More stories

  • in

    Giovedì l'ok del Parlamento all'invio di armi in Ucraina

    Dovrebbe ricevere il via libera definitivo da Montecitorio entro giovedì il decreto legge che prolunga per tutto il 2023 l’autorizzazione al governo ad inviare armi all’Ucraina, un provvedimento già approvato dal Senato e la cui discussione ha avviato i lavori di questa settimana alla Camera. Si tratta di un passaggio che dovrebbe confermare quanto avvenuto a Palazzo Madama e in Commissione, vale a dire la compattezza della maggioranza sul sì al provvedimento, anche se la Lega solleva dubbi sull’efficacia delle sanzioni alla Russia. C’è una nuova differenziazione nelle opposizioni: Pd e Terzo Polo sono a sostegno dell’appoggio militare a Kiev, mentre M5s e Avs sono contrari all’invio di armi, tra le quali – ha confermato il ministro Antonio Tajani – dovrebbero esserci i nuovi missili terra-aria di costruzione franco-italiana.
    M5s e Nicola Fratoianni hanno presentato due emendamenti, bocciati nelle Commissioni, che chiedevano per ciascun invio di armi l’autorizzazione del Parlamento. Una dialettica accesa si registra nel centrodestra ma non si traduce in una divisione nel voto: la Lega contesta l’efficacia delle sanzioni contro la Russia attraverso le parole di Simone Billi a Montecitorio e di Massimiliano Romeo in Senato. Il problema è nel campo delle opposizioni. A fronte del convinto sì dei due candidati alla segreteria del Pd Stefano Bonaccini ed Elly Schlein al sostegno militare a Kiev, si contrappone un nuovo “no” di Giuseppe Conte che però, come al Senato non dovrebbe fare ostruzionismo.
    In un’intervista al Corriere della Sera il ministro Tajani ha spiegato che nel “sesto pacchetto” dovrebbero esserci i missili terra-aria Samp-T, di fabbricazione italo-francese, essenziali per la difesa aerea dell’Ucraina per abbattere i missili russi e i droni forniti dall’Iran ma anche “altre azioni a cui lavoriamo riservatamente”.
    L’Italia “sostiene ogni pista possibile per arrivare a una pace giusta, che significa l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina”, ha sottolineato osservando che se è vero che “il conflitto deve finire al più presto, allora per i Paesi alleati dell’Ucraina deve essere ben chiaro che dobbiamo fare tutto il possibile per aiutare questa nazione nella sua battaglia per l’indipendenza”.

  • in

    È guerra diplomatica tra la Russia e i Baltici

    Il gruppo dei Paesi baltici, insieme con la Polonia, si conferma come il fronte in prima linea nello scontro con la Russia. Mosca ha espulso l’ambasciatore dell’Estonia, accusandola di portare avanti una politica di “totale russofobia”. E all’inevitabile risposta uguale e contraria di Tallinn si è aggiunta quella della Lettonia, che ha anch’essa ordinato all’ambasciatore russo di lasciare il Paese.
    La Lituania, invece, aveva espulso l’ambasciatore di Mosca già nell’aprile dell’anno scorso, dopo le accuse rivolte dall’Ucraina alle forze russe per il massacro di civili a Bucha.
    “Il regime estone ha avuto quello che meritava”, ha scritto sul suo canale Telegram la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, commentando la decisione di espellere l’ambasciatore di Tallinn, che ha provocato la reazione estone e lettone. Il capo missione dell’Estonia a Mosca, Margus Laidre, dovrà lasciare la Russia entro il 7 febbraio. Entro la stessa data il suo omologo russo a Tallinn dovrà andarsene dall’Estonia.
    Le relazioni diplomatiche tra i due Paesi saranno abbassate al livello di incaricati d’affari. La data limite scelta dalla Lettonia per la partenza dell’ambasciatore russo è invece il 24 febbraio, primo anniversario dell’inizio di quella che Mosca chiama l’operazione militare speciale in Ucraina. Ma che il governo di Riga ha definito “una brutale aggressione”, spiegando di avere ridotto le relazioni diplomatiche al livello di plenipotenziario in solidarietà con l’Estonia.
    Nell’annunciare l’espulsione dell’ambasciatore estone, il ministero degli Esteri russo ha accusato il governo di Tallinn di aver “elevato la russofobia al rango di politica statale”.
    L’ultimo episodio denunciato da Mosca è la decisione dell’Estonia di ridurre la presenza diplomatica russa nel Paese a 8 funzionari e 15 impiegati, motivata dalla necessità di pareggiare la presenza dei propri rappresentanti in Russia.
    Ma fin dall’inizio del conflitto in Ucraina i tre Paesi baltici, occupati militarmente dall’Unione Sovietica nel 1940 e fino al 1991 territori dell’Urss, sono stati tra i più decisi nel reclamare una linea dura dell’Occidente contro Mosca.
    Lituania, Estonia e Lettonia chiedono tra l’altro con insistenza alla Germania di permettere la fornitura dei suoi carri armati Leopard all’Ucraina. E Tallinn ha appena annunciato che cederà a Kiev tutti gli obici da 155 millimetri in dotazione alle sue forze armate.
    Nell’aprile dell’anno scorso i presidenti di Lituania, Estonia e Lettonia e quello della Polonia si erano recati insieme a Kiev per incontrare il loro omologo ucraino Volodymyr Zelensky. Quello stesso mese la Russia e i tre Paesi baltici avevano disposto le chiusure reciproche di alcuni consolati, mentre il presidente lituano Gitanas Nauseda lanciava l’allarme per un “possibile” attacco di Mosca al suo Paese.   

  • in

    Elezioni: le amministrative nel Lazio e in Lombardia, i numeri e le regole

    Oltre dodici milioni di elettori alle urne, una miriade di candidati per conquistare 131 seggi nei Consigli ma soprattutto le poltrone di governatore di due delle Regioni più importanti d’Italia, il Lazio e la Lombardia. Le urne per rinnovare le due amministrazioni saranno aperte domenica 12 febbraio dalle 7 alle 23 e lunedì 13 dalle 7 alle 15.
    L’ultima tornata elettorale per Lazio e Lombardia risale al 4 marzo del 2018. In quella occasione – i dati provengono dal portale del Viminale – nel Lazio su 4.780.090 elettori andarono a votare 3.181.235 persone, con una affluenza finale pari al 66,55%; Nicola Zingaretti (centrosinistra) vinse con il 32,93% e 1.018.736 voti. In Lombardia invece su 7.882.633 elettori andarono al voto in 5.762.459, con un’affluenza del 73,10% e Attilio Fontana (centrodestra) prevalse con il 49,75% e 2.793.369 voti.
    Candidature e liste collegate sono state consegnate agli uffici elettorali nelle Corti d’Appello e nei Tribunali dalle 8 di venerdì 13 gennaio fino alle 12 di sabato 14, cioè nel trentesimo e ventinovesimo giorno antecedenti alla votazione, così come previsto dalla legge nazionale.
    Le due Regioni hanno poi le loro leggi elettorali regionali, ma in entrambi i casi viene eletto presidente della Regione “il candidato che ha conseguito il maggior numero di voti validi in ambito regionale”, senza ballottaggio.
    Per il Lazio, dove si sfideranno Alessio D’Amato (centrosinistra e Terzo Polo), Francesco Rocca (centrodestra), Donatella Bianchi (M5s e altre liste di sinistra), Rosa Rinaldi (Unione popolare), Sonia Pecorilli (Partito Comunista Italiano), Fabrizio Pignalberi (Quarto Polo-Insieme per il Lazio), la legge regionale è la 2 del 2005, modificata nel 2017. Il Consiglio regionale del Lazio è composto da 50 consiglieri più il presidente della Regione. Quattro quinti, cioè 40 consiglieri, vengono eletti col metodo proporzionale sulla base di liste concorrenti presentate a livello circoscrizionale (le cinque province: Roma, Frosinone, Latina, Rieti, Viterbo); il restante quinto (10 seggi) che vale non è più assegnato ‘automaticamente’ tramite il cosiddetto listino, abolito nel 2017. Il premio di maggioranza varia in funzione dei seggi che le liste collegate al presidente della Regione eletto hanno ottenuto con metodo proporzionale. Se il gruppo o i gruppi di liste collegati al candidato presidente eletto hanno conseguito, in sede di riparto proporzionale, una percentuale di seggi inferiore al 60% (30 seggi), il premio di maggioranza consiste nell’assegnare, tra i suddetti gruppi di liste, un numero di seggi necessario a raggiungere tale soglia. Tuttavia, il numero massimo di seggi attribuibile con il premio non può superare i dieci seggi, anche nel caso in cui non fosse sufficiente a garantire il raggiungimento del 60% dei seggi. Nel 2017 poi è stata introdotta tra l’altro la parità di genere, attraverso la doppia preferenza e l’obbligo di garantire il limite del 50% ai candidati dello stesso sesso nelle liste circoscrizionali e la garanzia di almeno un consigliere eletto per ogni provincia.

    Agenzia ANSA

    FdI cerca en plein e campo largo diviso alla prova. Lega a caccia di uno spazio, Calenda spariglia e cerca leadership nella coalizione (ANSA)

    In Lombardia la partita è tra l’uscente Attilio Fontana (centrodestra), Pierfrancesco Majorino (centrosinistra e M5s), Letizia Moratti (Terzo Polo), Mara Ghidorzi (Unione Popolare). La legge elettorale è la 17-2012. Il Consiglio regionale, è spiegato dal sito dell’ente, è composto da 80 consiglieri compreso il presidente della Regione. Gli altri 79 consiglieri sono eletti con criterio proporzionale sulla base di liste provinciali concorrenti. Le circoscrizioni provinciali sono quelle esistenti al 1 gennaio 2012 (Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Monza e Brianza, Pavia, Sondrio, Varese). Nel rispetto della parità uomo-donna, le liste provinciali devono essere composte seguendo l’ordine dell’alternanza di genere. Rispetto al premio di maggioranza, alle liste collegate al governatore eletto sono assegnati almeno 44 seggi (cioè il 55% dei seggi) se il presidente ha ottenuto meno del 40% dei voti validi; almeno 48 seggi (cioè il 60% dei seggi) se il presidente ha ottenuto il 40% o più dei voti validi. Alla coalizione vincente non possono però essere attribuiti più di 56 seggi (cioè il 70% dei seggi). 23 seggi sono quindi sempre garantiti alle liste ‘perdenti’, ed è garantito che ciascuna provincia abbia il proprio rappresentante.

    Agenzia ANSA

    Fontana cerca il bis contro Majorino e Moratti. Per Unione Popolare la candidata presidente è Mara Ghidorzi (ANSA)

  • in

    Elezioni: Regionali Lombardia, quattro i candidati alla presidenza

    In totale sono quattro i candidati alla presidenza delle Regione Lombardia che si sfideranno in quest’ultimo mese di campagna elettorale. Attilio Fontana, il governatore in carica, va a caccia di un secondo mandato con il sostegno di tutto il centrodestra. Letizia Moratti, ex vicepresidente di Fontana, dopo aver presentato le sue dimissioni dalla giunta lo scorso novembre, corre con il supporto del Terzo polo e di una lista civica. Il candidato del centrosinistra e del M5s è invece l’europarlamentare del Pd Pierfrancesco Majorino. Completa lo scacchiere Mara Ghidorzi di Unione Popolare, il movimento guidato dall’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris.
    La coalizione di Fontana si compone complessivamente di sei simboli. Accanto a quelli dei principali partiti del centrodestra – Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – e della sua lista civica, ci sarà anche lo scudo crociato della ex Dc (Unione di centro – Verde è popolare) e quello di ‘Noi Moderati’ che candida come capolista su Milano, Bergamo e Brescia il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi. Scalpita Fdi, che alle regionali del 2018 non andò oltre il 3.6%. Oggi, però, il partito di Giorgia Meloni viaggia a vele spiegate e si è posto come obiettivo quello di raggiungere il 30% in Lombardia, facendo già intendere di voler ‘mettere le mani’ sugli assessorati più pesanti, su tutti quello alla Sanità. La Lega è chiamata invece a migliorare il risultato delle scorse politiche e ha ‘indebolito’ Fi candidando a Milano l’assessore regionale alla Casa Alan Rizzi, ormai ex azzurro. La lista del partito di Silvio Berlusconi è composta dalla deputata Cristina Rossello, dai consiglieri regionali uscenti e da alcune new entry come la sindaca di Assago Lara Carano.
    Anche se non avrà il sostegno del Comitato Nord di Umberto Bossi, nella lista di Moratti figurano comunque molte vecchie conoscenze del centrodestra, come l’ex leghista ed ex presidente del Consiglio regionale Davide Boni. Nella civica non sono presenti i consiglieri espulsi dalla Lega dopo aver formato un nuovo gruppo in Regione, che avevano offerto la propria disponibilità a Moratti una volta incassato il ‘no’ dal centrodestra al loro ingresso in coalizione. La capolista del Terzo polo è la renziana Lisa Noja. Con lei, candidati su Milano, anche l’ex leghista Gianmarco Senna e il consigliere comunale ex Pd Carmine Pacente.
    Nella coalizione di Majorino, oltre al Pd, c’è anche il M5s, l’alleanza VerdiSinistra e Reti Civiche e una lista civica guidata dal direttore dell’Irccs Galeazzi Fabrizio Pregliasco. Tra i dem cercano di rientrare al Pirellone anche i consiglieri regionali Pietro Bussolati, Paola Bocci, Carlo Borghetti e Carmela Rozza, mentre i pentastellati si affidano al capogruppo Nicola Di Marco, al consigliere Gregorio Mammì e a qualche new entry come l’ex candidata sindaca di Melzo Federica Casalino.
    Nelle liste di Ghidorzi, infine, ci sono anche candidati di Rifondazione Comunista, Dema e Potere al Popolo, oltre che di Unione Popolare. L’obiettivo è quello di raccogliere consenso nella Regione “più ricca d’Italia, dove però sono anche più ampie le diseguaglianze in termini di reddito, opportunità e qualità della vita”.

  • in

    Elezioni: Regionali Lazio, la posta in gioco

    Si fa presto a dire che la sfida è sul termovalorizzatore di Roma, se non altro perché a rigore la competenza è del sindaco-commissario e qui, il 12 e 13 febbraio, in palio non c’è il Campidoglio ma la Regione Lazio. E la posta, per tutti i contendenti, è ben più alta di una scelta, pure strategica, su come trattare i rifiuti, o sulle liste d’attesa sanitarie, gli ospedali, il lavoro e il sostegno alle imprese. Sulla scacchiera di via Cristoforo Colombo può giocarsi la conferma o la fine di un ciclo amministrativo decennale in un territorio nevralgico.
    Oppure determinare la mappa delle future strategie del centrosinistra. O consumarsi una frizione tra le forze di maggioranza le cui scosse si sentono fino a Palazzo Chigi. D’altronde romana è Giorgia Meloni, a cui è spettato il compito di indicare da capo di FdI il candidato. Per Meloni vincere in casa – e vincere bene – è più che un dovere. Perdere, come fu con la sfortunata corsa di Enrico Michetti per il Campidoglio, o anche solo vincere col fiatone, sarebbe una macchia per il capo del governo già alle prese col caso accise, in cui molti vedono la fine della luna di miele.
    Nel centrodestra la scelta del nome non è stata agevole, con l’autocandidatura ingombrante di Fabio Rampelli, ex mentore di ‘Giorgia’, velatamente sponsorizzata anche da FI, e con la Lega più propensa invece verso un civico così da non lasciare troppo terreno all’alleata. L’ha spuntata Francesco Rocca, ex capo della Croce Rossa, cuore a destra, esperienza vasta di sanità laziale e consuetudine professionale coi suoi centri di potere. Ma anche più rassicurante, col suo profilo civico, rispetto a un ‘colonnello’ o magari a un ‘capitano’ di partito. E poiché la politica rifugge il vuoto, ecco che a occupare lo spazio a destra è accorsa la Lega di Matteo Salvini e Claudio Durigon. Nella Lega sanno che primo partito di coalizione non potranno essere, per cui puntano almeno a non arrivare terzi e a consolidarsi a Roma e dintorni.
    Ecco dunque che insieme a tanti veterani della politica laziale, spesso saliti sul Carroccio solo negli ultimi anni, spunta nelle liste anche Mauro Antonini, ex leader regionale di Casapound, in passato in effetti visto insieme a Mauro Borghezio. A sinistra il quadro è differente, le geometrie variabili. Non si può intendere il Lazio se non si guarda, a paragone, la Lombardia. Lì, dove governa la Lega, Pd e M5s vanno alle urne a braccetto; nel Lazio governano assieme la Regione, ma si presentano a rinnovarla separati.
    I dem in Regione sono di casa da un decennio, nel segno di Nicola Zingaretti, che per un certo periodo è stato persino, insieme, governatore e segretario nazionale. Oggi, addirittura, il partito è alle prese con le incertezze congressuali. Il candidato di continuità è Alessio D’Amato, l’assessore alla Sanità che sui galloni ha l’uscita dal commissariamento e una campagna anti-Covid di successo. Ma su D’Amato ha messo la fiches subito anche il Terzo Polo di Carlo Calenda, ben radicato a Roma, che ha posto il veto – o loro o me – sui pentastellati.
    E a nulla sono serviti infiniti tentativi di conciliazione, compromesso, offerte di ticket o varie suasion. Il ‘campo largo’ ha fatto crac, e il M5s ha finito per schierare la giornalista Rai Donatella Bianchi, volto di Linea Blu, portandosì con sé tra l’altro parecchi nomi storici della sinistra romana confluiti nel ‘Polo Progressista’. D’Amato ha lasciato intendere che, in caso di sua vittoria, non avrebbe nulla in contrario a portare i grillini in giunta. Ma la legge elettorale è senza ballottaggio, per cui prima bisogna vincere, e divisi è più in salita. E c’è pure il sospetto che la strategia di Conte, in realtà, sia quella di usare il Lazio come laboratorio per verificare quanto consenso il Movimento riesca a erodere al Pd. Ma anche quanti indecisi riesca a ripescare. Una platea che fa gola a entrambi: D’Amato l’ha detto chiaramente: “Vinceremo anche stavolta, e sono profondamente convinto che la differenza la farà la lista Civica con gli incerti, con chi ha disaffezione verso le forze politiche tradizionali”. “Dobbiamo guardare a chi non va a votare, a chi si astiene, ai delusi, agli arrabbiati” gli ha fatto eco Bianchi. Parlando del Lazio, certo. Ma non solo.

  • in

    Scontro Meloni-Ue sui balneari. Governo chiede deroga Bruxelles dice no

    Giorgia Meloni, in visita ad Algeri, apre ad una ulteriore proroga – richiesta con forza dai partiti che appoggiano la sua maggioranza – all’applicazione delle norme europee sulla concorrenza per regolamentare le concessioni balneari. Ma da Bruxelles a stretto giro arriva un richiamo al rispetto della direttiva Bolkenstein sulla concorrenza che suona come uno stop all’intraprendenza di partiti. 
    “La questione è complessa. Non ho cambiato sul tema della difesa dei balneari da una direttiva che non andava applicata, quello che ora si tratta di capire è quale sia la soluzione più efficace a livello strutturale. Io immagino una soluzione non temporanea, convocheremo le associazioni dei balneari prima del voto degli emendamenti (al decreto Milleproroghe, ndr) per capire se è più efficace la proroga o altre soluzioni, il mio obiettivo è mettere in sicurezza quegli imprenditori”. Aveva detto la premier rispondendo ad una domanda in riferimento agli emendamenti presentati dai partiti di maggioranza per una nuova proroga al recepimento della Bolkenstein per i balneari. 
    Nel giro di poche ore, Bruxelles ri fa sentire. “Il diritto Ue richiede che le norme nazionali” in materia di servizi “assicurino la parità di trattamento degli operatori senza alcun vantaggio diretto o indiretto per operatori specifici, promuovano l’innovazione e la concorrenza leale” e “proteggano dal rischio di monopolizzazione delle risorse pubbliche”. Dice all’ANSA un portavoce Ue sulla possibile nuova proroga del governo. “Cittadini e imprese – aggiunge – hanno diritto a una procedura trasparente, imparziale e aperta al momento di decidere a quale impresa debba essere concesso il diritto di usare il suolo pubblico, in questo caso le spiagge”. 
    E proprio questa mattina la stessa commissione aveva confermato di essere “in contatto con le autorità italiane” anche in vista “dell’attuazione dei loro impegni”.  “Stiamo seguendo molto da vicino” le “recenti discussioni in Italia sulla riforma della legge sulla concorrenza adottata lo scorso anno e anche quale potrebbe essere l’impatto” per le “concessioni balneari”, aveva evidenziato una fonte interna, aggiungendo che le concessioni balneari non fanno parte formalmente degli obiettivi del Pnrr.
    E a questo ultimo aspetto si era appligliato il senatore di Forza italia Maurizio Gasparri, rilanciando l’ipotesi di proroga. “Leggo con piacere sulle agenzie che le concessioni balneari non sono formalmente incorporate nelle pietre miliari e negli obiettivi del Pnrr. Lo ha detto la portavoce della Commissione europea, Veerle Nuyts, rispondendo a una domanda sulle concessioni balneari in Italia. Questa ulteriore affermazione dimostra quanto sia percorribile la strada di una proroga per chiarire lo stato delle cose anche alla luce di una sentenza del Consiglio di Stato piena di errori e della discutibile applicazione della direttiva Bolkestein. Pertanto riteniamo che Forza Italia faccia bene, come altri gruppi parlamentari, a introdurre, tra gli emendamenti segnalati, il proprio emendamento per una proroga che consenta al governo e a tutte le sue componenti di confrontarsi con le associazioni di categoria prima di prendere qualsiasi ulteriore decisione”, ha dichiarato Gasparri.  “Il monitoraggio è ancora in corso, non è stato completato ed è fondamentale per verificare se siamo di fronte a una risorsa scarsa oppure no, come noi pensiamo che sia. L’impegno di Forza Italia quindi prosegue nel confronto con il centrodestra al quale abbiamo anticipatamente sottoposto le nostre proposte. Le parole della Nuyts ci danno ulteriore ragione”. 

  • in

    Meloni,direttiva su Balneari sbagliata,soluzione sia strutturale

    (ANSA) – ROMA, 23 GEN – “La questione è complessa. Non ho
    cambiato idea sul tema della difesa dei balneari e su una
    direttiva che non andava applicata, quello che ora si tratta di
    capire è quale sia la soluzione più efficace a livello
    strutturale. Io immagino una soluzione non temporanea,
    convocheremo le associazioni dei balneari prima del voto degli
    emendamenti per capire se è più efficace la proroga o altre
    soluzioni, il mio obiettivo è mettere in sicurezza quegli
    imprenditori”. Lo ha detto la premier Giorgia Meloni ad Algeri.   
    (ANSA).   

  • in

    Meloni, Nordio? Vedrò tanti ministri per cronoprogramma

    (ANSA) – ROMA, 23 GEN – “Ho chiesto a tutti i ministri un
    cronoprogramma: mi piacerebbe lavorare su una calendarizzazione
    dei lavori del governo nel 2023. Sto organizzando un giro con i
    diversi ministri. Ci tengo a dire che oggi mi alzo e vedo che
    secondo i giornali ho tanti problemi con tanti ministri, anche
    con Nordio. Con lui un rapporto ottimo. Le due cose non sono
    collegate”. Lo afferma la premier Giorgia Meloni da Algeri
    parlando con la stampa italiana, riferendosi al colloquio che
    avrà con il Guardasigilli Carlo Nordio. (ANSA).