L’arbitro delle contese politiche, parlamentarista convinto, uomo della “ripartenza” post-pandemica, cattolico progressista, amatissimo per i suoi toni garbati dagli italiani che ne hanno apprezzato l’autorevolezza di “pater familias” e il profilo basso tenuto nella guida della sua altissima carica. Sergio Mattarella chiude il settennato che, a dispetto della sua immagine di uomo restio ai conflitti, è stato tra i più duri della storia repubblicana.
Ben cinque governi in sette anni, succedutesi nel manifestarsi di una crisi profonda della politica che ha investito un’Europa squassata dal prepotente ritorno dei nazionalismi.
Il presidente mite, appunto, che ha mostrato i muscoli – lui europeista di ferro – per contrastare la deriva italiana del populismo, spingendosi fino a rischiare la nascita del primo esecutivo giallo-verde di Giuseppe Conte pur di non mettere al ministero dell’Economia una figura che a suo avviso avrebbe turbato i mercati e messo in discussione l’esistenza stessa dell’Unione. Si trattava di Paolo Savona, un economista sponsorizzato dalla Lega, ma gradito al Movimento Cinque stelle, che non aveva mai nascosto le sue opinioni critiche sull’integrazione comunitaria. Fece uso dei suoi poteri costituzionali sulla formazione del governo e disse un “no” clamoroso che spinse i Cinque stelle addirittura ad ipotizzare un impeachment nei suoi confronti.
Mattarella vinse la battaglia, Savona finì agli Affari Europei e all’Economia si sedette Giovanni Tria. Era il giugno 2018 e il presidente salvò la legislatura con una diarchia Lega-M5s inimmaginabile fino a poche settimane prima. Durò poco, però. Mattarella dovette affrontare una nuova crisi circa un anno dopo. Nell’agosto del 2019 la Lega di Salvini uscì dal governo e Conte si dimise per riottenere da Mattarella un secondo mandato attraverso uno spericolato cambio di maggioranza: via la Lega, dentro il Pd.
Non ci fu neanche il tempo di riflettere sulla bontà dell’operazione che l’Italia venne sconvolta dal Covid. La pandemia costrinse il capo dello Stato ad assumere un delicatissimo ruolo di guida politica di un Paese annichilito dal virus e stordito dalle sirene delle ambulanze.
Mattarella non ebbe dubbi su quale fosse la via da intraprendere e, ben prima della politica, scelse la strada del rigore, della scienza e dell’assunzione di responsabilità. Suggerì ed assecondò la linea della responsabilità collettiva, spiegando agli italiani il perchè di quelle scelte durissime che chiusero il Paese in una bolla surreale. Scelte dapprima osservate con sospetto all’estero e poi seguite con ammirazione da quasi tutta Europa. Fu tra i primi a vaccinarsi e perse ancora la sua mitezza dopo l’assalto no-vax alla sede della Cgil a Roma.
Da allora le sue reprimende verso “l’irresponsabilità” dei no-vax furono sempre più frequenti. La pandemia non impedì l’apertura di una nuova crisi, riportando grande preoccupazione al Quirinale da dove si osservava un’Italia sfibrata e messa alle corde dalla crisi economica. Il collasso del Conte due fu innescato da Italia Viva e i tentativi dello stesso premier di racimolare una minoranza risicata pur di andare avanti furono osservati silenziosamente dal presidente che però aveva ben altri piani. Messo di fronte al rischio di far tornare il Paese alle urne in piena emergenza sanitaria Mattarella tirò fuori l’asso dalla manica: chiamò, a sorpresa, Mario Draghi al Quirinale con l’obiettivo di formare un governo di emergenza nazionale. Proprio questa mossa fece riavvolgere il nastro della storia, dimostrando come l’ancoraggio ostinato del presidente all’Europa fosse frutto di un disegno razionale e non una mera scelta di principio. Proprio in quei giorni l’Unione europea stava concretizzando quella che lo stesso Mattarella aveva definito “una svolta epocale”, abbandonando il rigorismo di Bilancio Bruxelles aveva aperto i cordoni della borsa con il Recovery fund, l’immenso piano di salvataggio del quale l’Italia sarebbe stato il primo fruitore. E chi meglio dell’ex Governatore della Bce avrebbe avuto il peso politico per reimpostare il piano vaccinale e gestire gli oltre 200 miliardi del Piano? Su questa duplice missione nacque il governo di Mario Draghi e solo il partito di Giorgia Meloni decise di starne fuori.
Un settennato quindi positivo rispetto alle difficoltà incontrate. Lo dimostra il gradimento altissimo che i cittadini gli hanno riconosciuto. A Mattarella si può rimproverare poco. Forse si può registrare sul taccuino una eccessiva prudenza, alcuni mancati interventi rispetto a decreti scritti male, il realismo del possibile tipico della scuola democristiana e l’aurea di inaccessibilità mostrata con l’uso esclusivo di discorsi istituzionali. Insomma, niente di più lontano dalla presidenza sanguigna di Sandro Pertini o da quella del suo predecessore “re Giorgio”. Di certo è stata una presidenza di successo, come dimostra l’inarrestabile accerchiamento della sua figura in queste ultime settimane. Per una, due, tre volte Mattarella ha fatto capire di essere contrario ad un secondo mandato. Ma non basta. In tanti, tantissimi vogliono ancora “il presidente mite” al Quirinale.
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