Sopravvissuto, è la parola che più si addice a Sviatoslav. Trentatré anni, l’ex poliziotto ucraino ha sulle spalle un’epopea di lotte iniziate già nove anni fa, quando fu costretto a lasciare la sua città natale, Donetsk, finita in mano ai separatisti filorussi. Poi c’è stata l’invasione, la difesa di Mariupol e quella di Azovstal, la prigionia russa, il ritorno a casa. Poi, la decisione di tornare al fronte, da militare, per combattere per quei territori oggi occupati. E per dare speranza e libertà a quella città, Mariupol, che dopo un anno rimane stretta nella morsa degli invasori.
“A Donetsk, nel 2014, avevamo le possibilità di tenere le nostre posizioni. Ma nessuno ha voluto farlo. L’abbiamo semplicemente abbandonata”, dice all’ANSA Sviatoslav, senza nascondere una certa amarezza. Mimetica e cappello col tridente ucraino, parla in collegamento da Pokrovsk, nel Donetsk, a poche decine di chilometri dal fronte, dove è dispiegato. “Lì fu un nostro errore. Per questo ho deciso lo scorso anno di restare a Mariupol, è stato come avere una seconda possibilità per me di resistere”. Nella città portuale, Sviatoslav si era trasferito nel 2015, lì faceva il poliziotto. Il 25 febbraio 2022, il giorno dopo l’invasione, ha ricevuto ordine di evacuare insieme ai suoi compagni. “Molti dei miei colleghi hanno obbedito. Ma io e altri 25 poliziotti abbiamo deciso di restare in città”.
A Kiev una marcia per ricordare la caduta di Azovstal un anno fa
Dopo oltre un anno, Sviatoslav ricorda ancora quei giorni di battaglia, distretto per distretto. Ma con il tempo diventava sempre più difficile resistere alla furia dei russi, così è stato costretto a ripiegare tra le forze dell’acciaieria Azovstal, combattendo prima per tenere la zona esterna dell’impianto, poi per i bunker. Portando avanti una resistenza a una media di 40 attacchi russi al giorno. “Due volte ci hanno bombardato anche con le Fab-500, le bombe antibunker”.
“Avevamo un mese di cibo a disposizione, dovevamo tenere e aspettare le unità speciali per l’estrazione”. Ma quell’operazione non è mai arrivata: alla fine, ai difensori di Azovstal è stato detto di smettere di combattere. “Abbiamo accolto quella comunicazione con calma. Avevamo fiducia nei nostri comandanti ed eravamo certi che saremmo sopravvissuti.
Ufficialmente non è stata una resa ma un ‘trasferimento’ in un campo sotto la convenzione di Ginevra. Abbiamo capito subito che saremmo finiti in prigione, non siamo dei bambini”. I primi gruppi sono usciti dall’acciaieria il 16 maggio. “Erano i feriti più gravi. Io sono uscito con gli ultimi gruppi del 20 maggio. I russi ci hanno rubato soldi, medicine e poi ci hanno portato a Olenivka”, una prigione del Donetsk occupato divenuta tristemente famosa per un bombardamento, a luglio 2022, che ha fatto una strage uccidendo 53 detenuti e ferendone 73. Per quel massacro, i russi accusano gli ucraini che negano e parlano di un’operazione di Mosca per coprire le torture sui prigionieri.
Una teoria che sostiene anche Sviatoslav, che era lì al momento dell’esplosione, ma in un altro edificio: “Alcuni giorni prima abbiamo visto soldati del battaglione Azov che venivano trasferiti in quella baracca, e dopo 2-3 giorni c’è stata l’esplosione. Io credo che abbiano messo degli esplosivi per incolpare gli ucraini”.
Sviatoslav resterà in mano ai russi fino al 21 settembre, giorno della sua liberazione. Un lieto fine che in tanti aspettano ancora da quei giorni ad Azovstal: dei circa 2.500 difensori dell’acciaieria, solo 500 sono tornati a casa. “Le forze d’intelligence si occupano dello scambio di prigionieri, io mi fido di loro, stanno facendo tutto il possibile ma i russi cercano di ostacolare gli scambi di prigionieri di Azovstal, non è facile inserirli nelle liste”, dice Sviatoslav.
Da quel settembre, per il poliziotto è iniziato il periodo di riabilitazione che lo ha riportato in vita: durante la prigionia, aveva perso 30 chili. Nonostante il dramma vissuto, il suo desiderio era di ritornare a combattere il prima possibile. E’ stato esaudito quasi due mesi dopo, quando il 15 dicembre 2022 è stato reintegrato nelle forze ucraine. “Ora mi unirò a una delle brigate della controffensiva, sarò comandante di una delle unità, ci stiamo preparando a partire in qualunque momento”, racconta. “Vorrei essere parte delle forze che libererà Mariupol. Ma questo dipenderà dagli ordini. In ogni caso, io credo nella controffensiva, e non ho dubbi che riusciremo a liberare i nostri territori, Mariupol e anche Donetsk: il mio sogno è vedere sventolare lì la bandiera ucraina.
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