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    Ucraina, la Commissione Ue vuole estendere la protezione temporanea fino al 2025

    Bruxelles – Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, oltre 4 milioni di persone hanno lasciato il Paese dilaniato dalla guerra trovando rifugio sul territorio dell’Unione europea. Un numero enorme – se pensiamo che nel 2022 i richiedenti asilo dal resto del mondo in tutti i Paesi Ue sono stati poco meno di 1 milione – che i 27 Stati membri sono riusciti a gestire attivando immediatamente lo status di protezione temporanea. Oggi (19 settembre) la Commissione europea ha proposto di estendere ulteriormente la protezione temporanea per le persone in fuga dalla guerra in Ucraina dal 4 marzo 2024 al 3 marzo 2025.
    L’Ue ha attivato la Direttiva sulla Protezione Temporanea il 4 marzo 2022 con decisione unanime degli Stati Membri ed è stata automaticamente prorogata di un anno. Ma le ragioni che hanno portato all’attivazione dello status dopo solo una settimana dalla brutale invasione russa “persistono”: la guerra infuria, la controffensiva di Kiev procede con lentezza, pertanto la situazione “non è ancora favorevole al ritorno sicuro e duraturo di coloro che beneficiano della protezione nei Paesi Ue”.
    Degli oltre 4 milioni di cittadini ucraini entrati in Ue – quasi 3 milioni e mezzo nei primi sei mesi di guerra -, un terzo è stato accolto in Polonia (1,6 milioni di persone). Cifre superiori al mezzo milione di titolari di protezione temporanea anche in Germania e Repubblica Ceca, in Italia sono circa 175 mila. A tutti loro è garantita protezione immediata e accesso ai diritti nell’Ue, compresi i diritti di soggiorno, l’accesso al mercato del lavoro, all’alloggio, all’assistenza sociale, all’assistenza medica e di altro tipo. “La protezione temporanea è stata uno strumento cruciale che ha plasmato la vita di molti. Più di 4 milioni di persone hanno trovato la speranza, la possibilità di vivere, lavorare e andare a scuola all’interno dell’Ue, ciò ha contribuito a dare un senso di normalità nonostante i tempi della guerra”, ha commentato la commissaria Ue per gli Affari interni, Ylva Johansson.
    L’estensione della direttiva dovrà essere approvata dal Consiglio dell’Ue. “Oggi, mentre la guerra infuria, chiediamo agli Stati membri di riunirsi ancora una volta e di prolungare la protezione temporanea per un ulteriore anno”, è l’appello lanciato dal vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas.

    Il meccanismo d’emergenza, attivato il 4 marzo 2022, ha permesso l’ingresso regolare a oltre 4 milioni di sfollati a causa dell’invasione russa. La proposta dovrà essere adottata dai 27 Paesi membri

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    Brexit, il leader laburista Starmer vuole allargare l’accordo con l’Ue

    Bruxelles – Se Downing Street dovesse tornare in mano ai labour, potrebbe aprirsi un nuovo capitolo della saga post Brexit. In un’intervista concessa al Financial Times, il leader laburista Keir Starmer ha definito l’accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Ue e il Regno Unito, siglato faticosamente il 30 dicembre 2020 dall’allora primo ministro Boris Johnson, “un accordo troppo snello” e da rinegoziare.
    Un impegno preso in vista delle elezioni di fine 2024, visto che i sondaggi lo danno super-favorito, con circa 20 punti di vantaggio rispetto all’attuale premier Rishi Sunak e al suo partito conservatore. Il leader moderato ha assicurato che all’orizzonte non c’è alcun ritorno nel blocco Ue, né nel mercato unico europeo. Ma “possiamo trovare un accordo commerciale migliore perché l’intesa firmata da Boris Johnson è deleteria e limitante”, ha dichiarato, promettendo che “sarà una delle priorità una volta al governo“. L’ostacolo maggiore per Starmer potrebbe essere proprio Bruxelles, a cui si vuole riavvicinare: l’accordo dovrebbe essere aggiornato nel 2025 ed è difficile immaginare che l’Ue accetterà facilmente di rimettersi al tavolo dei negoziati con Londra.

    In un’intervista al Financial Times ha dichiarato che, se venisse eletto premier, sarebbe “una delle priorità” trovare un accordo commerciale migliore con Bruxelles

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    Borrell: per molti Stati Ue la decisione di firmare il memorandum con la Tunisia è “incomprensibile”

    Bruxelles – Alcuni  Stati membri dell’Ue hanno espresso “incomprensione” per la scelta della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, di stringere un patto sulle migrazioni con la Tunisia.
    Queste osservazioni sono state espresse all’Alto rappresentate per la Politica Estera Josep Borrell sia a voce sia per iscritto, spiega lui stesso in una lettera datata 7 settembre e visionata dal Guardian.
    “Come sai… a luglio, diversi Stati membri hanno espresso la loro incomprensione riguardo all’azione unilaterale della Commissione per la conclusione di questo [memorandum] e le loro preoccupazioni riguardo ad alcuni dei suoi contenuti“, ha scritto Borrell in una lettera a Olivér Várhelyi, il commissario europeo per le Politiche di Vicinato. “Dopo la riunione del Consiglio Affari Esteri del 20 luglio – insiste Borrell – alcuni Stati membri ti hanno comunicato queste preoccupazioni con procedura scritta”.
    Il patto, firmato a luglio con la Tunisia dalla Von der Leyen, dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e dal primo ministro olandese, Mark Rutte, mira ad arginare la migrazione verso l’Europa dalla Tunisia, una delle rotte più battute per i trafficanti di esseri umani, dopo che la Libia era diventata troppo pericolosa anche per le bande criminali organizzate, ricorda il quotidiano britannico.
    Borrell ricorda al collega che i ministri degli Affari Esteri hanno “osservato che la Commissione non ha seguito le fasi corrette della procedura di adozione”, non ha cioè portato il testo all’approvazione preventiva dei governi di tutti i Ventisette, e che quindi il memorandum d’intesa non può essere “considerato un modello valido per accordi futuri”.
    In quella che il Guardian definisce “una bordata contro Meloni e Rutte”, Borrell ha scritto che “la partecipazione ai negoziati e alla cerimonia di firma di un numero limitato di capi di governo dell’Ue non compensa l’equilibrio istituzionale tra il Consiglio e la Commissione”.

    L’alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione lo sottolinea in una lettera (inviata dieci giorni prima della visita di von der Leyen ieri a Lampedusa) al collega responsabile per le Politiche di vicinato Olivér Várhelyi

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    Le forniture di aiuti umanitari nel Nagorno-Karabakh sono finalmente riprese. L’Ue esorta a “regolarizzare il passaggio”

    Bruxelles – Dopo mesi di stallo e di completa chiusura dei rifornimenti umanitari, gli oltre 120 mila abitanti del Nagorno-Karabakh possono tornare a sperare in un flusso costante di cibo e farmaci, gas e acqua potabile. “Accogliamo con favore il passaggio simultaneo di carichi umanitari attraverso Lachin e Ağdam“, è il commento soddisfatto del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, alla notizia di oggi pomeriggio (18 settembre) dell’ingresso di camion del Comitato internazionale della Croce Rossa carichi di aiuti umanitari nella regione separatista a maggioranza armena sul territorio dell’Azerbaigian: “Questo passaggio deve essere regolarizzato“.
    Il primo convoglio umanitario a fare ingresso nell’enclave a maggioranza cristiana nel sud-ovest dell’Azerbaigian (a maggioranza musulmana) era arrivato martedì scorso (12 settembre) ma dal territorio azero attraverso la rotta Ağdam-Askeran. Altri convogli francesi e armeni erano rimasti invece finora bloccati, nonostante l’accordo del 9 settembre tra il governo azero e quello armeno per riaprire il corridoio di Lachin. Per questo motivo il leader del Consiglio Ue aveva chiesto “a tutte le parti interessate di dare prova di responsabilità e flessibilità” nel “facilitare la riapertura dell’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per decine di migliaia di abitanti dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh. Dopo la svolta di oggi – che mette forse fine a una crisi che va avanti da nove mesi – per Bruxelles “è essenziale avviare colloqui tra Baku e gli armeni del Nagorno-Karabakh sui loro diritti e la loro sicurezza“, ha messo in chiaro Michel, anticipando che “l’Ue è pronta a sostenere”.
    L’Unione Europea è diventata da un anno e mezzo il principale mediatore tra il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e si spiega così l’entusiasmo di Bruxelles nel vedere i primi segnali di distensione tra due Paesi caucasici. “Accogliamo la consegna di aiuti umanitari della Croce Rossa attraverso Lachin e Ağdam agli armeni del Nagorno-Karabakh”, ha ribadito il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano. Quello che le istituzioni comunitarie ora si aspettano è “garantire forniture regolari alla popolazione”, spingere per un “dialogo significativo” tra Baku e i separatisti e soprattutto “diminuire le tensioni sulla linea di contatto e sul confine internazionale“. La crisi dura da mesi e il dispiegamento di truppe azere lungo il confine armeno ha aumentato i timori per lo scoppio di un nuovo conflitto tra Baku e Yerevan per il controllo del Nagorno-Karabakh.
    La tensione in Nagorno-Karabakh
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    Tra i due Paesi caucasici la guerra congelata va avanti dal 1992, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, quando è diventato sempre più evidente che la tensione sarebbe tornata a salire. La priorità dei colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Europeo è stata posta sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, da settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin e da allora sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan il 15 luglio.
    L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni crescenti sul campo ha portato a uno degli episodi più allarmanti per gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. L’evento aveva provocato qualche imbarazzo a Bruxelles, dopo che Yerevan aveva dato la notizia secondo cui l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”. Sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”, ma poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione ai portavoce armeni, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera.

    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha accolto la notizia del passaggio di convogli attraverso il corridoio di Lachin, che collega l’Armenia alla regione separatista passando dal territorio dell’Azerbaigian: “Oa è essenziale avviare colloqui sui loro diritti e la loro sicurezza”

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    A Pechino il secondo dialogo di alto livello Ue-Cina sul digitale. Per Jourová fondamentale “mantenere aperti i canali di comunicazione”

    Bruxelles – Mantenere aperti i canali di comunicazione con la Cina. È questa la parola d’ordine della Commissione europea, a pochi giorni dall’annuncio di Ursula von der Leyen di voler istituire un’indagine sulle sovvenzioni statali ai veicoli elettrici provenienti dal gigante asiatico, che ha creato non pochi dissapori con Pechino. E la prima occasione è andata in scena oggi (18 settembre), con la vicepresidente dell’esecutivo Ue, Věra Jourová, impegnata nel secondo appuntamento del dialogo ad alto livello con la Cina sul digitale.
    È stata propria la vice di von der Leyen, responsabile per le politiche sui valori e la trasparenza, a ricordare su X (ex Twitter) la necessità di proseguire un dialogo costruttivo con Pechino, quanto meno dove gli interessi sono convergenti. Questioni chiave come le piattaforme digitali e le normative sui dati, l’intelligenza artificiale, la ricerca e l’innovazione, il flusso transfrontaliero di dati industriali, la sicurezza dei prodotti venduti online: questi i temi sul tavolo del dialogo co-presieduto da Jourová e dal vicepremier cinese, Zhang Guoqing.
    Il piano d’azione Ue-Cina sulla sicurezza dei prodotti venduti online
    “Oggi abbiamo avuto una discussione franca con la Cina sugli aspetti cruciali delle nostre politiche e tecnologie digitali, vogliamo cooperare laddove possiamo realizzare progressi sostanziali”, ha dichiarato Jourová a margine della giornata di lavori, annunciando inoltre di aver compiuto “un importante passo avanti sul fronte della tutela dei consumatori”. La Commissione Ue e la Cina hanno infatti accolto con favore la firma del piano d’azione sulla sicurezza dei prodotti venduti online, che si pone come obiettivo di “rafforzare ulteriormente il dialogo e la cooperazione” tra l’esecutivo comunitario e l’Amministrazione generale delle dogane cinesi (Gacc).
    Un piano d’azione che prevede lo scambio più rapido di informazioni su prodotti non sicuri, l’organizzazione di workshop periodici per condividere informazioni su leggi, regolamenti e buone pratiche, e attività specifiche di formazione per le aziende sulle più avanzate norme europee sulla sicurezza dei prodotti online. “Si tratta di una situazione vantaggiosa per tutti e di un passo importante verso l’innalzamento degli standard di protezione dei consumatori all’interno dell’Unione europea e oltre”, ha commentato il commissario europeo per la Giustizia, Didier Reynders.
    Reciprocità per le aziende europee e de-risking dalla Cina. Gli attriti rimangono
    Archiviato questo piccolo successo, il dialogo è proseguito con un aggiornamento da parte della Commissione europea sugli ultimi sviluppi normativo dell’Ue, tra cui il Digital Services Act e il Digital Market Act, e con uno scambio di vedute sull’intelligenza artificiale. Jourová ha presentato a Pechino gli sviluppi della legge Ue sull’intelligenza artificiale e ha sottolineato “l’importanza di un uso etico di questa tecnologia nel pieno rispetto dei diritti umani universali, alla luce dei recenti rapporti delle Nazioni Unite”. La commissaria avrebbe espresso le preoccupazioni del blocco Ue sulle difficoltà incontrate dalle imprese europee in Cina nell’utilizzare i propri dati industriali e esortato le autorità cinesi a “garantire un contesto imprenditoriale equo e basato sulla reciprocità” del settore digitale.
    Gli attriti e la diffidenza rimangono, come dimostra il fatto che Jourová abbia dovuto rendere conto a Guoqing della politica di de-risking che l’Ue ha scelto di condurre nei confronti del gigante asiatico. Un approccio che consiste nel mitigare i rischi per le catene di approvvigionamento, le infrastrutture critiche e la sicurezza tecnologica emancipandosi da qualsiasi rischio di dipendenza da Pechino. “Dobbiamo impegnarci nelle aree in cui non siamo d’accordo. Non possiamo risolvere le nostre preoccupazioni e i nostri punti di vista diversi in un giorno, ma manterremo il dialogo sulle questioni digitali, che sono così fondamentali sia per le nostre economie che per le nostre società”, ha concluso la vicepresidente della Commissione europea. Le parti hanno concordato di proseguire le discussioni a livello tecnico, riprendendo il dialogo Cina-Ue sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic).

    La vicepresidente della Commissione Ue per i valori e la trasparenza ha presieduto i lavori con il vicepremier cinese, Zhang Guoqing. “Importante passo avanti” con la firma del piano d’azione sulla sicurezza dei prodotti online, ma Jourová avverte: “Dobbiamo impegnarci nelle aree in cui non siamo d’accordo”

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    Iran, arriva il decimo pacchetto di sanzioni Ue per i responsabili della repressione dei movimenti di protesta

    Bruxelles – Decimo pacchetto di sanzioni europee ai responsabili della feroce repressione in Iran. Alla vigilia dell’anniversario della morte per mano della polizia morale di Mahsa Amini, che il 16 settembre dell’anno scorso ha scatenato un movimento di protesta nazionale contro il regime di Teheran, il Consiglio dell’Ue ha imposto misure restrittive nei confronti di quattro individui e sei entità ritenute responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.
    Alla lista delle sanzioni Ue, che conta ora un totale di 227 persone e 43 entità, soni stati aggiunti il vice comandante in capo del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (Irgc) nel quartier generale della sicurezza centrale dell’Imam Ali e i comandanti della polizia delle province di Mazandaran e Fars . Nell’elenco anche la prigione di Kachui e il suo direttore, le carceri di Sanandaj, Zahedan e Isfshan, l’agenzia Tasnim News e il Consiglio Supremo del Cyberspazio.
    A tutti loro sarà imposto il congelamento dei beni sul territorio comunitario, il divieto di viaggiare verso l’Unione Europea e il divieto di ricevere fondi o risorse economiche dai 27 Paesi Ue. È inoltre in vigore un divieto di esportazione verso l’Iran di attrezzature che potrebbero essere utilizzate per la repressione interna o per il monitoraggio delle telecomunicazioni.
    L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell
    “L’Ue e i suoi Stati membri sono uniti nell’esortare le autorità iraniane a rispettare rigorosamente i principi sanciti dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, di cui l’Iran è parte“, ha dichiarato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell. L’appello che arriva dal capo della diplomazia europea è sempre lo stesso, da ormai un anno, ed è stato oggetto di critica pochi giorni fa da parte dell’Eurocamera perché ritenuto privo di efficacia e di conseguenze per i cittadini iraniani: “eliminare, nella legge e nella pratica, tutte le forme di discriminazione sistemica contro le donne e le ragazze nella vita pubblica e privata e di adottare misure attente al genere per prevenire e garantire protezione alle donne e alle ragazze dalla violenza sessuale e di genere” e “astenersi da qualsiasi futura esecuzione capitale e garantire un giusto processo a tutti i detenuti e a perseguire una politica coerente verso l’abolizione della condanna a morte”. E infine “cessare immediatamente la pratica inaccettabile e illegale della detenzione arbitraria, anche di cittadini Ue e con doppia cittadinanza Ue-iraniana”.
    Borrell, a cui l’emiciclo di Strasburgo ha chiesto a gran voce di cambiare strategia nei confronti del regime dei mullah iraniani, ha concluso: “L’Ue e i suoi Stati membri riaffermano il loro forte sostegno ai diritti fondamentali delle donne e degli uomini iraniani e alle loro aspirazioni. Di conseguenza, continuiamo a considerare tutte le opzioni appropriate a nostra disposizione per affrontare qualsiasi questione preoccupante relativa alla situazione dei diritti umani in Iran”.

    Alla vigilia dell’anniversario dell’uccisione di Mahsa Amini, la ventiduenne curdo-iraniana morta mentre era in custodia della polizia morale del regime, imposte misure restrittive a altri 4 individui e 6 entità. Borrell: “Consideriamo tutte le opzioni a nostra disposizione per la situazione dei diritti umani in Iran”

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    Il Principato di Monaco fa un passo indietro sull’accordo con Bruxelles. L’Ue continua il lavoro con San Marino e Andorra

    Bruxelles – Le sirene delle autorità di regolamentazione Ue hanno avuto effetto. Nonostante il nesso causale non venga confermato dalla Commissione Europea, dopo poche settimane dalla lettera che ha messo in guardia da “rischi significativi” per un possibile Accordo di Associazione tra l’Unione e tre microstati europei, il Principato di Monaco ha fatto un passo indietro, sospendendo momentaneamente i negoziati. Ad annunciarlo dopo l’incontro di ieri (14 settembre) con la consigliera del ministero degli Affari esteri e della cooperazione monegasco, Isabelle Berro-Amadei, è stato il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue responsabile per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič: “Dopo uno scambio franco e cordiale abbiamo convenuto che le condizioni non erano mature per concludere un accordo“.
    Da sinistra: l’alta commissaria per gli Affari europei del Principato di Monaco, Isabelle Costa, il ministro per gli Affari esteri di San Marino, Luca Beccari, il vicepresidente della Commissione Europea per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič, e il segretario di Stato per gli Affari europei di Andorra, Landry Riba Mandicó (4 luglio 2023)
    Come si apprende da una nota pubblicata oggi (15 settembre) dall’esecutivo comunitario, l’obiettivo iniziale del Berlaymont era quello di ribadire la volontà di concludere i negoziati con Monaco, Andorra e San Marino entro la fine dell’anno per un accordo “fondato sul rispetto delle quattro libertà di circolazione” – persone, capitali, servizi e merci – “e sul mantenimento dell’integrità e dell’omogeneità del Mercato interno” dell’Unione Europea. Dopo il passo indietro di Monaco i rapporti rimangono i più positivi possibili: “L’Ue è e rimarrà un partner privilegiato del Principato“, mette in chiaro la Commissione, che rimane “disponibile e pronta” a proseguire i negoziati “in futuro”. Ora l’attenzione è rivolta alla tornata negoziale prevista in questi giorni con gli altri due microstati europei, senza che questo primo stop cambi la rotta generale: “L’obiettivo è concludere i negoziati per un Accordo di Associazione con il Principato di Andorra e la Repubblica di San Marino entro la fine del 2023“.
    Non passa inosservata la tempistica della decisione. A fine agosto i presidenti dell’Autorità bancaria europea (Eba), dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) e dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (Eiopa) hanno avvertito la Commissione che finalizzare questi accordi potrebbe aprire le porte del Mercato Unico a una destabilizzazione dei servizi finanziari. Tra le motivazioni compare il fatto che i tre microstati  “hanno mantenuto storicamente regolamenti meno rigorosi” e perciò sarebbero in una posizione “più incline al riciclaggio di denaro e ad altre attività illecite”. Questo significa che le aziende potrebbero essere tentate di stabilirsi in questi tre Stati nel tentativo “deliberato” di beneficiare di standard finanziari più leggeri, con “rischi significativi per i consumatori” derivanti dal libero mercato dell’Unione. Rispondendo alle domande di Eunews, i portavoce dell’esecutivo comunitario hanno comunicato di aver “preso nota delle opinioni espresse” nella lettera dei vertici delle tre agenzie Ue, ma senza fare passi indietro sull’obiettivo della partecipazione di Andorra, Monaco e San Marino al Mercato interno dell’Ue della “cooperazione in altri settori politici“.
    Il vicepresidente esecutivo della Commissione Europea responsabile per le Relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič
    I negoziati per l’Accordo di Associazione sono iniziati nel marzo del 2015, ma le conseguenze della guerra russa in Ucraina hanno portato a un’accelerazione dei tentativi di concludere positivamente i negoziati. Il 30 giugno dello scorso anno il vicepresidente Šefčovič ha presentato a Bruxelles una roadmap per arrivare alla firma entro il 2024 degli Accordi di Associazione con Andorra, Monaco e San Marino, definendola “una priorità, ambiziosa ma realizzabile“. Il gabinetto von der Leyen sta spingendo il più possibile per chiudere le intese prima della fine del suo mandato, dal momento in cui a Bruxelles è considerato molto probabile che un fallimento in questa legislatura potrebbe frenare il percorso di avvicinamento dei – ora due, non più tre – microstati europei all’integrazione con i Ventisette.
    Monaco, San Marino, Andorra e gli altri microstati europei
    I tre microstati europei con cui l’Ue era alla ricerca di un accordo hanno attualmente status diversi. Né San Marino né Andorra sono parte dello spazio Schengen (che prevede la libera circolazione delle persone tra Stati membri Ue e l’abolizione delle frontiere comuni), tuttavia esiste un’unione doganale con l’Unione dal 1991: solo San Marino lo è anche per i prodotti agricoli (dal 2002). Andorra mantiene parte dei suoi controlli al confine, solamente in alcuni valichi di frontiera con la Spagna. Il Principato di Monaco attualmente è in una situazione ibrida, e applica alcune politiche dell’Ue attraverso la relazione speciale che ha con la Francia: è membro di fatto di Schengen, mentre è a pieno titolo parte del territorio doganale dell’Unione.
    Per quanto riguarda gli altri microstati europei, il Liechtenstein è l’unico a far parte dello Spazio economico europeo e del Mercato Unico (dal primo maggio del 1995), mentre dal 19 dicembre del 2011 ha firmato gli accordi Schengen. La Città del Vaticano è il più piccolo Stato riconosciuto al mondo e ha solamente il confine aperto con l’Italia. Tutti i microstati europei (fatta eccezione per il Liechtenstein, che usa il franco svizzero) usano come moneta ufficiale l’euro e hanno il diritto di coniarne un numero limitato, perché viene riconosciuto loro l’aver utilizzato o essere stati legati a valute non più in circolazione di alcuni Paesi membri (lira per San Marino e Città del Vaticano, franco francese per Monaco, peseta spagnola e franco francese per Andorra). Da parte di Bruxelles non c’è l’interesse di integrare nessuno dei microstati europei come Paese membro, dal momento in cui sarebbe eccessivamente complesso gestire questioni interne all’Unione (come le presidenze di turno del Consiglio dell’Ue, o il diritto di veto degli Stati membri) per entità territoriali troppo limitate a livello di superficie e popolazione.

    Dopo l’allarme lanciato da tre autorità di regolamentazione Ue, le due parti hanno concordato che “le condizioni non sono mature” e hanno sospeso i negoziati. Ma per il vicepresidente della Commissione, Maroš Šefčovič, rimane l’obiettivo 2023 per la firma con gli altri due microstati

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    L’Ue guarda con speranza ai primi convogli umanitari arrivati in Nagorno-Karabakh: “Sia riaperto il corridoio di Lachin”

    Bruxelles – Forse qualcosa si sta davvero sbloccando, o almeno questa è la speranza dell’Unione Europea. Dopo che martedì (12 settembre) ha fatto ingresso nel Nagorno-Karabakh un primo convoglio umanitario proveniente dal territorio azero, per Bruxelles potrebbe essere arrivato il momento di dare una spallata decisiva per risolvere la situazione in uno dei punti più delicati nei rapporti tra Armenia e Azerbaigian: il corridoio di Lachin. “Ci aspettiamo che crei uno slancio per la ripresa di regolari consegne umanitarie alla popolazione locale“, è quanto si legge in una nota del Consiglio Europeo.
    È proprio il leader dell’istituzione comunitaria, Charles Michel, il più impegnato negli ultimi mesi per implementare soluzioni per la de-escalation delle tensioni armate e della situazione umanitaria degli armeni del Nagorno-Karabakh, anche attraverso una serie di conversazioni telefoniche con il premier dell’Armenia, Nikol Pashinyan, e il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e con un confronto con il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, a margine del G20 a Nuova Delhi. “La situazione sul campo si sta deteriorando rapidamente, è fondamentale garantire la fornitura di prodotti essenziali” ai cittadini dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), è l’esortazione del Consiglio Ue, che guarda all’apertura della rotta Ağdam-Askeran come un “passo importante” che dovrebbe “facilitare la riapertura anche del corridoio di Lachin”. Ovvero dell’unica via di accesso all’Armenia e al mondo esterno per gli oltre 120 mila abitanti del Nagorno-Karabakh: “Chiediamo a tutte le parti interessate di dare prova di responsabilità e flessibilità”.
    Altri convogli francesi e armeni sono ancora bloccati, nonostante sabato scorso (9 settembre) il governo azero avesse annunciato un accordo con quello armeno per riaprire il corridoio di Lachin. “Questa difficile situazione sul terreno è durata troppo a lungo” e Bruxelles mette in chiaro che gli sforzi ora devono essere incanalati nel “trovare soluzioni sostenibili e reciprocamente accettabili per garantire l’accesso umanitario, anche in vista della stagione autunnale e invernale”. Sforzi sostenuti dal rappresentante speciale dell’Ue per il Caucaso meridionale e Georgia, Toivo Klaar, la cui presenza nella regione permette alle istituzioni comunitarie di ribadire la “ferma convinzione che il corridoio di Lachin debba essere sbloccato”, parallelamente con “altre vie di approvvigionamento”. Queste esortazioni si riassumono nella richiesta netta da parte del Consiglio Ue di far seguire ai primi segnali di apertura “passi più concreti nei prossimi giorni e settimane” nel processo di pace tra Armenia e Azerbaigian. La guerra congelata tra i due Paesi caucasici va avanti dal 1992, con scoppi di violenze armate ricorrenti. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh
    La mediazione Ue sul Nagorno-Karabakh
    Da sinistra: il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan
    La mediazione di Bruxelles con il premier armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev è diventata sempre più frequente dopo le sparatorie alla frontiera tra i due Paesi di fine maggio 2022, quando è diventato sempre più evidente che la tensione sarebbe tornata a salire. La priorità dei colloqui di alto livello è stata posta – e lo è tutt’ora – sulla delimitazione degli oltre mille chilometri di confine. Tuttavia, mentre a Bruxelles si sta provando da allora a trovare una difficilissima soluzione a livello diplomatico, da settembre sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
    La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue. Dopo il compromesso iniziale con Yerevan e Baku raggiunto il 6 ottobre a Praga in occasione della prima riunione della Comunità Politica Europea, 40 esperti Ue sono stati dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre dello scorso anno. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin e da allora sono in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Gli unici a poterla percorrere sono i soldati del contingente russo di mantenimento della pace e il Comitato internazionale della Croce Rossa.
    Soldati dell’Azerbaigian al posto di blocco sul corridoio di Lachin (credits: Tofik Babayev / Afp)
    A seguito dell’aggravarsi della situazione nel corridoio di Lachin, il 23 gennaio è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, con l’obiettivo di contribuire alla stabilità nelle zone di confine e garantire un “ambiente favorevole” agli sforzi di normalizzazione dei due Paesi caucasici. Ma la tensione è tornata a crescere lo scorso 23 aprile, con la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco, con la giustificazione di voler impedire la rotazione dei soldati armeni nel Nagorno-Karabakh “che continuano a stazionare illegalmente nel territorio dell’Azerbaigian”. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello tra Michel, Aliyev e Pashinyan il 15 luglio.
    L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni crescenti sul campo ha portato a uno degli episodi più allarmanti per gli osservatori Ue presenti dallo scorso 20 febbraio in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. L’evento aveva provocato qualche imbarazzo a Bruxelles, dopo che Yerevan aveva dato la notizia secondo cui l’esercito azero aveva “scaricato il fuoco contro gli osservatori dell’Ue”. Sulla stessa pagina X della missione civile Ue in Armenia era apparso un post (poi cancellato) con un perentorio “falso”, ma poche ore più tardi è stato pubblicato l’aggiornamento di rettifica che ha dato ragione ai portavoce armeni, almeno nella parte in cui è stata confermata la presenza della pattuglia europea durante gli spari, senza nessun riferimento alla responsabilità azera.

    Il Consiglio Europeo accoglie il primo sblocco positivo di uno stallo che dura dal 12 dicembre dello scorso anno: “Ora è importante trovare soluzioni sostenibili per garantire l’accesso umanitario” in vista dell’inverno. Ma continua a preoccupare la situazione di tensione sul campo