Alla Camera la manovra ha concluso l’atterraggio nonostante le turbolenze, per usare la metafora del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Entro giovedì mattina Giorgia Meloni conta che il Senato approvi il via libera definitivo sul testo blindato. Poi nella conferenza stampa di fine anno tirerà un primo bilancio, consapevole che l’inizio del 2023 non si annuncia più semplice degli ultimi mesi. E dentro la maggioranza ripartirà in fretta il pressing dei partiti per migliorare alcune misure incluse nella legge di bilancio da 35 miliardi, e ripescare quelle rimaste fuori da una coperta troppo corta.
Anche per questo, la prudenza ha consigliato all’esecutivo di mettere da parte un paio di miliardi di euro, alla fine non stanziati durante l’esame alla Camera fra ritocchi e retromarce. Saranno utili in vista di un nuovo decreto aiuti.
Al di là delle misure contro il caro energia, nella manovra secondo la maggioranza ci sono una serie di novità che danno un segnale della visione dell’esecutivo, dalla flat tax per gli autonomi allo stop alla legge Fornero con l’introduzione di Quota 103, dalla stretta al Reddito di cittadinanza alla tregua fiscale.
Qualche capitolo è saltato strada facendo, come la soglia di 60 euro per l’obbligo del Pos. O è stato depotenziato, come per le modifiche a Opzione donna: tanto che un ordine del giorno di FdI, approvato assieme alla manovra, impegna il governo ad ampliare la platea e anche la Lega ritiene che si potesse fare di più. È uno dei numerosi aspetti contestati dalle opposizioni, che hanno giudicato la legge di bilancio iniqua e piena di condoni e in questi giorni alla Camera potrebbero mettersi di traverso per ostacolare l’approvazione del dl rave entro il termine di venerdì, quando scadrà il primo decreto varato dal Consiglio dei ministri.
In attesa di verificare gli effetti positivi del tetto al prezzo del gas definito dall’Ue, la crisi energetica resta, assieme alla congiuntura economica e al conflitto in Ucraina, fra i principali fattori di incertezza per lo scenario futuro. E fra le variabili da tenere sotto osservazione ai piani alti del governo ci sono anche i rapporti nella coalizione, soprattutto con Forza Italia.
La premier e Silvio Berlusconi, raccontano nella maggioranza, si sono sentiti nei giorni prima di Natale per un “rapido” scambio di auguri. Il clima fra i due da qualche tempo non è esattamente disteso. “Tutto è bene quel che finisce bene”, la sintesi degli azzurri, che nella manovra rivendicano l’aumento delle pensioni minime a 600 euro (mirando a raggiungere i mille euro nell’arco della legislatura) e la decontribuzione fino a 8mila euro per chi assume a tempo indeterminato dipendenti under 35. Resta il fatto che in FI ci si aspettava maggior coinvolgimento sin dall’inizio delle operazioni per costruire la prima legge di bilancio del governo. Senza contare che, nel clima caotico dell’esame a Montecitorio, si è anche sfiorato l’incidente interno alla maggioranza sullo scudo penale per i reati finanziari, fino all’ultimo dato per sicuro negli emendamenti dei relatori e poi saltato.
Il prossimo banco di prova rischia di essere il Mes. Nel partito di Berlusconi si registra una certa apertura alla valutazione dello strumento del Meccanismo europeo di stabilità.
La premier, invece, ha chiarito che l’Italia non vi ricorrerà, se anche alla fine il Parlamento dovesse decidere la ratifica.
Fra gli appuntamenti in cui periodicamente emergono spinte non sempre coordinate, ci sono anche le nomine delle società partecipate: fra gennaio e giugno il governo dovrà indicare i vertici di una sessantina di queste, incluse Eni, Enel, Ferrovie, Leonardo e Poste.
Intanto Meloni, dopo un rapido Consiglio dei ministri per deliberare i funerali di Stato di Franco Frattini – in programma poi alle 11.30 a Roma – alle 15 dovrebbe presiedere il Cipess, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile.
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