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    Peace Summit in Svizzera, 80 Paesi firmano per l’integrità territoriale dell’Ucraina. Von der Leyen: “Da Putin condizioni oltraggiose”

    Bruxelles – Più che una conferenza di pace, il tentativo di verificare la tenuta del supporto all’Ucraina da parte della comunità internazionale. Alla fine, il summit in Svizzera si chiude con una dichiarazione congiunta, firmata da 80 Paesi sui 92 presenti – tra cui i 27 Paesi Ue-, in cui si riafferma l’integrità territoriale dell’Ucraina e si sottolinea che “il dialogo tra tutte le parti è necessario per porre fine” al conflitto. “Un successo”, anche se “solo un primo passo”, è la valutazione di Volodymyr Zelensky, promotore della kermesse di Lucerna.La Russia non era stata invitata a Lucerna, la Cina è tra i 68 Paesi che hanno declinato – in tutto il governo svizzero ne ha invitati 160 -. E Armenia, Brasile, Colombia, Vaticano, India, Indonesia, Libia, Messico, Arabia Saudita, Sud Africa, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti non hanno approvato il comunicato finale. Paesi di quella zona grigia di equidistanza dalle parti in conflitto, ma soprattutto Paesi, Vaticano escluso, che storicamente hanno forti relazioni politiche ed economiche con Mosca. Discorso a parte per Riyad, che dovrebbe ospitare il prossimo summit per la pace in Ucraina e che – nella speranza di una partecipazione almeno di Pechino – ha preferito mostrarsi come un credibile mediatore e non ha sottoscritto la forte presa di posizione degli alleati di Zelensky.Ursula von der Leyen e Volodymyr Zelensky a Lucerna, Svizzera (Photo by MICHAEL BUHOLZER / POOL / AFP)Oltre ai 92 governi, nella lista dei firmatari anche la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio Europeo.  Durissima la presidente uscente dell’esecutivo Ue, Ursula von der Leyen, che in conferenza stampa ha dichiarato che la proposta di pace di Vladimir Putin “non è seria” e che nessun Paese “accetterebbe mai i termini oltraggiosi” messi sul tavolo dal Cremlino. Sul mancato invito a Mosca, la leader Ue ha proseguito: “Quando la Russia sarà pronta” per una pace basata “sulla Carta delle Nazioni Unite, arriverà il momento di partecipare ai nostri sforzi”. Von der Leyen, così come i capi di Stato e di governo dei Paesi del G7, sono arrivati a Lucerna freschi dell’accordo raggiunto al vertice di Borgo Egnazia per un prestito da 50 miliardi di dollari all’Ucraina, sostenuto dai rendimenti derivanti dagli asset russi congelati.Ribaditi i principi “dell’integrità territoriale e della sovranità di tutti gli Stati” come base per raggiungere una pace “globale, giusta e duratura” in Ucraina, il comunicato finale individua tre aree di comune interesse su cui lavorare per mettere fine alle conseguenze devastanti dell’aggressione russa. La prima è la sicurezza nucleare: da un lato “qualsiasi utilizzo dell’energia nucleare e degli impianti nucleari deve essere sicuro, protetto, tutelato e rispettoso dell’ambiente, dall’altro “qualsiasi minaccia o uso di armi nucleari nel contesto della guerra in corso contro l’Ucraina è inammissibile”, recita il documento.Gli 80 firmatari denunciano poi “la militarizzazione della sicurezza alimentare”, che sta minacciando in particolare i Paesi del sud del mondo, e infine sollecitano lo scambio di prigionieri di guerra e il ritorno dei bambini ucraini deportati dalla Russia. Zelensky ha dichiarato di essere pronto ad “avviare negoziati anche domani” se la Russia “si ritirerà dal nostro territorio”. Nel frattempo, l’obiettivo è lavorare al prossimo vertice “per porre fine a questa guerra, per una pace giusta e duratura”. La metà dei governi invitati a Lucerna – 80 su 160 –  stanno con Zelensky, che ha chiesto il sostegno di quei Paesi che hanno un’influenza politica forte nei confronti di Mosca e che “dovrebbero aiutarci”. La Cina, che si spera che non snobberà anche il prossimo summit per la pace.

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    La Francia si prepara alle elezioni legislative: a sinistra il Nuovo fronte popolare è realtà, mentre un giudice decide per reintegrare Éric Ciotti come presidente dei repubblicani

    Bruxelles – A due giorni dalla scadenza per la chiusura delle liste (termine ultimo domenica 16 alle 18) per le prossime elezioni dell’Assemblea nazionale (30 giugno e 7 luglio) gli schieramenti politici iniziano a prendere forma. La sinistra ha presentato oggi (14 giugno) la propria lista comune: il Nuovo fronte popolare. Hanno aderito diverse formazioni politiche: La France insoumise, il Partito comunista, gli Ecologisti, il Partito socialista e Place Publique.A destra il Partito repubblicano (Lr) ha trovato l’accordo con il Rassemblement national (Rn) per presentare 70 candidati comuni. Nonostante l’ufficio politico avesse espulso dal partito il proprio presidente, Éric Ciotti, accusato per aver aperto le porte al Rn, un giudice parigino s’è espresso dichiarando l’esclusione del presidente illegittima. I repubblicani però rimangono in subbuglio con molti esponenti che si sono schierati contro l’alleanza con l’estrema destra.Oltre ai due schieramenti ci sarà il partito del presidente della Repubblica Emmanuel Macron, Renaissance, guidato dall’attuale primo ministro Gabriel Attal e Reconquête, il partito d’estrema destra di Éric Zemmour che non ha trovato l’accordo con il Rassemblement national (Rn).La sinistra francese ha scelto l’unione contro l’estremismo di destraIl Nuovo fronte popolare è realtà. Tutti i partiti della sinistra hanno deciso di accordarsi per presentarsi alle prossime elezioni legislative con candidati comuni su tutto il territorio nazionale. La possibilità che l’estrema destra del Rassemblement national possa governare il Paese ha spinto la sinistra a superare le differenze e proporsi agli elettori con un programma di governo comune. I partiti hanno raggiunto un accordo su 150 misure da intraprendere nel caso in cui ottengano la maggioranza. Tra queste ci sono: riconoscimento dello Stato di Palestina, l’aumento del salario minimo (Smic) a 1.600 euro netti, la riforma del sistema di disoccupazione e una lotta contro l’inflazione e l’aumento dei costi energetici.Manuel Bompard sul podio per la presentazione del Nuovo fronte popolare. Nato nel 1986 è deputato e coordinatore per La France Insoumise.Al Nuovo fronte popolare oltre ai partiti hanno aderito anche diverse sigle della società civile, personaggi del mondo della cultura, intellettuali e associazioni come Greenpeace. Nella conferenza stampa di presentazione hanno presa la parola tutti i rappresentanti dei partiti politici che hanno sottolineato come la decisione di unirsi contro l’estrema destra rappresenta un momento storico. Visibilmente emozionata sul palco Marine Tondelier, segretaria degli Ecologisti, che ha dichiarato: “Abbiamo riacceso la fiamma, non quella di Rn (ndr presente nel simbolo del Rassemblement national), ma quella della speranza e ora dobbiamo mantenerla viva”.“Saremo all’altezza delle sfide che ci attendono, abbiamo scelto le migliori candidature possibili per vincere in tutti i collegi” ha sostenuto Manuel Bompard, coordinatore della France insoumise. Il Nuovo fronte popolare s’ispira alla coalizione guidata da Léon Blum, che nel 1936 permise al blocco delle sinistre di sconfiggere la destra fascista. Il concetto proposto da tutti i partiti durante la conferenza stampa è che bisogna unirsi per battere il Rassemblement national e gli unici veramente in grado di poterlo fare sono i membri del Nuovo fronte popolare.Nouveau Front populaire: “Emmanuel Macron n’aura pas de majorité”, assure Marine Tondelier (secrétaire nationale EELV) pic.twitter.com/VjSgGdaAhs— BFMTV (@BFMTV) June 14, 2024Anche Place publique sceglie di aderire al Nuovo fronte popolareSciolte anche le riserve sulla partecipazione di Place publique (partito di centrosinistra) che, con il rieletto europarlamentare Raphaël Glucksmann, annuncia l’adesione al Fronte popolare. Una scelta non semplice, come ha spiegato lo stesso Glucksmann questa mattina ai microfoni di France Inter. Il leader di Place pubblique ha rotto il silenzio dopo giorni di intense trattative con gli altri partiti della sinistra per annunciare il sostegno del suo movimento ai candidati unitari. “Non è stato facile accordarci su dei punti comuni, ma il pericolo di consegnare il Paese all’estrema destra è stato più forte”, ha confessato Glucksmann, aggiungendo: “Ho insistito e ottenuto che la lista si schieri su posizioni europeiste, che il sostegno all’Ucraina non venga messo in discussione e che non ci siano ambiguità nel chiamare terroristi i responsabili del 7 ottobre”.Nella foto Raphaël Glucksmann, leader di Place publique, ha guidato alle europee la lista comune tra il suo partito e quello socialista ottenendo poco meno del 14 per cento.Il leader di Place pubblique ha risposto agli ascoltatori che sono intervenuti durante la trasmissione per porgli delle domane, ribadendo la necessità di unirsi, nonostante le differenze, per superare il grande pericolo d’avere l’estrema destra al potere in Francia: “Oggi ci ricordiamo del Fronte popolare di Léon Blum come un successo, ma la sua creazione non è stata semplice, al suo interno c’erano dai comunisti ai radicali: persone con posizione assai diverse ma con un obbiettivo comune”. Raphaël Glucksmann ha affermato che il leader del Nuovo fronte popolare non può essere Jean-Luc Mélenchon (capo dell’estrema sinistra di La France insoumise) perché troppo radicale e dividerebbe invece che unire. Pur non presentando alcun nome ufficiale per la carica di Primo ministro in caso di vittoria Glucksmann ha fatto i nomi di “alcune persone di valore che sarebbero adatte”: François Ruffin e Valérie Rabault, deputati uscenti eletti da una colazione di sinistra, e soprattutto Laurent Berger, ex segretario generale del sindacato Confédération française démocratique du travail.Per Glucksmann presentarsi agli elettori sostenendo anche i candidati della France insoumise è stata una decisione sofferta ma necessaria. La situazione attuale per l’eurodeputato è grave e la responsabilità è del presidente Emmanuel Macron che ha sciolto l’Assemblea nazionale e convocato elezioni senza concedere il tempo necessario per la campagna elettorale (nella storia della quinta repubblica francese è la chiamata alle urne con meno preavviso). “Questo presidente si comporta con le istituzioni come un giocatore di poker”, ha dichiarato Glucksmann ribadendo che se l’estrema destra andasse per la prima volta al governo la responsabilità sarebbe delle decisioni “scellerate” di Macron.L’unione della destra sancita in tribunaleIl caos all’interno del Partito repubblicano ha trovato una soluzione, almeno giudiziaria: Éric Ciotti è ancora il presidente del partito. Il tribunale di Parigi ha preso la sua decisione, dopo che Ciotti era stato espulso dall’ufficio politico per aver deciso di presentare candidati comuni con il Rassemblement national. Il presidente aveva deciso di ricorre per vie legali contro questa scelta considerata illegittima.Éric Ciotti, classe 1965 è presidente del Partito repubblicano dal 2022 quando ha battuto Bruno Retailleau con il 53 per cento delle preferenzeNonostante la decisione del giudice il Partito repubblicano rimane nella confusione e in alcune zone della Francia, come nell’Hauts-de-Seine (ovest di Parigi) i candidati repubblicani e dei macronisti hanno deciso di non presentarsi l’uno contro l’altro. Più in generale però, nel caso in cui al secondo turno si dovessero affrontano un candidato di Rn e uno del Nuovo fronte popolare i repubblicani sosterranno i primi, perché come ha dichiarato François-Xavier Bellamy, capolista alle Europee e esponente della fazione contro Ciotti: “La France insoumise è il male per il Paese”.Durante un pranzo tra Jordan Bardella, leader di Rn, e Ciotti i due hanno trovato un accordo per presentare agli elettori 70 nomi in altrettanti collegi. Una vicinanza tra Ciotti e Rn, che va oltre alla politica, come dimostrata la scelta dell’avvocato che ha portato le istanze del presidente dei repubblicani davanti al giudice: Philippe Torre, un ex candidato del Rassemblement national.Il pronunciamento del giudice quindi, sancisce la chiusura definitiva dell’accordo tra Rn e Lr. Il partito resta nelle mani di Ciotti che è convinto della bontà della sua scelta per sconfiggere il presidente Macron e il Nuovo fronte popolare.Législatives: Jordan Bardella (RN) évoque l’investiture de 70 candidats en commun avec LR pic.twitter.com/7ppw92jQxo— BFMTV (@BFMTV) June 14, 2024

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    Le industrie della Spagna di Sanchez arricchiscono Putin: acquisti massicci di Gnl russo

    Bruxelles – Anche la Spagna di Pedro Sanchez finanzia il presidente russo Vladimir Putin e la sua macchina da guerra. Strano, eppur vero. Le aziende iberiche stanno acquistando il gas naturale liquefatto (Gnl) russo, e in modo massiccio. Accordi commerciali e politiche di approvvigionamento energetico che fanno storcere il naso Juan Ignacio Zoido Álvarez, europarlamentare spagnolo del Ppe che chiede conto alla Commissione europea e domanda anche eventuali provvedimenti. Provvedimenti però che non ci saranno. Perché, ricorda, la commissaria per l’Energia Kadri Simson, nella risposta fornita all’interrogazione parlamentare, “finora il Gnl russo non è stato soggetto a sanzioni, il che significa che alle società non è vietato acquistarlo“.Le imprese spagnole dunque non stanno violando alcuna norma Ue né aggirando le sanzioni decretate dall’Unione europea nei confronti della Russia e del suo presidente. Il governo di Madrid, a sua volta, non può impedire alle imprese spagnole di fare affari con i russi. E’ vero, ricorda Simson, che l’ultima proposta della Commissione per il 14esimo pacchetto di sanzioni comprende, tra le altre cose, restrizioni al trasbordo di Gnl russo nei porti europei”. Tuttavia il pacchetto proposto “richiede ancora l’adozione all’unanimità del Consiglio”.L’unica cosa che l’esecutivo può fare, e Simson assicura che il team von der Leyen “continuerà” a farlo, è  “invitare gli Stati membri e le imprese” a smettere di acquistare gas naturale liquefatto russo e a non firmare nuovi contratti per Gnl con società russe una volta scaduti quelli esistenti. La Commissione può fare pressione sul governo Sanchez affinché faccia pressione sulle imprese spagnole, ma in assenza di divieti e sanzioni è tutto rimesso alla singola compagnia.Con l’Unione europea impegnata a indebolire l’economia russa e minare le capacità di finanziare l’esercito russo per la guerra in Ucraina, il risultato, denuncia l’europarlamentare spagnolo, è che la Spagna “ora importa più gas naturale liquefatto dalla Russia di qualsiasi altro paese europeo”. Fornisce anche i dati, che sono quelli dell’Istituto di economia energetica e analisi finanziaria (Ieefa). Emerge che la quantità di gas russo in arrivo nei porti spagnoli “ha registrato nuovi massimi, aumentando del 30 per cento nel 2023 ed è aumentata per due anni consecutivi”.Zoido Álvarez critica e accusa il governo del proprio Paese di “chiudere un occhio”, ma esaminando il rapporto citato dall’europarlamentare emerge che fin qui non c’è solo la Spagna ad aver continuato a fare affari con il regime di Putin. L’Ieefa certifica sì che tra gennaio e settembre 2023 la Spagna risulta il principale importatore di Gnl russo tra i paesi dell’UE, con 5,21 miliardi di metri cubi importati. Ma ci sono anche altri che stanno continuando ad alimentare la macchina da guerra russa: la Francia di Emmanuel Macron (3,19 miliardi di metri cubi acquistati) e il Belgio (commesse per 3,14 miliardi di metri cubi).Sulla Spagna pesa anche la rivendita all’interno dell’Ue. L’Ieefa rileva nero su bianco come la Spagna acquisti il Gnl russo per poi rivenderlo a un terzo degli Stati membri dell’Ue, nello specifico a Italia, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Lituania, Paesi Bassi e Svezia.

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    Marion Maréchal, capolista alle europee per Reconquête, è stata espulsa dal partito

    Bruxelles – Prima il Partito repubblicano e ora Reconquête, la destra francese è in subbuglio: la ricerca di nuove alleanze in vista delle prossime elezioni legislative (30 giugno e 7 luglio), ha causato la defenestrazione di diversi esponenti chiave. Dopo la contestata espulsione dal suo stesso partito di Éric Ciotti, presidente dei repubblicani, è toccato a Marion Maréchal, esclusa da Reconquête dopo aver corso come capolista alle elezioni europee. La mela della discordia, in tutti e due i casi è la ricerca di un alleanza con il Rassemblement national (Rn) di Jordan Bardella.Durante un’intervista alla televisione francese BFMTV, il leader e fondatore della formazione d’estrema destra Reconquête, Éric Zemmour ha annunciato l’espulsione di Marion Maréchal e dalle persone a lei vicine nel partito. Alle elezioni europee il partito d’estrema destra (che correva con il nome La France Fière) è riuscito ad ottenere il 5,5 per cento dei consensi, eleggendo 5 eurodeputati, che sono andati ad accrescere il gruppo dei conservatori e riformisti (Ecr).Zemmour si è sempre speso per unificare la destra francese e farla correre con un’unica lista e, vedendo l’approssimarsi delle elezioni, aveva dato il compito a Marion Maréchal di negoziare con il Rassemblement National. La neo-eurodeputata però non è riuscita a trovare un intesa, accusando Zemmour di avere troppe pretese e annunciando di voler sostenere i candidati unitari del Rassemblement national e del Partito repubblicano. La dichiarazione di Maréchal ha scatenato l’ira di Zemmour che si è detto “ferito e disgustato” decidendo per espellerla dal partito.Una questione di famigliaMarion Maréchal sosterrà quindi il Rassemblement national alle prossime elezioni legislative. Un ritorno all’ovile per lei che è nipote, attraverso la madre, di Jean-Marie Le Pen, fondatore del Front national (Fn) e padre di Marie. Marion Maréchal. Era iscritta a Fn (nome del Rassemblement national fino al 2018) con cui nel 2012 era stata eletta al parlamento, diventando a soli 22 anni la più giovane rappresentante della storia della Francia repubblicana. Progressivamente però si è allontana dalla politica, fino a uscirne completamente nel 2017. Due anni dopo assieme a Éric Zemmour lancia la creazione di un soggetto politico con lo scopo di avvicinare e unire la destra gollista al Front national. Inizialmente Maréchal dice di non volersi impegnare nuovamente in politica, salvo poi diventare vicepresidente di Reconquête nel 2022.“È il record del mondo del tradimento” così Zemmour ha commentato la scelta di Maréchal, aggiungendo “Sono stato io a designarla come capolista alle europee, lei ha ricevuto molte donazioni dai militanti di Reconquête che con la sua scelta ha tradito”. Dal canto suo la nuova eurodeputata ha dichiarato di non aderire a Fn ma di aver espresso il suo sostegno alla lista unica della destra, inoltre Maréchal ha espresso la sua volontà di non candidarsi alle legislative ma di voler portare le ragioni dei cittadini francesi che l’hanno eletta a Strasburgo.Il “ritorno all’ovile”, com’è stato definito da Zemmour, di Maréchal  rischia di complicare la campagna elettorale di Reconquête. Il partito per riuscire ad eleggere i propri candidati all’Assemblea nazionale deve vincere nei collegi uninominali, ottenendo o la maggioranza assoluta al primo turno o quella relativa al secondo. Una missione difficile, dato che nel 2022 alle ultime legislative Reconquête aveva ottenuto il 4 per cento al primo turno e, oltre a non aver eletto nessun deputato non era riuscito nemmeno a partecipare alla seconda votazione. L’abbandono di Maréchal dunque, rischia di togliere dei voti che potrebbero risultare decisivi in un sistema maggioritario dove chi prende un voto in più elegge il proprio candidato e chi perde rimane a bocca asciutta.“C’est le record du monde de la trahison”: la réaction d’Éric Zemmour après l’appel de Marion Maréchal à une “union des droites” pic.twitter.com/k3Iws2H5DP— BFMTV (@BFMTV) June 12, 2024

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    La Commissione Ue: “Estendere protezione temporanea ad ucraini fino a 4 marzo 2026”

    Bruxelles – “Attualmente non esistono condizioni sicure e durature per il ritorno delle persone in Ucraina”, e per questo motivo la Commissione europea ha proposto di estendere la protezione temporanea per le persone in fuga dall’aggressione della Russia per un altro anno, dal 5 marzo 2025 al 4 marzo 2026. L’Ue ha attivato la Direttiva sulla Protezione Temporanea il 4 marzo 2022 con decisione unanime degli Stati Membri ed è stata automaticamente prorogata di un anno. L’ultimo rinnovo a settembre 2023. Adesso si rende necessaria una nuova, ulteriore riflessione.“La protezione temporanea ha già dato speranza a quasi 4,2 milioni di persone nell’Ue, e continueremo a fornire al popolo ucraino protezione temporanea per tutto il tempo necessario“, scandisce la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, che si dice “fiduciosa” sul fatto che “il Consiglio prenderà rapidamente la decisione di prolungare la protezione temporanea per un ulteriore anno”.La proposta della Commissione sarà sottoposta agli Stati membri in occasione della riunione del consiglio Affari interni del 13 giugno. Spetterà quindi ai ministri competenti valutare la proposta dell’esecutivo comunitario e procedere alla decisione del caso.A Bruxelles si guarda con preoccupazione al proseguimento della guerra e dell’offensiva russa. I continui attacchi dell’esercito di Mosca alle infrastrutture civili e critiche in tutta l’Ucraina costituiscono un motivo di serio rischio per la sicurezza dei civili. Da qui la necessità di continuare a garantire la protezione internazionale.

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    La Slovenia è il dodicesimo Paese dell’Ue a riconoscere lo Stato di Palestina

    Bruxelles – “Un messaggio di speranza” al popolo palestinese in Cisgiordania e a Gaza. Con queste parole, scritte sul suo account X, il primo ministro sloveno, Robert Golob, ha commentato il via libera da parte del parlamento di Lubiana alla proposta del governo di riconoscere la Palestina. La Slovenia diventa così il dodicesimo Paese dell’Ue a riconoscere lo Stato palestinese.Nella serata di ieri (4 giugno), l’Assemblea nazionale riunita in sessione straordinaria ha approvato con 50 voti favorevoli e nessun contrario – i restanti 40 deputati hanno abbandonato l’aula – la proposta del governo progressista guidato da Golob. La presidente del Parlamento di Lubiana, Natasa Pirc Musar, ha dichiarato che la Slovenia da ora in poi potrà “aiutare in modo ancora più credibile il popolo palestinese nel suo difficile cammino verso la vera indipendenza e l’uguaglianza nella comunità internazionale”.La Slovenia si aggiunge a Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Ungheria, Malta, Romania, Polonia, Slovacchia, Svezia, Spagna e Irlanda, gli Stati membri che riconoscono formalmente la Palestina. Di questi, solo Svezia, Spagna e Irlanda avevano attuato il riconoscimento mentre erano Paesi Ue. La guerra tra Israele e Hamas e la tragedia umanitaria di Gaza hanno ridato slancio alla questione palestinese e alla necessità di compiere passi concreti verso la soluzione dei Due Stati, e dopo Madrid e Dublino, Lubiana è il terzo Paese Ue in poche settimane ad annunciare il riconoscimento dello Stato di Palestina.Ma la quantità di Stati membri a riconoscere Ramallah è ancora decisamente bassa, se comparata con quella dei Paesi membri dell’Onu: 145 su 193, oltre i tre quarti. Tra i 27, sono meno della metà.

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    La metà dei Paesi Ue spinge per adottare i quadri negoziali con Ucraina e Moldova entro giugno

    Bruxelles – Mentre partiti e politici europei sono assorbiti dalla campagna elettorale per le elezioni che si svolgeranno da domani a domenica (6-9 giugno), dietro le quinte a Bruxelles sono giorni caldissimi per il futuro dell’Unione. Perché il mese di giugno determinerà i tempi e le tappe per l’adesione Ue di due nuovi Paesi, che attualmente sono candidati e che hanno ricevuto l’endorsement del Consiglio Europeo per l’avvio dei negoziati. Ucraina e Moldova attendono l’esito del confronto tra gli ambasciatori dei Ventisette per sperare in un via libera il prossimo 25 giugno al Consiglio Affari Generali all’adozione dei rispettivi quadri negoziali. E se da una parte c’è un’Ungheria reticente (ma non inamovibile), dall’altra ci sono 12 governi che hanno deciso di appoggiare apertamente l’accelerazione dei negoziati con una lettera inviata alla presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue.La ministra degli Affari esteri del Belgio e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Hadja Lahbib“L’apertura dei negoziati di adesione darebbe ulteriore motivazione” sia a Kiev sia a Chișinău, si legge nel testo visionato da Eunews, che ricorda la situazione “disastrosa” in Ucraina e le “imminenti” elezioni presidenziali e il referendum sull’Ue in Moldova: “Ciò rafforzerebbe il morale e promuoverebbe il lavoro sulle riforme in questi Paesi”, sono convinti i ministri di Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia. La richiesta alla ministra degli Affari esteri belga e presidente di turno del Consiglio, Hadja Lahbib – di cui è “molto apprezzato” il lavoro per far avanzare il processo di allargamento, sotto la sua guida dal primo gennaio –  è quella di adottare i quadri negoziali al Consiglio Affari Generali “al più tardi nel mese di giugno”, con l’obiettivo di convocare le prime conferenze intergovernative “entro la fine di giugno 2024”.La data segnata in calendario è quella del 25 giugno, quando si riuniranno i 27 ministri responsabili per la decisione (all’unanimità) sul via libera alle conferenze intergovernative con i candidati all’ingresso nell’Unione. “Alla luce dei risultati ottenuti e degli sforzi di riforma in corso” – si legge ancora nella lettera – “riteniamo che sia giunto il momento di andare avanti“, spingendo inoltre su una “integrazione graduale in singole politiche e programmi dell’Ue prima della piena adesione” all’Unione. La base di partenza sono le conclusioni del Consiglio Europeo di marzo, quando i capi di Stato e di governo hanno invitato i 27 ministri degli Affari europei ad “adottare rapidamente” i progetti di quadri di negoziazione e “a portare avanti i lavori senza indugio”. Lo stesso presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, aveva confessato allora che la speranza era quella di “arrivare alla prima conferenza intergovernativa sotto presidenza belga“, prima del passaggio di consegne all’Ungheria per la guida semestrale dell’istituzione Ue (che definisce calendari e temi in agenda delle riunioni dei ministri nelle diverse composizioni del Consiglio).Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (7 febbraio 2023)È proprio questo il nodo dei 20 giorni che mancano all’appuntamento in Consiglio Affari Generali. Dopo la prima fumata nera al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) di mercoledì scorso (29 maggio) a causa delle obiezioni ungheresi sull’Ucraina, il tema tornerà sul tavolo degli ambasciatori dei Ventisette venerdì (7 giugno). “Se i quadri negoziali saranno concordati entro quella data, la presidenza ha intenzione di organizzare le conferenze intergovernative per l’Ucraina e la Moldova dopo il Consiglio Affari Generali”, confermano fonti Ue in occasione della riunione di oggi (5 giugno) in cui è stata definita l’agenda parziale della riunione dei ministri del 25 giugno. Al momento sono state sciolte le riserve di tutti i Paesi membri, fatta eccezione per quelle di Budapest su diritti delle minoranze in Ucraina, commercio, lotta alla corruzione, agricoltura, funzionamento del Mercato unico e relazioni di buon vicinato.La speranza è che il governo di Viktor Orbán sia interessato a chiudere la questione dei colloqui di adesione dell’Ucraina prima di assumere la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue dal primo luglio, per evitare che il proprio semestre sia costellato da pressioni e polemiche a riguardo (e considerato il fatto che non si tratta dell’ultima occasione per l’Ungheria di utilizzare il potere di veto per bloccare l’adesione Ue di Kiev). Dopo la concessione dello status di Paese candidato nel giugno 2022 e nonostante i progressi costanti registrati dalla Commissione Europea nel corso del successivo anno e mezzo, il premier ungherese ha scelto la via dell’ostruzionismo per provare a impedire il via libera ai negoziati di adesione con Kiev. Solo attraverso una costante pressione delle istituzioni Ue – e lo sblocco da parte della Commissione di circa 10 miliardi di euro congelati a Budapest – Orbán ha compiuto un gesto abbastanza inconsueto ed eclatante al Consiglio Europeo del 14 dicembre 2023: ha lasciato la sala al momento del voto, così che gli altri 26 leader Ue potessero approvare la più attesa tra le conclusioni del vertice.Come funziona il processo di adesione UeIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.A che punto è l’allargamento UeLo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato. Tutte le richieste sono state poi accolte dal vertice dei leader Ue di dicembre e ora si attende solo l’avvio formale dei negoziati e l’adozione dei quadri negoziali per le prime due.Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Albania e Macedonia del Nord i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Montenegro e Serbia si trovano a questo stadio rispettivamente da 12 e 10 anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche la Bosnia ed Erzegovina è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e al Consiglio Europeo del 21 marzo ha ricevuto l’endorsement all’avvio formale dei negoziati di adesione. Il Kosovo è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata a fine 2022: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Per la diplomazia l’Ue si fida dell’Italia, seconda per numero di ambasciatori

    Bruxelles – Un totale di 145 rappresentanze diplomatiche, sei dipartimenti (Africa, Americhe, Asia e Pacifico, Europa, Europa orientale e Asia centrale, Medio Oriente e Nord America), più di 5mila tra diplomatici, funzionari, addetti e impiegati di vario grado. Sono i numeri del servizio per l’azione esterna dell’Ue (Seae), l’organismo della diplomazia dell’Ue gestito e presieduto dall’Alto rappresentante. Una macchina complessa, per una rete attiva in tutto il mondo e che si affida tanto sull’Italia. Perché tra i capi-delegazione il Paese offre tanto all’azione a dodici stelle.I numeri dicono che l’Italia è seconda per numero di figure di spicco nelle rappresentanze diplomatiche dell’Ue. Un totale di 16 capi-delegazione, cioè ambasciatori dell’Unione, (dei quali 3 con contratto temporaneo). Lo stesso numero che può vantare la Spagna (16 dei quali 4 temporanei). Solo la Francia vanta un peso maggiore nella diplomazia Ue (22, dei quali 6 funzionari temporanei). Da notare la prestazione del Belgio, non tra i Paesi più grandi dell’Unione, che però può vantare ben 10 ambasciatori.A offrire un quadro dettagliato è Josep Borrell, l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza in carica, rispondendo a un’interrogazione parlamentare molto spiccia e diretta in cui si invita a “inviare la ripartizione per nazionalità” degli ambasciatori e dei capi-delegazione nelle rappresentanze dell’Ue.La risposta di Borrell è telegrafica, ma nel caso specifico le informazioni vanno ricercate nell’allegato alla sua risposta. Qui si offre il riassunto dell’organizzazione delle rappresentanze aggiornata ad aprile 2024.C’è dunque un’Europa che si fida degli italiani e della loro capacità in ambito diplomatico. Una riprova di ciò è dato anche dal numero di inviati speciali che fanno capo al Servizio per l’azione esterna. Delle 10 figure appositamente create, due sono italiane. Si tratta di Luigi Di Maio (per il Golfo persico) e di Emanuela Del Re (per il Sahel, mandato in scadenza ad agosto, in carica dal 2021).Da notare il peso della Germania, molto più contenuto di quanto ci potesse attendere e che sembra confermare un’attenzione tedesca più agli aspetti interni che a quelli internazionali. Ma soprattutto lo ‘zero’ alla voce ‘britannici’. Molto probabilmente si tratta di una diretta conseguenza della Brexit. L’uscita del Regno Unito dall’Ue non ha significato la partenza di funzionari entrati ben prima del referendum. All’1 gennaio 2024 in Commissione risultano ancora 428 cittadini britannici.