Una dozzina di droni kamikaze, tutti di marca iraniana. Ad armare la rappresaglia russa dopo l’attacco al ponte di Crimea, accusa l’Ucraina, è stata l’industria bellica di Teheran. Questi velivoli senza pilota avrebbero rifornito l’arsenale di Mosca, sguarnito dopo mesi di guerra, favorendo l’ultima escalation contro obiettivi civili.
Accuse sempre respinte dalla Repubblica islamica, che ha negato ogni coinvolgimento nel conflitto.
L’uso dei droni iraniani viene denunciato da tempo dalle autorità ucraine, che rivendicano di averne distrutti un migliaio dall’inizio del conflitto. I velivoli senza pilota Shahed-136 (ma si parla anche dei modelli 129 e 191), arma di ultima generazione con un raggio d’azione di 2.500 chilometri, sono stati ribattezzati kamikaze perché non sparano missili ma piombano dritti sul bersaglio carichi di esplosivo, grazie a una tecnologia gps che permette di tracciare l’obiettivo.
Difficilmente rilevabili dai radar per le loro traiettorie a bassa quota e le piccole dimensioni (sono lunghi 3,5 metri e larghi 2,5), il loro impiego è ritenuto particolarmente efficace negli attacchi alle infrastrutture, come nel caso dei ribelli sciiti Houthi dello Yemen contro i depositi di petrolio saudita.
Inoltre, possono essere utilizzati anche contro l’artiglieria a lungo raggio Himars made in Usa, cruciale per la controffensiva di Kiev.
Un’arma in diretta competizione con i droni Bayraktar TB2, orgogliosamente forniti all’Ucraina dalla Turchia, di cui secondo gli esperti sarebbero più veloci, arrivando a volare a 180 km all’ora. Ma non mancano i punti deboli. Questi velivoli sono anche molto rumorosi e ritenuti poco efficaci contro bersagli mobili. Il loro basso costo di produzione, tuttavia, ne favorirebbe un uso massiccio, con lanci a raffica. Proprio come avvenuto in questi mesi in Ucraina.
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