La geografia degli sfollati in Ucraina, da qualche giorno a questa parte, è cambiata. I flussi si sono ridotti, buona parte di chi doveva scappare, per fortuna e nonostante mille peripezie, è già fuggita. Ma il grande esodo non è finito, ha solo cambiato forma e si nutre di chi, in autonomia, dopo 35 giorni di conflitto, ha deciso di dire basta.
Sono ad esempio i passeggeri del treno n. 036 che da Odessa porta a Leopoli e da lì nella città polacca di Przemysl.
Famiglie arrivate in autonomia a Odessa dall’Est in fiamme e pronte a percorrere le ultime 15 ore che le separano dalla salvezza.
Non tutti i rifugiati in una guerra sono uguali. C’è chi non ha più una casa e non ha più averi. Chi senza corridoi umanitari ad hoc, forse, non potrà mai fuggire. E c’è chi invece è stato più fortunato e ha deciso di intraprendere il lungo viaggio in autonomia da città che hanno sì subito le bombe russe ma senza uscirne distrutte. In tanti, sul treno che collega Odessa a Leopoli passando attraverso boschi spogli e disseminati da accampamenti militari, arrivano dall’Oblast di Mykolaiv. E’ il fronte del Sud, dove i missili, nonostante i negoziati turchi, continuano a sibilare.
Nelle cuccette del treno è un proliferare di chiamate. “Come va lì?” “State bene?” “Stiamo arrivando”. C’è chi si fermerà a Leopoli e chi entrerà nell’Ue per rimanerci chissà quanto. Tre donne sono dirette a Praga, dove la più giovane di loro vive e lavora da anni. Ha deciso di tornare fino a Mykolaiv per venire a prendere madre e nonna. La casa è ancora lì, i bagagli preannunciano un arrivederci, non un addio. “Presto ci tornerò, nella mia Ucraina. E’ più bella della Repubblica Ceca, no?”, ironizza Svitlana, interrogando se stessa e tutta la cuccetta. E poi, all’alba, quando è nuovamente permesso alzare le tendine dei vagoni, guarda a lungo fuori dal finestrino. E piange.
Non è l’unica a farlo, nel treno n. 036. “La guerra non sappiamo quando finisce, non potevamo ancora restare lì”, racconta una ragazza, che con la sorella ha deciso di fermarsi, almeno per un po’, nella più sicura Leopoli. “In 50mila tra gli sfollati vivranno in città per qualche anno. Servono fondi per costruire nuove case”, avverte il sindaco Andriy Sadovyi.
Fino a qualche tempo fa sui treni che andavano verso l’Ucraina non c’era nessuno. Ora non è più così. Alcuni, raccontano alla stazione di Leopoli, stano cominciando a tornare indietro. Incrociando le dita e guardando le ultime notizie da Istanbul. E magari facendo tappa nella capitale dell’Ovest, che resta la città più sicura del Paese. Il centro storico, patrimonio dell’Unesco, ha ripreso a vivere a pieno ritmo. I bar, nonostante il gelo e la pioggia, hanno messo i tavolini per strada. Nella Piazza del Mercato e nelle strade adiacenti sono tornati i musicisti di strada. Le sirene suonano ancora, ma spaventano meno.
Leopoli resta guardata a vista dai militari. E resta un crocevia di giornalisti, fotoreporter, diplomatici e foreign fighters. “Dalla Repubblica Ceca siamo venuti in centinaia, la maggior parte senza esperienza, tutti volontari”, racconta Promoteo, nickname scelto da un giovane che fa parte del gruppo ‘who if not us’, ‘chi se non noi’. I componenti, di Praga, sono qui “per fare ciò che non fa la Nato”. E non avete paura di morire? “Sì, ma forse ha più senso che morire di vecchiaia mangiando hamburger”, è la personalissima visione di Prometeo della guerra in Ucraina.
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