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Poche donne ai ballottaggi, Piacenza e Viterbo controcorrente

La politica italiana resta ancora un universo da coniugare al maschile. La conferma impietosa arriva dai risultati della tornata di amministrative in cui le donne restano ancora al palo. Appena 15 le candidate a sindaca nelle 26 città capoluogo contro una sessantina di candidati uomini: il rapporto è di uno su quattro. Il giorno dopo lo spoglio il risultato che emerge è netto: solo in due capoluoghi, a Piacenza e Viterbo, il ballottaggio vedrà contendersi fra due settimane la poltrona di primo cittadino tra due donne.

In controtendenza rispetto al quadro nazionale Piacenza dove la politica sembra tutta al femminile: non solo, infatti, il ballottaggio in programma domenica 26 giugno sarà fra la sindaca uscente Patrizia Barbieri (centrodestra) e la consigliera regionale Katia Tarasconi (centrosinistra), ma anche nella gara delle preferenze fra i candidati al consiglio comunale trionfano le donne. Nel centrosinistra, infatti, la più votata (con 459 voti personali) è la deputata ed ex ministra del Pd Paola De Micheli. Nel centrodestra invece al top c’è Sara Soresi (392) candidata nelle liste di Fratelli d’Italia. Anche nel capoluogo della Tuscia la partita sarà tra donne: Chiara Frontini, sostenuta da una serie di liste civiche, se la vedrà con Alessandra Troncarelli, candidata del centrosinistra.

Due realtà che si discostano sensibilmente con il resto del Paese dove la corsa a sindaco sembra una questione prettamente maschile confermando una tendenza oramai consolidata: la parità di genere, nonostante i passi avanti fatti negli ultimi venti anni, non entra nelle urne. In base ai dati forniti dall’Anci le sindache in Italia sono 1.140, una cifra che rappresenta circa il 15% del totale degli amministratori dei Comuni, una platea che sfiora i 9,5 milioni di persone. Le donne che coprono il ruolo di vicesindaco si attestano al 28%, i presidenti di Consiglio comunale il 32%, le consiglieri comunali il 34% e le assessore comunali il 43%. Una percentuale più alta legata anche al fatto che c’è una norma che prevede all’interno delle giunte comunali un 40% almeno di donne. Dall’analisi geografica delle amministrazioni guidate da donne emerge che in prevalenza sono comuni del Nord (in particolare in Emilia Romagna), meno nel Mezzogiorno e sono spesso realtà piccole, sotto i 2 mila abitanti. In generale le amministrazioni che dal 1988 al 2018 sono stati guidati almeno una volta da una donna sindaca sono 2.720.

“Non si può dire che gli elettori non abbiano votato le donne – spiega la sociologa Chiara Saraceno commentando il voto di domenica – semplicemente le donne non erano candidate. Non c’era una gran scelta. In Italia i partiti non pensano che le donne siano candidate sulle quali investire. Questo crea effetto scoraggiamento perché una donna dovrebbe dire ‘votatemi’ se sa che il partito poi non la sosterrà”. E la geografia dei neosindaci delle 13 città che hanno scelto il primo cittadino al primo turno (Palermo, Genova, Aquila, Belluno, La Spezia, Pistoia, Asti, Rieti, Oristano, Padova, Lodi, Taranto e Messina) restituisce un en plein tutto maschile. Di centrodestra, centrosinistra o civici ma tutti rigorosamente uomini. 


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