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    Il Parlamento Ue approva il prestito di 4 miliardi per l’Egitto, i Verdi: “La Commissione butta al vento democrazia e diritti umani”

    Dall’inviato a Strasburgo – Quando il gioco si fa duro i partner vanno tenuti stretti, anche quando non promuovono lo Stato di diritto. Questa sembra la ratio alla base dell’approvazione, da parte del Parlamento europeo riunito in seduta plenaria, delle due proposte di assistenza macro-finanziaria (Mfa) per la Giordania e l’Egitto, avanzate dalla Commissione Europea.Questo pomeriggio (1 aprile) gli eurodeputati si sono espressi sull’appoggio agli aiuti Ue. Con 571 voti a favore, 59 contrari e 46 astensioni, il quarto Mpa per il Regno hashemita di Giordania è stato approvato: il Paese riceverà 500 milioni di euro sotto forma di prestiti agevolati, per coprire i residuali bisogni finanziari, supportare riforme strutturali e mettere in sicurezza i propri sforzi di consolidamento finanziario. Già a gennaio la Commissione aveva annunciato un pacchetto finanziario addizionale per sostenere le sfide della Giordania, ed anche in questo caso i prestiti sono stati legati ad un’importante precondizione, ovvero il rispetto di meccanismi democratici effettivi, il raggiungimento di un sistema parlamentare multipartitico, il sostegno allo Stato di diritto, e la garanzia del rispetto dei diritti umani.Nessuna traccia di condizionalità per il prestito di 4 miliardi di euro approvato a larga maggioranza (452 voti a favore, 182 contrari, 40 astensioni) a favore dell’Egitto, che sarà erogata in tre tranche. Durante la votazione, un’alleanza tra i gruppi Conservatori e riformisti, Partito popolare europeo e Patrioti per l’Europa, ha portato alla bocciatura degli emendamenti dei Verdi volti a vincolare gli aiuti ai progressi compiuti dall’Egitto in materia di diritti umani e standard democratici. Le proteste da parte dei Verdi non si sono fatte attendere: “È evidente che la Commissione sta preparando il terreno per un losco accordo con l’Egitto sulla migrazione, anche in relazione alla drammatica situazione a Gaza”, ha criticato in un comunicato il francese Mounir Satouri, denunciando la soppressione del progetto iniziale e ricordando come “le autorità egiziane attaccano regolarmente i giornalisti, la società civile e i diritti dei cittadini”.L’Ue e le autorità egiziane avevano siglato un accordo di partenariato globale nel marzo 2024, che prevedeva un aiuto economico europeo di 5 miliardi di euro, compreso un prestito a breve termine di 1 miliardo di euro versato a il Cairo alla fine del 2024. Nonostante il memorandum comprendesse diversi obiettivi, come la cooperazione nel settore energetico, il dialogo politico e gli investimenti nel commercio, la componente di contrasto alla migrazione era ben evidenziata, specialmente se si considerano gli accordi analoghi stretti con Tunisia e Mauritania nello stesso periodo.“Aiutare i nostri partner significa favorire gli interessi europei in una zona instabile, questo voto sottolinea il supporto del Parlamento”, ha dichiarato Céline Imart (Ppe, Francia), relatrice del Parlamento europeo. “Il denaro destinato alla Giordania potrà essere erogato senza indugio, mentre andremo con un mandato forte al trilogo sull’Egitto per concludere rapidamente anche lì”, ha aggiunto. Le negoziazioni tra il Parlamento e il Consiglio per il pacchetto Mfa per l’Egitto sono attese “a breve”.

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    Ue al lavoro per stabilizzare il Libano. Varhelyi: “Situazione difficile”

    Bruxelles – La Siria ancora nella morsa di una guerra che prosegue da 13 anni, Israele in guerra contro il terrorismo di Hamas e in tensioni crescenti con l’Iran. In un Medio Oriente più instabile che mai l’Ue si mobilita per fare in modo che non salti anche il Libano, su cui il blocco a dodici stelle fa affidamento per gestire quel poco di ‘normalità’ rimasta nella regione. Ma il Libano inizia a destare preoccupazione circa la capacità di tenuta. Oliver Várhelyi, commissario per l’Allargamento, ammette “la difficile situazione che il Libano sta vivendo a livello nazionale, ulteriormente aggravata dalle tensioni regionale”.La Commissione, sulla spinta dei capi di Stato e di governo dell’Ue, ha deciso di provare a puntellare il governo di Beirut con un pacchetto di aiuti dal valore di un miliardo di euro per il quadriennio 2024-2027. L’obiettivo è assicurare “la stabilità del Libano e il suo forte sostegno al Libano e al popolo libanese nel contesto delle attuali crisi”, continua Várhelyi. Una priorità geopolitica in un momento di tensioni geopolitiche che continuano a preoccupare l’Europa per l’immediato futuro da un punto di vista economico, e non più solo quello.Cipro denuncia l’aumento del flusso dei richiedenti asilo siriani in arrivo sull’isola, via Libano. Il Paese dei cedri non riesce più a trattenere al proprio interno profughi e sfollati siriani che continuano ad arrivare, e li lascia partire. Tra arrivi regolari e ingressi irregolari si registra “un numero di migranti a Cipro cinque volte superiore a quello di qualsiasi altro Stato membro in prima linea”, denuncia l’europarlamentare Costas Mavrides (S&D) nell‘interrogazione in materia presentata al collegio.Ylva Johansson, commissaria per gli Affari interni, riconosce che la situazione si sta facendo delicata e ricorda che “Frontex sostiene il Libano attraverso il programma EU4BorderSecurity finanziato dalla Commissione, promuovendo la cooperazione bilaterale e regionale e la condivisione delle migliori pratiche nella gestione integrata delle frontiere”. Frontex, l‘Agenzia di guardia costiera e di frontiera dell’Ue ha il mandato di “negoziare un accordo di lavoro che potrebbe contribuire a migliorare le capacità di gestione delle frontiere“, nel caso specifico con il Libano. Si lavora con il Libano anche per la questione migratoria, altro elemento di pressione politica per un’Europa desiderosa di stabilità in un Medio Oriente comunque strategico. Per quanto riguarda i flussi migratori verso Cipro, l’esecutivo comunitario fa quel che può. “La Commissione – aggiunge Johansson – è in contatto regolare con le autorità cipriote e continua, insieme alle agenzie dell’Ue, a fornire a Cipro il necessario sostegno politico, finanziario e operativo per affrontare le attuali sfide nella regione”.

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    L’Ue ripristina obbligo di visti per Vanuatu: troppe cittadinanze ‘facili’ con cui entrare in Europa

    Bruxelles – Flussi di immigrati irregolari provenienti dall’altro angolo del mondo grazie a politiche ‘generose’ in termini di concessione della cittadinanza, con documenti che agevolano l’ingresso nello spazio Schengen a russi, cinesi e iraniani. L’Unione europea vede in Vanuatu un Paese terzo che inizia a presentare “serie e carenze e falle di sicurezza” per gli interessi dell’Ue, secondo i servizi della Commissione europea, che decide di sospendere l’accordo bilaterale che abolisce l’obbligo di visto per i cittadini dell’arcipelago dell’Oceania per entrare su suolo comunitario.La decisione dell’esecutivo comunitario può sembrare ‘curiosa’. Si si dà un sguardo al mappamondo si vede che Vanuatu è assai distante dall’Europa. Situato a est dell’Australia, a sud delle isole Salomone, nel versante orientale del mar dei Coralli, Vanuatu è davvero una destinazione remota. Ma ciò non impedisce al Paese di rappresentare una minaccia in termini di immigrazione regolare e sicurezza.Quello che ravvisano a Bruxelles è una politica di concessione delle cittadinanza di Vanuatu a cittadini di altri Paesi terzi. L’acquisizione della cittadinanza implica la possibilità di poter entrare e soggiornare liberamente nell’Ue per effetto dell’accordo che non richiede il visto. Dal 2015, denuncia la Commissione, le autorità vanuatiane hanno avviato “programmi di cittadinanza per investitori che consentono ai cittadini di paesi terzi soggetti all’obbligo del visto di ottenere facilmente la cittadinanza e il passaporto di Vanuatu, consentendo loro così di ottenere l’accesso senza visto all’UE, aggirando la procedura del visto Schengen”.Una pratica che sembra studiata a tavolino, visto che questi speciali programmi non prevedono requisiti specifici minimi di residenza su almeno una delle 65 isole abitate dell’arcipelago della Melanesia. Addirittura emerge che il processo di richiesta di cittadinanza è gestito da agenzie specializzate situate fuori Vanuatu, con la Commissione che cita esplicitamente Dubai (Emirati arabi), Thailandia e Malesia. In questo gioco di ‘documenti facili’ si teme anche per le ricadute in termini di sicurezza. Nello specifico preoccupa “la legislazione permissiva sui cambi di nome, poiché il richiedente che ha ottenuto la cittadinanza per investimento può anche richiedere un cambio di identità”.A usufruire dei passaporti di Vanuatu soprattutto richiedenti cinesi, russi, iraniani, nigeriani, siriani, iracheni. L’Ue teme che il remoto Stato dell’Oceania possa operare come ‘cavallo di troia’ per potenziali spie e estremisti islamici. “Ci avvaliamo del meccanismo di sospensione dei visti per rispondere in modo efficace alle minacce alla sicurezza”, taglia corto Ylva Johannson, commissaria per gli Affari interni. Vanuatu figura già nella lista nera dell’Ue dei Paesi non collaborativi in materia di lotta all’evasione fiscale. Adesso si aggiunge il capitolo ‘passaporti facili’.

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    Il nodo dei ‘rifugiati climatici’ in aumento, un problema politico per l’Ue

    Bruxelles – Un fenomeno in aumento e che crescerà ancora. Un problema reale, naturale, sociale, economico e ancor più politico. Perché nel diritto comunitario manca ancora una definizione di ‘rifugiato climatico’, e riconoscerlo vorrebbe dire dover aprire confini e frontiere a masse di migranti crescenti. Ma i numeri parlano chiaro, e il centro studi e ricerche del Parlamento europeo li raccoglie e li aggiorna. Dal 2008 oltre 376 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette a lasciare la propria abitazione a causa di inondazioni, tempeste di vento, terremoti o siccità, con un record di 32,6 milioni solo nel 2022. Non è la prima volta che il centro studi e ricerche del Parlamento europeo si sofferma sulla questione dei rifugiati climatici. L’ultimo rapporto realizzato nel 2021 censiva 318 milioni di sfollati causa eventi meteorologici estremi dal 2008. In due anni soltanto, dunque, si contano 58 milioni di sfollati ulteriori in tutto il mondo. Ma a dirla tutta “dal 2020 si è registrato un aumento annuo del numero totale di sfollati a causa di catastrofi rispetto al decennio precedente in media del 41 per cento”. Si tratta, guardando i numeri, di una “tendenza al rialzo chiara in modo allarmante”. Tanto che nello scenario peggiore si stima che “1,2 miliardi di persone potrebbero essere sfollate entro il 2050 a causa di disastri naturali e altre minacce ecologiche”. Un invito ad agire. Con la transizione sostenibile e la sua traduzione in pratica, certo. Ma pure con politiche di prevenzione e mitigazione dei rischi. Perché, avvertono gli analisti di Bruxelles, “con il cambiamento climatico come catalizzatore trainante, il numero di rifugiati climatici continuerà ad aumentare”, come dimostra l’ultimo anno, quello in corso. Mettendo insieme i principali eventi di cronaca, emerge come “solo nel 2023 centinaia di migliaia di persone sono state colpite da pericoli naturali e gravi catastrofi meteorologiche in tutto il mondo”. Qualche esempio: a settembre la tempesta Daniel ha causato la morte di oltre 12mila persone in Libia e 40mila persone sono state costrette a lasciare le proprie case; nel corso dell’estate le temperature nella regione del Mediterraneo e negli Stati Uniti hanno raggiunto livelli record e le inondazioni in Emilia-Romagna hanno ucciso 14 persone e provocato 50mila sfollati.“Il cambiamento climatico continuerà ad avere un effetto enorme su molte popolazioni, soprattutto quelle delle zone costiere e pianeggianti”, avverte il documento di lavoro. Uomini, donne e bambini si metteranno in marcia, ancora di più di adesso, perché il crescente impatto del cambiamento climatico sta rendendo alcune aree sempre più inabitabili, rendendo difficile il ritorno. Ma qui c’è il nodo politico della questione. Perché già adesso gli Stati membri dell’Ue litigano sulla gestione dei flussi, insistono sulla necessità di fermare le partenze per ridurre gli sbarchi. Un approccio che sembra in contrapposizione a tendenze peggiorative, dal punto di vista climatico e le sue ricadute. Oggi il diritto prevede che la protezione internazionale possa e debba essere riconosciuta da chi scappa da guerre e persecuzioni. Il clima non è contemplato, neppure dalle convenzioni Onu. L’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, spinge per un cambio di rotta e magari anche un nuovo trattato.Il Green Deal europeo riconosce che i cambiamenti climatici sono una delle cause che alimentano i fenomeni migratori, ma si limita a spostare l’accento sull’investimento in sostenibilità nei Paesi terzi. L’Europa ha già preso coscienza del fenomeno, ma non ha il coraggio, ancora, di introdurre una definizione giuridica di ‘rifugiato climatico’. Farlo vorrebbe dire aprire porti e porte dell’Ue.
    Un’analisi del centro studi e ricerca del Parlamento europeo torna su un tema noto e sempre più una sfida per i Ventisette. Nello scenario 1,2 miliardi di persone sfollate entro il 2050 a causa di minacce ecologiche

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    Sul Memorandum Ue-Tunisia si consuma un altro scontro tra Ursula von der Leyen e Charles Michel

    Bruxelles – L’intesa siglata a luglio tra la Commissione europea e il governo tunisino di Kais Saied continua a creare dissapori tra le istituzioni comunitarie. Dopo gli attacchi dell’Eurocamera e del capo della diplomazia europea, Josep Borrell, si è sbottonato anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
    L’ultimo capitolo della saga si è consumato dopo che il presidente tunisino ha definito la prima tranche da 60 milioni di euro versata da Bruxelles come “un’elemosina”, annunciando di volerla rifiutare. Decisione che fa seguito in realtà a diversi segnali allarmanti già lanciati da Saied, che ha rimandato un incontro di alto livello con la Commissione europea sull’attuazione del Memorandum e ha impedito l’ingresso sul territorio nazionale ad una delegazione dell’Eurocamera. Ecco allora che Michel, in un’intervista alla televisione spagnola Rtve, ha rilanciato la polemica: “È importante seguire le procedure e assicurarsi che gli Stati membri diano il loro mandato alla Commissione e poi gli Stati membri, durante questo processo, dicano sì o no, a ciò che la Commissione ha negoziato: questa è una lezione chiara, il coinvolgimento degli Stati membri è fondamentale per il suo successo”, ha dichiarato il leader Ue.
    Da sx: Mark Rutte, Ursula von der Leyen, Kais Saied e Giorgia Meloni alla firma del Memorandum d’Intesa Ue-Tunisia, 16 luglio 2023
    Già messa sotto accusa per non aver coinvolto i 27 nelle trattative dall’Alto rappresentante Borrell, la Commissione ha negato in modo seccato l’uscita di Michel. “Abbiamo visto queste dichiarazioni del presidente del Consiglio europeo, dal nostro punto di vista sono parzialmente imprecise e non rafforzano in nessun modo l’abilità dell’Ue di agire in modo efficace nell’affrontare la difficile questione della migrazione”, ha dichiarato oggi (4 ottobre) la portavoce dell’esecutivo von der Leyen, Arianna Podestà.
    Secondo la ricostruzione della portavoce, prima del 16 luglio (data della firma del memorandum) la Commissione avrebbe “riferito ripetutamente agli ambasciatori degli Stati membri e al Consiglio sulle principali caratteristiche dell’accordo e sui progressi fatti nei negoziati”.
    Podestà ha rivendicato inoltre la libertà della Commissione “di negoziare accordi che non sono vincolanti in base al diritto internazionale, come quello con la Tunisia”. Un accordo i cui negoziati “sono politicamente basati su conclusioni esplicite del Consiglio europeo“. La portavoce è infine passata al contrattacco, dichiarando che “dopo la conclusione dell’accordo diversi capi di governo hanno esplicitamente apprezzato il risultato e incoraggiato la Commissione a concludere altri accordi seguendo queste linee”.
    Dalla sua trincea la Commissione europea procede a testa bassa e – nonostante il rifiuto dei contributi finanziari annunciato da Saied – ha confermato di aver finalizzato “il pagamento di 60 milioni di euro di sussidi alla Tunisia dopo la richiesta del governo tunisino arrivata il 31 agosto”. Un’assistenza che, come ribadito dalla portavoce Ana Pisonero, non ha nulla a che vedere con il Memorandum, ma che rientra in un pacchetto concordato precedentemente nell’ambito della ripresa post-pandemica. Fonti europee rivelano tuttavia che Saied “ritiene che il volume delle risorse mobilitate non sia adeguato e non il linea con quanto concordato”.
    In difesa dell’accordo siglato da von der Leyen sono intervenuti oggi dall’emiciclo di Strasburgo il vicepresidente della Commissione europea, Margaritis Schinas, e il leader del Partito Popolare europeo – gruppo in cui siede la stessa von der Leyen – Manfred Weber. Per quest’ultimo il memorandum con la Tunisia, “anche se difficile da applicare”, è “un modello per altre intese con i Paesi dell’Africa settentrionale”, mentre Schinas ha assicurato che la sua attuazione “è stata accelerata, anche per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani”.
    Il memorandum con la Tunisia continua a non piacere neppure in Parlamento, dove una buona parte dell’Aula lo ha criticato anche oggi nel corso del dibattito. Ma, domanda l’esponente del Ppe Jeroen Lenaers, “qual è l’alternativa?”. Un intervento che dà il senso della situazione.

    Dopo il rifiuto di Saied alla tranche da 60 milioni di assistenza per la ripresa post-Covid, il presidente del Consiglio europeo ha attaccato la Commissione Ue per non aver coinvolto i 27 nei negoziati. Piccata la risposta dell’Esecutivo: “Dichiarazioni imprecise che non aiutano”

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    Tragedia dei migranti in Calabria, il giorno dopo: l’Ue si interroga sul sistema di ricerca e salvataggio

    Bruxelles – Il giorno dopo la tragedia di Steccato di Cutro, in cui hanno perso la vita almeno 63 persone migranti, a Bruxelles per l’ennesima volta è tempo di interrogarsi sul mancato soccorso all’imbarcazione che trasportava tra i 180 e 250 passeggeri provenienti da Turchia, Siria, Pakistan e Afghanistan. Perché il caicco, partito da Smirne, prima di schiantarsi sulle coste di Crotone, in acque territoriali italiane, ha attraversato tutto il Mar Egeo e lo Ionio senza che le venisse prestato soccorso. Nonostante, come dichiarato dalla Guardia di Finanza di Vibo Valentia, nella serata di sabato un velivolo dell’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera (Frontex) avesse avvisato le autorità italiane della presenza dell’imbarcazione a circa 40 miglia dalle coste crotonesi.
    (Photo by Alessandro SERRANO / AFP)
    Come sempre in questi casi arrivano le dichiarazioni di “profondo dolore e rammarico” dei leader Ue per un fenomeno tornato di stretta attualità. Complice un anno di arrivi da record alle frontiere europee, da mesi a Bruxelles è tornato in auge il “dossier migrazioni”, con la Commissione europea che lo scorso 21 novembre ha presentato un Piano d’azione specifico per il Mediterraneo centrale, in cui si ribadiva la necessità di “una cooperazione più stretta tra tutti gli attori coinvolti nelle operazioni di ricerca e soccorso”. E con le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo, tre settimane fa, che mettevano il sigillo sul principio che “la migrazione è una sfida europea e come tale va affrontata con una risposta europea”.
    Oggi la portavoce dell’esecutivo Ue per gli affari interni, le migrazioni e la sicurezza, Anitta Hipper, ha ammesso che “la situazione rimane molto complessa” e che “le operazioni di salvataggio avvengono spesso senza interazioni tra gli attori coinvolti”. Il problema di fondo, ribadisce da mesi la Commissione europea, è che le attività di ricerca e salvataggio in mare sono di competenza esclusiva degli Stati membri. E quindi, al di là degli innumerevoli richiami all’obbligo legale di soccorrere vite in mare, lo spazio di manovra dell’Ue rimane fortemente limitato.
    Il tentativo di rispolverare il Gruppo di contatto europeo di ricerca e soccorso, che si è riunito dopo un interruzione di un anno e mezzo lo scorso 31 gennaio, va nella direzione di “scambiare pratiche comuni e informazioni” tra i Paesi membri, niente di più. Ma, dopo quest’ultima tragedia, l‘invito a fare di più è arrivato direttamente dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), secondo cui “il tragico naufragio al largo della costa crotonese conferma l’urgenza di rafforzare il sistema di soccorso in mare, che resta insufficiente”.
    In passato, Frontex ha lanciato due programmi specifici per l’Italia e la Grecia, l’operazione “Triton” nel 2014 e l‘operazione “Poseidon” nel 2016, con le quali forniva personale e imbarcazioni per sorvegliare le acque territoriali dei due Paesi mediterranei. Quella italiana è stata poi sostituita nel 2018 dalla nuova operazione “Themis“, in cui “la ricerca e il salvataggio continuano a costituire un elemento fondamentale dell’operazione”. Secondo Anitta Hipper, solo l’anno scorso gli aerei e le navi di Frontex “hanno contribuito al salvataggio di 24 mila persone” nel Mediterraneo. Ma, ancora una volta, Hipper sottolinea che “non sta a Frontex il coordinamento delle missioni, che rimane competenza degli Stati membri”.
    Per questo sul tavolo delle istituzioni Ue, che si guardi al piano legislativo del Nuovo patto per le migrazioni e l’asilo o a quello operativo del Piano d’azione per il Mediterraneo centrale, “non ci sono proposte per missioni navali europee di salvataggio“. Anche perché i governi nazionali hanno scelto di prediligere gli sforzi per evitare che le imbarcazioni si mettano in moto. Una priorità anche di questo governo. La linea è adoperarsi per fare in modo che non ci siano navi cariche di migranti in acqua.

    Sono 63 per ora le vittime accertate dell’imbarcazione che si è schiantata sulla costa crotonese, più di 100 i dispersi. Sul tavolo “nessuna proposta per missioni navali europee di salvataggio”, nonostante l’invito a rafforzare il sistema di soccorso in mare pervenuto dall’Oim e dall’Unhcr

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    Migranti, Team Europe avvia due iniziative per gestire flussi nel Mediterraneo

    Bruxelles – Investire in Africa per eliminare le condizioni alla base delle partenze, e poi cooperazione nei rimpatri e nelle riammissioni. L’Unione europea lancia nuove iniziative mirate per la dimensione esterna dell’immigrazione. Due iniziative del Team Europe, l’insieme degli Stati membri dell’Ue e le sue istituzioni per rispondere in modo unitario alle sfide globali, inclusa quella dei flussi. “L’Africa nel 2050 conterà quasi tre miliardi di persone, e se non affrontiamo le problematiche economiche e legate al clima c’è il rischio di migrazioni di massa” verso l’Europa, sottolinea Antonio Tajani, ministro degli Esteri dell’Italia. Insieme a Francia e Spagna, l’Italia è al centro di questa iniziativa che l’esecutivo comunitario avvia oggi (12 dicembre).
    Mediterraneo centrale, quella che interessa da vicini l’Italia, e Mediterraneo occidentale. E’ qui che si intende intervenire con rinnovato slancio. “Stiamo lavorando intensamente perché il tema dell’immigrazione sia affrontato con una strategia di breve, medio e lungo termine”, continua il titolare della Farnesina.
    Per quanto riguarda la parte squisitamente migratoria dell’iniziativa,  si riuniscono dei Paesi africani ed europei di origine, transito e destinazione. Si vogliono creare nuove opportunità di coordinamento con i paesi partner, i partner internazionali e le pertinenti agenzie delle Nazioni Unite.
    Nel Mediterraneo centrale, più specificatamente, l’iniziativa  sosterrà l’attuazione di azioni operative per gestire la migrazione in cooperazione e coordinamento con Burkina Faso, Ciad, Egitto, Libia, Niger, Etiopia, Eritrea, Somalia, Sudan, Tunisia, Costa d’Avorio, Guinea e Nigeria. Per gli interventi lungo la rotta che invece interessa più da vicino la Spagna, quella del Mediterraneo centrale, i Paesi africani partner principali sono Algeria, Mauritania, Senegal, Marocco, Gambia, Ghana e Mali.
    Per quanto riguarda la migrazione regolare, si vuole puntare sull’ingresso di richiedenti asilo qualificati. “Stiamo lavorando per accelerare l’attuazione di questi partenariati su misura a partire da Marocco, Tunisia ed Egitto”, fa sapere la Commissione europea. “Una gestione efficace della migrazione può avvenire solo quando si stabiliscono solidi partenariati tra paesi di origine, transito e destinazione”, sostiene l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell. “Questo è ciò che fanno le due Iniziative Team Europa, offrendo una piattaforma strategica per coordinare meglio il nostro lavoro insieme ai partner africani”.
    Le iniziative insistono su ritorni, riammissioni, e cooperazione economica. “Dobbiamo agevolare estrazione e lavorazione della materie prime in Africa, in cooperazione” con autorità e aziende locali, insiste il ministro degli Esteri italiano. Che precisa: “Bisogna agire non con una nuova colonizzazione ma favorire la crescita del continente italiano”.

    L’alleanza Ue avvia partenariati con Paese africani per ritorni, rimpatri e cooperazione economica. Tajani: “Rischio migrazioni di massa, occorre risolvere i problemi di base”

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    Crisi dei migranti: Il Consiglio sospende le facilitazioni sui nuovi visti dalla Bielorussia

    Bruxelles – Il Consiglio ha deciso di sospendere parzialmente l’accordo di facilitazioni per l’ottenimento dei visti in UE per chi proviene dalla Bielorussia. Si tratta di una misura presa in risposta alle azioni ostili del governo bielorusso, in particolare “l’aver incoraggiato l’immigrazione irregolare per scopi politici” e la “brutale repressione contro tutti i segmenti della società”.
    La decisione non si applicherà a tutti i cittadini bielorussi, ma solo ai funzionari pubblici. Nel pratico saranno sospese le pratiche facilitate per l’ottenimento del visto, tra cui le riduzioni delle tasse per la domanda.
    Il Consiglio si è pronunciato dopo che nella giornata di ieri migliaia di migranti si sono ammassati presso il confine tra Polonia e Bielorussia, cercando di superare le barriere. Secondo il ministero della Difesa di Varsavia, i migranti sono controllati dalle forze bielorusse, che li stanno utilizzando come “arma asimmetrica” per colpire la Repubblica di Polonia.
    Aleš Hojs, ministro degli Interni della Slovenia e attuale Presidente del consiglio Affari interni, ha attaccato duramente il governo di Lukashenko, ribadendo che “è inaccettabile che la Bielorussia giochi con la vita delle persone per scopi politici” e che l’UE continuerà a “contrastare questo attacco ibrido in corso”.

    La decisione del Consiglio di sospendere le facilitazioni sui visti per chi viene dalla Bielorussia si applicherà solo ai funzionari pubblici del Paese ed è una risposta alla crisi migratoria che il governo di Minsk sta utilizzando come “arma asimmetrica”.