Sono sempre giornate complesse per il Quirinale quelle che precedono il tradizionale discorso di fine anno del presidente della Repubblica, ma quest’anno lo sono ancor di più. Sono ore di alacre lavoro per limare il testo dell’ultimo appuntamento televisivo con gli italiani accompagnate però dalla preoccupazione per l’emergenza pandemica che si aggrava senza soluzione di continuità. Ma soprattutto momenti forzosamente orientati al mese di gennaio, al prossimo futuro della Repubblica, all’elezione del successore e alla tenuta del sistema. Si respira un clima inevitabilmente grave che Sergio Mattarella percepisce – forse subisce, preciserebbero al Colle – alimentato dalle continue pressioni della politica che attraverso riservatissime telefonate e discreti contatti vorrebbe acquisire alcune certezze ove tutto andasse male nel grande gioco del Quirinale. Buona parte dei partiti ancora non si è rassegnata a lasciare del tutto fuori dal puzzle dell’elezione l’attuale capo dello Stato, quasi a voler tenere nella cassetta degli attrezzi l’unico cacciavite in grado di riparare la macchina fumante all’ultimo secondo.
Ma Sergio Mattarella è sempre più determinato nella sua convinzione che un suo bis non sarebbe più un’eccezione e diventerebbe la norma. E poi, cosa dovrebbe accadere? Che tutto l’arco parlamentare, Giorgia Meloni compresa, si convinca che un Mattarella bis sia il meglio per la Repubblica solo perché Mario Draghi non deve lasciare palazzo Chigi? Interrogativi che circolano fuori dal Quirinale ma che perdurano infastidendo il presidente e quindi rafforzando la sua convinzione. Resta il fatto che in questi giorni c’è poco e il dibattito sembra orientato più che all’elezione del nuovo capo dello Stato a come impedire che il governo collassi portando il Paese a rischiosissime elezioni anticipate. Chi meglio di Mario Draghi, osservano in molti, potrebbe dare garanzie dal Quirinale che no, una crisi non si può proprio aprire, richiamando i partiti ad una responsabilità collettiva che è poi alla base del suo esecutivo? Senza dimenticare che fu proprio Mattarella a convincere Draghi a bere l’agrodolce calice della guida di palazzo Chigi con un governo di ampia coalizione e quindi inevitabilmente di forte compromesso istituzionale.
Comprensibile quindi il silenzio del Quirinale sui contenuti dell’ultimo discorso del presidente. Ecco allora che le uniche certezze si dispiegano su tre concetti: responsabilità, bilancio ed incoraggiamento. Responsabilità individuale nell’affrontare questa infinita crisi sanitaria e responsabilità della politica nel saperne leggere l’impatto devastante sui cittadini e l’economia; bilancio di un settennato durissimo dal quale Mattarella si congeda con onore e la stima degli italiani; incoraggiamento che è un po’ il fil rouge della sua parte finale di presidenza, perché Mattarella chiude il suo impegno orgoglioso della risposta del Paese, del suo essere in marcia nonostante tutto. Un cammino che non si deve interrompere per interessi di parte o, tantomeno, per prematuri calcoli elettorali dei partiti. Sergio Mattarella non ha mai fatto invasioni nei campi altrui, rispettosissimo della divisione dei poteri costituzionali. E non lo farà certo nel suo congedo agli italiani. Ma basta rileggere tutti i suoi ultimi interventi per sapere come la vede il presidente. E certo a nessuno si può impedire di pensare cosa sia meglio per la Repubblica, tantomeno a chi l’ha servita in tanti ruoli per una vita intera.
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