Bruxelles – Non è solo il tempo delle denunce e delle sanzioni economiche. Contro il regime del presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, l’Unione Europea vuole dimostrare che già adesso è impegnata a sostegno della società civile e dell’opposizione democratica: una questione che spesso si sente dire o si legge alla voce “cose che Bruxelles non fa a sufficienza”. Proprio nei giorni in cui si è riaccesa la tensione tra l’UE e Minsk sulla questione della migrazione irregolare verso la Lituania, il Parlamento Europeo ha organizzato audizioni e attività nelle commissioni per accendere i riflettori sulla situazione nel Paese in tutta la sua drammaticità e per chiarire in che modo la macchina comunitaria si sia attivata per non lasciare soli i cittadini bielorussi.
“Lo spazio per le libertà della società civile in Bielorussia si sta riducendo in maniera sempre più significativa”, ha avvertito Vassilis Maragos, capo unità per il Partenariato Orientale di DG Near (dipartimento della Commissione Europea deputato alle politica di vicinato e dei negoziati di allargamento), durante il confronto odierno con gli eurodeputati della commissione Cultura (CULT). “Non smettiamo però di mantenere aperti i canali con attivisti e giornalisti, per condividere lo sforzo verso una transizione democratica nel Paese”. Tra le modalità di assistenza offerta da Bruxelles compare il “potenziamento della rete degli attuali 13 media indipendenti che sono dovuti fuggire dalla Bielorussia, o che dall’interno stanno creando una narrazione per i cittadini diversa da quella di Stato”.
Nonostante le sanzioni economiche imposte a Minsk, l’UE sta cercando per quanto possibile di non abbattere il sistema produttivo del Paese, soprattutto quello formato dalla maggioranza di imprenditori che non hanno nulla a che fare con il regime: “Da marzo stiamo sostenendo finanziariamente le piccole e medie imprese con prestiti, ma solo quelle che possiamo individuare prive di legami con lo Stato”, ha spiegato Maragos. Importante anche la solidarietà nel contesto COVID-19: “Non abbiamo mai smesso di fornire apparecchiature e materiale sanitario agli ospedali“, anch’essi spesso colpiti dalla scure della repressione, come ha dimostrato il caso dell’Ospedale dei Bambini di Grodno.
C’è poi il capitolo degli studenti universitari, “presi di mira, sospesi o incarcerati” per aver manifestato le proprie posizioni politiche ed essere scesi nelle piazze a protestare. “Per loro abbiamo previsto un regime di borse di studio per il prossimo anno accademico nelle università europee nelle quali hanno trovato rifugio”. Infine Maragos ha ricordato agli europarlamentari il pacchetto di investimenti da 3 miliardi di euro per il futuro della Bielorussia: “Non appena si metterà in moto un vero sistema democratico, saranno già pronti investimenti per la connettività e le PMI, per il sostegno ai media indipendenti e alle istituzioni democratiche”.
Il relatore sulla Bielorussia per il Parlamento UE, Petras Auštrevičius, ha riconosciuto che “solidarietà e sanzioni devono andare di pari passo fino a quando non riusciremo ad annullare il regime di Lukashenko”. Ricordando il rapporto che deve essere rinsaldato con la società civile (“i nostri interlocutori per il futuro sono loro”), l’eurodeputato lituano ha voluto porre l’attenzione sulla situazione dei media: “La Bielorussia è il Paese più pericoloso per i giornalisti“. Lo dimostrano le 480 detenzioni nel 2020 e i 147 incidenti – tra vessazioni, perquisizioni o incarcerazioni – solo a giugno di quest’anno. “La libertà di stampa non c’è più da tempo”, ha ribadito uno sconsolato Auštrevičius, “tutte le testate che si discostano dalla posizione dei media statali vengono represse dalla legge sugli estremismi”.
Proprio su questo tema ieri (lunedì 12 luglio) si è focalizzata l’attenzione della commissione Affari esteri (AFET). “Il giornalismo in Bielorussia è a rischio di estinzione“, è stato il grido di aiuto di Natalia Belikova, rappresentante dell’organizzazione Belarus in Focus. “Senza il sostegno della comunità internazionale non sopravviveremo, abbiamo bisogno della vostra solidarietà e del vostro aiuto”. Cosa significa in termini pratici “rischio di estinzione” lo ha messo in chiaro Daria Losik, moglie del blogger bielorusso Igor, detenuto dal giugno dello scorso anno: “Mio marito si trova nella prigione di Gomel in condizioni disumane, la sua cella è una cassa di cemento vuota. È in una situazione allucinante sia a livello fisico che psichico“, che ha portato l’uomo a tentare il suicidio e ora lo sciopero della fame.
Il dramma del giornalismo bielorusso è stato descritto in prima persona anche da Stanislav Ivashkevich, reporter di Belsat TV, televisione indipendente con sede in Polonia. Due colleghe – Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsova, condannate a febbraio a due anni di carcere – già da otto mesi si trovano dietro le sbarre: “La vita in prigione significa tortura”, è stato il commento lapidario del relatore. “Contro i giornalisti in prigione si usano tentativi di soffocamento“, come “chiudere cinque persone in una cella di due metri quadrati per far loro mancare l’aria necessaria e cospargerla di cloro”, ufficialmente per disinfezione, “ma in realtà per rendere ancora più difficile la respirazione”.
Il tentativo di Lukashenko è quello di “distruggere tutti i media, uno per uno, cominciando con i giornalisti più visibili”. Per questo motivo è stato chiesto “più sostegno ai media liberi”, perché non si zittiscano le voci critiche dentro i confini nazionali, quelle che ancora non sono state piegate dalla violenza dell’ultimo dittatore d’Europa. L’Unione sta facendo molto a sostegno della società civile bielorussa. Ma per dire “abbastanza” è necessario che anche l’ultimo prigioniero politico ingiustamente incarcerato sia fuori dalle sbarre e possa godere dei diritti fondamentali dell’essere umano.