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    La cooperazione energetica tra Unione europea e Usa riparte dai piccoli reattori nucleari

    Bruxelles – Gas naturale liquefatto, metano ma non solo. E’ il nucleare di nuova generazione, in particolare i piccoli reattori modulari, a fare breccia con prepotenza negli impegni condivisi da Unione europea e Stati Uniti in materia di energia. Al 10° Consiglio Energia Ue-Usa che si è tenuto oggi (4 aprile) nella capitale belga, Bruxelles e Washington hanno riconosciuto espressamente “il ruolo che l’energia nucleare può svolgere nella decarbonizzazione dei sistemi energetici nei paesi che hanno deciso o decideranno di affidarsi all’energia nucleare”. E dunque, nella dichiarazione congiunta approvata dopo la ministeriale hanno confermato l’intenzione di organizzare un forum ad alto livello sui piccoli reattori modulari (SMR) entro la fine dell’anno “sulla cooperazione transatlantica nel campo degli SMR e di altri reattori nucleari avanzati”, come si legge nel documento.
    La riunione ministeriale è stata co-presieduta dall’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, e la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, insieme al segretario di Stato americano, Antony Blinken, e il vice segretario americano per l’Energia, David Turk. Al centro, le prospettive energetiche per il prossimo inverno, compresa la situazione in Ucraina e Moldavia, e come accelerare la decarbonizzazione attraverso le tecnologie energetiche pulite e il risparmio energetico. Il nucleare fa breccia negli impegni condivisi dalle due sponde dell’Atlantico e lo fa dopo che a Bruxelles la guerra in Ucraina ha rilanciato il dibattito portando sempre più Paesi Ue dalla parte dell’energia dell’atomo. La pressione di un gruppo di una decina di Paesi che costituiscono un’alleanza per il nucleare (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia) ha spinto la Commissione europea ad aprire al nucleare di nuova generazione e poche settimane fa ha confermato che metterà a disposizione dei governi degli orientamenti con standard comuni che possano aiutare nello sviluppo di una industria europea dei piccoli reattori modulari, sebbene la scelta del mix energetico sia esclusivamente dei Paesi membri.
    Proprio oggi la Commissione europea ha firmato con le parti interessate dell’industria nucleare una dichiarazione sullo sviluppo e la ricerca nel campo dei piccoli reattori modulari (SMR) per il 2030. Gli SMR sono reattori nucleari più piccoli, sia in termini di potenza che di dimensioni fisiche, rispetto ai tradizionali reattori nucleari su scala gigawatt. Questa tipologia di reattori utilizza reazioni di fissione nucleare per creare calore che può essere utilizzato direttamente o per generare elettricità e la Commissione europea li considera “un’opzione promettente per sostituire le vecchie centrali a carbone e per integrare la penetrazione delle energie rinnovabili”. La dichiarazione è stata firmata dalla commissaria europea per la Ricerca e l’Innovazione, Mariya Gabriel, e dalle parti interessate del settore nucleare dell’Ue: nucleareurope, Piattaforma tecnologica per l’energia nucleare sostenibile (SNETP), Società nucleare europea (ENS) e Rete europea per l’educazione nucleare (ENEN) ed è stata annunciata oggi alla conferenza ‘Euratom Research in Action and Opportunities for Europe: EU Strategic Autonomy and the Future Energy Systems.
    La conferenza di oggi è stata anche l’occasione per presentare il programma di lavoro Euratom (Comunità europea dell’energia atomica) per la ricerca e la formazione del periodo 2023-2025 che mobiliterà fino a 132 milioni di euro, dentro il quale la Commissione sta lanciando la prima azione per l’innovazione di 15 milioni di euro sostenere la sicurezza dei piccoli reattori modulari ad acqua leggera. Inoltre, questo programma di lavoro destinerà 12 milioni di euro al cofinanziamento di ricercatori e industria per lavorare insieme sulla sicurezza dei reattori modulari avanzati (AMR), compresi gli SMR, con gli Stati membri interessati.
    Il 10° Consiglio Energia Ue-Usa tra gas liquefatto e metano 
    Non solo nucleare, la ministeriale del Consiglio Energia è stata l’occasione per fare il punto anche sulle relazioni con Washington sul gas e in particolare sul gas liquefatto, che hanno ‘salvato’ l’Unione europea lo scorso anno nel pieno della crisi energetica con Mosca. Nel 2022 gli Stati Uniti hanno esportato 56 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto all’Europa, che rappresenta il 40 per cento delle importazioni totali dell’Ue e un aumento del 140 per cento delle esportazioni Usa verso l’Europa rispetto all’anno prima”, ha fatto il punto il segretario di Stato americano, Antony Blinken, in arrivo questa mattina alla ministeriale, ricordando ancora che Bruxelles e Washington condividono l’impegno a prevenire una catastrofe climatica e accelerare la transizione energetica pulita globale costruendo catene di approvvigionamento resilienti, sicure e diversificate per l’energia rinnovabile. Gli Stati Uniti si sono impegnati a fornire ulteriori 50 miliardi di metri cubi di gnl all’Europa nel 2023.
    Nella dichiarazione comune si legge ancora l’impegno condiviso a raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050 e a circoscrive il riscaldamento globale entro i 1,5 gradi Celsius. Allineamento anche sul metano, dopo l’iniziativa dell’Alleanza globale (la “Global Methane Pledge”) per ridurre le emissioni globali di gas metano di almeno il 30% rispetto ai livelli del 2020 entro il 2030. Unione europea e Stati Uniti intendono “continuare a promuovere la riduzione delle emissioni globali di metano in linea con l’impegno globale per il metano”, promuovendo “misure nazionali e internazionali per rafforzare il monitoraggio, la rendicontazione e la verifica, nonché la trasparenza, dei dati sulle emissioni di metano nel settore dell’energia fossile”, si legge nella dichiarazione, dove il Consiglio conferma che “intende sviluppare un approccio allineato a livello internazionale per la misurazione trasparente, il monitoraggio, rendicontazione e verifica delle emissioni di metano e anidride carbonica lungo la catena del valore dell’energia fossile per migliorare l’accuratezza, la disponibilità e la trasparenza dei dati sulle emissioni”.

    Entro fine anno un Forum ad alto livello sulla cooperazione transatlantica nel campo dei piccoli reattori modulari e di altri reattori avanzati. L’annuncio al 10° Consiglio Energia Ue-Usa che si è tenuto a Bruxelles

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    L’Ucraina guarda all’ingresso della Finlandia nella Nato come esempio per il proprio futuro: “È nel nostro piano strategico”

    Bruxelles – Nel giorno storico della Finlandia per l’ingresso nella Nato, c’è un altro amico dell’Alleanza che guarda da vicino l’esempio di Helsinki. Non la Svezia, a un passo dall’adesione ma ancora bloccata dalla mancata ratifica da parte di Turchia e Ungheria, ma l’Ucraina, il Paese invaso da più di un anno dalla Russia di Vladimir Putin. “Sono qui anche per discutere i piani strategici del futuro, uno su tutti il futuro ingresso dell’Ucraina nella Nato“, ha messo in chiaro il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, nel punto con la stampa prima del vertice ministeriale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord di oggi (4 aprile) a Bruxelles.
    Da sinistra: il ministro degli Esteri dell’Ucraina, Dmytro Kuleba, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg (4 aprile 2023)
    Un’intenzione non nuova, ma che nel giorno dell’anniversario della firma del Trattato del Nord Atlantico a Washington nel 1949 e dell’allargamento dell’Alleanza Atlantica al 31esimo membro assume un significato ancora più simbolico. “Le mie sincere congratulazioni alla Finlandia, nel mezzo dell’aggressione russa l’Alleanza è diventata l’unica effettiva garanzia di sicurezza nella regione”, ha commentato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, mettendo in chiaro di aspettarsi che “il Summit di Vilnius [in programma l’11 e 12 luglio, ndr] avvicini l’Ucraina al nostro obiettivo euro-atlantico” Già il 30 settembre dello scorso anno il presidente ucraino ha annunciato di aver presentato formalmente la domanda di adesione alla Nato, chiedendo per il proprio Paese di diventarne membro “de jure, in modo accelerato”. In quell’occasione il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha confermato che ogni democrazia ha il diritto di presentare domanda, come dimostrato al Summit di Madrid del giugno dello scorso anno, quando gli allora 30 leader (la Finlandia ancora non partecipava ancora a pieno titolo) hanno ribadito la libertà dell’Ucraina – in quanto Paese sovrano e indipendente – di fare liberamente le proprie scelte di sicurezza nazionale.
    La riunione della commissione Nato-Ucraina a Bruxelles (4 aprile 2023)
    Nell’immediato però la questione più urgente è quella dell’invio delle armi a Kiev. “Sono qui per chiedere la velocizzazione nelle consegne di quanto già stabilito, dalle munizioni ai veicoli di fanteria blindati, tutto quello che serve per la controffensiva“, ha precisato il ministro Kuleba prima della riunione della commissione Nato-Ucraina a Bruxelles. Mentre l’aggressione russa continua, l’obiettivo degli alleati rimane l’aumento del supporto per i “bisogni urgenti e lo sviluppo dell’interoperabilità e degli standard Nato”, ha confermato Stoltenberg, attraverso un “programma di lungo termine” sul piano militare ed economico. Lo stesso segretario generale dell’Alleanza Atlantica si è detto “colpito dalla forza della leadership ucraina, delle forze armate e del popolo in generale, capaci di respingere l’offensiva russa” e di iniziare a preparare un contrattacco nei territori occupati. Sul piano geopolitico “la Russia e la Cina si stanno avvicinando sempre di più, lavorano insieme e rendono le cose difficili”, ha avvertito Stoltenberg, sottolineando come “la sicurezza non è una questione regionale, ma globale“. Ecco perché “anche noi dobbiamo essere più vicini ai nostri partner nell’Indo-Pacifico”, dalla Nuova Zelenada al Giappone, dall’Australia alla Corea del Sud: “Quello che succede in Europa ha riflesso in Asia, e viceversa”.
    Il processo di adesione (eventuale) dell’Ucraina alla Nato
    Per diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.
    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale della Nato a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.
    Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

    Il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, ha ribadito la scelta di Kiev prima del vertice ministeriale dell’Alleanza Atlantica, a cui da un anno è invitato. Nell’immediato però il focus rimane sempre sulla consegna rapida “di quanto già stabilito, dalle munizioni ai veicoli di fanteria blindati”

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    Von der Leyen e Macron insieme in Cina, ma la leader Ue avrà un bilaterale con Xi Jinping

    Bruxelles – Con Macron e senza Macron. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, giovedì partirà alla volta di Pechino assieme al capo di Stato francese per una serie di incontri con le autorità del partner asiatico. Ma, oltre al previsto trilaterale con il presidente Xi Jinping, la leader dell’esecutivo Ue si intratterrà per un faccia a faccia bilaterale.
    Come ha suggerito di recente ai 27 anche il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, uno strappo con la Repubblica Popolare sarebbe un rischio enorme, visto il ruolo da ago della bilancia che Xi Jinping sta interpretando dopo lo sconquasso geopolitico provocato dalla guerra russa in Ucraina. Ecco perché, dopo la rinnovata dichiarazione di amicizia e partnership sino-russa e il piano di pace sostenuto dalla Cina, per l’Ue non c’è tempo da perdere: per non tornare da Pechino a mani vuote, von der Leyen sta pianificando nei dettagli la delicata missione.
    Ursula von der Leyen e Emmanuel Macron all’Eliseo, 03/04/23 [Ph Twitter Ursula von der Leyen]Dopo l’incontro con Macron all’Eliseo nella giornata di ieri, in cui i due hanno “condiviso le analisi sui punti chiave da sollevare con il presidente Xi”, oggi (4 aprile) la leader Ue ha ascoltato le ragioni di Volodymyr Zelensky.  In seguito alla telefonata con il presidente ucraino, necessaria per “la preparazione del viaggio”, von der Leyen ha ribadito in un tweet che “l’Ue vuole una pace giusta che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”.
    È evidente che le preoccupazioni per la scelta di campo di Xi Jinping siano in cima alla lista dei temi da affrontare a Pechino: pochi giorni fa, nel suo discorso al Mercator Institute for China Studies e all’European Policy Centre, von der Leyen ha affermato chiaramente che il modo in cui Pechino si rapporterà sul fronte della guerra in Ucraina “sarà un fattore determinante per le relazioni con l’Ue in futuro”. Concetto ribadito questa mattina dall’Alto rappresentante Ue per la Politica Estera, Josep Borrell, secondo cui la posizione della Cina sulla guerra russa “determinerà la qualità dei nostri rapporti”. Borrell ha fatto sapere, a margine dell’incontro avuto a Bruxelles con il segretario di stato americano Antony Blinken, che si recherà anche lui a Pechino la prossima settimana.
    Ma l’Ue è consapevole che raggiungere un nuovo equilibrio con la Cina è necessario anche per la propria prosperità economica. “Non è fattibile, né nell’interesse dell’Europa sganciarsi dalla Cina”, ha ammesso la presidente della Commissione: il gigante asiatico è per l’Ue un partner commerciale che rappresenta il 9 per cento delle esportazioni e più del 20 per cento delle importazioni, e che detiene sostanzialmente il monopolio della fornitura di materie prime strategiche per l’ambiziosa transizione verde europea. L’Ue dipende infatti dalla Cina per il 98 per cento delle forniture di terre rare, il 93 del magnesio e il 97 del litio.
    È probabile che con Xi Jinping si discuterà ampiamente di competitività industriale e di come riequilibrare le relazioni “sempre più influenzate dalle distorsioni create dal sistema capitalistico statale cinese“. Prima del vertice a tre con Xi e Macron, che si terrà nel tardo pomeriggio, von der Leyen incontrerà a tal proposito il presidente della Camera di commercio Ue-Cina, Joerg Wuttke, e rappresentanti di diverse aziende europee con base nel Paese. E sarà ospite a un pranzo di lavoro con Li Qiang, capo del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare.

    I had a phone call with President @ZelenskyyUa ahead of my visit to China.
    Ukraine will be an important topic of my meetings with President Xi and Premier Li.
    The EU wants a just peace that respects Ukraine’s sovereignty and territorial integrity.
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) April 4, 2023

    Giovedì la missione congiunta Bruxelles-Parigi. Prima del vertice a tre e del faccia a faccia con il presidente della Repubblica Popolare, von der Leyen incontrerà il capo del Consiglio di Stato cinese e rappresentanti della Camera di commercio Ue-Cina. L’Ucraina in cima alla lista: oggi telefonata con Zelensky per “preparare il viaggio”

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    Inizia una nuova era per il Montenegro. Bruxelles indica al nuovo presidente Milatović il lavoro sulle riforme verso l’Ue

    Bruxelles – Il Paese più avanzato sul cammino verso l’adesione all’Unione Europea è entrato in una nuova era politica. Per la prima volta in 32 anni il Montenegro non è né governato né presieduto da Milo Đukanović, padre-padrone dello Stato balcanico prima e dopo l’indipendenza nazionale nel 2006. Dopo il primo turno di due settimane fa, che già aveva indicato l’alta probabilità di un cambio di guardia a Podgorica, il ballottaggio di ieri (2 aprile) ha sancito la vittoria di Jakov Milatović, che diventerà il nuovo presidente del Montenegro a partire dal prossimo 23 maggio.
    Il nuovo presidente del Montenegro, Jakov Milatović (credits: Savo Prelevic / Afp)
    “Entro i prossimi cinque anni porteremo il Montenegro nell’Unione Europea“, ha esultato il neo-presidente dopo la pubblicazione dei risultati del secondo turno di voto, che lo ha visto trionfare con il 60 per cento delle preferenze sullo sfidante ed ex-presidente Đukanović e il 70 per cento di affluenza al voto. Filtra ottimismo anche a Bruxelles, dove il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, ha subito commentato la vittoria di Milatović: “Congratulazioni al nuovo presidente, non vedo l’ora di iniziare il lavoro per accelerare le riforme necessarie sul percorso del Montenegro verso l’Ue”.
    Parlando alla stampa europea, il portavoce della Commissione Ue responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Peter Stano, ha sottolineato che l’esecutivo comunitario è pronto a lavorare con Milatović e “tutti gli attori politici per aiutare il Paese a rimanere saldo nel percorso di adesione Ue e costruire il consenso sull’implementazione delle riforme sullo Stato di diritto e sulla giustizia“. Il supporto di Bruxelles è motivato dal fatto che l’adesione all’Unione è sostenuta dalla “maggioranza schiacciante della popolazione montenegrina” e in questo contesto “la stabilità politica nel Paese è chiave per continuare il percorso” per diventare il 28esimo Stato membro Ue.
    Chi è il nuovo presidente del Montenegro
    L’economista 36enne, che aveva solo cinque anni quando Đukanović salì al potere nel 1991 come primo ministro della Repubblica di Montenegro (allora parte della Repubblica Federale di Jugoslavia), è un personaggio relativamente noto a livello nazionale. Dopo aver lavorato per il gruppo bancario e finanziario sloveno Nlb Group a Podgorica e per Deutsche Bank a Francoforte, nel 2014 è entrato nel team di analisi economica e politica della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Bers) e dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 è stato ministro dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović guidata da Zdravko Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo Milatović ha presentato insieme al ministro delle Finanze, Milojko Spajić, un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro.
    I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro, come la coalizione moderata di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e la piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) del premier dimissionario, Dritan Abazović. Alle amministrative di ottobre nella capitale Podgorica Milatović ha corso come candidato sindaco per Europe Now, piazzandosi al secondo posto. Dopo la squalifica di Spajić da parte della commissione elettorale centrale per il possesso di cittadinanza serba – vietata dalla legge montenegrina per chi vuole correre per la presidenza della Repubblica – si è candidato come sfidante di Đukanović alla prima carica del Paese.
    Festeggiamenti di elettrici filo-serbe in Montenegro dopo la vittoria di Jakov Milatović alle presidenziali del 2 aprile 2023 (credits: Savo Prelevic / Afp)
    “Sarò il presidente di tutti i cittadini, guiderò il Paese verso l’integrazione europea e promuoverò il recupero morale e sociale del Montenegro, depoliticizzando e rafforzando le istituzioni”, ha promesso Milatović. Il nuovo presidente è anche favorevole a relazioni più strette con la vicina Serbia (nonostante nel 2006 abbia votato a favore dell’indipendenza da Belgrado) e non a caso è stato sostenuto esplicitamente dai candidati dei partiti più rappresentati in Parlamento sconfitti al primo turno, sia il leader del partito nazionalista filo-serbo Fronte Democratico, Andrija Mandić, sia quello del partito populista conservatore Montenegro Democratico, Aleksa Bečić. Anche se si tratta della questione più delicata sulla scena politica montenegrina – il co-fondatore di Europe Now Spajić ha svolto attività di lobbying negli Stati Uniti a favore degli interessi della Chiesa serbo-ortodossa nel Paese – le tendenze filo-serbe non necessariamente sono contrarie alla visione europeista delle relazioni internazionali e il processo di adesione all’Ue del Paese balcanico iniziato nel 2012 e ribadito con una nuova iniziativa balcanica non dovrebbe subire contraccolpi.
    La situazione politica in Montenegro
    Per la prima volta in 32 anni sulla scena politica nazionale Đukanović non rivestirà alcun ruolo. Il leader del Partito Democratico dei Socialisti (Dps) è stato premier dal 1991 al 1998 e poi di nuovo dal 2003 al 2006, dal 2008 al 2010 e dal 2012 al 2016, portando anche all’adesione del Montenegro alla Nato (formalmente dal 5 giugno 2017). Tra il 1998 e il 2003 e dal 2018 a oggi ha rivestito il ruolo presidente, in un periodo cruciale per il passaggio della Repubblica da federata con la Serbia a indipendente. I rivali di Đukanović accusano il quasi ex-presidente e il suo partito di corruzione e di legami con la criminalità organizzata, ma anche di aver politicizzato le istituzioni nazionali, con particolare riferimento alla crisi istituzionale aggravatasi negli ultimi mesi dello scorso anno.
    L’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović, e la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen
    Tutto è legato alla legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato. In caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrebbe l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Dopo il primo via libera di inizio novembre la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi. Il problema è stata la parallela vacanza di quattro membri (su sette) della Corte Costituzionale, l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge contestata. Dopo mesi di vacanza e di richiami internazionali, lo scorso 27 febbraio l’Assemblea del Montenegro è riuscita a eleggere tre giudici della Corte Costituzionale vacanti (manca ancora il quarto), condizione di base per ripristinare la piena funzionalità dell’istituzione montenegrina.
    Dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno. Il risultato delle presidenziali potrebbe ora mettere ancora più in crisi il Partito Democratico dei Socialisti, che ha perso ieri l’ultima leva di potere che ancora deteneva. Dopo il risultato fallimentare delle elezioni politiche dell’agosto 2020 i socialisti hanno perso anche il controllo delle due città più grandi del Paese, Podgorica e Nikšić, alle amministrative dello scorso autunno e dal prossimo 23 maggio non esprimeranno più nemmeno la presidenza della Repubblica. La nuova era per il Montenegro è già iniziata, e il ritorno al voto anticipato per il rinnovo del Parlamento potrebbe essere l’ultima occasione per il padre-padrone della nazione di mantenere ancora la presa sul Paese.

    Il 36enne fondatore di Europe Now è stato eletto leader del Paese balcanico, mettendo fine al potere trentennale del socialista Milo Đukanović. Il sostegno dei partiti filo-serbi non sembra preoccupare la Commissione Ue, considerato il posizionamento europeista del partito

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    Via libera dalla Turchia all’ingresso della Finlandia nella Nato. La Svezia rimane ancora alla finestra

    Bruxelles – Dentro la Finlandia, ancora attesa per la Svezia. I due Paesi scandinavi, che quasi un anno fa hanno impresso una svolta strategica storica per le rispettive politiche di sicurezza nazionale, alla fine non concluderanno mano nella mano il processo di adesione all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), come per mesi sperato e dichiarato pubblicamente. Perché per Helsinki è arrivato in una settimana il doppio via libera all’ingresso nella Nato prima dall’Ungheria e poi dalla Turchia – gli unici due dei 30 Paesi membri che ancora non avevano ratificato il protocollo di adesione – mentre per Stoccolma la situazione è ancora di stallo e, per il momento, non si vede una via d’uscita.
    “Tutti i 30 membri della Nato hanno ratificato l’adesione della Finlandia”, ha annunciato nella tarda serata di ieri (30 marzo) il presidente finlandese, Sauli Niinistö, rivolgendo un ringraziamento “per la fiducia e il sostegno, saremo un alleato forte e capace, impegnato nella sicurezza dell’Alleanza”. Una dichiarazione arrivata a stretto giro rispetto al voto della Grande Assemblea Nazionale Turca (il Parlamento monocamerale della Turchia), che ha ratificato all’unanimità il protocollo di adesione del Paese scandinavo. Il via libera da Ankara è arrivato dopo mesi di temporeggiamento – il protocollo di adesione di Finlandia e Svezia è stato firmato il 5 luglio dello scorso anno – dal momento in cui i due Paesi hanno portato avanti insieme la candidatura e nelle intenzioni del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, l’allargamento si sarebbe dovuto realizzare come pacchetto unico entro il Summit di Vilnius del prossimo 11-12 luglio.
    La firma del memorandum d’intesa Nato tra Turchia, Svezia e Finlandia a Madrid (28 giugno 2022)
    Ma Turchia e Ungheria (quest’ultima ha ratificato il 27 marzo il protocollo di adesione di Helsinki) hanno tenuto e continuano a tenere bloccata la Svezia, anche se per ragioni differenti, e di fatto hanno costretto gli altri membri dell’Alleanza ad accettare lo ‘spacchettamento’ per la Finlandia: come precisato dal segretario generale Stoltenberg, il Paese diventerà “fra pochi giorni” il 31esimo membro della Nato. Stoccolma rimane ancora in attesa della fine del costante ricatto in merito all’estradizione dei membri del movimento politico-militare curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), legato anche a questioni di politica interna. Di fronte al rischio di perdere per la prima volta in 20 anni il potere alle cruciali elezioni del 14 maggio, il presidente Recep Tayyip Erdoğan non avrebbe nessun interesse nello sbloccare le trattative con la Svezia prima di essersi assicurato la riconferma, dal momento in cui l’intransigenza sulla questione curda rimane uno dei temi centrali della sua leadership politica. Per l’Ungheria invece lo stallo è motivato dal contrasto diplomatico tra i due Paesi membri Ue (fino a luglio la Svezia detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue) per le critiche di Stoccolma sull’erosione dello Stato di diritto determinato dal governo di Viktor Orbán, come ha messo in chiaro il portavoce dell’esecutivo ungherese.
    “La Finlandia è al fianco della Svezia ora e in futuro e ne sostiene l’adesione”, ha ribadito con forza la prima ministra finlandese, Sanna Marin, che domenica (2 aprile) dovrà affrontare un delicatissimo appuntamento elettorale in patria. Anche il segretario generale della Nato Stoltenberg si attende di “accogliere il prima possibile la Svezia come membro a pieno diritto della famiglia Nato”, dal momento in cui “tutti gli alleati sono d’accordo che una conclusione rapida” del processo di ratifica per Stoccolma “è nell’interesse di tutti“. Tutti, meno Turchia e Ungheria, per il momento.

    #Finland 🇫🇮 will formally join our Alliance in the coming days. Their membership will make Finland safer & #NATO stronger. I look forward to also welcoming #Sweden 🇸🇪 as a full member of the NATO family as soon as possible.
    —@jensstoltenberg pic.twitter.com/ueaOwWdLaX
    — Oana Lungescu (@NATOpress) March 31, 2023

    Come si entra nella Nato
    Per diventare membro della Nato, un Paese deve inviare una richiesta formale, precedentemente approvata dal proprio Parlamento nazionale. A questo punto si aprono due fasi di discussioni con l’Alleanza, che non necessariamente aprono la strada all’adesione: la prima, l’Intensified Dialogue, approfondisce le motivazioni che hanno spinto il Paese a fare richiesta, la seconda, il Membership Action Plan, prepara il potenziale candidato a soddisfare i requisiti politici, economici, militari e legali necessari (sistema democratico, economia di mercato, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, standard di intelligence e di contributo alle operazioni militari, attitudine alla risoluzione pacifica dei conflitti). Questa seconda fase di discussioni è stata introdotta nel 1999 dopo l’ingresso nella Nato di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, per affrontare il processo con aspiranti membri con sistemi politici diversi da quelli dei Paesi fondatori dell’Alleanza, come quelli ex-sovietici.
    La procedura di adesione inizia formalmente con l’applicazione dell’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che prevede che “le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale”. La risoluzione deve essere votata all’unanimità da tutti i Paesi membri. A questo punto si aprono nel quartier generale della Nato a Bruxelles gli accession talks, per confermare la volontà e la capacità del candidato di rispettare gli obblighi previsti dall’adesione: questioni politiche e militari prima, di sicurezza ed economiche poi. Dopo gli accession talks, che sono a tutti gli effetti una fase di negoziati, il ministro degli Esteri del Paese candidato invia una lettera d’intenti al segretario generale dell’Alleanza.
    Il processo di adesione si conclude con il Protocollo di adesione, che viene preparato con un emendamento del Trattato di Washington, il testo fondante dell’Alleanza. Questo Protocollo deve essere ratificato da tutti i membri, con procedure che variano a seconda del Paese: in Italia è richiesto il voto del Parlamento riunito in seduta comune, per autorizzare il presidente della Repubblica a ratificare il trattato internazionale. Una volta emendato il Protocollo di adesione, il segretario generale della Nato invita formalmente il Paese candidato a entrare nell’Alleanza e l’accordo viene depositato alla sede del dipartimento di Stato americano a Washington. Al termine di questo processo, il candidato è ufficialmente membro dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.

    Dopo mesi di temporeggiamento anche la Grande Assemblea Nazionale Turca ha ratificato il protocollo di adesione di Helsinki all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. Stoccolma bloccata sia da Ankara per la questione estradizioni, sia dall’Ungheria di Viktor Orbán

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    La nuova iniziativa di quattro Paesi dei Balcani Occidentali per l’allineamento completo alla politica estera dell’Ue

    Bruxelles – I Balcani Occidentali spingono per l’allineamento alla politica estera dell’Ue, per avvicinarsi ancora di più all’adesione all’Unione. Non tutti, perché la questione è molto delicata per Serbia e Bosnia ed Erzegovina, toccando direttamente il tema delle sanzioni internazionali contro la Russia. Ma gli altri quattro – Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Montenegro – hanno già fatto tutti i compiti a casa da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina e vedono nel rispetto totale delle misure restrittive dell’Ue uno dei punti di forza nel proprio percorso di avvicinamento all’ingresso nell’Unione.
    Ecco perché da ieri (29 marzo) è nata una nuova iniziativa politica, la Western Balkan Quad – 100% compliance with Eu foreign policy, con l’obiettivo di coordinare le politiche e le migliori pratiche dei quattro Paesi dei Balcani Occidentali. “Dopo l’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina, l’allineamento alla Pesc [Politica estera e di sicurezza comune, ndr], ma ancor più in generale alle posizioni e ai valori del mondo democratico, si è trasformato in una delle priorità più importanti dei Paesi che aspirano all’adesione all’Ue, un chiaro messaggio di dove questi Paesi appartengono“, si legge nella dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri di Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Montenegro.
    Un’iniziativa nei Balcani Occidentali che nasce e si svilupperà “alla luce della nuova realtà geopolitica, delle minacce ibride, della crisi energetica e delle conseguenze economiche” causate dalla guerra russa, per cui l’Ue ha già deciso di stanziare un pacchetto complessivo da un miliardo di euro. I Paesi del Western Balkan Quad – un forum informale che affianca le già esistenti Open Balkan (zona economica e politica tra Albania, Macedonia del Nord e Serbia) e il Processo di Berlino (iniziativa diplomatica per l’allargamento Ue nella regione) – baseranno il proprio confronto sul fatto che “individualmente abbiamo dimostrato di essere partner affidabili della Nato e dell’Ue“, non solo con l’allineamento sulle sanzioni, ma anche attraverso “una specifica assistenza umanitaria e di altro tipo all’Ucraina”. Da qui ne scaturirà uno scambio “sugli attuali sviluppi regionali e internazionali, il processo di attuazione e applicazione delle politiche, dei regolamenti e degli standard dell’Ue”.
    Non si può non notare l’assenza di due attori centrali per i rapporti dell’Ue con i Balcani Occidentali: Serbia e Bosnia ed Erzegovina. Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, la Serbia ha sempre cercato di mantenere una – quasi insostenibile – politica di non-allineamento, per non perdere da una parte il più influente partner commerciale e politico (l’Unione Europea, tra cui in particolare l’Italia riveste un ruolo chiave) e dall’altra il punto di riferimento privilegiato per la propria retorica nazionalista (la Russia). Questo riguarda anche le sanzioni internazionali contro la Russia, che Belgrado si è sempre rifiutata di adottare, e una serie di mosse politico-economiche al limite dello scontro diplomatico con Bruxelles. Più complessa la situazione in Bosnia ed Erzegovina, dove lo scenario politico è in costante stallo per le posizione manifestamente filo-russe della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba del Paese: qualsiasi tentativo a Sarajevo di far passare politiche restrittive contro Mosca sono state bloccate dalla componente serba della presidenza tripartita e del Parlamento bicamerale.
    A che punto sono i sei Paesi dei Balcani Occidentali nel percorso verso l’Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente deve essere implementato un delicatissimo accordo di normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo.
    Il processo di allargamento Ue in cui sono impegnati i sei Paesi dei Balcani Occidentali inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

    Si chiama “Western Balkan Quad – 100% compliance with Eu foreign policy” e riunisce Albania, Kosovo, Macedonia del Nord e Montenegro, ovvero i partner più allineati agli standard di Bruxelles per l’adesione all’Unione. In particolare per le sanzioni internazionali contro la Russia

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    Il Meccanismo regionale di rimpatrio per esternalizzare i confini esterni Ue nei Balcani, rimasto segreto per un anno

    Bruxelles – Un anno intero, per ottenere una dichiarazione congiunta tra i Paesi più o meno direttamente interessati dalla rotta balcanica in cui viene messo, nero su bianco, che si spingerà sulla politica di esternalizzazione delle frontiere dell’Ue nei sei Paesi dei Balcani Occidentali con finanziamenti e supporto per il rimpatrio di persone migranti provenienti da Paesi terzi. Un documento firmato da 27 ministri degli Interni il 22 febbraio 2022 e solo a marzo di un anno dopo messo a disposizione dell’opinione pubblica europea, sotto le pressanti richieste delle organizzazioni non governative.
    Si tratta del piano per l’istituzione di un Meccanismo regionale di rimpatrio per la rotta balcanica, per aumentare il numero di rimpatri di cittadini da Paesi terzi già sul territorio di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, prima che queste persone possano arrivare alle frontiere esterne dell’Unione Europea e presentare richiesta di protezione internazionale. A firmare il documento sono stati i ministri dei Paesi aderenti al Forum di Salisburgo (Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia), i sei dei Balcani Occidentali, Belgio, Germania, Danimarca, Francia (allora presidente di turno del Consiglio dell’Ue) e Svizzera. Un totale di 27 Paesi, di cui 20 membri dell’Unione Europea.
    Non era un segreto l’esistenza del Meccanismo oggetto della conferenza ministeriale della Piattaforma di coordinamento congiunto di Vienna – come emerso anche dalle parole del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi – ma il contenuto della dichiarazione, con i i dettagli preliminari dell’accordo, non sono mai stati messi resi pubblici. Dopo le richieste di accesso ai documenti da parte dell’organizzazione non governativa Statewatch, si è arrivati nel marzo 2023 a scoprire che da un anno l’intesa mette al centro del Meccanismo un “sostegno mirato e orientato alla domanda nel campo del rimpatrio, in particolare dai Balcani Occidentali verso i Paesi terzi“. L’obiettivo è quello di assicurare la “rapida corrispondenza tra le esigenze e la possibile assistenza al rimpatrio” sulla base di un nuovo “Piano d’azione per il rimpatrio”.
    Lipa, Bosnia ed Erzegovina (23 dicembre 2020)
    La tendenza dei Paesi membri Ue a esternalizzare le frontiere esterne – in particolare sul fronte della rotta balcanica – e a prevedere finanziamenti ai Paesi di transito per la gestione delle politiche migratorie ‘appaltate’ dall’Unione si è poi riversata in due Piani d’azione presentati a distanza di alcuni mesi dalla Commissione Europea. Uno sulla rotta balcanica il 5 dicembre 2022 e uno, appunto, sui rimpatri il 24 gennaio scorso. Nessuna delle due iniziative dell’esecutivo comunitario menziona esplicitamente il Meccanismo regionale di rimpatrio stabilito con il piano del 22 febbraio dello scorso anno, ma i contenuti dei tre documenti – come priorità da implementare o come linee operative chiare – evidenziano la correlazione nel lavoro preparatorio per definire la strategia di esternalizzazione delle decisioni di rimpatrio nei Paesi interessati dalla rotta balcanica.
    Cosa prevede il Meccanismo regionale di rimpatrio sulla rotta balcanica
    Bruxelles, Belgio (24 febbraio 2023)
    Nel piano concordato dai 27 ministri viene stabilito che la cooperazione sui rimpatri si svolgerà nell’ambito della Piattaforma di coordinamento congiunto “e dei quadri dell’Ue”. Il Meccanismo regionale dovrà “facilitare il rapido incontro tra le esigenze e la possibile assistenza al rimpatrio”, stimolando il rimpatrio volontario, ma soprattutto sostenendo “l’attuazione del rimpatrio non volontario dei migranti che non necessitano di protezione internazionale o che non hanno il diritto di rimanere”. A disposizione dei Paesi di transito lungo la rotta balcanica ci saranno una serie di strumenti di assistenza per lo “sviluppo di orientamenti tecnici e l’elaborazione di una procedura operativa standard per il rimpatrio”, si legge ne documento.
    Emerge anche il sostegno per lo “sviluppo delle capacità” per le operazioni di frontiera e lo “scambio delle migliori pratiche” sui rimpatri con “misure adeguate e personalizzate”. Il tutto sarà riunito in un Piano d’azione per i rimpatri, “la cui attuazione sarà comunicata ai ministri e ai rappresentanti almeno una volta all’anno”. Parallelamente è prevista l’istituzione di “partenariati flessibili” per il rimpatrio tra Paesi dei Balcani Occidentali, dell’Ue e la Svizzera, con l’obiettivo sia di “facilitare l’attuazione delle attività del Meccanismo regionale per il rimpatrio”, sia di “agevolare i rimpatri tramite voli di linea e charter”.

    Nel febbraio 2022 i ministri degli Interni dei sei Paesi balcanici e di 20 membri Ue (più la Svizzera) hanno siglato un piano sui ritorni di cittadini di Stati terzi prima che possano arrivare alle frontiere dell’Unione e presentare domanda di asilo. Fino a oggi il testo non è mai stato reso pubblico

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    La Moldova scaccia i fantasmi filo-russi. Michel annuncia l’avvio dei negoziati per l’ingresso in Ue entro la fine dell’anno

    Bruxelles – Le bandiere russe che un mese fa hanno riempito le strade di Chișinău nelle violente manifestazioni contro la presidente Maia Sandu potrebbero presto essere sostituite da quelle a dodici stelle dell’Unione Europea. Il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, in visita in Moldova, ha posto il suo obiettivo: aprire i negoziati per l’adesione del Paese all’Unione “entro la fine dell’anno”.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e la presidente della Repubblica di Moldova, Maia Sandu (28 marzo 2023)
    Il viaggio del leader Ue a Chișinău non è casuale. Dopo le mobilitazioni filo-russe fomentate dal partito di opposizione Șor e con il sospetto di ingerenze dell’intelligence di Mosca, c’era bisogno di riaffermare il “pieno sostegno” dell’Ue “per il popolo moldavo” nel suo cammino verso l’ingresso nell’Unione. E di accelerarlo, se necessario, per scongiurare le mire espansionistiche del Cremlino, che vorrebbe fare della Moldova una nuova Bielorussia. Michel ha reso onore al “coraggio e alla determinazione” con cui il Paese partner ha risposto alle minacce russe, che ha tentato di destabilizzare il Paese “usando l’arma dell’energia, gli attacchi informatici, fomentando proteste antigovernative”.
    Come a voler scacciare definitivamente qualsiasi fantasma filo-putiniano dall’orizzonte, la presidente Sandu ha dichiarato che “l’integrazione europea è l’unica strada che possa assicurare la sopravvivenza della Repubblica di Moldova come un Paese libero e prospero, l’unica possibilità per vivere in libertà, pace e benessere”. La premier europeista ha rivendicato la “determinazione a restare parte del mondo libero” con cui la Moldova sta affrontando gli attacchi ibridi che partono da Mosca, sottolineando al contempo il “supporto solido” ricevuto da Bruxelles.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, con il presidente del Parlamento della Moldova, Igor Grosu (28 marzo 2023)
    Un miliardo di euro mobilitati nel corso del 2022 a sostegno della stabilità del Paese, e la volontà a “fare ancora di più”. I 27 Stati membri hanno chiesto, nel corso dell’ultimo Consiglio Europeo, che la Commissione Ue presenti un pacchetto di misure per la Moldova “prima dell’estate”. Nel frattempo, ha ricordato Michel, è importante che il governo guidato da Dorin Recean “continui a implementare i nove passi richiesti dall’esecutivo europeo” per soddisfare i requisiti per l’ingresso nell’Unione. La presidente moldava ha assicurato di essere già al lavoro per “raggiungere gli alti standard necessari per essere un Paese membro”. Gli sforzi del governo si concentrano soprattutto su “un sistema giudiziario indipendente, sulla lotta alla corruzione, sull’eradicazione dell’influenza degli oligarchi nella politica, nell’economia, nei mass media e nella giustizia”.
    Nel corso della sua visita, Michel ha incontrato anche il primo ministroRecean e il presidente del Parlamento di Chișinău, Igor Grosu. Il numero uno del Consiglio Europeo ha infine confermato che la capitale moldava ospiterà, il prossimo primo giugno, la seconda riunione della Comunità politica europea: “Siamo certi che sarà un successo”, ha concluso Michel.

    Il presidente del Consiglio Ue in visita a Chișinău ha ringraziato la presidente, Maia Sandu, per il “coraggio e la determinazione” con cui ha risposto ai tentativi di destabilizzazione di Mosca. Il Paese è al lavoro per soddisfare i nove requisiti posti dalla Commissione Europea