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    Il Grand Tour cinese. In due settimane Sanchez, Macron e von der Leyen in visita a Pechino

    Bruxelles – Due settimane di intensi sforzi diplomatici per non far scappare la Cina dal dialogo con i Ventisette e cercare di spingere un’intesa per mettere pressione sulla Russia. Il colpo di coda della due-giorni di Consiglio Europeo ed Eurosummit all’insegna delle preoccupazioni sul blocco sino-russo è stato un triplice annuncio dei programmi del premier spagnolo, Pedro Sánchez, del presidente francese, Emmanuel Macron, e della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, sulle rispettive visite a Pechino: una in solitaria di Sánchez, e l’altra del tandem Macron-von der Leyen, almeno “per una parte del viaggio”, ha puntualizzato l’inquilino dell’Eliseo.
    Il presidente francese, Emmanuel Macron (24 marzo 2023)
    Erano note da settimane le intenzioni di Macron di recarsi in visita in Cina verso la prima metà di aprile. L’annuncio alla stampa è arrivato dallo stesso presidente francese al termine del Consiglio Ue, che ha specificato il fatto di aver chiesto alla numero uno dell’esecutivo comunitario “di accompagnarmi in un pezzo della mia visita in Cina”. A strettissimo giro dalla comunicazione di Macron è seguita la conferma da parte dei portavoce della Commissione Europea (dal momento in cui non si è tenuta nessuna conferenza stampa in conclusione della vertice dei Paesi dell’Eurozona). La presidente von der Leyen si recherà in Cina con il presidente Macron nella prima settimana di aprile: “Giovedì prossimo terrà un discorso al Mercator Institute for China Studies e all’European Policy Centre sulle relazioni Ue-Cina”, mentre la visita a Pechino si terrà “la settimana successiva”, ha reso noto il portavoce-capo dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer. Dettagli e programma per la stampa arriveranno “a breve”.
    Il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez (24 marzo 2023)
    Prima della trasferta congiunta di Macron e von der Leyen sarà Sánchez a essere ospite del presidente cinese, Xi Jinping, la prossima settimana. “È un viaggio a cui diamo la massima importanza”, ha confessato ai giornalisti lo stesso premier spagnolo in conferenza stampa, anticipando che “la guerra sarà oggetto delle discussioni a Pechino, analizzeremo in dettaglio la posizione cinese“. Perché se il piano di pace in 12 punti – che più che piano di pace ha tutti i tratti di un documento di posizione sullo scenario geopolitico secondo le lenti della potenzia orientale – è stato pesantemente criticato a livello Ue, è altrettanto vero che “la Cina è un attore globale, e la sua voce va ascoltata per vedere se, fra tutti noi, riusciamo mettere fine alla guerra“. Si partirà in particolare dai punti meno controversi, se non del tutto condivisibili, per cercare di influenzare la posizione del partner/competitor: rifiuto dell’uso di armi nucleari e il rispetto dell’integrità territoriale, sono i riferimenti espliciti di Sánchez.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (23 marzo 2023)
    Non cambia comunque il fatto che – come messo nero su bianco nelle conclusioni del vertice dei leader Ue nel capitolo sull’Ucraina – i Ventisette sostengono la formula di pace del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e continuano a lavorare con Kiev sul piano di pace in 10 punti, perché “riteniamo che possa garantire una pace duratura e giusta”, ha ribadito con forza il premier spagnolo. Dopo la strada aperta da Sánchez, saranno i leader di Commissione Ue e Francia a tentare di spingere Pechino verso un “impegno diretto a fare pressioni sulla Russia” nel mettere fine alla guerra in Ucraina. Tema al centro anche del confronto bilaterale di questa mattina tra Macron e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che solo cinque mesi fa era stato il primo tra i leader europei a recarsi in visita in Cina.
    Oltre alle discussioni sulla guerra russa in Ucraina (con la mancata condanna anche nell’ultima Risoluzione Onu e la recente visita di Xi Jinping all’autocrate russo, Vladimir Putin, a Mosca), tra i tre leader e la leadership di Pechino servirà anche un confronto sul piano economico e commerciale – in modo da non far alimentare l’isolamento cinese – soprattutto per quanto riguarda le materie prime critiche su cui l’Unione Europea ha iniziato un percorso assertivo per non trovarsi legata a un concorrente non allineato ai suoi stessi valori nel percorso verso la doppia transizione digitale e verde.

    Tra fine marzo e inizio aprile i tre leader saranno ospiti del presidente Xi Jinping per un “impegno diretto a fare pressioni sulla Russia” per mettere fine al conflitto in Ucraina. “A breve” i dettagli e il programma dei viaggi

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    La Commissione Ue organizzerà una conferenza per favorire il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia

    Bruxelles – Procede spedito l’impegno dell’Unione Europea per rispondere a quello che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha definito “un orribile promemoria del periodo più buio della nostra storia“. La deportazione dei bambini ucraini in Russia. Nel corso della conferenza stampa di chiusura del Consiglio Europeo del 23 marzo, la leader dell’esecutivo comunitario ha menzionato questo argomento, “che per me è particolarmente importante”, come punto saliente delle discussioni tra i leader Ue sul capitolo Ucraina, annunciando la decisione di organizzare una Conferenza in collaborazione con il premier della Polonia, Mateusz Morawiecki, e le autorità ucraine: “Siamo all’inizio di un duro lavoro”.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (23 marzo 2023)
    Sottolineando con sdegno l’indicibilità di quanto sta accadendo nei territori occupati dall’esercito russo – “una deportazione di bambini” – la presidente von der Leyen ha fornito i dati raccolti da organizzazioni internazionali e servizi della Commissione: “A oggi 16.200 bambini ucraini sono stati deportati, solo 300 hanno fatto ritorno“. Un vero e proprio “crimine di guerra”, di cui l’autocrate russo, Vladimir Putin, e la commissaria per i Diritti dei bambini della presidenza, Maria Lvova-Belova, sono i primi responsabili: “Queste azioni criminali giustificano completamente il mandato di arresto della Corte Penale Internazionale”, emesso venerdì scorso (17 marzo) e appoggiato esplicitamente anche nelle conclusioni del Consiglio Europeo.
    Da parte delle istituzioni comunitarie c’è la spinta per dare un contributo nella risposta alla “tragedia” dei bambini ucraini rapiti e deportati in Russia, per quanto possibile. Dopo il lancio dell’iniziativa della Commissione Ue e del governo polacco, che si pone l’obiettivo di “portare indietro questi bambini”, sarà organizzata una conferenza di cui ancora non si conoscono i dettagli su luogo e data. Ciò che invece ha messo in chiaro la presidente von der Leyen è che “dovremo mettere insieme la pressione internazionale per prendere tutte le misure possibili per avere dettagli su questi bambini“. Da Bruxelles questo lavoro andrà a sostegno delle organizzazioni internazionali “rilevanti” che hanno necessità di “più e migliori informazioni sui bambini ucraini deportati in Russia, anche quelli che sono stati anche adottati da famiglie russe”. A sua volta la numero uno della Commissione Ue ha voluto ringraziare il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres – intervenuto in apertura del vertice dei leader Ue – “per aver offerto il supporto delle agenzie Onu, perché hanno un significativa esperienza su questa materia complessa”.

    “We know that 16,200 children have been abducted by Russia.
    This is a war crime. A horrible reminder of the darkest times in our history.
    Together with 🇵🇱 PM @MorawieckiM, we will launch an initiative aimed at bringing them back.”
    — President @vonderleyen#StandWithUkraine pic.twitter.com/aTt9cNXjBO
    — European Commission (@EU_Commission) March 24, 2023

    Le deportazioni di bambini ucraini in Russia
    Bambine a Irpin, Ucraina (credits: Sergei Supinsky / Afp)
    Dopo le stime fornite dalla presidente von der Leyen, si inizia ad avere un quadro più preciso sulla situazione dei bambini ucraini rapiti e deportati in Russia. Va considerato anche il report pubblicato in collaborazione tra l’Università di Yale e il programma ‘Conflict Observatory’ del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti (istituito nel maggio dello scorso anno per documentare i crimini di guerra commessi o favoriti dall’esercito russo in Ucraina), che indica almeno seimila bambini ucraini – di età compresa tra i quattro mesi e i 17 anni – trattenuti in 43 campi di rieducazione in Russia e in Crimea, dove si terrebbero ‘programmi di integrazione’ prima dell’adozione di famiglie russe.
    Non solo indottrinamento alla “visione del governo russo della cultura nazionale, della storia e della società”, ma anche addestramento militare. Tutte violazioni della Convenzione dei diritti dell’infanzia del 1989: dal rapimento di bambini durante un conflitto armato fino al trasferimento oltre i confini nazionali e la custodia prolungata senza il consenso esplicito dei tutori. Questi ‘programmi di integrazione’ risponderebbero al tentativo su larga scala di Mosca di russificare le regioni occupate in Ucraina, mentre il conflitto si trascina da un anno e un mese.

    Lo ha annunciato la presidente Ursula von der Leyen, come seguito dell’iniziativa lanciata con il premier polacco, Mateusz Morawiecki: “A oggi ne sono stati rapiti 16.200 e solo 300 hanno fatto ritorno”. L’obiettivo è raccogliere informazioni e supportare le organizzazioni internazionali

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    La commissaria Johansson in visita in Tunisia ad aprile. Con lei anche un ministro italiano

    Bruxelles – La Commissione europea cerchia la Tunisia sull’atlante geografico: dopo il titolare per l’economia dell’esecutivo Ue, Paolo Gentiloni, che dovrebbe recarsi a Tunisi il 26-27 marzo, anche la commissaria per gli Affari Interni, Ylva Johansson, ha annunciato una visita nel Paese nordafricano in aprile. Roma sarà ancora diretta interessata: ad accompagnare Johansson sarà infatti un ministro italiano. Anche se non è stato confermato, si tratta probabilmente dell’inquilino del Viminale, Matteo Piantedosi.
    Foto di gruppo al Meeting del Pse, 23/03/23
    Questa mattina (23 marzo) i vertici del Partito dei Socialisti europei (Pse) si sono incontrati a Bruxelles in preparazione al Consiglio europeo, in corso nella capitale belga oggi e domani. In un Consiglio incentrato prima di tutto sull’economia e sulla geopolitica, il dossier migrazioni rimane comunque sullo sfondo, in particolare per quanto riguarda le relazioni diplomatiche tra l’Unione e i Paesi del vicinato meridionale: Libia, Egitto e Tunisia in prima linea. Nell’unico punto dedicato alle migrazioni nella bozza finale delle conclusioni, si legge infatti che la presidente von der Leyen informerà i 27 leader Ue sui “progressi compiuti nell’attuazione delle sue conclusioni” del vertice straordinario del 9 febbraio, che lo stesso Consiglio chiederà alla Commissione “rapidi progressi su tutti i punti concordati” e soprattutto che si tornerà “regolarmente” sulla questione.
    “Stiamo lavorando a stretto contatto con l’Italia, c’è buona cooperazione”, ha dichiarato Johansson a margine della kermesse socialista. La commissaria ha ribadito la linea del gabinetto von der Leyen, su cui insiste anche Giorgia Meloni, che predilige la prevenzione delle partenze irregolari attraverso una stretta cooperazione con i Paesi d’origine e di transito. Inevitabilmente, i riflettori puntano dritto sulla Tunisia, Paese colpito da una durissima crisi economica e sociale e da cui le partenze verso le spiagge italiane sono aumentate vertiginosamente. Dai dati del Viminale, risulta che almeno 12 083 persone sono partite dalle coste tunisine da inizio anno fino a metà marzo, con un’impennata del 788 per cento rispetto ai 1360 arrivi nello stesso periodo dell’anno precedente.
    A Tunisi è in corso un preoccupante braccio di ferro tra il presidente Kais Saied e il Fondo Monetario Internazionale (Fmi): dopo aver trovato un accordo per un maxi prestito da 1,9 miliardi di dollari in cambio dell’attuazione di una serie di riforme economiche nel Paese, Saied si è rimangiato l’impegno e ha costretto il Fmi a bloccare l’erogazione dei fondi. Vista la situazione drammatica in cui versa la Tunisia, in cui da diversi mesi scarseggiano beni di prima necessità come burro, latte e zucchero, l’Italia si è messa all’opera per provare a convogliare risorse in soccorso al partner mediterraneo.
    La visita di Gentiloni va letta in questo contesto, la possibilità cioè di negoziare un supporto finanziario da Bruxelles. Anche l’Alto commissario Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha ipotizzato una visita a Saied, probabilmente per convincerlo a rispettare l’accordo preso con il Fmi e inaugurare la stagione di riforme. Parallelamente, il viaggio di Johansson, Piantedosi e dell’omologo francese, Gérald Darmanin, potrebbe portare a un rafforzamento della cooperazione in materia di gestione delle partenze e dei rimpatri delle persone migranti. Nel pieno compimento del principio che va per la maggiore in Ue, riassumibile con un datato ma mai così attuale “aiutiamoli a casa loro”.

    La titolare per gli Affari interni dell’Ue non ha specificato chi la accompagnerà, ma dovrebbe trattarsi di Matteo Piantedosi e del suo omologo francese, Gerald Darmanin. “Stiamo lavorando a stretto contatto con l’Italia” per prevenire le partenze irregolare, ha dichiarato Johansson a margine del vertice dei socialisti europei

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    La grande sfida cinese adombra il vertice dei leader, l’Ue teme alleanze con Mosca

    Bruxelles – Non ufficialmente in agenda ma comunque presente, nei pensieri, nelle dichiarazioni di rito, nei ragionamenti informali. Uno dei grandi elefanti nella stanza dei leader dell’Ue è la Cina, filo rosso di un Consiglio europeo dove il confronto sull’Ucraina e la competitività industriale del Vecchio continente passano per le trame del dragone. Che sono trame economiche, politiche, commerciali, di riposizionamento sullo scacchiere internazionale. Chi non ci gira troppo attorno è Krisjanis Karins. “La Cina in questo momento si sta sicuramente muovendo apertamente dalla parte della Russia, e questa è in realtà una grande sfida e una grande difficoltà per tutti noi”, riconosce il primo ministro della Lituania. Per storia del Paese che rappresenta legge le attività di Pechino in chiave russa, e teme per ciò che potrebbe derivare da una siffatta alleanza.

    . @krisjaniskarins 🇱🇻 “We need to think hard on what kind of ties we want with #China . China is moving towards the side of Russia, and this is a big challenge for us”. #EUCO @eunewsit pic.twitter.com/L4KvOBFOKx
    — emanuele bonini (@emanuelebonini) March 23, 2023

    Non c’è solo la mancata condanna della Cina all’aggressione russa dell’Ucraina a inquietare gli europei. L’incontro tra i leader della Repubblica popolare e della Federazione russa è fonte di inquietudine, e persino un Paese come il Lussemburgo, neutrale per tradizione, non può fare a meno di riconoscerlo. “Dobbiamo impedire un blocco russo-cinese contro gli altri”, dice un preoccupato Xavier Bettel. Che rilancia il riarmo dell’Europa. “Siamo neutrali, non abbiamo produzione di armamenti, ma ritengono importante accrescere quella europea”, soprattutto in ottica di un’eventuale alleanza tra due Paesi da apparati militari di grandi dimensioni ed entrambi potenze nucleari.
    L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, prova a rassicurare per quello che può. Gli chiedono se Pechino possa dare una mano a Mosca, e la risposta non è di quelle che più rassicuranti. “La Cina non sta aiutando la Russia per il momento”. Per il momento. Che non vuol dire che non possa verificarsi in futuro.
    Un avvertimento che il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è sentito in dovere di dare a tutti i capi di Stato e di governo del club a dodici di stelle. Nell’incontro a porte chiuse, riferiscono fonti qualificate, avrebbe raccomandato cautela. Isolare la Cina non gioverebbe. Al contrario, potrebbe rappresentare un rischio troppo forte. Questo il messaggio lanciato all’Ue dal capo dell’Onu. Andrebbe sfruttata quella attitudine positiva e al dialogo che ancora viene manifestata dal Paese asiatico, partner comunque non dei più comodi.
    Nessuno nell’Ue ha interessa a isolare la Cina, anche per ragioni economiche e commerciali. Ma occorre trovare il giusto equilibrio. Occorre saper non concedere troppo, né subire eccessivamente. “La Cina è un partner, ma anche un concorrente”, ricorda Bettel. Non si vuole la concorrenza sleale che si è vista fin qui, si vogliono uguali regole del gioco.
    Allo stesso tempo si deve giocare una partita di posizionamento nel mondo senza rimettere troppo in discussione il peso globale di Pechino in modo tale da inimicarsi il Paese. “Molti discutono di importazioni dalla Cina, ma a ben vedere le materie prime non arrivano dalla Cina ma da tutto il mondo”, ricorda il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Ma in quei quadranti del mondo dove l’Ue ha preso ad essere più attiva (Asia per il gas naturale liquefatto, Africa per le materie critiche utili alla transizione verde) i cinesi sono già presenti da tempo.
    In questo rompicapo rappresentato dalla difficoltà di trovare le giuste relazioni con la Cina l’Ue ha anche l’interesse a non compromettere i legami con gli Stati Uniti, che nell’ascesa cinese vedono un minaccia per la supremazia geo-politica. L’Europa si ritrova tra le due potenze a dover mediare senza infastidire eccessivamente nessuna delle due parte. La sfida nella grande sfida. Se nella stanza dei leader c’è chi teme per possibili alleanze sino-russe, altri, come il primo ministro portoghese Antonio Costa si preoccupano per divisioni. “Vogliamo un’alleanza globale per pace e diritto internazionale, e non un mondo frammentato tra Cina e Stati Uniti”.

    La questione di un blocco sino-russo inquieta diversi capi di Stato e di governo. Tema non in agenda, eppure molto presente. Dalle Nazioni Unite l’invito a non isolare Pechino

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    Clima, Guterres all’Ue: “Vicini al punto di non ritorno, anticipare obiettivo zero emissioni al 2040”

    Bruxelles – Lo scenario peggiore è sempre più vicino, e bisogna fare in fretta, molto in fretta per invertire la rotta. A pochi giorni dalla pubblicazione del rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu, che ha mostrato in modo un’altra volta lo stato di salute drammatico del pianeta, è stato il segretario delle Nazioni Unite in persona, Antonio Guterres, a recapitare il messaggio d’allarme a casa dei leader europei. Il vertice dei 27 di oggi e domani (23-24 marzo) a Bruxelles si è aperto con un pranzo di lavoro guidato dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e dal segretario Onu: sul tavolo, oltre all’emergenza climatica, il ritardo sugli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030, l’insicurezza alimentare alimentata dal conflitto in Ucraina e le relazioni con la Cina.
    “L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite mostra che siamo vicini al punto di non ritorno, che renderebbe impossibile perseguire l’obiettivo di rimanere sotto l’aumento di 1,5 gradi” della temperatura globale rispetto ai livelli del 1990, ha dichiarato Guterres al suo ingresso all’Europa Building. Gli esperti Onu sulla valutazione dei cambiamenti climatici hanno stimato che fino a oggi l’uomo ha provocato un aumento medio della temperatura terrestre di almeno 1,1°C: il limite posto nel 2015 con l’Accordo di Parigi è sempre più vicino e, come sottolinea il rapporto, con la tendenza attuale sarà superato già prima della metà del prossimo decennio.
    Antonio Guterres e Charles Michel, 23/03/23
    Il segretario generale ha evocato la necessità di “azioni urgenti e di un’agenda accelerata”, soprattutto da parte dei Paesi più industrializzati. In linea con quanto suggerito dal rapporto dell’Ipcc, Guterres ha chiesto ai 27 di anticipare di 10 anni i propri obiettivi stabiliti a Parigi per raggiungere la neutralità carbonica, nel 2040 invece che nel 2050. L’Onu “conta sulla leadership dell’Unione europea”, che secondo Guterres sta già “lavorando in modo positivo” verso la decarbonizzazione.
    Michel, accogliendo Guterres, ha posto l’accento sui tratti comuni tra l’Ue e l’Onu: “Crediamo in un approccio multilaterale, nella cooperazione, nella carta delle Nazioni Unite e nella legge internazionale”, ha affermato, congratulandosi “per la leadership” dimostrata “soprattutto con il Black Sea Grain“, l’iniziativa che dal luglio 2022 ha sbloccato l’export via mare di oltre 25 milioni di tonnellate di cereali ucraini, prorogata non senza difficoltà lo scorso 18 marzo. A quanto si apprende tuttavia, Guterres si sarebbe mostrato abbastanza pessimista sul proseguimento dell’accordo, che non starebbe andando in una direzione positiva perché interpretato in modo diversi dalle parti in causa.
    Pessimismo che sfiora quasi il catastrofismo quando Guterres passa in rassegna lo stato degli obiettivi di sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite per il 2030: “Più fame, più povertà, meno educazione e servizi sanitari in diverse regioni del mondo”, ha evidenziato il segretario generale dell’Onu, parlando di “una tempesta perfetta in molti Paesi in via di sviluppo”. Anche sull’Agenda per il 2030, Guterres ha fatto appello all’Ue affinché si “rimetta in carreggiata” verso il perseguimento degli obiettivi Onu. Sul gigante cinese e sul suo avvicinamento alla Russia, il segretario portoghese avrebbe lanciato un avvertimento ai 27: vista l’attitudine ancora positiva di Pechino nei confronti dell’Ue, Guterres ha suggerito di evitare qualsiasi mossa che possa isolare ulteriormente il presidente Xi Jinping. poiché in quel caso si rischierebbe di spingerlo ancora di più verso la Russia di Putin.

    Il segretario generale dell’Onu, ospite d’eccezione al vertice dei leader europei, si dice pessimista sul proseguimento dell’accordo sul grano ucraino con la Russia. “Più fame e povertà in diverse regioni del mondo”, l’allarme di Guterres sul ritardo sugli obiettivi di sviluppo sostenibile

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    Non solo l’Ucraina, Borrell annuncia il rifornimento di “attrezzature letali” a Niger e Somalia

    Bruxelles – Il sostegno dell’industria bellica europea all’Ucraina ha aperto la strada, ora Bruxelles sembra pronta a fornire equipaggiamento militare nel continente africano. Al primo Forum Schuman per la sicurezza e la difesa, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha annunciato che “sarà adottata presto una misura per fornire attrezzature letali ai nostri partner africani, Niger e Somalia”.
    Non si tratta dunque di equipaggiamento leggero, ma nello specifico di “munizioni per elicotteri al Niger e munizioni per scopi di addestramento alla Somalia“, sostenute attraverso lo strumento europeo per la pace (European Peace Facility), il programma con cui l’Unione europea ha stanziato in un anno oltre 4,5 miliardi di euro per rispondere all’invasione russa in Ucraina e per operazioni militari in diversi Paesi africani, in Libano, in Giordania, in Moldavia e in Georgia. Uno strumento utilizzato “così tanto”, che lo scorso 14 marzo il Consiglio dell’Ue ne ha aumentato il massimale finanziario: dai 5 miliardi originali ai 7,979 miliardi di euro (a prezzi correnti) fino al 2027.
    “La nostra risposta alla guerra in Ucraina ha cambiato il modo in cui l’Europa guarda alla propria agenda in materia di difesa e sicurezza”, ha ammesso Borrell: la rottura di un “tabù”, quello di finanziare i rifornimenti di armi di un Paese in guerra, è saltata all’occhio anche ai partner del continente africano, che “chiedono sempre di più un supporto, anche di attrezzature letali“. Per poter “soddisfare le aspettative” dei partner, esattamente un anno fa l’Ue ha lanciato la Bussola Strategica (Strategic Compass), che ha consentito un rafforzamento delle missioni e delle operazioni civili e militari, con “formazioni e attrezzature più mirate”. Ne è l’esempio la missione di addestramento in Niger lanciata il mese scorso: una missione di partenariato militare, a guida italiana, che secondo Borrell segue il modello “addestrare ed equipaggiare”, non solamente “addestrare”.
    Il contrasto alla presenza russa in Africa
    EEAS Schuman Security and Defence Partnership Forum
    I rappresentanti di oltre 50 Paesi partner dell’Ue che si sono riuniti al Forum Schuman sono per il capo della diplomazia europea la risposta “all’indebolimento del multilateralismo e al ritorno della politica di potenza in tutto il mondo”. Mentre Pechino strizza l’occhio a Mosca, il blocco occidentale si rinsalda attorno all’Ucraina, ma non vuole rischiare di cedere terreno all’autoritarismo di stampo russo-cinese in Africa. “Abbiamo tratto lezioni dalle sfide che affrontiamo nella Repubblica centrafricana e in Mali”, ha dichiarato Borrell, sottolineando lo sforzo insufficiente delle missioni europee in entrambi i Paesi, che hanno aperto la strada all’insinuazione del gruppo Wagner, lo “spietato procuratore del regime russo”.
    Perché anche il Cremlino ha la sua strategia di affermazione nel continente africano: la presenza crescente in Africa di istruttori militari russi, e quella più oscura del gruppo Wagner, viene giustificata da Mosca con il contrasto alle forze jihadiste che operano nel Sahel. In realtà, la presenza russa sul continente africano sarebbe costellata di ripetute violazioni dei diritti umani: nel giugno 2021, in un rapporto delle Nazioni Unite sulla Repubblica centrafricana, gli “istruttori” mercenari russi sono stati indicati come responsabili di numerose uccisioni, torture, violenze sessuali e saccheggi.
    “Le Nazioni Unite possono contare su di noi e sul nostro continuo sostegno” in tutte le missioni, “dal coordinamento politico e operativo alla condivisione delle informazioni e delle immagini satellitari”, ha concluso l’Alto rappresentante Ue. Perché la guerra in Ucraina ha testato la solidità del legame tra Ue e Nato, un legame “più forte che mai”. Che chiama l’Africa dalla sua parte.
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    Al primo Forum Schuman per la sicurezza e la difesa, l’Alto rappresentante Ue ha dichiarato che “nei prossimi mesi saranno consegnate munizioni per elicotteri al Niger e munizioni per scopi di addestramento alla Somalia”, grazie all’aumento di budget dello European Peace Facility

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    Borrell risponde ancora al ministro di Israele negazionista sulla Palestina: “Irrispettoso, pericoloso e controproducente”

    Bruxelles – Il ministro delle Finanze di Israele, Bezalel Smotrich, continua a far discutere. Dopo il vergognoso commento sul villaggio palestinese di Huwara, che “dovrebbe essere cancellato”, il leader del partito sionista religioso di estrema destra ha rincarato la dose: ospite a Parigi per una conferenza, ha affermato che “non si può parlare di palestinesi perché non esiste un popolo palestinese“.
    Secondo Smotrich il popolo palestinese sarebbe “una finzione”, creata a tavolino un secolo fa per ostacolare il movimento sionista. Se le parole su Huwara, teatro di violenze incontrollate da parte di coloni israeliani a seguito di un attentato lo scorso 26 febbraio, erano state definite “ripugnanti” perfino dall’alleato americano, questa volta a rispondere duramente ai “commenti inaccettabili del ministro” ci ha pensato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell.
    “È sbagliato, irrispettoso, pericoloso e controproducente“, ha dichiarato il capo della diplomazia europea, chiedendo  al governo guidato da Benjamin Netanyahu di “rinnegare queste parole e cominciare a lavorare per ridurre le tensioni”. Tensioni che stanno raggiungendo livelli allarmanti, con numeri di vittime che ricordano quelli della seconda intifada del 2006. Nei primi due mesi dell’anno, secondo l’ufficio di coordinamento umanitario per il Territorio Palestinese Occupato (Ocha-Opt) delle Nazioni Unite, sarebbero già 64 le vittime palestinesi e 13 quelle israeliane, a causa dell’inasprimento delle violenze.
    Mohammed Shtayyeh a Huwara (Photo by Zain Jaafar / AFP)
    Lo sforzo diplomatico per riavvicinare le autorità israeliane e palestinesi, che appaiono oggi più lontane che mai, si è concretizzato in due recenti incontri, prima a Aqaba in Giordania e poi a Sharm el-Sheikh in Egitto, con la mediazione di funzionari statunitensi e egiziani. L’ultimo proprio domenica 19 marzo, mentre Smotrich a Parigi reinterpretava a suo modo la storia della regione. A Sharm el-Sheikh i rappresentanti di Israele e Palestina si sono accordati per adottare misure che riducano le tensioni e le violenze durante il Ramadan, il mese sacro per la religione islamica, che comincia questa settimana. “I commenti di Smotrich vanno un’altra volta nella direzione opposta” rispetto agli incontri di Aqaba e Sharm el-Sheikh, ha sottolineato Borrell. Ne è la riprova il fatto che il primo ministro palestinese, Mohammed Shtayyeh, di ritorno dal vertice in Egitto ha espresso la propria indignazione, descrivendo le dichiarazioni di Smotrich come “la prova conclusiva di quanto l’ideologia dell’attuale governo israeliano sia estremista e razzista”.
    Per l’Unione europea c’è solo un percorso da seguire, quello della soluzione a due Stati: “Proseguiremo nel nostro impegno di lunga data per uno Stato palestinese indipendente e sovrano, che vive fianco a fianco con Israele in pace e sicurezza”, ha ribadito Borrell. Che in modo piccato ha aggiunto: “Mi dispiace se a qualcuno non piace, ma questa è la posizione dell’Ue”. E ha chiuso lanciando una provocazione: “Vi immaginate se un leader palestinese avesse detto che Israele non esiste, quale sarebbe stata la reazione?”

    Il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha affermato che “non si può parlare di palestinesi perché non esiste un popolo palestinese”. Intanto le due parti si sono accordate a Sharm el-Sheikh per ridurre le tensioni durante il Ramadan, che comincia questa settimana

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    La Tunisia rischia il collasso, l’Ue manda in missione il commissario Gentiloni

    Bruxelles – L’Italia chiama l’Europa in soccorso alla Tunisia. Per Tunisi, ma anche per se stessa e per Bruxelles. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, aveva chiesto con forza che si affrontasse il tema con gli omologhi europei, e così è stato: al Consiglio Affari esteri, i 27 hanno risposto allo stimolo pervenuto da Roma e discusso sulle azioni da intraprendere per scongiurare una “nuova Libia”. La più immediata, un’imminente visita a Tunisi del commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni.
    Il Paese della rivoluzione dei gelsomini, che nel 2011 rovesciò il regime di Ben Ali, è una pentola a pressione sull’orlo di esplodere: all’instabilità politica, con il presidente Kais Saied che cerca di imprimere una svolta autoritaria e le opposizioni che lo contestano ferocemente, si sommano una crisi economica cronica e le sue conseguenze sociali. In Tunisia scarseggiano i beni di prima necessità come burro, latte e zucchero, l’inflazione è galoppante, così come il tasso di disoccupazione. A preoccupare Roma e Bruxelles, sono soprattutto le ricadute che questa situazione rischia di avere sulle partenze di persone migranti verso le coste italiane.
    Ricadute già presenti: secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), tra gennaio e febbraio la rotta del Mediterraneo centrale è stata la “più attiva”, con quasi 12 mila attraversamenti irregolari delle frontiere europee. Complessivamente il doppio rispetto a un anno fa. Dai dati del Viminale, risulta che almeno 12 083 persone sono partite dalle coste tunisine da inizio anno fino a metà marzo, con un’impennata del 788 per cento rispetto ai 1360 arrivi nello stesso periodo dell’anno precedente.
    Come se non bastasse, lo scorso 21 febbraio il presidente Saied ha puntato il dito contro contro le “orde di migranti irregolari provenienti dall’Africa subsahariana”, che starebbero portando in Tunisia “la violenza, i crimini e i comportamenti inaccettabili che ne sono derivati”. Il capro espiatorio utilizzato da Saied, che ha parlato di un disegno criminale per “cambiare la composizione demografica” del Paese, ha generato un’ondata di violenze contro i migranti subsahariani, che verosimilmente innescherà nuove e immediate partenze verso l’Europa.
    Per evitare il collasso economico e sociale, già in ottobre il governo di Tunisi aveva raggiunto un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per un prestito da 1,9 miliardi in 48 mesi attraverso l’Extended Fund Facility. In cambio, Saied si era impegnato ad attuare una serie di riforme: un vero piano “lacrime e sangue”, il cui annuncio ha causato manifestazioni di piazza, forti repressioni governative e, in definitiva, il congelamento delle riforme. All’immobilismo del presidente tunisino, l’Fmi ha risposto con il blocco dell’erogazione del prestito, fino quando non riceverà segnali incoraggianti da Tunisi.
    Tajani chiede tempi rapidi per finanziare la Tunisia
    Antonio Tajani, Consiglio Affari esteri (20/03/23)
    La temporanea chiusura dei rubinetti da parte dell’Fmi ha preoccupato ulteriormente Bruxelles, con Tajani che ha chiesto “tempi rapidi per finanziare un Paese che vive un momento economico molto difficile”. Oltre al rischio di una “nuova pressione migratoria, perché la frontiera tra Libia e Tunisia è sempre più fragile”, il ministro degli Esteri italiano ha evocato lo spauracchio dell’estremismo islamico, che in caso di collasso dello Stato potrebbe “riapparire in Nord Africa”. Per Tajani il supporto a Tunisi deve arrivare su diversi livelli: se l’Italia “fornirà circa 110 milioni di euro al bilancio e alle piccole e medie imprese della Tunisia attraverso l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics)”, anche l’Europa e il Fondo Monetario Internazionale “devono fare la loro parte“. Il ministro ha proposto che il finanziamento internazionale sia sbloccato in diverse tranche, “man mano che vengono fatte le riforme”.
    Per poter negoziare un supporto finanziario anche da Bruxelles (oltre a quello che la Tunisia già riceve per la gestione dei flussi migratori), sarà per primo Paolo Gentiloni a recarsi “nei prossimi giorni” a Tunisi, seguito dai ministri degli Esteri di Belgio e Portogallo, che rappresenteranno i 27 Paesi membri. Anche l’Alto commissario Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, ha paventato una visita a Saied: “Forse dovrò viaggiare in Tunisia”, aveva dichiarato già questa mattina, prima del vertice. D’accordo con Tajani sull’urgenza della questione, “perché se la Tunisia collassa dovremo affrontare nuovi flussi massicci di migranti in Europa”, Borrell ha tuttavia evidenziato le responsabilità del presidente Saied nel peggioramento della crisi: “Non possiamo aiutare un Paese che non è in grado di rispettare un accordo con il Fmi, Saied deve finalizzare il programma”, ha avvisato il capo della diplomazia europea. Che si è smarcato dalla linea del Viminale, affermando che “il supporto non può che venire dal Fondo Monetario Internazionale“.