Il mondo dà l’allarme ma Kiev tenta di mantenere la calma: il traffico scorre regolarmente, si esce in strada, chi va al lavoro, chi fa una passeggiata in famiglia approfittando del clima che, attorno a un grado e con poca neve, da queste parti è considerato gradevole per la stagione. Ma sotto la coltre di apparente normalità, comincia a covare la paura e ci si prepara comunque al peggio: nelle scuole sono state ordinate prove di evacuazione nei rifugi, mentre c’è chi tiene già pronta in casa una valigia con i documenti e gli effetti personali più importanti per essere in grado fuggire in fretta, se la situazione dovesse precipitare da un momento all’altro e la Russia di Vladimir Putin dovesse decidere di attaccare.
Il resto del mondo sembra quasi darlo per scontato, questione se non di ore di pochi giorni, e ogni Paese invita – Italia compresa – i propri cittadini a lasciare il Paese. Il sentimento generale, o per lo meno quello ostentato, è che però l’allarme sia più mediatico che reale, e che faccia presa più in Occidente che tra gli stessi ucraini. “Noi siamo già in guerra dal 2014 – ripetono, quasi all’unisono -. E se Putin dovesse invaderci, siamo pronti”.
Diversi gli scenari presi in considerazione: un’invasione da est, oppure da nord attraverso il confine bielorusso più vicino a Kiev, o ancora un’azione dimostrativa a Odessa sul Mar Nero, fino agli attacchi cybernetici o ibridi. Tra questi si annoverano – riferiscono amministrazioni locali e politici – i falsi allarmi bomba che arrivano con regolarità, tramite email o telefonate, alle scuole o ai supermercati, paralizzando le attività e scatenando la paura tra la popolazione. “Riceviamo email simili una volta a settimana, ma è solo un’altra provocazione russa. Noi manteniamo la nostra tranquillità e cerchiamo di evitare il panico”, commenta con l’ANSA Viktor Kliminsky, segretario del Consiglio comunale di Zhytomyr, città di 260 mila abitanti che nella guerra del 2014 ne ha persi 100, oggi ricordati uno a uno con le loro foto e i loro nomi su un muro in una via del centro.
Anche a Zhytomyr, a 150 km da Kiev e altrettanti dalla Bielorussia – dove Mosca ha ammassato migliaia di truppe con il pretesto di esercitazioni congiunte -, il sabato pomeriggio appare a prima vista quello di sempre. Lungo il corso, si esibiscono gli artisti di strada, un violinista, persino due enormi pupazzi di orso bianco che attirano l’attenzione di tre soldati, senza armi, che si fermano a guardare la loro danza.
“Molti giovani si offrono per arruolarsi”, racconta Kliminsky.
Per le strade di Kiev campeggiano dei manifesti con i volti dei soldati, ragazzi e ragazze, con la scritta: “Gli eroi sono in mezzo a noi”. In uno di questi c’è la foto di una giovane in mimetica ed elmetto, occhi azzurri e lunghe trecce scure: “Natascia Borisoviska, la Mela”, è il suo nome di battaglia, “al fronte dal 2014”. L’invito ad imbracciare le armi ed entrare nelle forze armate è evidente: “Mentre tu leggi questo testo, lei è nell’est per difendere la nostra pace e la nostra possibilità di vivere senza preoccupazioni”, recita ancora il manifesto riferendosi al conflitto ancora in corso con i separatisti russi nel Donbass.
Ruslan Lavlinsky è uno degli sfollati da Donetsk, dove era docente di filosofia. Più pessimista, o realista, oggi si aspetta che Putin possa “attaccare l’Ucraina” da un momento all’altro: “Mi ricordo quando è successo a Donetsk e ho dovuto lasciare la mia città a causa delle ostilità. Tutti cercano di vivere in pace, ma lo spettro della guerra incombe”. Rifugiatosi a Kharkiv, al confine nordorientale del Paese, avverte: “Kharkiv non può non preoccuparsi. I russi si sono già presi il Donbass e la Crimea, perché non dovrebbe accadere di nuovo?”.
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