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    Il Papa nomina monsignor Fernandez nuovo Prefetto per la Dottrina della Fede

        Il Papa ha ringraziato il card. Luis Francisco Ladaria Ferrer, a conclusione del suo mandato di Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede e di Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale, ed “ha chiamato a succedergli nei medesimi incarichi mons. Víctor Manuel Fernández, finora Arcivescovo di La Plata (Argentina). Prenderà possesso degli incarichi a metà settembre 2023”. Lo riferisce il Bollettino della sala stampa vaticana. 
       Il pontefice ha accompagnato la nomina con una lettera all’interessato per indicare le linee che dovrà seguire il dicastero. “Il dipartimento che lei presiederà in altri tempi è arrivato ad usare metodi immorali. Erano tempi in cui più che promuovere la conoscenza teologica si perseguitavano eventuali errori dottrinali”, premette Papa Francesco aggiungendo: “Quello che mi aspetto da te è senza dubbio qualcosa di molto diverso”.
       Francesco che non ci può essere “un unico modo” di esprimere la dottrina perché “le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere anche la Chiesa. Questa crescita armoniosa conserverà la dottrina cristiana più efficacemente di qualsiasi meccanismo di controllo”. Il Papa vuole anche con non ci si accontenti di “una teologiada tavolo, con una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto”.
       Il “criterio fondamentale” – indica il Papa in questa lettera di accompagnamento alla nomina, che è del tutto irrituale – è “considerareinadeguata qualsiasi concezione teologica che alla fine metta in dubbio l’onnipotenza di Dio e, soprattutto, della sua misericordia. Serve un pensiero che sappia presentare convincentemente un Dio che ama, che perdona, che salva, che libera, che promuove le persone e le chiama al servizio fraterno”. E conclude: “il pericolo maggiore si verifica quando questioni secondarie finiscono per oscurare quelle centrali”
       Fernandez è da sempre una delle persone più vicine a Papa Bergoglio. E’ soprannominato proprio ‘il teologo del Papa’, per indicare la sua piena aderenza al pontificato di Francesco. Proprio di ieri è il tweet con il quale, dal Vaticano, mostra una suo foto con il Pontefice e commenta: “Ho condiviso una settimana con Francesco, lavora tutto il giorno. Ha udienze e riunioni al mattino e al pomeriggio. Lavora più ore di chiunquealtro in Vaticano. Lo vedono stanco dopo cinque ore con cose intense ma dopo la ‘siesta’ sta perfetto e felice”
       Monsignor Fernández é nato il 18 luglio 1962 ad Alcira Gigena, nella provincia di Córdoba (Argentina). È stato ordinato sacerdote il 15 agosto1986 per la Diocesi di Villa de la Concepción del Río Cuarto. Ha conseguito la Licenza in Teologia con specializzazione biblica presso la Pontificia Università Gregoriana, a Roma, e successivamente il Dottorato in Teologia presso la Facoltà di Teologia di Buenos Aires.
       Dal 1993 al 2000 è stato parroco di Santa Teresita a Río Cuarto. È stato fondatore e direttore dell’Istituto di Formazione Laicale e del Centro di Formazione per Insegnanti Jesús Buen Pastor nella stessa città. Nella sua diocesi è stato anche formatore del seminario, direttore perl’Ecumenismo e Direttore per la Catechesi. Nel 2007 ha partecipato alla V Conferenza dei Vescovi Latinoamericani (Aparecida) come sacerdote rappresentante dell’Argentina e, successivamente, come membro del gruppo di redazione del documento finale.
       Dal 2008 al 2009 è stato Decano della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Cattolica Argentina e Presidente della Società Teologica Argentina. Dal 2009 al 2018 è stato Rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina. Il 13 maggio 2013 è stato nominato arcivescovo da Papa Francesco. Ha partecipato, come membro, ai Sinodi dei Vescovi del 2014 e del 2015 sulla famiglia, nei quali ha fatto parte anche dei gruppi di redazione. Nell’Assemblea della Conferenza Episcopale Argentina del 2017 è stato eletto presidente della Commissione episcopale per la Fede e la Cultura (Commissione Dottrinale).
       Nel giugno 2018 ha assunto la carica di arcivescovo di La Plata. È stato membro del Pontificio Consiglio della Cultura e Consultore della Congregazione per l’Educazione Cattolica. Attualmente è membro del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. Tra libri e articoli scientifici, ha più di 300 pubblicazioni, molte delle quali tradotte in varie lingue. “Questi scritti mostrano un’importante base biblica ed un costante sforzo di dialogo della teologia con la cultura, la missione evangelizzatrice, la spiritualità e le questioni sociali”, sottolinea il Vaticano.

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    Sede Giovani democratici devastata, ‘avete rovinato l’Italia’

    (ANSA) – FILOTTRANO, 01 LUG – Blitz vandalico nella sede dei
    Giovani democratici di Filottrano, in provincia di Ancona:
    danneggiamenti di mobili, oggetti rubati, bandiere strappate e
    scritte offensive tra cui “avete rovinato l’Italia” sulla
    tovaglia posta su un tavolo. La federazione provinciale del Pd
    di Ancona parla di “fatti di inaudita gravità” di una “sede
    devastata in un blitz mosso dall’odio e dalla violenza politica.   
    Un episodio gravissimo”.   
    L’intero locale è stato messo a soqquadro. “Tornano alla
    mente – scrive il segretario provinciale dem Jacopo Falà –
    immagini che credevamo relegate a un lontano passato. Non ci
    faremo intimidire da questi atti violenti. Confidiamo nelle
    autorità affinché i responsabili dei fatti sia presto
    individuati e puniti”. (ANSA).   

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    Francia, Salvini: ‘Permessivismo ed errori su immigrazione’

    “Siamo in Occidente o all’inferno? Dalla Francia arrivano immagini devastanti”. E’ quanto afferma il vicepremier Matteo Salvini sui social nei quali parla di “scene e scenari intollerabili in un Paese occidentale, nel cuore della società europea”. Per Salvini si tratta di “una spirale di violenza alimentata anche dalla solita, estrema, vigliacca sinistra” che è “risultato di anni di errori e follie ideologiche in tema di immigrazione, soprattutto islamica, di permissivismo giudiziario, di banlieue in mano alla criminalità, di tolleranza verso comportamenti inaccettabili”.
    Nello stesso post Salvini esprime “cordoglio e preghiere per il ragazzo ucciso”. “Spero – aggiunge – spero che l’agente che ha sbagliato venga giudicato senza sconti. Ma nulla può giustificare la guerriglia urbana, l’aggressione alle forze dell’ordine e ai vigili del fuoco, l’attacco ai municipi, l’incendio di scuole e autobus, il saccheggio dei negozi”.   

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    Consiglio Ue, niente accordo sui migranti. Meloni: ‘Ho tentato la mediazione fino all’ultimo’

    Il momento chiave dell’intero Consiglio europeo è andato in scena all’ottavo piano dell’Europa Building. Nella sala della delegazione italiana, su dei divanetti, erano seduti Giorgia Meloni, Mateusz Morawiecki e Viktor Orban. I primi due per l’intera riunione hanno tenuto sotto scacco i leader Ue opponendosi alle conclusioni sul patto sulla migrazione già siglato a Lussemburgo. La prima era stata da poco investita dell’arduo ruolo di mediatrice con i due leader sovranisti. 

    Migranti, Meloni: ‘Non sono mai delusa da chi difende i suoi interessi’

    “Era una missione in salita”, avrebbero osservato poi qualificate fonti europee. E la mediazione, infatti, non è riuscita. Il capitolo sulla migrazione è stato stralciato dal testo delle conclusioni e sostituito con una dichiarazione del presidente del Consiglio Ue Charles Michel. Che ha ribadito con nettezza la necessità di finalizzare il patto, ma “prendendo nota” del veto di Varsavia e Budapest. Il tentativo di Meloni è arrivato sulla base di una duplice spinta. Quella della stessa premier, che voleva convincere in zona Cesarini Morawiecki e Orban. E quella di Michel e degli altri leader, che avevano puntato sulla vicinanza politica di Meloni soprattutto al premier polacco. 

    Pnrr, Meloni: ‘Non si sta aggravando la situazione sulla terza rata’

    Alla fine la premier ha comunque assolto i due omologhi: “Non sono mai delusa da chi difende gli interessi delle proprie nazioni. La questione che pongono polacchi e ungheresi non è peregrina, sono i due Paesi che si stanno occupando più di profughi ucraini, lo fanno con risorse Ue che non sono sufficienti”, ha spiegato Meloni al termine del summit. Puntando ancora di più su quello che, per l’Italia, era e resta la vera priorità: il contrasto ai movimenti primari. “L’unica vera mediazione è la dimensione esterna della migrazione, su quello ci può essere l’accordo di tutti”, ha puntualizzato. Con i cronisti Meloni si è detta “molto soddisfatta” del ruolo da “protagonista” di Roma e del Consiglio europeo in tutte le parti delle conclusioni, inclusa quella in cui si fa riferimento alla “flessibilità dei fondi di Coesione e del Pnrr, che ci permetterà di spendere meglio circa 300 miliardi”. La premier ha poi negato ogni ombra sui dossier economici.
    Sull’ok alla terza rata “non c’è alcun aggravamento”, mentre il tema del Mes “non mi è stato posto, evidentemente qui non c’è l’attenzione che c’è nel dibattito italiano”, ha sottolineato. In realtà, su entrambi i dossier, Ue e Italia trattano. E dopo il duro intervento alle Camere prima di volare a Bruxelles, la stessa Meloni ha smorzato i toni. Del resto non era l’economia il cuore dell’agenda del vertice Ue che si è incagliato sul patto sui migranti. Un patto per il quale, con sarcasmo, Morawiecki ha augurato “buona fortuna” alla sua alleata con la quale, ha spiegato, “abbiamo convenuto di non essere d’accordo”. Sarà davvero difficile superare la trincea di Polonia e Ungheria per l’Ue in un contesto nel quale la Commissione continua a tenere fermi i fondi del Pnrr da versare ai due Stati. La Polonia inoltre si avvia ad elezioni, a fine anno, che saranno cruciali per l’intera Europa. A sfidare Morawiecki ci sarà Donald Tusk, il cui partito milita nel Ppe. Non a caso, fonti dei Popolari hanno avvertito la premier italiana: attenta a non restare “incastrata” in alleati sovranisti che “ostacolano i progressi sui migranti”. Tema sul quale, pur difendendoli, l’Italia si è comunque schierata con l’Ue, sulla sponda opposta di Varsavia e Budapest. E chissà che un’eventuale sconfitta di Morawiecki non porti al graduale allontanamento tra FdI e i polacchi di Pis, oggi entrambi in Ecr. Per ora l’alleanza regge. Mercoledì Meloni sarà a proprio a Varsavia per il seminario del partito dei Conservatori. Mentre sul dossier migratorio l’Italia ha sminuito l’importanza del veto polacco e ungherese. Il partenariato con la Tunisia, inserito su iniziativa italiana nel capitolo relazioni esterne, non è stato stralciato. “Sul nostro lavoro c’è un consenso unanime in Ue”, ha rimarcato Meloni. Che ora attende la firma del Memorandum d’intesa tra Bruxelles e Tunusi. A siglarla, per l’Ue, sarà, ironia della sorte, un commissario ungherese: Olivier Varhelyi.

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    Harry al processo contro il gruppo Mirror chiede 370 mila euro

       Il principe Harry ha chiesto, tramite i suoi legali, 320 mila sterline (372 mila euro) al gruppo editoriale del tabloid Daily Mirror a titolo di risarcimento nell’ambito del processo a Londra sulle accuse di spionaggio e intercettazioni illegali innescate dalla causa intentata dal secondogenito di re Carlo III e da altri vip in relazione a storie e rivelazioni pubblicate fra il 1995 e il 2011. E’ quanto si legge sul sito della Bbc, secondo cui la richiesta di danni degli avvocati per violazione della privacy riguarda in tutto 33 articoli del Mirror Group Newspapers.    I dettagli degli importi sono stati comunicati nell’ultimo giorno del processo che ha visto all’inizio del mese la storica deposizione-fiume di Harry (durata circa sei ore) sul banco dei testimoni all’Alta Corte. Si arriva a un massimo di 30 mila sterline chieste per un singolo articolo relativo alla rottura con la ex fidanzata del duca di Sussex, Chelsy Davy. Stando agli avvocati del reale, i dettagli sul rapporto in crisi rivelati dai tabloid, come le tante altre informazioni sulla vita principe, sono stati ottenuti tramite il ricorso a sofisticate intercettazioni telefoniche e il coinvolgimento di investigatori privati. Il verdetto in questo caso legale, parte della crociata giudiziaria di Harry contro la persecuzione e le violazioni della privacy imputate ai tabloid della stampa popolar-scandalistica britannica, arriverà nei prossimi mesi.     

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    Mes, la maggioranza presenta una sospensiva di 4 mesi

    La maggioranza scioglierà il nodo sull’approvazione o meno della ratifica del Mes ai primi di novembre, in piena sessione di bilancio e a meno di due mesi dalla scadenza del 31 dicembre entro la quale tutti e 20 i Paesi che lo hanno firmato devono ratificarlo, pena il ritorno al vecchio Meccanismo, da tutti giudicato peggiore della modifica su cui si contorce la politica italiano. E’ questo l’esito della discussione generale alla Camera sul ddl di ratifica, durante la quale il centrodestra ha presentato la preannunciata sospensiva, che impone un rinvio del voto di quattro mesi, appunto ai primi di novembre: sospensiva che sarà votata mercoledì prossimo, il 5 luglio. 
    Tajani: ‘Fi non contraria ma prima vanno sistemate anomalie’

    La premier Giorgia Meloni, a Bruxelles per il Vertice Ue, ha sdrammatizzato il tema sottolineando che sulla ratifica da parte dell’Italia in Europa “non c’è la stessa attenzione” che c’è nel dibattito nostrano. Il governo e il centrodestra supportano l’idea che il rinvio rafforzi la capacità negoziale di Roma sulla riforma del Patto di stabilità europeo e sul Pnrr; i partiti dell’opposizione, Pd, Azione-Iv e +Europa, sostengono che il rinvio o la mancata ratifica indebolisca la posizione italiana, come pure nei giorni scorsi hanno affermato il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe o il ministro delle finanze tedesco Christian Lindner. Ma al di là delle prese di posizione ufficiali, la trattativa con Bruxelles non si sarebbe mai interrotta. Una trattativa, si ragiona in ambienti parlamentari della coalizione, che si interseca con due fondamentali temi per il nostro Paese, la gestione del Pnrr e la questione migranti. 
    Cirielli: ‘Preoccupati da spoliazione di sovranità”

    In sostanza, Roma avrebbe chiesto tempo per arrivare alla ratifica del meccanismo Salvastati, si spiega nei medesimi ambienti, anche per appianare le tensioni che si sono create nella coalizione di governo sull’argomento. Tempo per appianare queste tensioni e le divergenze tra i partiti per giungere ala fine ad una condivisa posizione basata sulla realpolitik che consentirà all’Italia di completare l’operazione di ratifica, sia pure rimarcando che questo strumento non sarà mai utilizzato dal governo d centrodestra. Nell’aula della Camera si è svolta la discussione generale sul ddl di ratifica presentato dal Pd (con Piero De Luca) e da Iv-Azione (con Luigi Marattin) e calendarizzato proprio in quota opposizioni.
    L’assenza di deputati della Lega e la presenza, invece, del capogruppo di Fi Paolo Barelli, ha fatto capire il diverso approccio dei partiti di centrodestra. A Fdi, con Andrea Di Giuseppe, il compito di intervenire a nome di tutta la maggioranza annunciando la presentazione della questione sospensiva che implica un rinvio di quattro mesi del voto. Sia nell’intervento di Di Giuseppe che nelle motivazioni della questione sospensiva, sono state sottolineate le “criticità” del Mes, vale a dire che non ha una governance affidata agli organismi “democratici” dell’Ue, bensì al board stesso del Mes, come ha sottolineato anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Ma oltre alla necessità di appianare le divergenze filosofiche nella maggioranza sul Mes, il rinvio della ratifica servirà anche, e soprattutto, per trattare sulla riforma del Patto di stabilità. Le opposizioni in Aula, dai Dem Piero De Luca e Lia Quartapelle, fino a Naike Gruppioni e Valentina Grippo di Iv-Azione, passando per Benedetto della Vedova di +Europa, hanno parlato di “ricatto” verso i partner europei che fa perdere credibilità al governo e all’intero Paese. Se il nuovo Patto sarà soddisfacente per l’Italia, Meloni potrà rivendicare la bontà della propria strategia; se sul nuovo Patto passerà la linea dei 10 paesi rigoristi guidati dalla Germania, il governo rischia in Italia- si sostiene sempre dalle opposizioni – la stessa “figuraccia” che starebbe facendo ora in Europa.

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    Sul salario minimo prove di unità delle opposizioni

    Le opposizioni, ad eccezione di Italia Viva, hanno trovato l’accordo sul salario minimo presentando una proposta di legge che potrebbe rappresentare il primo step di una base di progetto comune più ampio,ricercato e voluto da Elly Schlein. Pd, Movimento 5 stelle, Azione, Avs e +Europa sottoscrivono il progetto che presto sarà protocollato negli uffici parlamentari. Il leader M5s, Giuseppe Conte, ha espresso tutta la sua soddisfazione per quella che è una battaglia storica nel movimento, “in cui ci siamo sempre cimentati dalle scorse legislature”.

    Agenzia ANSA

    Parametrato alla media dei Contratti Nazionali, soglia a 9 euro (ANSA)

     L’ex premier ci tiene a sottolineare, con orgoglio, che quella per il salario minimo legale è una battaglia che porta la sua prima firma. La segretaria del Pd, Elly Schlein, nell’esprimere soddisfazione ha chiarito come la cosa importante per costruire una vera alternativa sia quella di non competere con il Movimento 5 stelle, ma la responsabilità vera è quella di trovare dei punti di convergenza. Secondo la segretaria dem, le elezioni europee ed amministrative del prossimo anno rappresentano delle sfide cruciali su cui il Pd si concentrerà, costruendo percorsi credibili”, ma per fare la differenza e vincere, secondo Schlein, bisogna essere in grado di costruire delle alleanze, “noi non pensiamo di essere autosufficienti”.
    Su questo primo accordo raggiunto la segretaria del Pd sottolinea: “è un segnale molto forte che le opposizioni si uniscano sul salario minimo”. E fa un appello al governo affinché la proposta venga approvata: “In un momento in cui l’Italia affronta l’alta inflazione, il governo Meloni non può stare a guardare: approvi la nostra proposta”. Anche Carlo Calenda, leader di Azione, chiede al governo di Giorgia Meloni di aprire un “confronto di merito e senza pregiudizi”. Sul campo largo invece, il leader di Azione fa una precisazione rivolgendosi a chi lo cita facendo riferimento all’intesa sul salario minimo: “Ricordo che l’unico campo largo che ha mai visto la luce è stato quello di Pd, M5s, Italia Viva, Leu a sostegno del governo Conte 2, da cui Azione si è tenuta alla larga. E così continueremo”.
    Anche il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, parlamentare dell’Alleanza Verdi e Sinistra, esprime la sua soddisfazione sul raggiunto accordo tra le opposizioni per il salario minimo: “è una buona notizia”, dice, soprattutto per i lavoratori sfruttati. Una prova di unità tra le opposizioni, quindi, che però non vede, tra i protagonisti, la presenza di Italia Viva e del suo leader Matteo Renzi, che in una nota fa sapere che non firmerà la proposta sul lavoro insieme a Fratoianni, Conte e Schlein, come non firmerà proposte su giustizia o fisco con Meloni e Salvini. “Il fatto di essere all’opposizione del governo Meloni non significa essere in una coalizione alternativa”.
    Per quanto riguarda il salario minimo, aggiunge che Italia Viva aveva già presentato alle elezioni “un testo diverso da quello annunciato in queste ore dalle altre opposizioni e in coerenza con il mandato elettorale”. E che proporrà degli emendamenti alla proposta che sta per essere depositata in parlamento votando a favore solo dei punti su cui è d’accordo. Sono sette i punti in cui si articolerà la proposta di legge. I contenuti sono stati annunciati dai leader dei partiti che hanno confermato l’imminente deposito dell’articolato. Al lavoratore di ogni settore economico dovrà essere riconosciuto, tra l’altro, un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, salvo restando i trattamenti di miglior favore; e a ulteriore garanzia del riconsocimento di una giusta retribuzione, si chiede comunque una soglia minima inderogabile di 9 euro all’ora.

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    Fonti di Palazzo Chigi: ‘L’opzione della rata parziale del Pnrr mai sul tavolo’

       “L’ipotesi non è attendibile, l’opzione non è mai stata sul tavolo”. Con queste parole fonti qualificate di Palazzo Chigi rispondono, interpellate dall’ANSA, sulle indiscrezioni secondo cui la Commissione Ue avrebbe proposto all’Italia un pagamento parziale della terza rata del Pnrr e la proposta sarebbe stata rifiutata dal governo italiano.   Le indiscrezioni sul confronto Italia-Ue circa il pagamento della terza rata del Pnrr erano state rilanciate in un articolo sull’edizione online de Il Foglio. ‘Il romanzo della terza rata del Pnrr si arricchisce di un nuovo capitolo – si legge nel testo – per uscire dallo stallo in corso da febbraio, nelle scorse settimane la Commissione avrebbe proposto all’Italia di procedere a un pagamento parziale, ma il governo di Giorgia Meloni avrebbe rifiutato per non mettere a repentaglio la sua reputazione.    L’offerta informale della Commissione di ridurre l’ammontare del pagamento della terza rata e il rifiuto del governo sono state confermate al Foglio da fonti di Bruxelles e di Roma’.  ‘Agli occhi dell’esecutivo comunitario – prosegue l’articolo de Il Foglio – questo compromesso avrebbe permesso di accelerare i versamenti di quasi tutti fondi della terza rata da 19 miliardi del Pnrr, sospendendo una parte minima. Ma il governo italiano ha preferito declinare per ragioni “reputazionali”, spiega una fonte. Sul fronte esterno, accettando un pagamento parziale, l’Italia invierebbe un segnale di difficoltà ai partner e ai mercati sulla sua capacità di realizzare gli obiettivi del Pnrr’.    ‘Sul fronte interno – si legge ancora – Meloni rischierebbe di trovarsi in forte imbarazzo, dato che i 19 miliardi sono la prima richiesta di pagamento presentata dal suo governo. In teoria il via libera sarebbe dovuto arrivare a fine febbraio. Da allora, malgrado le rassicurazioni della Commissione sul dialogo costruttivo e le dichiarazioni ottimiste dei ministri Giancarlo Giorgetti e Raffaele Fitto su un rapido via libera, il pagamento è ancora bloccato’.