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    La Russa resta assessore, malgrado il saluto romano

       È stata respinta con 46 voti su 72 la mozione di censura all’assessore regionale lombarda alla Sicurezza, Romano La Russa, che chiedeva di “revocare la nomina ad assessore regionale”, per “un atto di celebrazione del fascismo”, a prima firma del capogruppo del Pd, Fabio Pizzul, e sottoscritta da numerosi esponenti di tutti i gruppi di minoranza. Durante il dibattito era assente il presidente della Regione Attilio Fontana. Il provvedimento era arrivato dopo che l’assessore La Russa, in occasione dei funerali del cognato ed esponente di destra Alberto Stabilini, aveva partecipato al rito del ‘presente’.
       Per il Pd, “siamo di fronte alla totale inconsapevolezza di come si rappresenta il ruolo istituzionale” e alla “impossibilità di ricoprire con onore la carica”. La consigliera di Lombardi civici europei, Elisabetta Strada, ha notato che “la lettera di scuse (scritta da La Russa ndr) mostra che non si è compresa l’inopportunità del fatto”.  ‘Nessuna nostalgia in Regione Lombardia’ c’era scritto sui cartelli esibiti dal Movimento Cinque Stelle, rimossi dai commessi. 
        È “senza valenza politica” il gesto del saluto romano, secondo la capogruppo di Fdi Barbara Mazzali, tanto che “la leader del partito Giorgia Meloni l’ha definito antistorico”. Il gesto, “per quando riconducibile a un momento privato – aggiunge – non rappresenta la posizione politica legata al partito di Fratelli d’Italia, ma un gesto personale”. Il clamore mediatico, per Mazzali, è stato “uno strumento di propaganda elettorale per evocare fantasmi che non appartengono al nostro partito”. Sulla stessa linea è l’intervento del capogruppo di Forza Italia, Gianluca Comazzi: “È evidente che non ci sia pericolo di fascismo in questa Regione come in questo Paese”. L’assessore poi “ha chiesto scusa, pertanto il tema non c’è”.
       “Immediatamente ho chiesto scusa a chi si è sentito offeso perché ho compreso l’inopportunità del gesto, che ha danneggiato più di chiunque altro il mio partito. E sono scuse che rinnovo oggi con ancora più convinzione, se ce ne fosse bisogno”. Così lo stesso La Russa, durante la discussione in Consiglio regionale della mozione di censura. Si è trattato del primo intervento in aula di La Russa, che ha notato: “Avrei immaginato un altro ingresso in aula e me ne dispiaccio innanzitutto con me stesso. Da parte mia non c’è alcuna volontà che voglia risultare contraria al testo della Costituzione, che ho sempre servito e accettato anche se in alcuni passaggi poteva non piacermi, in tutte le mie attività istituzionali”. L’evento, spiega, “era fine a se stesso e nulla aveva a che fare con un significato politico”. Inoltre, il saluto romano è eseguito “non con molta convinzione” perché, ammette, “ero conscio del gesto che andavo a compiere, fatto per non venir meno alle ultime volontà di Alberto”. Per La Russa, la vicenda è diventata “incomprensibilmente” notizia nazionale perché “in campagna elettorale tutto è consentito”

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    Lombardi (M5S),nel Lazio si continua anche con Iv-Azione

    (ANSA) – ROMA, 04 OTT – Nel Lazio “stiamo lavorando tutti
    assieme anche con Italia Viva e Azione. Noi siamo in regione e
    siamo concentrati sulla chiusura della legislatura. Stiamo
    lavorando sul collegato di bilancio, ultimo atto legislativo che
    faremo. Di altro non stiamo parlando, visto anche il momento
    delicato e di difficoltà del Paese”. Lo ha detto all’ANSA
    l’assessora della giunta di Nicola Zingaretti, esponente M5s,
    Roberta Lombardi, ribadendo così l’alleanza del campo largo che
    governa ora il Lazio. (ANSA).   

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    Governo, Meloni: 'Fare presto, troppe scadenze importanti'

    “Vediamo di capire quando sono” le consultazioni, “bisogna cercare di fare presto, ci sono troppe scadenze importanti”. Così la leader di Fdi Giorgia Meloni parlando con i cronisti mentre lasciava gli uffici di Montecitorio. “Non ci siamo ancora interrogati su questo, ragionevolmente, lo abbiamo fatto in passato ma francamente non ne abbiamo ancora parlato”, ha risposto alla domanda se il centrodestra si presenterà unito alle consultazioni al Quirinale.
    “Leggo tante cose, la Meloni è diventata draghiana. Io penso che persone normali che cercano di organizzare una transizione ordinata nel rispetto delle istituzioni facciano una cosa normale, non è che si fa un inciucio”, ha detto ancora Meloni ai cronisti che le chiedevano del dossier energia.
    “Prudenza”. Oltre al silenzio, suo e dei suoi più stretti collaboratori, Giorgia Meloni invita tutti a non lasciare correre troppo la fantasia nel gioco del toto-ministri. La squadra quando sarà il momento sarà pronta e sarà all’altezza, è il refrain che ripetono anche da Lega e Forza Italia, che si sono affrettati a specificare che l’esecutivo di centrodestra sarà “politico”, dopo che la sola idea circolata nel fine settimana di una prevalenza di tecnici, e nei ruoli chiave, aveva sollevato un vespaio tra gli alleati. La leder di Fdi come oramai d’abitudine trascorre tutto il pomeriggio Montecitorio. “Leggo cose surreali che poi dovrei commentare” le uniche parole che dice prima di chiudersi negli uffici del gruppo a occuparsi dei dossier economici, la crisi dell’energia su tutti, con la “stella polare” della difesa dell’interesse nazionale. Al Consiglio europeo del 20 e del 21 ottobre molto probabilmente sarà ancora Mario Draghi – con cui i contatti sono continui – a rappresentare l’Italia e, sottolineano da via della Scrofa, non c’è nessuna intenzione di creare “fratture” tra vecchio e nuovo governo. Ma i documenti, e la proposta italiana in arrivo, mettono le mani avanti da Fdi, sono quelli elaborati dall’esecutivo ancora in carica. Fazzolari è l’unico che si ferma a parlare coi cronisti. Oggi “c’è Cingolani”. E domani ancora non si sa – dice forse anche con una dose di scaramanzia – “chi avrà le sue funzioni né chi sarà il premier”.
    Non entra nel merito del “borsino” dei ministri Fazzolari – che in molti vedono in pole come sottosegretario alla presidenza – ma minimizza le tensioni con gli alleati (“non c’è polemica sui tecnici”) e anche il polverone alzato dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Fa fede, assicura, il programma condiviso dal centrodestra che prevede, almeno per ora l’opzione minimal della flat tax incrementale e dell’aumento a 100mila euro della soglia per gli autonomi. Si vedono andare e venire anche Francesco Lollobrigida e Giovanni Donzelli. E alla Camera si affaccia anche la neoeletta senatrice Lavinia Mennuni (che ha battuto nel suo collegio Emma Bonino e Carlo Calenda). Ma sulla composizione del puzzle nessuno si sbilancia. Bisogna fare presto, è la convinzione di tutti, perché le emergenze sono tante e servono risposte rapide. L’idea sarebbe quella di arrivare all’appuntamento del 13 ottobre con l’intesa tra alleati sul pacchetto completo, presidenze delle Camere e ministri, da sottoporre ovviamente poi al vaglio del presidente della Repubblica.
    Anche perché è un gioco a incastri: se, come risale nelle quotazioni, dovesse passare lo schema che vede Ignazio La Russa sullo scranno più alto di Palazzo Madama e un leghista alla Camera – si fanno i nomi di Riccardo Molinari o di Giancarlo Giorgetti – Forza Italia andrebbe compensata con un ministero di peso come la Farnesina, dove resta in campo anche l’ipotesi Elisabetta Belloni ma a quel punto potrebbe andare invece Antonio Tajani, che sarebbe anche il capodelegazione di Fi al governo.
    Per Silvio Berlusconi, poi, in Consiglio dei ministri non potrà mancare – è un suo puntiglio – la fidatissima Licia Ronzulli. Nell’idea del Cav potrebbe essere destinata alla sanità ma per quel dicastero si guarda a una figura con maggiori competenze specifiche. Altri papabili in casa Fi sono Alessandro Cattaneo e Anna Maria Bernini (che potrebbe anche essere riconfermata nel ruolo di capogruppo). Per gli Affari europei resta forte il nome di Raffaele Fitto, mentre al momento Giulia Bongiorno avrebbe perso il derby con Carlo Nordio per la Giustizia. E se resta ancora da riempire la casella del ministero dell’Economia (il pressing su Fabio Panetta si farebbe sempre più incalzante) l’altro nodo ancora da sciogliere rimane quello del ruolo di Matteo Salvini, che domani farà la sua mossa riunendo il consiglio federale a Roma (Meloni farà un punto con l’esecutivo di Fdi mercoledì). Il leader leghista – se davvero non dovesse spuntare il ritorno al ministero dell’Interno, cui guarda anche Tajani in alternativa agli Esteri – vorrebbe almeno la vicepresidenza del Consiglio. Che riaprirebbe all’ipotesi della prima ora di due vice.

     

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    A Palazzo Vecchio striscione per solidarietà a donne Iran

    (ANSA) – FIRENZE, 03 OTT – Uno striscione a sostegno delle
    donne iraniane è stato affisso oggi a Palazzo Vecchio dal
    sindaco di Firenze Dario Nardella e dai Bowland, band musicale
    nata a Firenze da tre amici che si sono incontrati a Teheran.
    Nello striscione c’è scritto ‘Firenze solidale con le donne
    iraniane’ con le tre parole ‘Donna, vita, libertà’. (ANSA).   

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    Referendum: firme digitali per proposte, firmato il decreto

    Arriva la piattaforma per la raccolta in modalità elettronica delle sottoscrizioni per i referendum. E’ stato firmato il decreto attuativo relativo al funzionamento della piattaforma di raccolta elettronica delle sottoscrizioni per i referendum e i progetti di legge di iniziativa popolare. Lo fa sapere il Ministero dell’Innovazione, spiegando che il decreto ha recepito sia le osservazioni del Garante della Privacy che quelle del Ministero della Giustizia: una volta registrato sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale dando il via alla messa in esercizio della piattaforma, che garantirà la piena digitalizzazione del processo.

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    Francia: rinvio a giudizio per Guardasigilli Dupond-Moretti

     La Corte di giustizia della Repubblica (il tribunale dei ministri, in Francia) ha dato il suo via libera alla celebrazione di un processo contro il Guardasigilli, Eric Dupond-Moretti, accusato di aver approfittato della sua carica per un regolamento di conti con alcuni magistrati con i quali era in corso una disputa ai tempi in cui l’attuale ministro era avvocato. Lo hanno annunciato oggi i suoi legali.    “Come purtroppo ci aspettavamo – hanno detto gli avvocati Christophe Ingrain e Rémi Lorrain – la commissione istruttoria della Corte ha emesso una sentenza di rinvio a giudizio. Abbiamo immediatamente preparato un ricorso in Cassazione contro questa decisione. Quindi questa decisione non esiste più”.

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    Priorità energia, Meloni punta a chiudere entro il 20

    Giorgia Meloni continua a tessere la tela del governo che verrà e punta a chiudere la partita possibilmente entro il 20 ottobre. Tra 18 giorni si riunirà il Consiglio europeo. E, una volta ricevuto l’incarico dal Quirinale e se avrà la squadra pronta, la presidente di Fratelli d’Italia potrebbe forse giurare in tempo utile per portare il dossier energia personalmente a Bruxelles, partecipando al vertice da premier accanto agli altri leader internazionali. E’ quella l’emergenza più sentita e che la preoccupa maggiormente (“La priorità è fermare la speculazione sul gas”, ribadisce).    In questo quadro, proseguono i contatti con Mario Draghi, e non si esclude che ci siano stati pure nel fine settimana. Un filo diretto che consente a Palazzo Chigi di tenere informato il prossimo capo del governo su tutti i dossier aperti. E allo stesso tempo un’opportunità, per Meloni, per valutare insieme all’esecutivo uscente tutte le strade possibili in vista del quarto probabile decreto Aiuti. Pensato per sostenere famiglie e imprese contro la stangata d’autunno, tra boom bollette e inflazione, sarà esclusiva del successore di Draghi. Ma è tutto da costruire, a cominciare dalle coperture da trovare. Tra le ipotesi circolate in ambienti parlamentari ci sarebbe l’aumento della base Isee per i bonus o le aliquote del credito di imposta, che però assottiglierebbero non poco il ‘tesoretto’ di 10 miliardi a disposizione per i nuovi sostegni.    Un lavorio costante che si sposa – anche nello stile – con la cautela e sobrietà mostrata dalla leader di destra dopo il trionfo elettorale di sette giorni fa. Oltre al silenzio, imposto ai big del partito che l’affiancano in riunioni e trattative. Riprenderanno in settimana, non solo con i fedelissimi ma anche con gli alleati di centrodestra (all’appello manca Maurizio Lupi che guida i moderati della coalizione).
        Il presidente del Consiglio uscente si starebbe limitando a impostare le linee guida della situazione. E prima di lasciare il Palazzo, non è escluso che possa tornare in Parlamento e presentare la relazione sul Piano nazionale. In sostanza, la fotografia dello stato dell’arte dell’Italia, anche per sancire il passaggio di consegne sul lavoro fatto, in assoluta trasparenza. Il governo Draghi starebbe, quindi, definendo tutti i dossier ancora aperti e quelli in chiusura, così da garantire una transizione ordinata e lineare a chi verrà dopo. Da qui l’attenzione suggerita su alcune strategie che il prossimo governo potrebbe adottare. Per reperire altri fondi, oltre al ‘tesoretto’, si ipotizza – sempre in ambienti parlamentari – un nuovo scostamento di bilancio. Una possibilità che potrebbe mandare in fibrillazione i mercati. Un aspetto considerato delicato da tutti gli interlocutori, alla luce anche della recessione in atto in Germania (che ha già messo sul piatto 200 miliardi), nel Regno unito e della recessione tecnica degli Stati Uniti. Di conseguenza in questo difficilissimo quadro internazionale un extra deficit italiano potrebbe rappresentare più una complicazione che un aiuto, si ragiona. Sta di fatto che qualsiasi decisione potrà essere presa solo ed esclusivamente dall’esecutivo entrante, a prescindere da qualsiasi suggestione o considerazione di opportunità politica. Su un altro tavolo, FdI e il centrodestra stanno giocando la partita dei ministri. In queste ore accantonata rispetto alle priorità evidenziate dalla premier in pectore. E anche per più di una criticità da sbloccare. Nei giorni scorsi Meloni ha raccolto i desiderata di Lega e Forza Italia ma non ha sciolto il rebus sui ministeri chiave: Economia, Esteri e Interno. In ballo ci sarebbero i sì attesi da esperti non legati ai partiti come Fabio Panetta, ora nel comitato esecutivo della Bce e che Meloni vorrebbe alla guida del Tesoro. Un nodo delicato anche perché, a prescindere dalle volontà dei singoli, il passaggio di Panetta al governo lascerebbe scoperta la strategica casella europea, che poi anderebbe sostituita con un nome dello stesso livello. Una scelta, quella del ministro dell’Economia, che insieme a un eventuale prefetto al Viminale (in alternativa a Matteo Salvini), mette in allerta FI. Non a caso Antonio Tajani avverte: “Può accadere che ci siano personaggi con un’esperienza tale da essere nel governo, pur non essendo parlamentari, ma siano dei casi, non la regola”. 

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    Lula si riprende la scena ma il Brasile è diviso

    “I bolsonaristi più fanatici dovranno adeguarsi alla maggioranza della società”. Luis Ignacio Lula da Silva ‘voltou’, è tornato. L’icona pop della sinistra sudamericana – grande favorito nei sondaggi – si è ripreso la scena, deciso a pacificare il Paese diviso, dopo i quattro anni di mandato del presidente di destra Jair Bolsonaro, pronto – almeno a parole – a combattere con tutti i mezzi pur di restare in sella. Una “svolta epica” l’ha definita il New York Times nei suoi pronostici sul Brasile al voto, per la fenice risorta dalle sue ceneri a 76 anni, dopo essere stata travolta dall’inchiesta Lava Jato, la mani pulite brasiliana guidata dal giudice Sergio Moro, poi diventato ministro della Giustizia (in seguito dimissionario) del governo dell’ex parà appoggiato dalla chiesa evangelica e dalla polizia militare. Un capitolo buio e mai chiarito fino in fondo (le condanne vennero annullate e tutto finì in prescrizione), costato 18 mesi di carcere all’uomo simbolo del Partito dei lavoratori, che ora chiede di essere “risarcito”, adombrando forse – come alcuni osservatori sostengono – un certo desiderio di regolamento di conti, una volta che avrà ben strette in pugno le redini della decima economia del mondo. Nonostante la campagna più polarizzata nella storia del colosso verde-oro, che nei 46 giorni di comizi e scambi di accuse ha contato persino tre morti, l’ex sindacalista è convinto che sarà “facile ristabilire pace e democrazia nel Paese”.
    La sua ricetta per il “Brasile della speranza” come ha raccontato, senza risparmiarsi, nelle piazze dei 27 stati del gigante sudamericano, spesso vestito con i colori della sua squadra del cuore, il Corinthians. L’alternativa al progetto basato su “Dio, patria e famiglia” di Bolsonaro, mai entrato in sintonia con donne, giovani, e le fasce più povere della popolazione. “Ci saranno sempre dei fanatici che non vogliono adattarsi, come ci sono in tutti i partiti. Ma la maggior parte della società brasiliana vuole pace, tranquillità, armonia e vuole lavorare, produrre e vivere bene “, ha spiegato Lula riemergendo dalla cabina elettorale della scuola Joao Firmino, nel quartiere Assuncao di San Bernardo do Campo, sua roccaforte elettorale, a sud dello stato di San Paolo, dove è arrivato con Janja, la moglie Rosangela da Silva, e Geraldo Alckmin (Ptb), suo vice nel futuro governo. Per “quelli che non rispettano la legge, è un problema loro” si è limitato a dire Lula riferendosi alla grande incognita che pesa sul voto: il timore di un mancato riconoscimento del risultato dei bolsonaristi e del suo leader, che potrebbe incendiare il Brasile.
    Per questo nei giorni scorsi da organizzazioni internazionali e da mezzo mondo sono arrivati appelli al rispetto delle procedure democratiche guidate dal Tribunale superiore elettorale, che il presidente di destra negli ultimi mesi ha attaccato a più riprese, adombrando il pericolo di brogli e manipolazioni, ed esigendo la presenza dell’esercito a sorvegliare il funzionamento di scrutini a campione. Del resto anche nella sua uscita pubblica a Rio de Janeiro, dove ha votato alla scuola municipale Rosa de Fonseca, nel quartiere di Vila Militar, centro di caserme e di abitazioni di militari, Bolsonaro è stato sibillino. “Con elezioni pulite, vinca il migliore”, ha affermato, senza tuttavia rispondere ai numerosi cronisti che chiedevano se avrebbe accettato il verdetto elettorale. Sull’avenida Paulista, arteria centrale di San Paolo, già prima della chiusura dei seggi i supporter del leader del Partito dei lavoratori erano pronti a sventolare una volta ancora le loro bandiere vermiglio.