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    Ucraina, Brexit e Windsor Framework. Le relazioni tra Ue e Regno Unito continuano con l’Assemblea interparlamentare

    Bruxelles – Si riparte dai Parlamenti, per “tenere aperto il dialogo e rafforzare i rapporti tra Unione Europea e Regno Unito”. È così che la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, ha descritto il compito dell’Assemblea interparlamentare Ue-Regno Unito, riunitasi tra ieri e oggi (3-4 luglio) a Bruxelles per la terza volta dal maggio dello scorso anno: “Ci conosciamo già molto bene tra noi e dobbiamo portare avanti le discussioni per affrontare insieme come amici e come alleati le sfide e le minacce ai nostri valori comuni“.
    La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola (4 luglio 2023)
    Dall’Ucraina all’attuazione del Framework di Windsor, ritornando alla Brexit e alla necessità di ripristinare rapporti stabili tra le due sponde della Manica. “Grazie per il supporto senza sosta all’Ucraina dall’inizio della tentata invasione illegale di Putin“, ha esordito la numero uno del Parlamento Ue, riferendosi a “milioni di sterline come aiuto, addestramento di soldati e piloti, assistenza umanitaria, militare, politica e logistica”. Ue e Regno Unito si trovano “sulla stessa linea d’onda quando si parla di relazioni con l’Ucraina” e questo si riflette nei rapporti tra Bruxelles e Londra: “La nostra azione e la nostra unità dimostrano che possiamo continuare il nostro percorso comune“. Parole confermate anche dall’incontro di oggi tra l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il segretario di Stato per gli Affari esteri britannico, James Cleverly: “Abbiamo avuto una discussione produttiva sugli ultimi sviluppi in Ucraina”, ha reso noto lo stesso alto rappresentante Borrell, sottolineando che “Ue e Regno Unito sono ben allineati su una serie di questioni cruciali di politica estera, sicurezza e difesa“.
    A proposito del percorso comune tra i due partner, “questa Assemblea ha un ruolo concreto da giocare, non solo per spianare la strada alla cooperazione, ma soprattutto per monitorare l’implementazione dell’accordo di commercio e cooperazione“, ha ricordato la presidente Metsola. Si tratta del principale elemento di instabilità dei rapporti tra Ue e Regno Unito da quando Londra è uscita a tutti gli effetti dall’Unione il primo gennaio del 2021 e che – dopo due anni di tensione – può essere superato con l’implementazione del Framework di Windsor siglato poco più di quattro mesi fa: “È un passo in avanti per le nostre relazioni”, ha rivendicato Metsola, chiedendo il “pieno rispetto degli accordi presi”, perché “forniscono una solida base per preservare la nostra lunga amicizia e il nostro impegno costante per la democrazia e i diritti fondamentali“.
    Da sinistra: la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, e i co-presidenti dell’Assemblea interparlamentare Ue-Regno Unito, Nathalie Loiseau (eurodeputata di Renew Europe) e Oliver Heald (membro del Parlamento britannico)
    Anche per la co-presidente dell’Assemblea interparlamentare, Nathalie Loiseau (Renew Europe), l’unità sull’Ucraina e il Framework di Windsor “hanno creato le condizioni per rafforzare le nostre relazioni”. In attesa dell’implementazione effettiva dell’accordo di febbraio soprattutto in Irlanda del Nord, l’eurodeputata francese ha voluto sottolineare i “progressi del Regno Unito nella partecipazione al programma Horizon Europe, gli scienziati non possono pagare il prezzo della Brexit”, così come non devono farlo i giovani europei: “Dobbiamo lavorare per migliorare la mobilità giovanile”, ha ribadito con forza Loiseau. Da parte britannica il co-presidente Oliver Heald, membro conservatore del Parlamento del Regno Unito, ha voluto sottolineare che “un anno fa non c’era questa atmosfera di unità, dobbiamo portare a termine le discussioni sul Framework”. È innegabile che rimangono “divergenze dopo la Brexit sul piano del level playing field, ma dobbiamo affrontarle insieme”, ha messo in chiaro l’eurodeputata francese, mentre il collega britannico ha voluto rassicurare sul fatto che “il Regno Unito non vuole abbassare gli standard, questa Assemblea può essere un luogo di scambio su quello che stiamo facendo a livello legislativo”.
    Due anni di contesa tra Ue e Regno Unito
    La contesa tra Londra e Bruxelles è iniziata nel marzo del 2021 attorno alla questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Nel contesto post-Brexit questi controlli sonoritenuti necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda. Il problema maggiore ha riguardato le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’ex-primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson
    Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte dell’allora governo guidato da Boris Johnson ha scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra il luglio e l’ottobre dello stesso anno. L’esecutivo comunitario ha così sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati. Ma nel giugno dello scorso anno la Commissione Ue ha scongelato la stessa procedura d’infrazione, attivandone altre due, per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del Protocollo sull’Irlanda del Nord. Il crollo del governo Johnson prima e di quello disastroso di Liz Truss poi . con la contemporanea crisi economica che da allora ha travolto il Paese – ha agevolato le aperture da entrambe le parti verso una soluzione sostenibile per un accordo di compromesso. Accordo trovato proprio con il Framework di Windsor il 27 febbraio 2023, firmato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dal primo ministro britannico, Rishi Sunak, e che ora attende solo l’implementazione effettiva.

    A Bruxelles la terza riunione dell’Assemblea di eurodeputati e membri del Parlamento britannico. La presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola, sottolinea il “ruolo importante da giocare nel monitorare l’implementazione dell’accordo di commercio e cooperazione”

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    Jens Stoltenberg sarà segretario generale della Nato fino a ottobre 2024

    Bruxelles – Una decisione attesa, di cui oggi è arrivata la conferma. La Nato ha deciso di prolungare di un altro anno, fino al primo ottobre 2024, il mandato del segretario generale Jens Stoltenberg, ex primo ministro norvegese e leader dell’Alleanza transatlantica dal 2014.
    Nessun cambio della guardia, nonostante le voci insistenti dei mesi scorsi che tra gli altri indicavano anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, come possibile successore alla guida dell’Alleanza. Ma nonostante le voci insistenti è una decisione che non stupisce, visto il contesto in cui è stata presa e la necessità di fronteggiare una guerra alle porte dell’Europa.

    “Sono onorato dalla decisione degli alleati della Nato di estendere il mio mandato come Segretario Generale fino al primo ottobre 2024”, ha scritto Stoltenberg in un tweet. “Il legame transatlantico tra Europa e Nord America ha garantito la nostra libertà e sicurezza per quasi 75 anni e, in un mondo più pericoloso, la nostra Alleanza è più importante che mai”, ha aggiunto. I 31 Paesi che fanno parte dell’Alleanza – come si legge in una nota – hanno ringraziato il Segretario generale per la sua leadership e il suo impegno, “fondamentali per preservare l’unità transatlantica di fronte a sfide alla sicurezza senza precedenti”. La decisione dovrà essere formalmente approvata dai capi di Stato e di governo della NATO al vertice di Vilnius, che si terrà l’11 e il 12 luglio.

    Gli Alleati hanno deciso di prolungare di un altro anno il mandato. La decisione andrà formalmente adottata al Vertice di Vilnius la prossima settimana

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    Al Vertice Ue von der Leyen promette una proposta per usare gli asset russi congelati per l’Ucraina

    Bruxelles – La Commissione europea presenterà una proposta su come utilizzare i beni russi congelati per la ricostruzione dell’Ucraina. Al Vertice europeo che si è tenuto ieri e oggi (29 e 30 giugno) a Bruxelles “abbiamo discusso degli asset russi congelati e abbiamo intenzione di presentare una proposta. Ci concentreremo prudentemente sugli extra profitti derivanti dalle attività congelate della Banca centrale russa”, ha confermato la  presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa al termine della due giorni di Vertice europeo.
    Di approccio prudente parla von der Leyen dal momento che la questione è particolarmente divisiva e complessa, e ci sono opinioni diverse e diverse opzioni sul tavolo su come sfruttarli. Tra queste, l’ipotesi di tassarli, anche se l’idea è di trovare un consenso tale da farlo tutti insieme, a Ventisette. Il tema dell’uso dei proventi ricavati dagli asset russi congelati per contribuire ad aiutare l’Ucraina nella ricostruzione è abbastanza controverso, perché può comportare dei rischi per l’attrattività internazionale dell’euro.
    La Commissione europea sta lavorando a una proposta, dunque. Ma lo fa con prudenza, per cercare una soluzione a 27 che metta d’accordo tutti. Von der Leyen ha fatto il punto su quanto ottenuto sulla Russia durante l’attuale presidenza di Svezia alla guida dell’Ue, che si concluderà tra poche ore per lasciare il posto alla Spagna. “Abbiamo anche compiuto progressi nel sanzionare la Russia. La scorsa settimana abbiamo adottato l’undicesimo pacchetto di sanzioni che mira sostanzialmente a scappatoie e all’elusione delle sanzioni. Sotto la sua Presidenza, abbiamo compiuto solidi progressi in materia di responsabilità, nel nostro lavoro per consegnare alla giustizia i crimini della Russia”. Non cuna proposta, in questo momento, che possa diventare legge” sull’utilizzo degli asset russi congelati per la ricostruzione dell’Ucraina.

    L’annuncio della presidente della Commissione europea al termine del Consiglio europeo

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    Il vertice dei leader Ue dà il via libera alla nuova strategia dell’Unione sulla Cina: de-risking e relazioni equilibrate

    Bruxelles – In un Consiglio Europeo dominato dalla questione migrazione, il capitolo sulla Cina rimane quasi ai margini, almeno se confrontato con le attese fino a un mese fa. Eppure il contenuto è un orientamento strategico dell’Unione non di poco conto, che costituirà per il prossimo futuro la base di partenza su cui impostare qualsiasi discorso e confronto con Pechino: “Nonostante i diversi sistemi politici ed economici, l’Unione Europea e la Cina hanno un interesse comune a perseguire relazioni costruttive e stabili, ancorate al rispetto dell’ordine internazionale basato sulle regole, all’impegno equilibrato e alla reciprocità”, si legge nelle conclusioni del vertice dei leader Ue.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (29 giugno 2023)
    Come affermato per la prima volta nel discorso programmatico della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sulle direttrici strategiche per il riorientamento dei rapporti Ue-Cina lo scorso 30 marzo, i Ventisette confermano che l’Unione “continuerà a impegnarsi con la Cina per affrontare le sfide globali”, ma soprattutto incoraggia Pechino a “intraprendere azioni più ambiziose in materia di cambiamenti climatici e biodiversità, salute e preparazione alle pandemie, sicurezza alimentare, riduzione delle catastrofi, riduzione del debito e assistenza umanitaria”. La discussione strategica tra i 27 capi di Stato e di governo si è dimostrata un lavoro “rapido” sia nel lavoro per avere “una posizione unica”, ma anche per concordare conclusioni che mettessero in chiaro come Pechino sia “contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico” e che gli Stati membri devono tenere un “approccio politico multiforme”.
    Questo discorso riguarda prima di tutto l’aspetto economico e commerciale: “L’Unione Europea cercherà di garantire condizioni di parità, in modo che le relazioni commerciali ed economiche siano equilibrate, reciproche e reciprocamente vantaggiose”. L’obiettivo dichiarato è quello di “ridurre le dipendenze e le vulnerabilità critiche, anche nelle catene di approvvigionamento”, così come “diversificare dove necessario e appropriato”. La stella polare – discussa anche nel confronto del 6 aprile a Pechino tra la presidente della Commissione Ue von der Leyen, quello francese, Emmanuel Macron, e quello cinese, Xi Jinping – rimane il fatto che “l’Unione Europea non intende disaccoppiarsi o ripiegarsi su se stessa“. O, come ripete la numero uno dell’esecutivo comunitario, “de-risking, non disaccoppiamento”, che significa “ridurre le vulnerabilità dal punto di vista delle nostre relazioni economiche” come sulle materie prime critiche necessarie per la produzione di tecnologia pulita. Un tema su cui “c’è ampio consenso sia tra i governi Ue sia con i nostri partner G7”, ha messo in chiaro von der Leyen.

    Ue e Cina su politica estera e interna (cinese)
    Ma nelle conclusioni del vertice rientrano anche tematiche di natura puramente politica. In primis quella del controverso rapporto tra Pechino e Mosca, che Bruxelles sta cercando di spezzare per assicurarsi un alleato di peso per spingere la Russia a cessare la sua invasione dell’Ucraina: “In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha una responsabilità speciale nel sostenere l’ordine internazionale basato sulle regole”, ricordano i leader Ue, facendo riferimento alla “pressione” che Xi Jinping dovrebbe esercitare su Vladimir Putin perché “cessi la sua guerra di aggressione e ritiri immediatamente, completamente e incondizionatamente le sue truppe dall’Ucraina”. Sempre sul piano delle relazioni esterne viene messo nero su bianco il fatto che “i mari della Cina orientale e meridionale sono di importanza strategica per la prosperità e la sicurezza regionale e globale” e che l’Unione “è preoccupata per le crescenti tensioni nello Stretto di Taiwan“. In questo senso il Consiglio “si oppone a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo con la forza o la coercizione” e “riconferma la coerente politica di una sola Cina”.
    In ultima istanza non manca il riferimento al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, con un riferimento alla ripresa del dialogo sui diritti umani con la Cina. In ogni caso i Ventisette ribadiscono le preoccupazioni per “il lavoro forzato, il trattamento dei difensori dei diritti umani e delle persone appartenenti a minoranze e la situazione in Tibet e nello Xinjiang“, ma anche il rispetto dei “precedenti impegni della Cina in materia di impegni assunti dalla Cina in relazione a Hong Kong”.

    Nelle conclusioni del Consiglio Europeo trova spazio anche il capitolo sulle relazioni con Pechino, sulla base dei risultati del viaggio Macron-von der Leyen del 6 aprile: “È contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico, serve un approccio politico multiforme”

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    L’Ue sceglie il “modello Tunisia” per i rapporti con il Nord Africa

    Bruxelles – Dopo la (prevedibile) pugnalata degli alleati sovranisti polacchi e ungheresi, che hanno “preso in ostaggio” i 27 opponendosi a oltranza al capitolo sulle migrazioni delle conclusioni del Consiglio europeo, una consolazione per Giorgia Meloni si chiama Tunisia. I capi di Stato e di governo danno infatti la loro benedizione al pacchetto di partenariato globale con Tunisi , “modello per futuri accordi con i Paesi della regione”.
    Il paragrafo dedicato alle relazioni con il vicinato meridionale, non a caso inserito nel capitolo relativo alle ‘Relazioni esterne’ e non in quello ‘Migrazioni’, secondo la premier “racconta di quell’idea di partenariato strategico per i paesi del Nord Africa che per noi è un cambio di passo molto importante sul ruolo dell’Europa nel Mediterraneo di cui l’Italia è stata portatrice in questi mesi“. Messa la polvere sotto il tappeto, cioè l’inpossibilità di mediare con gli amici di della destra europea sui progressi fatti sul Patto sulla migrazione e l’asilo, Meloni rivendica l’affermazione di quell’approccio “tutto italiano” ai rapporti con i vicini del Mediterraneo.
    Il modello Tunisia per i partenariati strategici
    Giorgia Meloni e il presidente tunisino Kais Saied (Ph: Twitter]
    Durante la discussione strategica sul vicinato meridionale, si legge nel documento finale del vertice, è stata sottolineata “l’importanza dello sviluppo e rafforzamento di partenariati strategici tra l’Ue e i partner nella regione”. L’accordo con Tunisi – che ancora non è stato concluso ma su cui Meloni ha assicurato che c’è “disponibilità da entrambi i lati”- è fondato su cinque pilastri: sviluppo economico, scambi e investimenti, accordi sulle energie rinnovabili, gestione dei flussi migratori, mobilità e formazione nell’ambito della partnership per i talenti. In particolare prevederebbe la mobilitazione immediata di 150 milioni di euro di supporto al budget e 105 milioni per la gestione della migrazione, di cui 60 per il controllo dei confini. E 900 milioni di euro di assistenza macrofinanziaria vincolati allo sblocco del maxiprestito da 1,9 miliardi del Fondo Monetario Internazionale. In cambio sostanzialmente dell’impegno del presidente Kais Saied a continuare a fermare le partenze dei barconi e a trasformare la Tunisia in una sorta di piattaforma dove rispedire i migranti irregolari, che verrebbero sottoposti alle procedure d’asilo nel Paese nordafricano. I migranti a cui fosse riconosciuto il diritto d’asilo verrebbero ripresi dagli Stati membri, gli altri resterebbero in Tunisia.
    Per replicare in altri Paesi accordi con queste cifre, c’è bisogno di maggiori risorse da parte di tutti gli Stati membri. Anche qui, ne è convinta la premier, se si tratterà di fondi destinati alla sola dimensione esterna il consenso a 27 è facilmente raggiungibile. Per questo i 15 miliardi in più per la migrazione proposti da von der Leyen nella revisione del Bilancio pluriennale dell’Unione sono “un buon punto di partenza”, ma sono risorse “che devono essere spese a livello di cooperazione”, per aiutare il continente africano “ad avere un alternativa rispetto a una migrazione di necessità”.
    L’approccio di Meloni è stato sintetizzato in modo telegrafico dall’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che al suo arrivo al vertice ha dichiarato: “Una crisi oggi significa più migranti domani“. Il laboratorio Tunisia potrà dare una prima risposta. Sempre che i Paesi del Nord Africa accettino, fino a quando l’Ue non riuscirà a prevenire “conflitti e mancanza di prospettive economiche” nel continente, di chiudere le porte di un’Europa che non vuole più migranti sul proprio territorio. Su questo, ha ragione Meloni, sembrano essere tutti d’accordo.

    Al vertice Ungheria e Polonia si mettono di traverso sulle conclusioni sulle migrazioni, che vengono sostituite da una dichiarazione di Charles Michel sulla dimensione esterna. Ma Meloni può incassare il consenso a 27 per l’approccio “tutto italiano” ai rapporti con il vicinato meridionale

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    Contro vulnerabilità e rischi di attacchi e sabotaggi. Unione Europea e Nato alzano l’allarme sulle infrastrutture critiche

    Bruxelles – Dopo tre mesi di lavori si è chiuso il lavoro della task force congiunta Ue-Nato sulla valutazione dei rischi per la sicurezza delle infrastrutture critiche. Energia, trasporti, digitale e spazio. “La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina ha portato nuovi rischi, attacchi fisici e informatici, spesso combinati come una minaccia ibrida“, si legge nel rapporto di valutazione finale della task force congiunta tra le due organizzazioni, che traccia una mappa delle attuali sfide alla sicurezza nei quattro settori-chiave “di importanza trasversale”.
    Il risultato delle analisi sui rischi e le minacce alle infrastrutture critiche iniziate le scorso 16 marzo sono state presentate oggi (29 giugno) con una serie di raccomandazioni per mitigare la situazione nel prossimo futuro. In primis c’è il settore dell’energia: “Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream ha evidenziato la vulnerabilità delle infrastrutture energetiche“, è l’incipit del primo capitolo con il riferimento al sabotaggio di fine settembre 2022 dei due gasdotti nel Mar Baltico. “La sicurezza energetica è più impegnativa nell’attuale contesto geopolitico”, anche considerando che “le attività militari dipendono in modo significativo dalle reti e dalle forniture energetiche civili” e che “sono collegate in rete, quindi un’interruzione in un luogo può avere un impatto più ampio”. Nella valutazione viene riconosciuto che gli Stati membri Ue e gli alleati Nato “hanno compiuto passi decisivi per ridurre la dipendenza dall’energia russa“, mentre parallelamente “anche il crescente utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e l’elettrificazione possono rafforzare la resilienza”, riducendo la dipendenza da un unico sistema centrale. Allo stesso tempo non va dimenticato che “la maggiore dipendenza dalle energie rinnovabili comporta anche potenziali vulnerabilità“, perché “molti dei loro componenti critici sono ancora in gran parte concentrati al di fuori” dei Paesi membri Nato e Ue.
    “Le infrastrutture di trasporto, compresi gli aeroporti e i porti marittimi, sono anch’esse vulnerabili agli attacchi informatici, che possono infliggere ingenti danni economici ed eventualmente causare interruzioni per l’uso da parte delle forze armate”, è invece l’avvertimento lanciato sul piano dei trasporti: “Le nostre forze armate fanno grande affidamento sulle infrastrutture di trasporto civili e commerciali per lo svolgimento delle loro attività”. A questo si aggiunge il fatto che “la crescente elettrificazione dei trasporti porterà a una maggiore dipendenza dalla rete elettrica, dalle batterie e dalle relative infrastrutture” e che “le infrastrutture di trasporto sono sempre più digitalizzate”, tutti fattori di maggiore rischio. A proposito di digitale, il riferimento esplicito è a cavi in fibra ottica sotterranei e sottomarini, stazioni base cellulari, satelliti e reti 5G: “Comportano rischi dovuti alle limitate capacità di riparazione e alla maggiore vulnerabilità“. E infine lo spazio: “Concorrenti strategici e potenziali avversari stanno sviluppando capacità contro-spaziali che potrebbero minacciare l’accesso e la libertà operativa della Nato e dell’Ue nello spazio, interrompendo potenzialmente le infrastrutture critiche”, specifica il testo.
    Tra le raccomandazioni avanzate dalla task force si spinge sulla maggiore cooperazione “sfruttando appieno le sinergie”, come per esempio nel caso di “un grave pericolo o un cambiamento significativo del contesto di sicurezza”. Impegno esteso anche al settore privato e con il sostegno del Centro europeo di eccellenza per il contrasto alle minacce ibride. Di importanza centrale il rafforzamento del dialogo strutturato Ue-Nato sulla resilienza e quello sulla mobilità militare, con un ampliamento del confronto su sicurezza informatica, spazio, energia e mare. Da migliorare anche lo scambio sul monitoraggio delle implicazioni per la sicurezza e la cooperazione le e valutazioni parallele e coordinate delle minacce alle infrastrutture critiche.
    La protezione delle infrastrutture critiche nell’Ue
    Da sinistra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla firma della terza dichiarazione congiunta Ue-Nato (10 gennaio 2023)
    Oltre alla task force Ue-Nato, da mesi per i Ventisette la protezione delle infrastrutture critiche è diventata una priorità sempre più urgente, come aveva messo in chiaro la presidente von der Leyen, anticipando il piano in cinque punti al vaglio della Commissione: “Abbiamo visto quanto sono vulnerabili sia i gasdotti sia i cavi sottomarini, che sono la spina dorsale dell’economia globale e dell’energia”. Dal momento in cui le infrastrutture critiche “sono diventate obiettivi militari per la prima volta nella storia“, le istituzioni comunitarie hanno chiesto una maggiore coordinazione sotto la supervisione della Commissione, sempre considerata la competenza degli Stati membri nel campo della sicurezza nazionale.
    Il piano del gabinetto von der Leyen è stato presentato il 18 ottobre dello scorso anno dalla commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, con una serie di azioni da mettere in pratica nel campo energetico, digitale, spaziale e dei trasporti: implementazione della legislazione comunitaria, stress test, aumento della capacità di risposta attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’Ue, identificazione satellitare delle minacce e rafforzamento della cooperazione internazionale. Già in quell’occasione la titolare per gli Affari interni aveva comunicato che “gli alleati hanno accettato” di istituire la task force congiunta Ue-Nato per la protezione delle infrastrutture critiche, ma è dal 2020 che il segretario generale della Nato Stoltenberg mette in guardia sulla “cruciale importanza” dei cavi sottomarini sia per scopi civili sia militari. In ogni caso, nell’eventualità di danneggiamento alle infrastrutture critiche terrestri, le forze armate occidentali possono comunque passare rapidamente alle comunicazioni satellitari.

    Pubblicato il rapporto di valutazione finale della task force congiunta delle due organizzazione, che traccia una mappa delle attuali sfide alla sicurezza in quattro settori-chiave: energia, trasporti, infrastrutture digitali e spazio. Si rafforzerà il dialogo strutturato a Bruxelles

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    Prima del Consiglio Ue von der Leyen sente i leader di Kosovo e Serbia. Borrell: “Stati membri stanno perdendo la pazienza”

    Bruxelles – Scende in campo la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, per cercare di dare il colpo definitivo ai rischi dell’aumento delle tensioni tra Kosovo e Serbia. “Ho sottolineato l’urgente necessità di una de-escalation e del ritorno al dialogo facilitato dall’Ue sulla normalizzazione delle relazioni con la Serbia”, ha reso noto oggi (27 giugno) in un tweet la stessa numero uno dell’esecutivo comunitario dopo la telefonata con il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, e poco prima di fare lo stesso con il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić. Colloqui che arrivano alla vigilia del Consiglio Europeo del 29-30 giugno, quando i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue troveranno anche la questione delle violenze degli ultimi mesi nel nord del Kosovo e della tensione tra Pristina e Belgrado sul tavolo delle discussioni.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro dell’Albania, Edi Rama (27 giugno 2023)
    È la seconda volta che la presidente von der Leyen affronta la questione da quando il 26 maggio sono scoppiate le violente proteste nel nord del Kosovo che hanno portato a un aggravamento della situazione nella regione. “Le recenti tensioni sono preoccupanti, mi associo agli appelli rivolti a tutte le parti ad abbandonare lo scontro e ad adottare misure urgenti per ristabilire la calma“, aveva messo in chiaro la leader della Commissione presentando il nuovo piano di crescita per i Balcani Occidentali lo scorso 31 maggio. Da allora però è passato quasi un mese e sono stati pochi i segnali di riduzione delle provocazioni tra Pristina e Belgrado. Ma – come ha messo in chiaro l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in un punto stampa con il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, al termine dell’incontro di oggi – “gli Stati membri stanno perdendo la pazienza davanti a una situazione che continua a deteriorarsi“. Della questione i 27 governi ne hanno discusso ieri (26 giugno) al Consiglio Affari Esteri, trovandosi d’accordo sul fatto che “le parti devono permettere la de-escalation della situazione e trovare una via basata sulla tabella di marcia proposta loro la settimana scorsa” alla riunione di emergenza a Bruxelles.
    A proposito delle discussioni a livello Ue, saranno proprio i 27 capi di Stato e di governo ad affrontare direttamente la questione tra giovedì e venerdì. Come emerge dall’ultima bozza delle conclusioni visionata da Eunews, il Consiglio Europeo “condanna i recenti episodi di violenza nel nord del Kosovo e chiede un’immediata attenuazione della situazione, sulla base degli elementi chiave già delineati dall’Unione europea il 3 giugno 2023″, in riferimento alla dichiarazione dell’alto rappresentante Borrell sulle violenze di inizio mese. La specifica sulla data è una novità rispetto alla prima versione delle conclusioni, ma non è l’unica. Spicca in particolare l’esortazione a entrambe le parti a “creare le condizioni per elezioni anticipate in tutti e quattro i comuni del nord del Kosovo” (Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica), mentre rimane la minaccia velata che “la mancata attenuazione delle tensioni avrà conseguenze negative”. Uguale il passaggio sulla necessità della ripresa del dialogo facilitato dall’Ue e la “rapida attuazione dell’Accordo sul percorso di normalizzazione e del relativo Allegato di attuazione” (ripetitivamente l’accordo di Bruxelles del 27 febbraio che ha definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo e l’intesa sull’allegato di implementazione raggiunta a Ohrid il 18 marzo). Ma nell’ultima bozza è stato incluso anche l’esplicito riferimento alla “istituzione dell’Associazione/Comunità dei Comuni a maggioranza serba“.
    L’arresto/sequestro di tre poliziotti kosovari dai servizi di sicurezza serbi nell’area di confine tra Serbia e Kosovo (14 giugno 2023)
    Anche il premier albanese Rama da Bruxelles ha messo in guardia sugli “effetti devastanti che un’ulteriore deterioramento della situazione potrebbe avere non solo in Kosovo e Serbia, ma in tutta la regione” dei Balcani Occidentali. Parole di soddisfazione sono state rivolte a Belgrado per aver risolto l’ultimo episodio di tensione – la liberazione di ieri dei tre poliziotti kosovari arrestati/rapiti dalle forze di sicurezza serbe il 14 giugno – ma “ora è tempo per una de-escalation urgente e immediata”, ha rimarcato il primo ministro: “Questa situazione non può impattare in modo negativo la regione, abbiamo molto da fare dopo tanti progressi, non può cadere tutto come un castello di sabbia”. Ecco perché l’idea condivisa da Tirana è quella di “una conferenza di massimo livello con Ue e Stati Uniti, che porti i leader dei due Paesi allo stesso tavolo“, è quanto avanzato da Rama. Da quel tavolo il premier Kurti e il presidente Vučić “non devono andarsene prima di aver trovato un accordo, altrimenti rischieranno di incorrere in conseguenze negative e spiacevoli per tutti”.
    Cosa sta succedendo tra Serbia e Kosovo
    Lo scorso 26 maggio sono scoppiate violentissime proteste nel nord del Kosovo da parte della minoranza serba a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica. Proteste che si sono trasformate il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato (30 sono rimasti feriti, di cui 11 italiani). Una situazione deflagrata dalla decisione del governo Kurti di forzare la mano e far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti lo scorso 23 aprile in una tornata particolarmente controversa: l’affluenza al voto è stata tendente all’irrisorio – attorno al 3 per cento – a causa del boicottaggio di Lista Srpska, il partito serbo-kosovaro vicino al presidente serbo Vučić e responsabile anche dell’ostruzionismo per impedire ai sindaci di etnia albanese (a parte quello di Mitrovica, della minoranza bosniaca) di assumere l’incarico. Dopo il dispiegamento nel Paese balcanico di 700 membri aggiuntivi del contingente di riserva Kfor e una settimana di apparente stallo, nuove proteste sono scoppiate a inizio giugno per l’arresto di due manifestanti accusati di essere tra i responsabili delle violenze di fine maggio e per cui la polizia kosovara viene accusata di maltrattamenti in carcere.
    Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)
    A gravare su una situazione già tesa c’è stato un ulteriore episodio che ha infiammato i rapporti tra Pristina e Belgrado: l’arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi lo scorso 14 giugno. Un evento per cui i due governi si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine, in una zona di confine tra il nord del Kosovo e il sud della Serbia scarsamente controllata dalla polizia kosovara e solitamente usato da contrabbandieri che cercano di evitare i controlli di frontiera. Dopo settimane di continui appelli alla calma e alla de-escalation non ascoltati né a Pristina né a Belgrado, per Bruxelles si è resa necessaria una nuova soluzione ‘tampone’, ovvero convocare una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per cercare delle vie percorribili per ritornare fuori dalla “modalità gestione della crisi” e rimettersi sul percorso della normalizzazione dei rapporti intrapreso tra Bruxelles e Ohrid. A pochi giorni dalla riunione a Bruxelles del 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari da parte della Serbia, ma la tensione tra Pristina e Belgrado rimane ancora alta e per il momento non è stato deciso nulla sulle nuove elezioni nel nord del Kosovo.

    La presidente della Commissione Ue ha telefonato al premier kosovaro, Albin Kurti, e al presidente serbo, Aleksandar Vučić, per ribadire “l’urgente necessità di una de-escalation e del ritorno al dialogo”. Nella bozze di conclusioni del vertice dei leader Ue inserito un punto specifico

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    Approvato dal Consiglio dell’Ue l’accordo di libero scambio con la Nuova Zelanda. Entrata in vigore attesa entro il 2024

    Bruxelles – Fa passi in avanti l’accordo di libero scambio Ue-Nuova Zelanda e ora si attende solo il via libera del Parlamento Europeo per l’entrata in vigore. A dare la spinta decisiva è stata l’approvazione di oggi (27 giugno) da parte del Consiglio dell’Ue, che ha adottato la decisione di firmare l’accordo stretto nel giugno dello scorso anno dal gabinetto von der Leyen con Wellington. “L’accordo Ue-Nuova Zelanda rafforzerà il rapporto tra partner stretti e giocherà un ruolo importante nel nostro impegno nella regione dell’Indo-Pacifico“, si è congratulato il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue responsabile per l’Economia, Valdis Dombrovskis: “È un accordo moderno e dinamico, che promuove forti azioni a protezione del clima e dei diritti del lavoro”.
    Il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis (27 giugno 2023)
    Il via libera del Consiglio è necessario – insieme a quello ancora mancate dell’Eurocamera – per sancire la fine del processo iniziato esattamente cinque anni fa. Una volta entrato in vigore – “ci aspettiamo che questo accada all’inizio del 2024“, ha precisato Dombrovskis nel corso della conferenza stampa – l’accordo di libero scambio Ue-Nuova Zelanda porterà all’eliminazione dei dazi su tutte le esportazioni di merci e prodotti industriali e alimentari dai Paesi membri Ue verso la Nuova Zelanda, mentre l’Unione eliminerà “o ridurrà sostanzialmente” i dazi sulla maggior parte delle merci neozelandesi, si legge testo dell’intesa firmata il 30 giugno 2022 dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e dall’allora premier neozelandese, Jacinda Ardern, volata a Bruxelles appositamente per presenziare all’appuntamento storico. L’entrata in vigore avverrà “il primo giorno del secondo mese successivo alla conferma” di entrambe le parti sul completamento dei requisiti e delle procedure legali.
    Cosa prevede l’accordo Ue-Nuova Zelanda
    Al centro dell’accordo di libero scambio Ue-Nuova Zelanda c’è la collaborazione per spingere una crescita stimata dell’80 per cento degli investimenti e del commercio bilaterale fino al 30 per cento: in altri termini, un potenziale aumento delle esportazioni annuali dell’Ue fino a 4,5 miliardi di euro. Di fondamentale importanza per Bruxelles è la tutela di 163 indicazioni geografiche protette (come il formaggio Asiago) e quasi duemila tra vini e alcolici (tra cui il Prosecco). Sarà illegale la vendita di imitazioni – divieto dell’uso di un termine Ig “per prodotti non genuini”, o espressioni come ‘genere’, ‘tipo’, ‘stile’, ‘imitazione’ – e l’uso “ingannevole” di simboli, bandiere o immagini che suggeriscono una falsa origine geografica. Stop anche a tutti i dazi sulle principali esportazioni alimentari dell’Ue in Nuova Zelanda, come carni suine, vino e spumante, cioccolato, dolciumi e biscotti
    Da sinistra: l’ex-prima ministra della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen (30 giugno 2022)
    L’accordo di libero scambio Ue-Nuova Zelanda rappresenta un primo caso nel suo genere, considerato che nel capitolo sul commercio e lo sviluppo sostenibile sono state incluse questioni ambientali e climatiche con una clausola inedita: nella collaborazione per la determinazione del prezzo del carbonio e la transizione verso un’economia a basse emissioni, sono previste sanzioni in caso di “violazione sostanziale” dell’Accordo di Parigi sul clima. L’obiettivo è quello di prevenire e limitare i danni ad acqua, aria e suolo, facilitando il commercio e gli investimenti in beni, servizi e tecnologie a basse emissioni di carbonio. In questo quadro rientra anche il capitolo su energia e materie prime, con l’eliminazione delle restrizioni all’esportazione di beni energetici, rinnovabili incluse: in particolare saranno promossi il commercio e gli investimenti per le energie rinnovabili e i prodotti ad alta efficienza energetica.
    Di rilievo infine il capitolo sul digitale e la proprietà intellettuale. Saranno facilitati i flussi di dati transfrontalieri, vietando i requisiti “ingiustificati” di localizzazione dei dati e mantenendo il livello di protezione dei dati personali secondo il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) dell’UE, “che contribuisce in modo significativo alla fiducia nell’ambiente digitale”. In questo modo le imprese potranno contare sulla “prevedibilità e certezza del diritto” e i cittadini comunitari e neozelandesi su “un ambiente online sicuro” nel momento in cui effettuano transazioni commerciali digitali a livello transfrontaliero. Per quanto riguarda le disposizioni in materia di proprietà intellettuale, saranno protetti il diritto d’autore, i marchi, i disegni e i modelli industriali, con un aumento degli standard accettati da Wellington: 20 anni per i diritti di autori, esecutori e produttori di registrazioni sonore e 15 anni per disegni e modelli registrati.

    A fissare la data è stato il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, accogliendo il passo in avanti verso l’eliminazioni dei dazi alle esportazioni reciproche e la tutela dei prodotti agricoli europei. Intesa storica su sanzioni in caso di violazione dell’Accordo sul clima di Parigi