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Ok alla riforma del Csm, stop alle porte girevoli

Una nuova legge elettorale, che si conta di poter applicare già al prossimo rinnovo previsto per luglio; nuove regole per il Csm che serviranno ad arginare il correntismo e soprattutto a chiudere le porte girevoli tra politica e giustizia. All’unanimità il Consiglio dei ministri approva la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario. Una riforma “ineludibile” e “dovuta” ai cittadini “che hanno diritto a recuperare la piena fiducia nei confronti della magistratura”, la cui credibilità è stata scossa dagli scandali, e agli stessi “tantissimi” giudici che “lavorano silenziosamente”. E che servirà a “arginare casi come quello di Palamara”, anche con una magistratura “più severa con se stessa”, come dice nella conferenza stampa a Palazzo Chigi la ministra della Giustizia Marta Cartabia.

Il parto non è stato affatto semplice. C’è voluta una riunione tra il premier, Cartabia e i capidelegazione, che ha fatto slittare di oltre due ore l’inizio del Consiglio dei ministri per superare i dubbi dei partiti sulla riforma. I più forti erano da parte di Forza Italia, che alla fine ha dato il via libera dopo un’altra riunione, stavolta nella sede del partito, dei suoi ministri con il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani, con Silvio Berlusconi consultato per telefono.

Un confronto “non faticoso ma lungo” per il premier Mario Draghi che nella conferenza stampa, pur sottolineando la “condivisione” della riforma, ammette che nella maggioranza ci sono “differenze di opinioni che sono rimaste”, e per le quali “è stato possibile modificare molto marginalmente il testo”. Ma c’è “l’impegno a superarle” e soprattutto la volontà dichiarata da parte “di tutti i ministri a sostenere con i propri partiti questa riforma”. Tutti sono consapevoli che serve un “pieno coinvolgimento delle forze politiche” e proprio per questo, assicura, “non ci saranno tentativi di imporre la fiducia”.

La parte più innovativa della riforma e che alla fine tanti partiti si intestano (a cominciare dal M5S, che esulta per il ritorno al testo Bonafede) è il blocco delle porte girevoli. Non sarà più possibile a un magistrato svolgere in contemporanea funzioni giurisdizionali e incarichi politici, elettivi e governativi, a livello nazionale e locale (obbligatoria l’aspettativa senza assegno). Nè candidarsi nella regione in cui ha esercitato nei tre anni precedenti. Impossibile anche tornare a fare il giudice o il pm al rientro dal mandato elettorale o da un incarico di governo: in questi casi scatterà il collocamento fuori ruolo presso il ministro della Giustizia o altre amministrazioni. Lo stop dalle funzioni giudiziarie sarà invece di 3 anni per chi si candida ma non viene eletto. E lo stesso trattamento toccherà a fine mandato a chi viene chiamato a ricoprire l’incarico di capo di gabinetto, segretario generale o capo dipartimento di un ministero, ma la regola si applicherà solo agli incarichi futuri. Una norma quest’ultima, che ha suscitato molto dubbi tra i partiti, perchè ritenuta troppo restrittiva, e che la ministra della Giustizia era disponibile a cambiare. Palazzo Chigi ha voluto però che restasse così.

I componenti del Csm torneranno a 30, come prima della riforma del 2002 : 20 togati e 10 laici. E saranno eletti con un sistema misto, basato su collegi binominali, ma che prevede anche una distribuzione proporzionale di 5 seggi a livello nazionale. Non ci saranno liste, ma candidature individuali. C’è invece il meccanismo del sorteggio per riequilibrare le candidature del genere meno rappresentato.

Non saranno più possibili le nomine a pacchetto dei capi degli uffici giudiziari, terreno su cui si consumano gli accordi spartitori tra le correnti della magistratura, perchè il Csm dovrà procedere, rispettando il rigoroso ordine cronologico delle scoperture. E gli avvocati avranno per la prima volta diritto di voto nei consigli giudiziari sulle valutazioni di professionalità dei magistrati ma solo se ricorrono precise condizioni.


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