Una spedizione vera e propria di 8.000 militari, senza precedenti nell’Europa del dopo guerra fredda, da impiegare in una mega esercitazione concepita con un chiaro approccio di contenimento anti Mosca a vastissimo raggio.
È il contributo che il Regno Unito si appresta a dare in estate alle manovre organizzate dalla Nato e dall’alleanza nordica a guida britannica della Joint Expeditionary Force (che comprende Svezia e Finlandia) in una dimensione continentale: dai Balcani, alla Scandinavia, sino ai confini più ravvicinati fra Paesi dell’est europeo e Russia.
L’annuncio è arrivato da Ben Wallace, ministro della Difesa in un governo, quello di Boris Johnson, sempre più schierato in prima linea a favore di una strategia da proxy war di lunga durata – in sintonia con gli ultimi messaggi del grande alleato americano da Washington – come risposta all’invasione dell’Ucraina scatenata da Vladimir Putin.
Wallace – che giusto ieri aveva evocato un’ulteriore escalation degli aiuti militari britannici offensivi a Kiev, con missili a lungo raggio e batterie anti-navi utilizzabili contro la flotta russa nel Mar Nero – ha sottolineato come queste esercitazioni fossero previste in effetti da tempo ma siano state ampliate, e di molto, per dare “un segnale di forza e solidarietà” in chiave di “deterrenza contro un’aggressione condotta su una scala mai vista in Europa nel XXI secolo”.
Una sfida che del resto, secondo Mircea Geoana, vicesegretario generale della Nato intervistato dalla Bbc, potrebbe protrarsi “per anni”.
A maggior ragione se, come afferma nei panni di super falco della compagine Tory la titolare del Foreign Office, Liz Truss, esibendo toni ancor più bellicosi rispetto a Johnson o a Wallace, l’obiettivo dovesse diventare ormai quello di un’auspicata vittoria totale sul Cremlino: fino all’ipotetico ritiro russo non solo dall’intero Donbass ma pure dalla Crimea annessa nel 2014.
Sulle colonne del progressista Guardian, non manca tuttavia di prendere piede la polemica di un commentatore di chiara fama come Simon Jenkins contro Truss, accusata di alimentare a colpi di minacce al limite del velleitario “una sconsiderata diplomazia da tabloid”; di evocare una prospettiva che – al di là delle colpe di Putin – sembra quasi auspicare il conflitto prolungato, senza considerare neppure sulla carta che Mosca possa rispondere a sua volta all’escaltion con un’ulteriore escalation avendo a disposizione un deterrente micidiale. E di farlo non solo in nome dell’allineamento agli Usa, bensì anche per “squallide ambizioni” di politica interna: in vista di una potenziale partita per la leadership Tory e la successione all’attuale premier – azzoppato dallo scandalo Partygate – a Downing Street.
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