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Draghi, non interessato a incarichi, non giudico Meloni 

“Faccio il nonno. E mi godo il diritto dei nonni di poter scegliere che cosa fare. Anche per questo ho chiarito che non sono interessato a incarichi politici o istituzionali, né in Italia né all’estero”. Così l’ex premier Mario Draghi, in una intervista al Corriere della Sera. “A febbraio 2021 – afferma – la situazione era molto difficile. Tuttavia l’Italia ha mostrato di sapercela fare. Quest’anno cresceremo di quasi il 4%, più di Francia e Germania, dopo i sette trimestri di crescita consecutivi durante il mio governo”. Ora “l’inflazione ha messo le banche centrali davanti a una sfida. Preservare la stabilità dei prezzi è essenziale”. Durante il suo governo “di decisioni difficili ne abbiamo prese molte: penso al green pass e all’obbligo vaccinale. Mi fa piacere vedere oggi che la Corte costituzionale concordi in pieno. Altrettanto difficile è stato scegliere ad aprile di riaprire le scuole. Infine, il sostegno immediato e convinto all’Ucraina”. “Le prospettive di pace – dice ancora Draghi – sono difficili anche se molto è cambiato in quest’ultimo periodo. Ma è soltanto Putin che può porre fine a questi massacri. Abbiamo appoggiato l’Ucraina subito, con convinzione. Ero consapevole dei forti legami passati tra l’Italia e Mosca, ma non potevamo restare impassibili. In Russia probabilmente contavano su una nostra ambiguità, che invece non c’è stata”. Rispetto a Meloni “non spetta a me giudicare il governo, soprattutto non dopo così poco tempo. Meloni ha dimostrato di essere una leader abile e ha avuto un forte mandato elettorale. Occorre stare attenti a che non si crei di nuovo un clima internazionale negativo nei confronti dell’Italia”. La premier, gli viene fatto notare, dice che le ha lasciato un sacco di cose da fare sul Pnrr: “Abbiamo rispettato tutti gli obiettivi dei primi due semestri. Questo è l’unico indicatore da cui dipende l’erogazione dei fondi, che infatti è avvenuta in modo puntuale. Mi avrebbe fatto piacere completare il lavoro che avevamo portato avanti. I rimanenti obiettivi sarebbero certamente stati raggiunti prima della fine di questo semestre. Credo che il governo attuale sia altrettanto impegnato, e non ho motivo di dubitare che raggiungerà tutti gli obiettivi della terza rata”.

“Se guardo alle sfide raccolte e vinte in soli venti mesi di governo, c’è da sorridere a chi ha detto che me ne volessi andare, spaventato dall’ipotetico abisso di una recessione che fino a oggi non ha trovato riscontro nei dati”. Così l’ex premier Mario Draghi nell’intervista al Corriere della Sera. “Ero stato chiamato a fare, dopo una vita, un mestiere per me nuovo – ha aggiunto – e l’ho fatto al meglio delle mie capacità. Sarei dunque rimasto volentieri per completare il lavoro, se mi fosse stato consentito”.

L’ex capo della Bce ripercorre poi sul Corriere le fasi che hanno portato alla caduta del suo esecutivo: “Il governo – dice – si poggiava sul consenso di una vasta coalizione, che aveva deciso di mettere da parte le proprie differenze per permettere all’Italia di superare un periodo di emergenza. Non avevo dunque un mio partito o una mia base parlamentare. A un certo punto, la volontà dei partiti di trovare compromessi è venuta meno, anche per l’avvicinarsi della scadenza naturale della legislatura. Con il passare dei mesi – prosegue Draghi – la maggioranza si era andata sfaldando e diversi partiti si andavano dissociando da decisioni già prese in Parlamento o in Cdm”. Alcuni esempi: “Il M5s era sempre più contrario al sostegno militare all’Ucraina, nonostante avesse inizialmente appoggiato questa posizione in Parlamento e nonostante questa fosse la linea concordata con i nostri alleati in sede europea, G7 e Nato. FI e Lega erano contrari ad aspetti di alcune importanti riforme – fisco e concorrenza – a cui era stato dato il via libera in Cdm. Lega e M5s chiedevano inoltre a gran voce uno scostamento di bilancio”. Draghi ricorda poi il momento più complicato, quello dei giorni tra la decisione del M5s di non votare la fiducia al dl Aiuti e il dibattito in Senato: “Le posizioni dei partiti erano ormai inconciliabili. Il centrodestra era disponibile ad andare avanti, purché i ministri 5s uscissero dal governo e fossero sostituiti da loro esponenti. Tuttavia, il Pd non era disponibile a far parte di quello che sarebbe diventato nei fatti un governo di centrodestra. Inoltre avevo chiarito che per me sarebbe stato impossibile guidare un governo di unità nazionale senza il partito di maggioranza relativa in Parlamento, il M5s”.


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