L’occupazione è finita ma la mobilitazione non si arresta. Ripartirà il 4 novembre. Dopo le tensioni all’Università La Sapienza di Roma, per gli scontri tra appartenenti ai collettivi studenteschi e la polizia a margine di un convegno indetto da Azione Universitaria, sigla legata a Fratelli d’Italia, l’occupazione a Scienze Politiche si è conclusa alle 11 con un’assemblea all’aperto davanti alla facoltà. Se le modalità su come proseguire non sono ancora state stabilite, assemblee o un corteo, le rivendicazioni degli studenti sono chiare: una università “antifascista”, “anticapitalista”, “ecologista”, “transfemminista” e “antirazzista”.
Dopo aver appeso gli striscioni all’esterno della facoltà – “Mai più violenza sugli studenti, riprendiamoci i nostri spazi”, hanno scritto i ragazzi; “Un’altra università per questo, per altro per tutto”. E ancora: “Vostro il Governo, nostra la rabbia” – e poco prima dell’avvio del dibattito una studentessa dei collettivi ha spiegato le richieste degli universitari. E il perché della protesta dell’altro giorno. “Nel centenario della marcia su Roma rivendichiamo un’università antifascista. Al processo di normalizzazione dell’estrema destra che oggi è al Governo nemmeno la nostra università è immune, anzi ne è partecipe legittimando la presenza di personaggi reazionari e vicini ai movimenti neofascisti”. Gli interventi sono partiti da due principali richieste: dimissioni della Rettrice Polimenti “perché é mancata da parte sua ‘una assunzione di responsabilità'” e “fuori le forze dell’ordine dall’Ateneo”, ritmata anche in coro insieme a “siamo tutti antifascisti”.
Quanto agli scontri con le forze di polizia, i collettivi hanno parlato di ‘repressione’ o “abuso di potere”. La discussione ha poi ha affrontato i temi legati alla realtà che tutti i giorni gli studenti vivono. Tanti gli interventi, tra i quali quelli di esponenti di ‘Cambiare rotta’, l’Organizzazione Giovanile Comunista del collettivo di Scienze Politiche, del Fronte della Gioventù Comunista, del Collettivo di fabbrica della Gkn, degli studenti provenienti da Bologna.
‘Vogliamo uscire – ha sintetizzato Zeudi del Collettivo di Scienze Politiche – dalla narrazione che noi siamo gli studenti manganellati perché noi siamo molto altro” . Ed in effetti chiedono una università dove al centro siano i “bisogni e gli interessi” degli studenti e “non quelli delle aziende che finanziano la didattica e orientano la ricerca”. Aziende che ritengono “responsabili della crisi climatica e complici dei conflitti globali in atto’. Respingono “la logica del merito e dalla produttività” perché ci fa “essere in perenne competizione tra noi a discapito del nostro benessere fisico e psicologico.
Il merito non é altro che uno strumento con cui si acuiscono le differenze di classe tra gli studenti. Vogliamo una università a cui sia garantito l’accesso allo studio per tutti, a prescindere dalla condizione sociale di partenza”. Perché vogliono diventare “non solo utenti ma protagonisti”‘ . Un protagonismo che potrebbe avere riflessi anche sulle piazze e che potrebbe essere strumentalizzato da chi punta a far salire la tensione. Lo ha fatto capire il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, lo ha ribadito il capo della Polizia Lamberto Giannini e oggi lo ha fatto capire anche il comandante dei Carabinieri Teo Luzi quando ha sottolineato che, con la crisi e la guerra, “sarà un 2023 difficile”. Ma, ha assicurato, “il nostro compito è quello di dare sicurezza e di stare vicino alla gente”.
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