Sia una “sana laicità” la stella polare nei rapporti tra Stato e Chiesa, ha più volte detto Benedetto XVI, primo papa emerito della Chiesa, morto ieri in Vaticano. Già prima della sua elezione al soglio pontificio, e ancor più durante i quasi otto anni di pontificato, Joseph Ratzinger, insieme ad approfondite riflessioni teologiche, ha consegnato una sorta di istruzione sui rapporti tra Stato e Chiesa, fondata proprio sul concetto di sana laicità.
Secondo Ratzinger, per l’affermazione di tale obiettivo, non può essere la Chiesa a indicare quale ordinamento politico e sociale sia da preferirsi, ma è il popolo che deve decidere liberamente; allo stesso modo, lo Stato non può considerare la religione come un semplice sentimento individuale, da confinare al solo ambito privato. Al contrario, la religione, essendo anche organizzata in strutture visibili, come avviene per la Chiesa, va riconosciuta come presenza comunitaria pubblica.
In realtà – ha più volte osservato l’allora papa Benedetto XVI – oggi la laicità viene comunemente intesa come esclusione della religione dai vari ambiti della società e come suo confino nell’ambito della coscienza individuale. La laicità, dunque – secondo taluni – si esprimerebbe nella totale separazione tra lo Stato e la Chiesa. Rispetto a una tale “visione a-religiosa della vita, del pensiero e della morale: una visione, cioè, in cui non c’è posto per Dio” – ha osservato Ratzinger – è compito “di tutti i credenti, in particolare dei credenti in Cristo, contribuire ad elaborare un concetto di laicità che, da una parte, riconosca a Dio e alla sua legge morale, a Cristo e alla sua Chiesa, il posto che ad essi spetta nella vita umana, individuale e sociale; e, dall’altra, affermi e rispetti la ‘legittima autonomia delle realtà terrene’, come ribadisce il Concilio Vaticano II nella costituzione Gaudium et spes.
Questa affermazione conciliare – ha spiegato Ratzinger – costituisce “la base dottrinale di quella ‘sana laicità’ che implica l’effettiva autonomia delle realtà terrene, non certo dall’ordine morale, ma dalla sfera ecclesiastica. Non può essere pertanto la Chiesa a indicare quale ordinamento politico e sociale sia da preferirsi, ma è il popolo che deve decidere liberamente i modi migliori e più adatti di organizzare la vita politica. Ogni intervento diretto della Chiesa in tale campo sarebbe un’indebita ingerenza”.
D’altra parte, la “sana laicità” comporta che lo Stato non consideri la religione come un semplice sentimento individuale, che si potrebbe confinare al solo ambito privato. Al contrario, la religione, essendo anche organizzata in strutture visibili, come avviene per la Chiesa, va riconosciuta come presenza comunitaria pubblica. Questo comporta inoltre che a ogni Confessione religiosa (purché non in contrasto con l’ordine morale e non pericolosa per l’ordine pubblico) sia garantito il libero esercizio delle attività di culto – spirituali, culturali, educative e caritative- della comunità dei credenti”.
In base a queste considerazioni, “non è certo espressione di laicità ma sua degenerazione in laicismo” – ha più volte spiegato Benedetto XVI – l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione; alla presenza, in particolare, di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche. Come pure non è segno di sana laicità – ha sostenuto ancora Ratzinger – il rifiuto alla comunità cristiana, e a coloro che legittimamente la rappresentano, del diritto di pronunziarsi sui problemi morali che oggi interpellano la coscienza di tutti gli esseri umani, in particolare dei legislatori e dei giuristi. Non si tratta, infatti, di indebita ingerenza della Chiesa nell’attività legislativa, propria ed esclusiva dello Stato, ma dell’affermazione e della difesa dei grandi valori che danno senso alla vita della persona e ne salvaguardano la dignità. “Questi valori – ha ancora spiegato Ratzinger – prima di essere cristiani, sono umani, tali perciò da non lasciare indifferente e silenziosa la Chiesa, la quale ha il dovere di proclamare con fermezza la verità sull’uomo e sul suo destino”. In definitiva, se è vero che per la sua natura e missione “la Chiesa non è e non intende essere un agente politico”, tuttavia essa “ha un interesse profondo per il bene della comunità politica”. Questo apporto specifico viene dato principalmente dai fedeli laici, i quali, partecipando alla vita pubblica, si impegnano con gli altri membri della società a “costruire un giusto ordine nella società”.
Muovendo da queste premesse, è anche arrivato da Ratzinger un monito deciso: ricordi l’uomo che “senza Dio” egli “è perduto” e “l’esclusione della religione dalla vita sociale, in particolare la marginalizzazione del cristianesimo, mina le basi stesse della convivenza umana. Prima di essere di ordine sociale e politico, queste basi, infatti, sono di ordine morale”.
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