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Coabitare con il predecessore, Francesco e il Papa emerito

   Per quasi l’intero primo decennio di pontificato, Francesco ha avuto in sorte di essere il primo Papa della storia a dover convivere in Vaticano col suo predecessore. La storica rinuncia di Benedetto XVI, primo Papa a dimettersi da sei secoli e la sua decisione di restare a vivere nella Città Leonina, seppur appartato nell’ex monastero Mater Ecclesiae, hanno determinato una situazione davvero senza precedenti: per la prima volta in duemila anni di storia della Chiesa due Papi si trovavano a coesistere in Vaticano.

    Joseph Ratzinger, tra l’altro, pur avendo lasciato il pontificato, non volle essere chiamato “vescovo emerito di Roma”, come consigliato da alcuni canonisti, scegliendo la denominazione di “Papa emerito” o “Romano Pontefice emerito”, mantenendo anche la veste bianca, per quanto senza mantellina, e il titolo di “Sua Santità”.

    Comunque la ‘coabitazione’ col successore, papa Francesco – cui al momento di lasciare il papato a fine febbraio 2013 aveva promesso “obbedienza” -, è stata per alcuni anni senza scosse, di perfetta armonia, priva di ogni ingerenza nel governo della Chiesa come di atti o dichiarazioni che potessero mettere in dubbio l’autorità o le decisioni del Pontefice in carica. Vivere “nascosto al mondo”, dedito allo studio, a meditazione e preghiera, era stata l’intenzione annunciata dal Papa dimissionario: una linea che ha sempre mantenuto, con discrezione ‘bavarese’, interrotta solo dalle poche uscite pubbliche, e nel 2016 da un paio di interviste e dal libro-testamento “Ultime conversazioni” col giornalista tedesco Peter Seewald con cui aveva già scritto “Luce del mondo”.

    A costituire un ‘caso’ – Ratzinger aveva già quasi 93 anni – fu però l’uscita nel gennaio 2020, in Francia e poi in Italia, del libro col prefetto per il Clero card. Robert Sarah, “Dal profondo del nostro cuore”, testo in cui i due autori proclamavano le loro tesi radicalmente contrarie a ogni innovazione sul celibato sacerdotale. C’era appena stato il Sinodo sull’Amazzonia, in cui i vescovi avevano votato a maggioranza la possibilità di forme di sacerdozio uxorato, cioè il conferimento del presbiterato a persone sposate, proprio per far fronte alle esigenze pastorali nelle impervie e sterminate lande amazzoniche. Papa Bergoglio stava allora redigendo l’esortazione post-sinodale e si era in attesa delle sue decisioni sul tema, tanto che l’uscita del libro a quattro mani – Ratzinger però a un certo punto tolse la sua firma come co-autore – sembrò un tentativo di condizionare le scelte del Pontefice in carica. Tentativo che, alla prova dei fatti, riuscì, poiché nella sua ‘Querida Amazonia’ papa Francesco scelse di non aprire ad alcun cambiamento sul celibato.

    Da parte sua, Bergoglio ha sempre manifestato un rispetto filiale per il suo predecessore, nonché vicinanza con frequenti chiamate o visite. “E’ come avere il nonno saggio in casa”, ha detto più volte per riconoscere il coraggio e il sostegno che gli dava poter avere vicino a sé la “saggezza”, l'”esperienza”, e la sterminata cultura teologica del Papa emerito. A cui riconosceva anche di aver aperto con la sua coraggiosa rinuncia, “atto di governo della Chiesa”, una strada nuova: quella appunto dei “Papi emeriti”, che prima non esistevano, e che ora, col prolungarsi della vita, diventavano una figura da mettere in conto e anche da inquadrare canonicamente. A Benedetto, tra l’altro, Francesco riconosceva di essere stato colui che aveva aperto la lotta senza quartiere contro la pedofilia, già portando avanti il ‘caso Maciel’ (fondatore dei Legionari di Cristo) da cardinale, contro tutto e tutti, quando “non aveva forza per imporsi”.

    Questa ‘convivenza’ di manifesta sintonia fu sottolineata da ripetuti incontri: due immagini su tutte, quella del 23 marzo 2013 quando il neo-eletto Francesco si recò in visita a Castel Gandolfo al Papa da poco ‘emerito’, che gli affidò lo scatolone con l’inchiesta ‘Vatileaks’ dei suoi tre cardinali-007 Herranz, Tomko e De Giorgi, e quella dell’8 dicembre 2015, apertura del Giubileo straordinario della Misericordia, quando Francesco e Benedetto varcano insieme, uno dopo l’altro, la Porta Santa di San Pietro. Essa però non impedì che attorno alla presenza dei due Papi si alimentassero le nostalgie dei ‘ratzingeriani’ avversi alle innovazioni e riforme del successore, e dei ‘sedevacantisti’ per i quali la rinuncia di Benedetto XVI non era valida, perché data non liberamente, come pure non valida l’elezione di Bergoglio per una votazione annullata a causa di una scheda in più.

    Fecero discutere nel maggio 2016 anche le dichiarazioni del segretario di Ratzinger e prefetto della Casa Pontificia, mons.Georg Gaenswein, sul “ministero (petrino) allargato con un membro attivo e uno contemplativo”, e su Benedetto XVI “come se avesse fatto un passo di lato per fare spazio al suo successore e a una nuova tappa nella storia del Papato”. Dichiarazioni in qualche modo esplosive, che ridiedero, anche se brevemente, non poca linfa ai detrattori di Bergoglio. Ma fu proprio lui, interrogato il mese dopo dai giornalisti sul volo che lo riportava a Roma dall’Armenia, a porre fine alle polemiche. “Ho sentito – disse del Papa emerito -, che alcuni sono andati lì a lamentarsi perché ‘questo nuovo Papa…’, e lui li ha cacciati via! Con il migliore stile bavarese: educato, ma li ha cacciati via”. “Ma c’è un solo Papa”, sentenziò, parlando del predecessore come di “questo grande uomo di preghiera, di coraggio che è il Papa emerito – non il secondo Papa – che è fedele alla sua parola e che è un uomo di Dio. E’ molto intelligente, e per me è il nonno saggio a casa”. 


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