Confronto a distanza sulle prime pagine, in vista delle urne, tra i due leader del Partito democratico e del Movimento 5 stelle.
‘La scelta è chiara, o noi o Meloni, due Italie profondamente diverse’, spiega Enrico Letta a Repubblica, e citando le ultime parole di Berlinguer dice che quella del Pd sarà ‘una campagna casa per casa, strada per strada’. Per una lista aperta ed espansiva, le proposte contano più della coalizione, e nel solco del governo Draghi.
Parlando con tutti, anche con i ministri ex Fi: ‘Lo dico anche a chi a casa mia storce il naso’. L’agenda Draghi punto di partenza, ma andando più avanti su lavoro, giustizia sociale, lotta alle disuguaglianze e diritti. Ma con i 5S il percorso è interrotto: il 20 luglio è stato punto di non ritorno.
‘Il Pd è arrogante. I progressisti siamo noi’, afferma alla Stampa Giuseppe Conte, secondo cui sulla fine del governo Draghi c’è una diffusa ipocrisia e ‘si prova a scaricare la colpa sul M5s, che ha solo chiesto di risolvere alcune criticità’: ed è ‘un’ infamia’ dire che ha tradito.
Quanto alla fine del campo largo, ‘non si può pensare – riflette – di definire con arroganza un perimetro di gioco e stabilire arbitrariamente chi vi è ammesso’. ‘La nostra agenda ci definisce come veri progressisti’, e tocca al Pd decidere che fare: ‘Ovvio che se cercano una svolta moderata che possa accogliere anche Calenda noi non ci possiamo stare’.
Secondo il segretario democratico, la sfida elettorale sarà “chi vuole stare in Europa contro chi vuole i nazionalismi”, e quella che farà il Pd questa estate “sarà una campagna casa per casa, strada per strada”, con le feste dell’Unità che saranno una chiama per i volontari. “Ne metteremo insieme 100 mila”, spiega il segretario, “Ad agosto saremo in tutte le città semideserte, nelle periferie, per parlare con chi in vacanza non è potuto andare”.
Per quanto riguarda le alleanze, Letta dichiara di non voler tracciare confini, e spiega di voler dialogare con Calenda, Renzi, Di Maio e Speranza. E anche con i ministri usciti da Forza Italia che “meritano apprezzamento”, aggiunge: “Lo dico anche a coloro che a casa mia storcono il naso”. Niente spazio invece per i Cinquestelle. In quel caso “il percorso comune si è interrotto il 20 luglio e non può riprendere, è stato un punto di non ritorno”, afferma il leader dem: “avevo avvertito Conte che che non votare la prima fiducia sarebbe stato lo sparo di Sarajevo”.
Il presidente dei Cinquestelle ritiene da parte sua che sulla fine del governo Draghi ci sia “una diffusa forma di ipocrisia” e “si prova a scaricare la colpa sul Movimento, che ha solo chiesto di risolvere alcune criticità”. “È un’infamia” – attacca Conte – dare del traditore al Movimento. “Il primo colpo di questa crisi – riflette – l’ha sparato chi ha inserito nel decreto sugli aiuti una norma sull’inceneritore di Roma sapendo perfettamente di mettere due dita negli occhi al Movimento”. E secondo il presidente dei pentastellati, “un governo di unità nazionale che non riesce a costruire un terreno di dialettica politica, ma si affida a un decisionismo autoreferenziale”, dice, “finisce inevitabilmente per andare in cortocircuito e saltare”.
Quanto al campo largo, “L’ho sempre detto. Non si può pensare di definire con arroganza un perimetro di gioco e stabilire arbitrariamente chi vi è ammesso”. E ora “tocca al Pd decidere che cosa fare”, afferma Conte, che mette dei paletti: “Se i dem cercano una svolta moderata che possa accogliere anche l’agenda di Calenda, noi non ci possiamo stare”.
Del presidente del Consiglio Mario Draghi Conte dice di avere “sempre rispettato il ruolo”, ma “il prestigio non basta”, perché “servono risposte concrete”. Da Draghi – tira le somme Conte – “non abbiamo visto risposte adeguate alle nostre richieste”. La “nostra agenda”, prosegue, “ci definisce come i veri progressisti”. La campagna elettorale è partita. Commentando le promesse di Silvio Berlusconi, dice che “è cominciato il gioco a chi la spara più grossa. Io non partecipo. Voglio stare vicino a chi ha perso la speranza”.
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