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A un anno dall’accordo di Ohrid è scarso l’impegno di Kosovo e Serbia per l’implementazione

Bruxelles – È passato un anno, ma i rapporti tra Kosovo e Serbia non sono migliorati. Al contrario. “È deplorevole che, nonostante gli sforzi profusi dall’Ue e dalla più ampia comunità internazionale, i progressi compiuti dal Kosovo e dalla Serbia nell’attuazione degli obblighi assunti con l’Accordo di Ohrid siano stati finora molto limitati“, è il secco commento dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sul primo anniversario di quello che – il 18 marzo 2023 – veniva considerato un punto di svolta assolutamente positiva per la regione balcanica e per la risoluzione delle controversie tra Pristina e Belgrado.

Da sinistra: il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, il rappresentante speciale per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajčák, l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, il 18 marzo 2023 (Ohrid, Macedonia del Nord)

Nelle 12 ore di discussione a Ohrid, sulle sponde del lago in Macedonia del Nord, un anno fa era stato dato il via libera – ma senza firma – all’allegato di attuazione della complicatissima intesa di Bruxelles raggiunta il 27 febbraio (che aveva definito gli impegni specifici per Serbia e Kosovo), la vera chiave di volta di tutta l’impalcatura per stabilire “ciò che deve essere fatto, entro quando, da chi e come”. Accordo e relativo allegato di attuazione sono diventati così parte integrante dei rispettivi processi di adesione all’Ue dei due Paesi balcanici, rendendo di fatto vincolante l’implementazione di tutte le misure messe nero su bianco. “L’Ue ha ricordato più volte che l’Accordo è vincolante nella sua interezza ai sensi del diritto internazionale”, ha ricordato Borrell, ribadendo che “la mancata attuazione non solo mette a rischio l’integrazione europea delle parti, ma danneggia anche la loro reputazione di partner credibili e affidabili“.

A oggi non si registrano progressi se non su quei tre elementi già menzionati nell’ultima riunione di alto livello a Bruxelles il 14 settembre dello scorso anno nell’ambito del dialogo Pristina-Belgrado. Ovvero la dichiarazione sulle persone scomparse, l’annuncio sul comitato di monitoraggio congiunto e la presentazione della bozza sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba in Kosovo. È proprio questo il punto su cui è ancora incagliato il dialogo Pristina-Belgrado e su cui si continuano a registrare tensioni che, nel corso del 2023, sono sfociate in pericolosi episodi di violenza: l’Accordo di Bruxelles del 2013 mai implementato sulla comunità nel Paese a cui dovrebbe essere garantita autonomia su tutta una serie di materie amministrative. “È giunto il momento per il Kosovo e la Serbia di interrompere l’attuale circolo vizioso di crisi e tensioni e di entrare in una nuova era, quella europea“, ha continuato l’affondo l’alto rappresentante Ue, rilanciando il dialogo di alto livello con il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il premier kosovaro, Albin Kurti: “Ci aspettiamo che i leader diano prova di responsabilità, visione e leadership facendo progressi nell’attuazione senza ulteriori ritardi”.

L’annus horribilis tra Kosovo e Serbia

A soli due mesi dall’intesa di Ohrid, il 26 maggio è andato in scena il primo evento che ha aperto uno degli anni più difficili e violenti per le relazioni tra Serbia e Kosovo. A causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono scoppiate violentissime proteste, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.

Scontri tra i manifestanti serbo-kosovari e i soldati della missione Nato Kfor a Zvečan, il 29 maggio 2023 (credits: Stringer / Afp)

Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.

Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro il un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.

L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza). Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo.


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