“Quando nel corso di una discussione un deputato sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità, egli può chiedere al Presidente della Camera di nominare una Commissione la quale giudichi la fondatezza dell’accusa”. E’ il Regolamento stesso della Camera, all’articolo 58, a prevedere il cosiddetto Giurì d’onore chiesto oggi dal Pd in Aula , al quale ha acconsentito il presidente Lorenzo Fontana, dopo le affermazioni di Giovanni Donzelli contro quattro deputati Dem.
Nella prassi parlamentare la nomina di un Giurì d’onore presuppone tre elementi: innanzi tutto l’addebito personale e diretto di un parlamentare nei confronti di un altro nel corso di una discussione; in secondo luogo l’attribuzione di fatti determinati e non quindi l’espressione di un giudizio o una opinione; e infine la possibilità che la Commissione di indagine – che non dispone di poteri coercitivi – possa acquisire elementi di conoscenza in ambito parlamentare o attraverso testimonianze spontanee degli interessati. Il Presidente della Camera assegna, recita ancora il Regolamento, “un termine per presentare le sue conclusioni alla Camera, la quale ne prende atto senza dibattito né votazione”.
Si tratta di uno strumento a cui non si ricorre molto di frequente, visto che raramente i deputati trascendono nel linguaggio senza incorrere in sanzioni più gravi. Infatti il Regolamento stabilisce che se un parlamentare ricorre “a parole sconvenienti” (articolo 59) sia richiamato dal Presidente, e che sia espulso (articolo 60) se viene richiamato una seconda volta o se “ingiuria uno o più colleghi o membri del Governo”. Alcuni deputati avvezzi a toni forti, nelle precedenti legislature, hanno fatto sì che fosse convocato il giurì d’onore (come Benito Paolone di An nel 2004, Franco Barbato di Italia dei valori nel 2010 e nel 2012).
A volte il giurì viene evitato grazie alle scuse dell’accusatore. Avvenne così l’11 dicembre 2009 con le scuse di Maurizio Paniz di Forza Italia a Marco Minniti per le sue affermazioni del giorno precedente.
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