Il M5s non accetterà accordi annacquati. Dopo l’Aventino alla Camera sul voto finale del dl aiuti sono questi i ragionamenti che si fanno nella sede del Movimento, mentre dal Quirinale in giù tutta la politica italiana si domanda come si comporterà il partito di Giuseppe Conte giovedì al Senato, dove il regolamento prevede un’unica votazione sulla questione di fiducia. Una nuova astensione potrebbe essere il colpo letale alla tenuta della maggioranza, nonché al campo largo su cui da mesi lavora il Pd, che a quel punto (anche se dal Nazareno seguono la vicenda con forte imbarazzo) potrebbe decidere di accantonare l’alleanza con i grillini guardando a chi, come Azione, da tempo prevedeva l’implosione del Movimento.
Fra martedì e mercoledì i senatori 5s decideranno come muoversi, non è escluso che Conte partecipi a una riunione con loro. Restano poco più di 48 ore per provare a fare rientrare il rischio di una crisi, appalesatosi da quando tutti i deputati pentastellati sono usciti dalla Camera al momento del voto.
Tranne uno, Francesco Berti. “Ho votato a favore – ha spiegato – perché due crisi di Governo in una legislatura sono già troppe”.
Non è al momento in agenda un nuovo incontro fra Draghi e Conte, dopo quello di venerdì scorso, quando il leader M5s si è presentato a Palazzo Chigi con un documento in 9 punti sulle “urgenze del Paese”. “Aspettiamo risposte da Draghi”, è il refrain dei parlamentari del Movimento. Fra di loro c’è chi guarda con interesse all’incontro di domani fra il premier e i sindacati, che tocca molti di quei punti. Gli ottimisti sperano che possa produrre uno scatto sul salario minimo o sul taglio al cuneo fiscale, e pensano già a un rimpasto per andare avanti, ottenendo un posto (cruciale in chiave manovra) al ministero dell’Economia, dove il partito non è più rappresentato dopo la diaspora di Ipf.
Del salario urgente c’è “urgente bisogno”, avverte un post sul blog di Beppe Grillo, commentando i “numeri pazzeschi” del rapporto Inps sul lavoro. Ma ormai, nota un big del Movimento, è troppo tardi per trovare un’intesa sul salario minimo, proposta arenata da mesi in commissione alla Camera. Non vogliamo accordi al ribasso o annacquati, è il ragionamento che si fa nel M5s, i 9 punti sono la nostra bussola e vogliamo risposte concrete. Con i suoi Conte oggi è apparso una sfinge. Quella di non votare alla Camera il dl aiuti “era una decisione già chiara, perché c’è una questione di merito per noi importante che avevamo anticipato, c’è una questione di coerenza e linearità, quindi nulla di nuovo. Era stato anche anticipato, è tutto chiaro”, si è limitato a dire arrivando nel tardo pomeriggio in sede, più o meno mentre Draghi si recava al Quirinale per discutere anche della delicata situazione politica.
Non mancano parlamentari 5s che, a taccuini chiusi, esprimono perplessità sulla strategia di Conte. Non la commentano nemmeno dal Pd, da dove però arriva un appello alla serietà e alla responsabilità. Con la tenuta della maggioranza e del governo c’è in gioco anche il progetto di campo largo. La dichiarazione di non voto del M5s alla Camera ne ha segnato il “de profundis” secondo Enrico Costa di Azione.
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