Bruxelles – Mentre la prima barca che trasportava 16 migranti dall’Italia arrivava in Albania nella mattinata di martedì (15 ottobre), i rappresentanti dello Stato balcanico stavano partecipando in Lussemburgo alla seconda conferenza intergovernativa con i partner Ue. Si è trattato della luce verde ufficiale per l’avvio dei negoziati di adesione di Tirana al club europeo, con l’apertura del cluster contenente i capitoli cosiddetti “fondamentali”.
Il primo ministro albanese, Edi Rama, ha partecipato di persona alla riunione nel Granducato. “È una montagna da scalare”, ha dichiarato alla stampa, aggiungendo che il suo Paese sta “già camminando con idee molto chiare, una volontà molto forte e senza alcun dubbio” di centrare l’obiettivo di portare “l’Albania nell’Unione europea entro il 2030”. Rama si è detto pronto a “iniziare finalmente con la parte più pesante del lavoro”, riferendosi all’apertura del cluster dei “fondamentali” che contiene “i cinque capitoli più coerenti, più i tre criteri che ci faranno andare oltre e concludere entro la nostra scadenza molto ambiziosa” il processo di adesione.
Anche dal lato europeo si registra soddisfazione. Il commissario uscente all’Allargamento, l’ungherese Olivér Várhelyi, si è congratulato con le autorità albanesi per il “traguardo importante”, che è stato possibile raggiungere “poiché l’Albania ha portato a termine le riforme richieste” con “determinazione” e “impegno”. Gli ha fatto eco il suo connazionale titolare degli Esteri, Péter Szijjártó, che ha dichiarato, sempre dal Lussemburgo, che “una delle priorità più importanti della presidenza ungherese (del Consiglio, ndr) che abbiamo messo in cima all’agenda è stata l’accelerazione dell’allargamento” dell’Ue nei Balcani occidentali.
I capitoli aperti formalmente oggi sono il 5 (appalti pubblici), 18 (statistiche), 23 e 24 (i cosiddetti capitoli sullo Stato di diritto: sistema giudiziario e diritti fondamentali da un lato, giustizia, libertà e sicurezza dall’altro) e 32 (controllo finanziario), cui si aggiungono i negoziati sul funzionamento delle istituzioni democratiche, sulla riforma della pubblica amministrazione e sui criteri economici per l’ingresso nell’Unione. Solo quando saranno stati centrati i parametri intermedi fissati dai capitoli 23 e 24, nonché quelli relativi ad altri elementi orizzontali del cluster, i negoziati potranno proseguire anche per il resto dei capitoli.
A seguito della riforma del processo di adesione, risalente al 2020, i cluster negoziali sono sei in totale e il primo, quello dei fondamentali, va aperto per primo e chiuso per ultimo, determinando il “ritmo” dei negoziati nel complesso. Gli altri cinque riguardano il mercato interno, la competitività e la crescita inclusiva, l’agenda verde e la connettività sostenibile, le risorse, l’agricoltura e la coesione e, da ultimo, le relazioni esterne.
La prima conferenza intergovernativa Albania-Ue si era tenuta nel luglio 2022, ma in quella circostanza non erano stati aperti capitoli negoziali, essendosi trattato solo dell’avvio del processo di adesione. Il percorso di Tirana, che era stato accoppiato a quello di Skopje, si era poi complicato a causa del riaccendersi di vecchie cicatrici nazionaliste tra Macedonia del Nord e Grecia, ma soprattutto per nuovi attriti con la Bulgaria. Alla fine, il Consiglio dell’Ue ha sbloccato l’impasse il mese scorso, con lo “spacchettamento” dell’adesione dei due Paesi.
L’obiettivo annunciato dal premier Rama è ambizioso: quello per entrare nell’Unione è un cammino complesso, che non ha una durata predeterminata. Molto dipenderà dalla velocità con cui Tirana riuscirà a mettere in campo le riforme che permetteranno al Paese balcanico di “mettersi al pari” con il resto dei partner europei. Ma anche una volta che la Commissione avrà valutato positivamente gli sforzi albanesi, la decisione finale sull’ingresso spetta agli Stati membri.
Lo scorso giugno, l’Ue ha aperto i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldova, mentre il percorso di avvicinamento della Georgia è stato de facto sospeso negli ultimi mesi a seguito dei controversi provvedimenti adottati dal governo filo-russo del Paese caucasico.