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Caos dl lavoro, la giornata di passione al Senato

Doveva essere tra le stellette da appuntare al governo Meloni. Presentato nella data simbolo del primo maggio, il decreto lavoro ha rischiato però di impantanarsi in Senato con un ko delle forze di maggioranza in commissione Bilancio. FdI, FI e Lega vanno sotto in commissione sul parere del Mef al pacchetto di 12 emendamenti presentati in Aula dalla relatrice Paola Mancini (FdI).

Si consuma così un “dramma parlamentare” concluso con un braccio di ferro tra maggioranza e opposizione durato oltre quattro ore. Il centrodestra “corregge alcuni sgorbi e cancella qualche marchetta” esulta alla fine di “una giornata di passione” un centrosinistra mai come oggi in assetto battagliero e compatto.

La discussione generale in mattinata fila liscia, una pausa di mezz’ora per permettere alla commissione di votare i pareri sugli ultimi emendamenti presentati. Il voto finisce però in pareggio 10 a 10 e la maggioranza va sotto. Un epilogo a sorpresa perché sono mancati i voti di Forza Italia e i senatori di Az-Iv che, finora si erano astenuti sulle votazioni, realizzando di essere l’ago della bilancia, votano assieme ai partiti di opposizione.

In casa forzista si smentisce qualsiasi ipotesi di rappresaglia interna al centrodestra. Ufficialmente i senatori azzurri, Claudio Lotito e Dario Damiani, si sono attardati per i festeggiamenti di compleanno di quest’ultimo. Ma c’è chi assicura che il patron della Lazio arrivando in ritardo in commissione avrebbe buttato lì: “questo è solo l’antipasto”. Il siparietto finisce sui giornali. Lui smentisce. Nei corridoi però si dice che il suo malcontento riguardi il disegno di legge contro la pirateria online del quale nonostante sia relatore non riesce a spuntare alcune modifiche tecniche.

Sciatteria o maggioranza divisa? Si chiede Beppe de Cristofaro di Avs. “Un incidente, ma rimediamo anche a questo”, minimizza la relatrice, convinta che basti modificare solo il parere del Mef e tornare a votare in commissione. Il capogruppo della Lega in Aula invita a una soluzione diversa: ritirare i 12 emendamenti e ripensarci poi alla Camera. In un clima di disaccordo generale viene convocata, su richiesta delle opposizioni, una capigruppo, dove il presidente Ignazio La Russa dà una tirata di orecchie alla sua maggioranza.

“La Russa è il primo a stigmatizzare il comportamento del governo”, racconta il presidente del Pd Francesco Boccia uscendo. Lo stesso presidente del Senato più tardi chiarisce: “al di là dell’occasionalità dell’incidente, ho raccomandato ai gruppi e ai rappresentanti del governo di trovare modi per cui non si debba sempre arrivare con l’acqua alla gola su emendamenti e tempi”. Le opposizioni ottengono dunque la modifica del parere e di alcuni punti degli emendamenti: ritirata la proposta di stanziamento di 1 milione per la comunicazione istituzionale ed è stata rivista la scala di equivalenza dell’Assegno di inclusione (Adi). La maggioranza vota a favore del parere, Pd e Az-Iv si astengono mentre M5S e Avs votano contro. L’Aula può riprendere.


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