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Opposizione Pd, Letta avverte “sarà traversata deserto”

di Giampaolo Grassi

Il Pd ha davanti a sé una “traversata nel deserto”. Quando il segretario Enrico Letta lo ha detto, al congresso del Partito Socialista Svizzero, aveva in mente il lavoro in Parlamento da opposizione al governo Meloni. Un percorso che, almeno all’inizio, si intreccerà a quello del congresso, al via ufficialmente il 7 novembre. Anche se un primo assaggio c’è stato a Roma con la riunione di “Coraggio Pd” con militanti, dirigenti, attivisti e amministratori soprattutto under 40. Che non hanno risparmiato critiche: “Abbiamo bisogno di un cambiamento della prima fila del nostro partito, non solo del segretario, sennò il congresso è una farsa – ha detto il capodelegazione del Pd al Parlamento Europeo, Brando Benifei – Per una parte degli italiani, il Pd ha una classe dirigente screditata”. E poi, fra le righe, la prospettiva di una presenza netta dell’area per la corsa alla leadership: “Presenteremo una candidatura, ragioneremo su chi si presenterà, non possiamo escludere niente. Ma serve un processo politico”. In platea, da ospite-osservatore, anche il coordinatore della segreteria Pd, Marco Meloni, che ha definito l’incontro “una prima positiva prova del fatto che il percorso costituente del nuovo Pd potrà fruire della partecipazione attiva di una comunità viva e orgogliosa”.

A Basilea, Letta ha tracciato il percorso che aspetta il Pd. “Ci troviamo in uno spazio di minoranza, e comincia una traversata nel deserto, che io spero sia la più corta possibile”. Per il segretario Pd, il lavoro delle forze progressiste in Italia rispecchierà quello da fare a più ampio raggio. “La nostra battaglia è per una Europa più forte – ha detto – E’ una battaglia per questi valori, rispetto e solidarietà, autodeterminazione dei popoli. Per la democrazia e i valori dello Stato di diritto non è il momento più positivo, a livello mondiale, ci sono molte discussioni anche nell’Europa, molte forze populiste che dicono: E’ meglio se si prendono decisioni in modo più rapido, più efficace. O si sente dire: Putin è duro ma veloce nel prendere le sue decisioni”. Non lo ha citato, ma il riferimento è alla riforma presidenzialista annunciata dalla premier Giorgia Meloni, che vedrà il Pd sulle barricate. L’ultima tappa del congresso Pd saranno le primarie, il 12 marzo. Il timing è stato approvato dalla direzione, ma non sono mancati i mugugni, come quelli del governatore dell’Emilia Romagna e papabile candidato alla segreteria Pd Stefano Bonaccini, che avrebbe preferito fare più in fretta, o di Andrea Orlando, che invece teme un congresso che porti a un semplice restyling.

“Un po’ erano messe in conto – viene spiegato ai piani alti del Pd – si sono contemperate esigenze anche molto distanti, è evidente che la soluzione trovata è un punto di caduta”. Anche il sindaco di Firenze, Dario Nardella, che sta valutando se candidarsi, ha smorzato: “Il tempo non è tanto o poco, la cosa che a me preme è che sia speso bene, è ridicola questa discussione. Dobbiamo guardare ai contenuti, alle idee e alle cose da fare”. All’interno del partito, cominciano a farsi più nitide le voci critiche. Il coordinamento della Conferenza delle democratiche ha approvato la relazione con cui la portavoce Cecilia D’Elia ha messo “insieme il risultato del Pd e la diminuzione della rappresentanza delle donne”, leggendoli “come spia della difficoltà del partito a dare rappresentanza al protagonismo delle donne e alle domanda di giustizia di fronte alle disuguaglianze di genere”. 


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