Al di là dei toni sempre più accesi tra governatori, Lega e Palazzo Chigi e in attesa del prossimo Consiglio dei ministri, la riforma dell’autonomia differenziata resta un groviglio per iter e fattibilità concreta. Senza contare i futuri rilievi di costituzionalità che potrebbero arrivare. Nel mirino, le ‘sorti’ di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna che sono le tre regioni coinvolte per scelta. Ma alla porta ha bussato anche il governatore della Campania De Luca mentre quello della Sicilia Musumeci ha chiesto al premier Conte di convocare tutte le Regioni, senza distinzioni.
Tra i nodi più discussi la scuola, che ha fatto salire sul ring, apertamente, gli alleati di governo. Per il Movimento 5 stelle il rischio è di avere scuole di serie A e serie B. “Un bambino non sceglie in quale regione nascere: noi dobbiamo garantire l’unità della scuola”, aveva tuonato il vicepremier e leader del M5s Luigi Di Maio, dopo il tavolo a Palazzo Chigi che l’11 luglio si era arenato su questo. Nel vertice di due giorni fa, una soluzione che segna un punto per i 5 Stelle ma scatena la rabbia dei presidenti Zaia e Fontana: è stato soppresso l’articolo che prevedeva l’assunzione diretta dei docenti su base regionale, come chiedeva la Lega.
Insomma, niente concorsi regionali né differenze di stipendi tra prof e personale della scuola delle varie regioni e il mantenimento dell’unitarietà del sistema scolastica, punto definito anche dal premier Giuseppe Conte imprescindibile. L’altro rebus – forse il più importante – riguarda il fisco. L’ultimo accordo trovato è che le competenze in più chieste dalle tre Regioni saranno finanziate cedendo loro una quota dell’Irpef, generata sul territorio. Qui a cantare vittoria è la Lega. Ma per chi teme una ‘secessione’ mascherata, il rischio è che alla fine al ricco nord arrivino più soldi. Secondo i programmi iniziali, entro 3 anni i finanziamenti statali verrebbero assegnati alle Regioni dell’accordo, sulla base dei cosiddetti costi standard. Ma se quei costi non verranno individuati, le risorse non potranno comunque essere meno del valore medio nazionale pro-capite della spesa statale.
Al nord però la spesa pro capite per molti servizi è più bassa della media italiana, quindi andrebbe integrata. In una delle riunioni a Palazzo Chigi un’intesa provvisoria è stata trovata: per i primi tre anni i trasferimenti finanziari si basano su costi storici, poi entrerà in vigore il principio del fabbisogno standard. Ma il tema risorse è ancora aperto e sarà oggetto della riunione di martedì convocata da Conte. In ballo ci sono pure le infrastrutture.
In particolare alle Regioni fa gola la gestione di aeroporti, autostrade e ferrovie. E’ l’esempio di Milano che chiede all’amministrazione centrale di subentrare nelle concessioni su alcune strade e autostrade lombarde, attribuendosi programmazione e controllo. Idem per il Veneto sulle ferrovie ma il ministro Danilo Toninelli, non vuole cedere. Altre questioni calde sono la sanità, su cui le Regioni guidate da Zaia e Fontana chiedono un netto allargamento delle competenze legislative, e i poteri delle soprintendenze. La Lombardia ad esempio chiede di avere autonomia sulla gestione della pinacoteca di Brera o del Palazzo Ducale di Mantova, compresi soldi e personale in più. Ma il ministero dei Beni culturali non ci sta.
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