.
    This is how the regime “rewarded” my work for democratic changes in Belarus.
    But today I don’t think about my own sentence. I think about thousands of innocents, detained & sentenced to real prison terms.
    I won’t stop until each of them is released. pic.twitter.com/9kQREV0sgl
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) March 6, 2023

    Le istituzioni Ue contro la Bielorussia di Lukashenko
    Da sinistra: la presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche nel Paese, Sviatlana Tsikhanouskaya, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (26 maggio 2022)
    “Prima hanno imprigionato il marito, poi hanno arrestato lei, ora la condannano a 15 anni di carcere in contumacia”, è l’attacco della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, al regime di Lukashenko, che “sarà chiamato a risponderne”. Tsihanouskaya “sta pagando le conseguenze della sua lotta per la libertà e la democrazia“, ha incalzato Metsola, che ha promesso di portare avanti “la nostra spinta per una Bielorussia libera”. Da parte della Commissione Ue è stato il titolare per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a condannare l’ennesimo “deplorevole segno di come funziona il regime di Lukashenko”, mentre “il popolo bielorusso sa che la libertà prevarrà”.
    Al momento un totale di 195 persone e 35 entità è interessato dalle sanzioni dell’Ue – compreso lo stesso Lukasehnko e il figlio Viktor, consigliere per la Sicurezza Nazionale – sia per la repressione delle manifestazioni pacifiche dopo l’esito truccato delle elezioni presidenziali dell’agosto 2020, sia per la partecipazione ormai attiva all’aggressione armata della Russia all’Ucraina. Da mesi gli eurodeputati chiedono all’esecutivo comunitario di inasprire il regime di misure restrittive contro Lukashenko e la sua cerchia, adeguandolo a quello applicato al regime di Putin. Al momento non ci sono novità dal Berlaymont rispetto alle anticipazioni di metà gennaio della presidente Ursula von der Leyen: “Presenteremo presto una nuova tornata di sanzioni contro la Bielorussia”.

    Comminata la pena massima alla presidente ad interim riconosciuta dall’Ue per capi d’imputazione che vanno dall’alto tradimento alla creazione di un’organizzazione estremista: “È così che il regime ha ‘premiato’ il mio lavoro per i cambiamenti democratici in Bielorussia”

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    Borrell: “Esercitazione militare Sudafrica-Cina-Russia grave preoccupazione”

    Bruxelles – Alleanze militari e geopolitiche, l’Ue guarda con preoccupazione le scelte del Sudafrica e la presenza di Russia e Cina nel quadrante africano. La decisione del governo di Pretoria di tenere esercitazioni militari congiunte non è passata inosservata a Bruxelles. L’operazione Mosi, che vede esercitazioni navali congiunte tra le tre diverse forze armate, viene considerata come “simulazione di guerra” in Parlamento Ue ed è fonte di inquietudine in Commissione europea. “Sebbene queste esercitazioni non rappresentino una minaccia diretta alla sicurezza europea, lo svolgimento di esercitazioni militari navali con Russia e Cina nell’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina è motivo di grave preoccupazione“, riconosce l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell.
    L’operazione Mosi è stata condotta per la prima volta nel 2019, a largo delle coste di Città del Capo. Un momento comunque carico di tensioni tra oriente e occidente per via della questione della Crimea. La seconda edizione di questa cooperazione, tenuta a febbraio di quest’anno, si colloca però in uno scenario internazionale completamente diverso, contraddistinto dalla guerra russo-ucraina e due Paesi, Cina e Sudafrica, che non hanno mai pubblicamente condannato l’aggressione del Cremlino. Sono gli stessi Paesi a essersi astenuti sul voto in sede Onu per la pace giusta in Ucraina.
    L’Unione europea non può fare molto al riguardo. “Il Sudafrica – ricorda Borrell  – come tutti gli altri Paesi, ha il diritto di perseguire la politica estera secondo i propri interessi”. In quanto nazione indipendente e sovrana resta libera di fare le scelte che ritiene più opportune. Per questo motivo “l’Ue non chiede al Sudafrica di schierarsi” tra oriente e occidente: “Ciò che l’Ue chiede al Sudafrica è di schierarsi dalla parte dei principi e dei valori della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale“.
    C’è anche un altro aspetto che emerge della considerazioni dell’Alto rappresentante su scelte e manovre sudafricane: un cambio di rotta chiaro nelle scelte di cooperazione militare. Per quanto riguarda le esercitazioni in mare, “in passato il Sudafrica le condotte anche con Stati membri dell’Ue”. Si prende atto dunque di un cambio di alleanze che non viene accolto con particolare favore.
    Gli Stati Uniti hanno visto questa seconda edizione di Mosi come un atto contrario alle politiche dell’occidente. Un aspetto, questo, sottolineato anche dall‘Atlantic Council, il think-tank statunitense con sede a Washington D.C. che promuove l’atlantismo e serve da centro studi di sostegno alla politica. “Le relazioni amichevoli e di routine del Sudafrica sono antitetiche agli obiettivi dell’Occidente di isolare, scoraggiare e sconfiggere la Russia“, sottolineano gli esperti del think-tank. Che avvertono: “In un ambiente diplomatico sempre più polarizzato, il non allineamento può sembrare di fatto un allineamento con la Russia“.
    Il Sudafrica è una delle principali potenze militari del continente africano per capacità marittima. Dispone di una flotta navale mista composta da fregate, sottomarini, unità d’attacco veloci, cacciamine, incrociatori e pattugliatori.

    L’Alto rappresentante si esprime sulla seconda edizione della missione Mosi. “Pretoria rispetti carta Onu e diritto internazionale”

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    Le istituzioni Ue contro Minsk per la condanna a 10 anni di carcere per Bialiatski, Premio Nobel bielorusso per la Pace

    Bruxelles – Una condanna già scritta, ma che comunque fa un rumore assordante. Il Premio Nobel per la Pace 2022, vincitore del Premio Sakharov per la libertà di pensiero, attivista e fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna, Ales Bialiatski, è stato condannato oggi (3 marzo) a 10 anni di carcere dal regime dell’autoproclamato presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, con l’accusa di contrabbando di denaro e di finanziamento di “attività che violano gravemente l’ordine pubblico”. Insieme a Bialiatski sono stati condannati anche il vicepresidente di Viasna Valiantsin Stefanovic, l’attivista Zmitser Salauyou e l’avvocato Uladzimir Labkovich, rispettivamente a nove, otto e sette anni di carcere
    Il fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna, Ales Bialiatski, al Parlamento Europeo (16 aprile 2015)
    Un “insulto alla giustizia”, è il durissimo attacco della presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, leader dell’istituzione comunitaria da sempre più vicina e a supporto dell’opposizione a Lukashenko. L’ennesima sentenza politicamente motivata, contro uno degli esponenti più rilevanti della società civile in Bielorussia che si oppone all’elezione truccata del 9 agosto 2020. Parole di condanna anche da parte dai presidenti delle altre due istituzioni comunitarie. “La loro lotta per i diritti umani e la giustizia in Bielorussia continuerà”, ha messo in chiaro la leader della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, promettendo che “i tentativi di metterli a tacere falliranno, saremo portatori delle loro voci”. Per il numero uno del Consiglio Ue, Charles Michel, le sentenze di Minsk “sono una vergogna, le accuse sono inventate e montante” e per questo motivo il diktat di Bruxelles al regime di Lukashenko è di “rilasciare tutti gli altri attivisti democratici ingiustamente imprigionati”.
    “L’Unione Europea condanna con la massima fermezza questi processi farsa, che rappresentano un altro terribile esempio del tentativo del regime di Lukashenko di mettere a tacere coloro che si battono in difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali del popolo bielorusso”, è l’altrettanto netta presa di posizione dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, anticipando una “reazione alla brutale repressione” di coloro che “hanno osato opporsi alle violazioni dei diritti umani nel Paese e che hanno rifiutato il ruolo della Bielorussia nella guerra della Russia contro l’Ucraina”.
    Ales Bialiatski alla cerimonia di conferimento del Premio Sakharov per la libertà di pensiero, alla sede del Parlamento Europeo a Bruxelles (16 dicembre 2020)
    Nel dicembre del 2020 Bialiatski era tra i leader dell’opposizione in Bielorussia a cui il Parlamento Ue aveva conferito il Premio Sakharov per la libertà di pensiero, mentre lo scorso anno alla sua organizzazione Viasna è stato assegnato il Nobel per la Pace insieme all’ong russa per la difesa dei diritti umani Memorial e all’organizzazione ucraina Centro per le Libertà Civili. Ma dal luglio 2021 si trova in carcere a Minsk e il processo a suo carico era iniziato lo scorso gennaio: da subito si sapeva che avrebbe rischiato tra i 7 e i 12 anni di carcere. In tutti questi mesi è rimasta alta l’attenzione dell’Eurocamera e delle altre istituzioni comunitarie sulla situazione di Bialiatski, grazie anche ai numerosi inviti alla presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya. “Invito la comunità internazionale a unirsi alla campagna di solidarietà con il difensore dei diritti umani Ales Bialiatski”, ha twittato la leader bielorussa, lanciando l’hashtag #freeales: “Sosteneteci organizzando eventi e rilasciando dichiarazioni, se il regime vuole mettere a tacere Ales, dobbiamo fare in modo che il suo nome si senta ancora più forte“.

    I call on the international community to join the campaign of solidarity with human rights defender Ales Bialiatski — #freeales. Please support us by organizing events & making statements. The regime wants to silence Ales, so we have to make sure his name is heard even louder! pic.twitter.com/bBbHMWQM8D
    — Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) March 3, 2023

    Bialiatski e gli altri prigionieri politici in Bielorussia
    Il numero dei prigionieri politici continua a crescere di giorno in giorno, e ora ha toccato quota 1461, come riportano i corrispondenti della BBC. Lo scorso 27 febbraio il marito della leader dell’opposizione, Siarhei Tsikhanouski – già condannato a 18 anni di reclusione dopo essere stato imprigionato il 29 maggio del 2020 con l’obiettivo di impedirgli di partecipare alle elezioni presidenziali – ha ricevuto un’ulteriore inasprimento della condanna di un anno e mezzo. Da tre mesi non si hanno invece notizie da Maria Kolesnikova, una delle tre leader dell’opposizione nel 2020 che ha scontato il primo anno di carcere degli 11 a cui è stata condannata: a inizio dicembre è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni di salute.
    La presidente ad interim riconosciuta dall’Ue e leader delle forze democratiche in Bielorussia, Sviatlana Tsikhanouskaya (credits: John Thys / Afp)
    Intanto il Parlamento nazionale e l’autoproclamato presidente Lukashenko hanno approvato gli emendamenti alla legislazione sulla cittadinanza del 2002, introducendo la possibilità di privare della cittadinanza i bielorussi all’estero condannati per reati di “partecipazione a un’organizzazione estremista” o “grave danno agli interessi della Bielorussia”, anche in assenza dell’imputato a processo. Una legge tagliata su misura della leader delle forze democratiche Tsikhanouskaya, il cui processo in contumacia è iniziato lo scorso 17 gennaio: l’ennesima “farsa che non ha niente a che fare con la giustizia”, è stato l’attacco della presidente ad interim riconosciuta dall’Ue nel corso della sessione plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) della scorsa settimana.

    “È un insulto alla giustizia”, è l’attacco della presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola. Il fondatore dell’organizzazione per i diritti umani Viasna accusato di contrabbando di denaro e di finanziamento delle proteste dal regime dell’autoproclamato presidente Lukashenko

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    L’Ue risponde al ministro israeliano che vuole “cancellare” un villaggio palestinese: “Parole inaccettabili”

    Bruxelles – “I commenti del ministro [israeliano, ndr] sono inaccettabili e non possono essere tollerati“. È questa la posizione dell’Ue, espressa dal portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna (Seae), Peter Stano, sulle vergognose parole pronunciate da Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze del governo di Benjamin Netanyahu e leader del Partito Sionista Religioso di estrema destra, secondo cui il villaggio palestinese di Huwara “dovrebbe essere cancellato”.
    Il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, in visita a Huwara (Photo by Zain Jaafar / AFP)
    Huwara, villaggio palestinese a pochi chilometri da Nablus, circondato da insediamenti di coloni israeliani, è balzato tristemente alle cronache domenica scorsa (26 febbraio). A seguito dell’uccisione di due fratelli israeliani in un attentato, è diventato teatro di violenze incontrollate e incendi dolosi da parte di centinaia di coloni, in cui sarebbero rimasti feriti oltre 300 abitanti palestinesi. Il ministro delle Finanze, interrogato sull’accaduto, aveva risposto: “Penso che Huwara debba essere cancellato, ma penso che sia dovere dello Stato d’Israele farlo, e non di privati cittadini”. Le parole di Smotrich rischiano di diventare un ulteriore detonatore di violenze in una situazione già estremamente tesa: nell’anno appena passato, secondo l’ufficio di coordinamento umanitario per il Territorio Palestinese Occupato (Ocha-Opt) delle Nazioni Unite, sono state 191 le vittime palestinesi per mano delle Forze di difesa Israeliane o di violenza privata dei coloni. Un numero così alto non lo si vedeva dalla fine della seconda intifada, nel 2006. Il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, in visita a Huwara, ha chiesto “un intervento internazionale per giudicare le forze di occupazione e fermarle”.
    Secondo il portavoce Stano le parole di Smotrich “incitano la violenza indiscriminata, in una situazione che è già molto tesa e ha già portato vittime e distruzione, per questo l’Ue ha già invocato una de-escalation immediata”. Stano ha chiesto inoltre che “il governo israeliano rinneghi” le frasi del suo ministro. A cercare di stemperare la tensione ci ha provato il presidente israeliano, Isaac Herzog, che ha condannato l’assalto di Huwara definendolo una “violenza criminale contro innocenti”, mentre il primo ministro Nethanyahu ha infelicemente paragonato le violenze commesse nel villaggio palestinese alle dure proteste in corso nel Paese contro la riforma della giustizia proposta dal governo. Paragone che ha scatenato l’ira dell’ex premier e leader dell’opposizione, Yair Lapid, che ha definito i fatti di Huwara come un “pogrom portato avanti da terroristi”, che niente ha a che vedere con il diritto di manifestare il proprio dissenso per una riforma con cui il governo cerca di rafforzare la propria posizione nei confronti della Corte Suprema del Paese, e che potrebbe legalizzare la pena di morte per chi uccide cittadini israeliani.

    Il portavoce del Servizio europeo per l’Azione esterna, Peter Stano, chiede che al governo Netanyahu di “rinnegare” le frasi del ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, sul villaggio di Huwara, dove il 26 febbraio è esplosa la violenza dei coloni contro gli abitanti

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    Russia e Cina non firmano, il G20 in India si conclude senza dichiarazione congiunta

    Bruxelles – Nessuna dichiarazione congiunta al termine del G20 in scena a Nuova Delhi. Che la Russia si opponesse alla richiesta di “ritiro completo e incondizionato dal territorio dell’Ucraina” era scontato, ma l’attenzione era tutta sulla scelta di Pechino: le parole del ministro degli Esteri Qin Gang, che nel suo intervento aveva dichiarato che la Cina “starà sempre dalla parte della pace, promuoverà attivamente i colloqui di pace ed è disposta a svolgere un ruolo costruttivo”, avevano fatto sperare che il gigante asiatico potesse schierarsi per la condanna alla Russia. Ma alla fine, anche la Cina si è rifiutata di firmare la dichiarazione congiunta.
    Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, e in primo piano il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov (credits: Olivier Douliery / Pool / Afp)
    “Sulla questione che riguardava il conflitto in Ucraina ci sono state divergenze, differenze che non siamo riusciti a conciliare tra le varie parti”, ha confermato il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, padrone di casa al vertice. L’India, che solo una settimana fa si era astenuta dal voto nella risoluzione Onu di condanna al Cremlino, al G20 si è unita all’appello per il ritiro delle truppe russe. In sostituzione alla mancata dichiarazione congiunta, un meno ambizioso documento in 24 punti redatto da Jaishankar, su cui, salvo i due paragrafi riguardanti l’Ucraina, i Paesi hanno trovato un accordo unanime. “L’Unione Europea ha contribuito fino alla fine per avere un documento condiviso“, ha assicurato con un tweet l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, salutando con favore i 24 punti finali.
    Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, avrebbe accusato l’Occidente di sacrificare le questioni “che dovrebbero essere al centro dell’agenda del G20 per le sue ambizioni in Ucraina”. Lavrov che, a margine del summit, ha avuto per la prima volta dall’inizio della guerra un breve incontro con il segretario di Stato Usa, Antony Blinken. Messa da parte la bagarre sulla guerra in Ucraina, i temi chiave affrontati a Nuova Delhi sono stati sicurezza energetica e alimentare e lotta al cambiamento climatico. I ministri degli Esteri dei 20 Paesi più industrializzati hanno ribadito l’impegno per promuovere “la disponibilità, accessibilità, convenienza, sostenibilità, equità e flusso trasparente di cibo e prodotti agricoli” nel mondo e “l’accesso universale all’energia”, accelerando la transizione verso fonti energetiche rinnovabili e pulite. Nei 24 punti, spazio anche ai rischi per la salute globale, alla lotta al terrorismo e al raggiungimento della parità di genere.

    The Indian presidency of the @g20org rightly recalls that we have one world, one family and one future. To deliver successfully, we need to work together.
    EU has contributed until the end to have a #G20 agreed document. We welcome the Chair’s Summary. https://t.co/9kOhNjy2Sm
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) March 2, 2023

    Mosca e Pechino hanno rifiutato di firmare il documento in cui si chiedeva il “ritiro completo e incondizionato” delle truppe russe dall’Ucraina. Alla fine del summit il ministro degli Esteri del Cremlino, Sergei Lavrov, ha incontrato il segretario di Stato Usa, Anthony Blinken