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Quirinale 1964: via crucis per Giovanni Leone, ce la fa Giuseppe Saragat

Con Antonio Segni fuori dai giochi per l’emorragia celebrale che lo aveva colpito nell’agosto del ’64, le funzioni di capo dello Stato – pur davanti all’evidenza dell’impedimento permanente che prevede il decadimento del presidente e una nuova elezione – passano al “supplente” Cesare Merzagora che esercita il suo ruolo per ben quattro mesi. Solo il 6 dicembre, infatti, dalla famiglia Segni arriva una lettera di dimissioni aprendo la partita per l’elezione del successore. La prima seduta del Parlamento viene fissata per il 16 dicembre. Il partito di maggioranza relativa, guidato dal doroteo Mariano Rumor (a palazzo Chigi c’è Aldo Moro), è sempre pronto a dividersi quando si tratta di scegliere l’uomo da mandare al Quirinale. E così fa anche questa volta.

In pista ci sono Amintore Fanfani, Mario Scelba e Giulio Pastore, ma alla fine, il giorno prima dell’inizio delle votazioni, i gruppi scelgono a scrutinio segreto di puntare sul presidente della Camera Giovanni Leone. Lo sfidante è il socialdemocratico Giuseppe Saragat, che ancora una volta punta sulle crepe nello scudocrociato per raggiungere il traguardo. Sulla carta Leone ha la possibilità di farcela dal quarto scrutinio. Ma i franchi tiratori non gli lasciano spazio: Leone è costretto a una lunga via crucis nella quale i suoi voti fluttuano senza mai avvicinarsi al quorum. Vista la mala parata Leone sarebbe dell’avviso di ritirarsi, ma la Dc non vuole cedere. “Questa è la mortificazione di una Dc stracciata” dice il segretario della Dc Mariano Rumor, sperando in un pentimento dei frondisti . Le votazioni si susseguono inutilmente, mentre si avvicina il Natale. Al ministro calabrese Gennaro Calviani, arrivato a Montecitorio ingessato per un incidente automobilistico, qualcuno dice: “Farai prima a toglierti i gessi che noi ad eleggere il presidente”.

D’altra parte, anche la candidatura di Saragat non decolla. Dopo le prime votazioni i socialisti passano a votare per il loro segretario Piero Nenni. Anche i comunisti, dopo dodici scrutini in cui votano in blocco per il loro candidato di bandiera Umberto Terracini, spostano i loro voti su Nenni. Se franchi tiratori Dc e seguaci di Saragat si coalizzano Nenni può anche farcela. Leone prende 406 voti al quattordicesimo scrutinio, ma al quindicesimo ridiscende a 386. E’ il momento di gettare la spugna. Ormai siamo arrivati alla vigilia di Natale. Il 25, nonostante il giorno di festa, tutti convocati ma la Dc, per neutralizzare i franchi tiratori, decide di astenersi. Nenni si ferma a quota 349. Piazza del Gesù usa il pugno duro contro due franchi tiratori rei confessi: l’ex sindacalista Carlo Donat-Cattin e il giovane Ciriaco De Mita vengono sospesi per un anno per aver disobbedito alle direttive del partito.

Piazza del Gesù è in un vicolo cieco: se vuole salvare la faccia la grande balena bianca deve accettare di sostenere Saragat, che dopotutto è un fedele alleato di governo. Decisione sofferta, che prende tutto il giorno di Santo Stefano. Si ricomincia a votare: la Dc prima si astiene, poi comincia a votare per Saragat, ma i socialisti continuano a mettere nell’urna la scheda con il nome di Nenni. Il segretario del Psi incontra Saragat e acconsente a dargli i suoi voti. In quelle stesse ore i socialdemocratici vanno a chiedere i voti anche al segretario del Pci Luigi Longo. La risposta è che Saragat, se vuole averli, deve chiederli pubblicamente. Il fondatore del Psdi se la cava con una dichiarazione in cui auspica la convergenza sul suo nome di “democratici e antifascisti”. Per il Pci è sufficiente. Finalmente, il 28 dicembre, al ventesimo scrutinio, Saragat viene eletto presidente della Repubblica con 646 voti.


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