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La lotta agli abusi, lo scandalo che rischiò travolgere Chiesa

Benedetto XVI è stato il primo Papa ad avviare una campagna di “tolleranza zero” per sradicare il fenomeno della pedofilia nel clero e per punire i colpevoli, compresi i vescovi ‘omertosi’. Fu lui – a cui, all’epoca ancora cardinale, si deve la clamorosa denuncia della “sporcizia nella Chiesa” nella Via Crucis del 2005 – a portare a sentenza l’annoso processo sul ‘caso Maciel’, il fondatore dei Legionari di Cristo. E fu lui a volere massima trasparenza su ogni caso, contro la prassi degli insabbiamenti delle denunce di abusi e dei semplici spostamenti dei pedofili da una diocesi all’altra.
    L’emergere di sempre nuove vicende risalenti ai decenni passati (una lambì la stessa figura del Pontefice, per il cambio d’incarico a un prete pedofilo quand’era arcivescovo a Monaco) fece però divampare ancora di più lo scandalo a livello globale.
    Il Papa indirizzò anche una lettera “ai cattolici d’Irlanda”, Paese tra i più colpiti. Ma nell’estate del 2011 l’uscita delle relazioni governative sugli abusi nelle diocesi d’Irlanda innescò perfino una crisi diplomatica con Dublino.
    La forte spinta anti-pedofili da parte di Benedetto XVI, insomma, sembrò diventare un’arma a doppio taglio, che s’infiammò ancora di più negli anni successivi con le uscite delle varie indagini indipendenti o governative in diversi Paesi europei, in singole diocesi, come pure negli Stati Uniti.
    Lo scandalo, all’inizio del 2010, investì anche la Chiesa tedesca e in marzo arrivò a sfiorare lo stesso Benedetto XVI, già arcivescovo di Monaco di Baviera dal 1977 al 1982: proprio in quel ruolo, l’allora cardinale Joseph Ratzinger accettò nel 1980 di accogliere nella sua diocesi, da quella di Essen, al solo scopo di farlo curare, un sacerdote sospettato di molestie sessuali su minori. Secondo la ricostruzione fatta dalla diocesi di Monaco, l’allora vicario generale della capitale bavarese, mons. Gerhard Gruber, decise però di affidare al religioso, definito retrospettivamente come “padre H.”, un ruolo pastorale in una parrocchia. Ciò senza avvertire il suo superiore, ovvero lo stesso Ratzinger. Il sacerdote si rese poi responsabile di nuovi crimini di pedofilia tanto che nel 1986 il tribunale dell’Alta Baviera lo condannò a 18 mesi di carcere e a una multa di 4 mila marchi tedeschi.
    Immediatamente, sia il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, sia l’arcivescovado di Monaco sostennero l’assoluta estraneità di Benedetto XVI a quanto accaduto. Lo stesso ex vicario generale, mons. Gruber, si assunse ogni colpa, con una dichiarazione pubblicata sul sito diocesano.
    Ma il caso tornò a galla nel gennaio 2022, quasi nove anni le dimissioni di Benedetto XVI – intanto nel 2019 suscitò non poche polemiche un suo testo sulla pedofilia nella Chiesa, da lui collegata al “collasso morale” della rivoluzione sessuale del ’68 – con l’uscita del rapporto indipendente sugli abusi sessuali nell’arcidiocesi bavarese, che ha accusato Ratzinger di “comportamenti erronei” nella gestione di singoli casi.
    Tra l’altro, in quei giorni l’autodifesa del Papa emerito conobbe uno spiacevole inciampo quando dovette correggere una sua dichiarazione essenziale rilasciata in relazione al dossier.
    Contrariamente al suo precedente resoconto, infatti, Ratzinger partecipò alla riunione dell’Ordinariato il 15 gennaio 1980, durante la quale si parlò del prete giunto da Essen che aveva abusato di alcuni ragazzi ed era venuto a Monaco per una terapia. Tuttavia, dichiarò il segretario particolare mons.
    Georg Gaenswein, nell’incontro in questione “non fu presa alcuna decisione circa un incarico pastorale del sacerdote interessato”.
    Piuttosto, la richiesta fu approvata solo per “consentire una sistemazione per l’uomo durante il trattamento terapeutico a Monaco di Baviera”. La questione che restava in piedi, però, era che Benedetto sapeva del prete accusato di pedofilia, anziché il contrario. In seguito, al prete fu affidata la cura delle anime e continuò nei suoi comportamenti. E l’accusa che veniva rivolta all’allora arcivescovo Ratzinger era di non aver preso alcun provvedimenti affinché ciò non accadesse.
    Un’accusa che è costata all’ormai 95/enne Ratzinger anche una denuncia sporta in sede civile al Tribunale provinciale di Traunstein, nella Baviera tedesca, da un uomo che ha riferito di aver subito gli abusi proprio dal recidivo H. nella località di Garching an der Alz. Il Papa emerito, agli inizi di novembre 2022, ha anche accettato di difendersi nella causa insieme agli altri tre denunciati: oltre al prete già condannato penalmente, anche il cardinale Friedrich Wetter, successore di Ratzinger sulla cattedra di Monaco, e l’arcidiocesi stessa. Se non si fosse dichiarato disposto alla difesa, il Pontefice emerito, nella quiete dell’ex monastero Mater Ecclesiae, avrebbe rischiato una condanna in contumacia. (ANSA).
   


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