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    Georgia: Mikheil Kavelashvili è stato eletto presidente

    Bruxelles – Non ci sono stati colpi di scena, lo scorso sabato (14 dicembre), quando è stato eletto il prossimo presidente della Georgia. L’incarico è andato all’ex calciatore Mikheil Kavelashvili, che era l’unico candidato ed è sostenuto dal partito di governo, Sogno georgiano. Le opposizioni hanno boicottato il processo ma non hanno i numeri per incidere. Il capo dello Stato in carica, l’europeista Salomé Zourabichvili, ha rifiutato di riconoscere la legittimità dell’elezione del suo successore. Mentre le proteste vanno avanti senza sosta da oltre due settimane, continua ad alzarsi la temperatura dello scontro politico-istituzionale nel Paese caucasico.Kavelashvili eletto presidenteTutto come da copione. L’ex calciatore Mikheil Kavelashvili, candidato del partito ultranazionalista Potere del popolo (una costola di Sogno georgiano la cui retorica è ferocemente anti-occidentale e soprattutto anti-statunitense), è stato eletto sabato dal Collegio elettorale con 224 voti a favore sui 300 seggi totali di cui si compone l’organo, composto da tutti e 150 i deputati di Tbilisi più altrettanti rappresentanti dei territori e delle amministrazioni locali. Il Collegio, introdotto dalla riforma costituzionale del 2017 (prima l’elezione del capo dello Stato avveniva per voto diretto dei cittadini), è dominato da Sogno georgiano, esattamente come l’emiciclo. Le forze dell’opposizione stanno boicottando i lavori di entrambe le istituzioni, ma non hanno i numeri per bloccare i processi in corso.Peraltro, il 53enne ex giocatore della nazionale era l’unico candidato alla successione della presidente della Repubblica in carica, l’europeista Salomé Zourabichvili, il che rendeva la sua nomina una mera formalità. Il punto politico rimane lo stesso da mesi: con le sue azioni (la nomina di Kavelashvili è solo l’ultima in ordine cronologico), il partito del premier Irakli Kobakhidze sta portando il Paese caucasico sempre più distante dall’Ue e sempre più vicino alla Russia di Vladimir Putin.Il premier georgiano Irakli Kobakhidze e la presidente uscente Salomé Zourabichvili (foto: Irakli Gedenidze / Pool / Afp)Piano inclinatoProprio il Cremlino è accusato di ingerenze nella politica georgiana, a partire dalle interferenze nelle contestatissime elezioni dello scorso 26 ottobre, che hanno visto il partito di governo mantenere il potere con il 54 per cento dei consensi (stando ai dati ufficiali) ottenendo la quarta vittoria di fila nelle urne.Continua così ad acuirsi la profonda crisi politica, che sta facendo scivolare Tbilisi su un pericoloso piano inclinato lungo i due binari paralleli delle proteste di piazza – ininterrotte da quando, lo scorso 28 novembre, l’esecutivo ha annunciato lo stop dei negoziati di adesione all’Ue fino al 2028 – e dello scontro istituzionale frontale tra maggioranza e opposizione.Zourabichvili, il cui mandato scadrà formalmente il 29 dicembre, ha più volte ripetuto che, considerando illegittima la nuova assemblea (e, di conseguenza, il Collegio elettorale), non intende lasciare il suo posto a fine mese. Il capo dello Stato uscente ha definito  l’elezione di Kavelashvili, avvenuta un anno esatto dopo la concessione alla Georgia dello status di Paese candidato da parte di Bruxelles, una “presa in giro della democrazia”.#GeorgiaProtests one year ago, Georgia received the Candidate status, today a Central Committee like « Parliament » « elects » a « one and only » candidate in a mockery of democracy.That will never prevent Georgia to pursue its european path and democratic future!— Salome Zourabichvili (@Zourabichvili_S) December 14, 2024Le reazioni al votoIl premier Kobakhidze si è congratulato con Kavelashvili sottolineando che “darà un contributo molto significativo al rafforzamento dello Stato georgiano e della nostra sovranità, nonché alla riduzione della radicalizzazione e della cosiddetta polarizzazione nel Paese”. Il primo ministro ha criticato Zourabichvili, sostenendo che l’attuale presidente abbia usato i suoi poteri “come mezzo per dividere la società” e per “indebolire artificialmente il nostro ordine costituzionale” con l’aiuto clandestino di “forze esterne”, in riferimento ai partner occidentali di Tbilisi con cui il capo dello Stato continua a mantenersi in contatto.Dall’opposizione, il leader di Georgia forte Mamuka Khazaradze ha dichiarato che “qualsiasi azione del governo illegittimo, compresa la nomina del cosiddetto presidente, è illegale e rappresenta una provocazione contro i suoi stessi cittadini”, mentre per Sopo Japardize, della leadership del partito Unm, il Paese sta assistendo ad “un circo” e la proclamazione di un “presidente illegittimo” da parte di un “governo illegittimo” rappresenta “un insulto al popolo georgiano”.Immobilismo europeoDa Bruxelles, come al solito, si fa fatica a prendere una posizione rapida e decisa. L’Ungheria di Viktor Orbán ha già fatto sapere che si metterà di traverso se i Ventisette dovessero discutere di comminare sanzioni alla dirigenza di Sogno georgiano, dimostrandosi ancora una volta il miglior amico di Putin nell’Unione.Le violenze contro i manifestanti – che non risparmiano nemmeno i giornalisti e i leader dell’opposizione parlamentare e sono state paragonate ad atti di tortura dal mediatore civico nazionale – stanno creando una pressione sempre maggiore sulle cancellerie europee per adottare una linea più dura nei confronti del governo di Tbilisi e di maggiore supporto della popolazione civile.L’Alta rappresentante dell’Unione per la politica estera e la sicurezza comune Kaja Kallas (foto: European Union)La stessa Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas, ha dichiarato stamattina (16 dicembre) ai margini del Consiglio Affari esteri in corso a Bruxelles che la situazione “non sta andando nella giusta direzione” e che i ministri degli Stati membri discuteranno di “cosa possiamo fare dal lato europeo”, ribadendo che le due opzioni attualmente sul tavolo sono le sanzioni e la limitazione del regime di liberalizzazione dei visti.Il capo della diplomazia a dodici stelle ha sottolineato che “la lista di persone” da sanzionare “è già stata proposta e la stiamo discutendo”, ammettendo tuttavia che “tutti devono concordare e non ci siamo ancora”. Per ora, i Paesi baltici hanno imposto unilateralmente delle misure restrittive su diverse personalità collegate all’esecutivo georgiano, incluso il primo ministro Kobakhidze. Quanto alla sorte di Zourabichvili, Kallas si è limitata a notare che “la presidente è in carica fino al 29 dicembre e molte cose potrebbero ancora succedere”.

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    Nato, l’allarme di Rutte: “Passare a una mentalità di guerra”. Il 2 per cento del Pil in difesa non basta più

    Bruxelles – Non perde tempo Mark Rutte, il nuovo segretario generale della Nato. La sua prima uscita pubblica di spicco dopo essersi insediato alla guida dell’Alleanza militare atlantica è quasi un appello alle armi: “È ora di passare a una mentalità di guerra“, ha affermato l’ex premier olandese, perché “il pericolo si muove verso di noi a tutta velocità”. Di fronte ad una Russia che “si sta preparando a un conflitto a lungo termine” e che nel 2025 spenderà tra il 7 e l’8 per cento del Pil per armarsi, la soglia del 2 per cento fissata dalla Nato non basta più.“Avremo bisogno di molto di più”, ha avvisato Rutte, incalzato dalla direttrice di Carnegie Europe, Rosa Balfour, di fronte ad una platea composta da giornalisti, funzionari europei, imprenditori ed esperti del settore della difesa. Un nuovo obiettivo di spesa militare condiviso a livello Nato ancora non c’è, “ma è evidente che nei prossimi mesi dovremmo accordarci su quale sarà la nuova soglia“. Rivolto non solo ai governi di quei pochi Paesi – tra cui l’Italia – che ancora non hanno raggiunto la soglia del 2 per cento, ma alle banche, ai fondi di pensione, fino all’opinione pubblica e ai cittadini, il segretario generale ha affermato chiaramente: “È inaccettabile rifiutarsi di investire nella difesa”. Anche se “significa spendere meno per le altre priorità”, le pensioni, la sanità, la previdenza sociale. L’Alleanza Atlantica “ha bisogno di una piccola percentuale” di quel denaro.La minaccia militare, ha messo in chiaro Rutte, non è immediata: “Per ora il nostro deterrente è buono, ma tra tre o quattro anni potrebbe non esserlo più”. Perché è sempre più evidente che Russia, Cina, Corea del Nord e Iran “stanno lavorando insieme per assicurarsi la propria sfera di influenza”. A preoccupare sempre di più, al di là del nemico pubblico numero uno, Vladimir Putin, è l’atteggiamento di Pechino. La Cina “sta aumentando in modo sostanziale le sue forze, comprese le armi nucleari, senza trasparenza e limitazioni”, ha puntato il dito Rutte.La “priorità assoluta” per i 32 alleati della Nato è quella di rafforzare l’industria della difesa, segnata da “decenni di investimenti insufficienti” e rimasta “troppo piccola, troppo frammentata e troppo lenta”. Non si tratta solo di spendere di più, ma di spendere meglio. E insieme: per Rutte, a livello europeo sarebbe importante insistere nella direzione di acquisti congiunti, “altrimenti l’impatto finanziario sarà enorme”. Per soddisfare le richieste del segretario generale, la Commissione europea ha già riconosciuto gli investimenti per la difesa come una priorità, allargando le maglie del rigore di bilancio per la spesa pubblica in questo ambito.Eppure, alle porte c’è il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, che potrebbe intavolare molto prima del previsto una trattativa di pace con il Cremlino. Dopo l’esito delle elezioni americane, l’eventualità di sedersi a un tavolo negoziale con Putin ha preso peso, anche perché altrimenti Washington potrebbe ridimensionare il suo impegno per la resistenza dell’Ucraina. Per Rutte, le speculazioni sui parametri da mettere in gioco per concludere la guerra vanno a vantaggio di Mosca: “C’è il rischio enorme di cominciare un negoziato senza nemmeno essere seduti al tavolo”, ha avvertito. L’importante sarà assicurare le garanzie di pace richieste da Zelensky, perché se sarà Putin a uscire vincitore dalla trattiva, sarà “un cattivo accordo”.Sul rapporto con il nuovo inquilino della Casa Bianca, che minaccia di chiudere l’ombrello di protezione a stelle e strisce sull’Europa, Rutte ha smorzato i toni. “Trump vuole spingerci e ha perfettamente ragione, da quando è diventato presidente nel 2017 abbiamo accelerato” sulla difesa. Ma sia chiaro, la Nato “non vuole spendere di più perché lo vuole lui, ma perché è in gioco la nostra sicurezza”.

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    Costa invita Starmer al vertice dei leader Ue di febbraio, prove generali di riavvicinamento tra Londra e Bruxelles

    Bruxelles – A Londra e Bruxelles si lavora per rinforzare la collaborazione tra Ue e Regno Unito nell’era post-Brexit, dopo lo storico cambio della guardia al governo britannico tra Conservatori e Laburisti. A dominare l’agenda del confronto è soprattutto il tema della sicurezza, visto il deterioramento del contesto internazionale. E, almeno a giudicare da un recente sondaggio, sia i cittadini britannici sia quelli europei sono d’accordo sulla necessità di ricucire i rapporti.Nel primo pomeriggio di oggi (12 dicembre) il presidente del Consiglio europeo, António Costa, ha incontrato a Downing Street il primo ministro di Sua Maestà, Keir Starmer, per delineare insieme alcune priorità intorno a cui imperniare la cooperazione tra le due sponde della Manica. Stando al resoconto ufficiale della riunione, i due hanno concordato “sull’importanza vitale di una più stretta collaborazione tra partner che condividono la stessa mentalità in un momento di crescente instabilità per il mondo”.Tradotto: con la guerra in Ucraina che si è ormai incancrenita, l’escalation in Medio Oriente che non accenna a placarsi e le crescenti tensioni nello spazio post-sovietico – il tutto a poco più di un mese dall’insediamento ufficiale di Donald Trump come 47esimo presidente degli Stati Uniti, in calendario per il prossimo 20 gennaio – le cancellerie europee e quella britannica non dormono sonni tranquilli.Come importante segnale di apertura da parte europea, Costa ha invitato sir Starmer a partecipare al vertice informale dei leader dei Ventisette che si terrà il 3 febbraio a Bruxelles. Il primo ministro britannico “è stato lieto di accettare l’invito e si è detto impaziente di discutere di una maggiore cooperazione strategica”, si legge nel comunicato, “in particolare in materia di difesa”. In aggiunta a quella riunione, già lo scorso ottobre i vertici comunitari e britannici avevano stabilito di convocare un primo summit Ue-Regno Unito per l’inizio del 2025, che dovrà essere il primo di una serie di appuntamenti di alto livello da tenersi a cadenza regolare.Great first meeting at Downing Street with PM @Keir_Starmer. Discussed ways to strengthen the relationship between the United Kingdom and the European Union. Very glad that the PM accepted my invitation to join us in a session of the informal meeting of EU leaders on 3 February. pic.twitter.com/A6QsjX48Iz— António Costa (@eucopresident) December 12, 2024Per quanto riguarda il delicato contesto geopolitico, i due hanno ribadito “il loro incrollabile impegno a fornire un continuo sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico all’Ucraina e al suo popolo per tutto il tempo necessario e con l’intensità richiesta” e, con specifico riferimento agli ultimi drammatici sviluppi in Siria, sono convenuti “sull’importanza di garantire una transizione pacifica verso una stabilità politica a lungo termine dopo la caduta del brutale regime” di Bashar al-Assad.Costa e Starmer hanno inoltre ribadito l’impegno di entrambe le parti “per la piena e fedele attuazione” degli accordi faticosamente stipulati all’indomani della Brexit e che regolano i rapporti bilaterali tra Bruxelles e Londra, complessivamente noti sotto il titolo di Accordo di recesso (Withdrawal agreement in inglese) e di cui fanno parte il cosiddetto Quadro di Windsor (cioè il protocollo sull’Irlanda del Nord) e l’Accordo commerciale e di cooperazione.Il riavvicinamento tra le due sponde della Manica sembra del resto andare incontro alle mutate sensibilità dei cittadini di Sua Maestà, come evidenziato da un’indagine pubblicata oggi dallo European council on foreign relations, un think tank pan-europeo specializzato nella ricerca su temi di politica estera. Secondo la rilevazione, l’opinione pubblica britannica non è persuasa a seguire il neo-rieletto Trump su una serie di questioni chiave a livello internazionale, dall’Ucraina alla Cina passando per lo scacchiere mediorientale.Tanto nel Regno Unito quanto in Ue gli intervistati ritengono che le relazioni tra le due parti “dovrebbero diventare più strette”: un’affermazione valida, tra gli altri, per il 55 per cento dei britannici, il 45 per cento dei tedeschi e il 41 per cento degli italiani. In tutti i Paesi esaminati (Francia, Spagna e Polonia oltre a quelli menzionati), la percentuale di chi preferirebbe una relazione più blanda rispetto all’attuale non supera l’11 per cento.Screenshot dal sito di ECFRGli inglesi “guardano più all’Europa che all’America, non solo per il loro futuro economico e la migrazione, ma anche per la loro sicurezza”, mentre tra gli europei è diffusa l’opinione per cui “offrire al Regno Unito un migliore accesso al mercato unico sia un prezzo che vale la pena pagare per un partenariato più stretto in materia di sicurezza”.Lo studio evidenzia che Oltremanica esiste uno “spazio politico” più ampio di quanto si potrebbe pensare sia tra l’elettorato pro-Brexit sia tra i Remainers, e che per l’esecutivo laburista di Starmer c’è “la chiara opportunità di riconquistare gli elettori pro-europei senza alienare” il cosiddetto “muro rosso” rappresentato dalle fasce operaie della popolazione.Quanto ai temi specifici della cooperazione tra Londra e Bruxelles, la maggioranza assoluta degli intervistati britannici ritiene che una cooperazione più stretta tra Regno Unito e Unione Europea possa avvantaggiare il primo in termini di gestione dei flussi migratori (58 per cento) e di rafforzamento della sicurezza nazionale (53 per cento).

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    La leader dell’opposizione bielorussa all’Ue: “I dittatori crollano all’improvviso”. Minsk verso elezioni “farsa” a gennaio

    Bruxelles – La Siria insegna: “le dittature sembrano invincibili finché non crollano all’improvviso e nemmeno un potente alleato può salvare un dittatore“. A dirlo, durante una conferenza al Parlamento europeo di Bruxelles, la leader dell’opposizione bielorussa in esilio, Sviatlana Tsikhanouskaya. Mentre la Bielorussia si prepara alle elezioni “farsa” previste per il 26 gennaio 2025, l’Ue consolida il sostegno alle forze democratiche e alla popolazione civile oppressa dal regime di Lukashenko con un nuovo pacchetto di assistenza da 30 milioni di euro.Tsikhanouskaya – figura principale dell’opposizione a Lukashenko da quando, durante la campagna elettorale del 2020, il marito candidato alla presidenza è stato arrestato e imprigionato – ha incontrato ieri nella capitale europea l’Alta rappresentate Ue per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, a margine della quarta riunione del Gruppo consultivo tra l’Unione europea e le forze democratiche e la società civile bielorusse. Ed oggi (12 dicembre) ha partecipato insieme alla presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, e alla commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos, ad una conferenza di alto livello all’Eurocamera.Il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko (foto: Alexander Kazakov via Afp)Il momento è decisivo: a seguito del voto del 2020, l’ondata di proteste che ha travolto la Bielorussia ha quasi causato la caduta di Lukashenko, al potere dal 1994. Per poi essere spenta dalla brutale risposta del regime, che ha costretto la stessa Tsikhanouskaya a fuggire in Lituania, dove risiede tutt’ora. Quattro anni dopo, “siamo ancora pronti al cambiamento e alla transizione democratica“, ha affermato Tsikhanouskaya al Parlamento europeo. Ma sia l’opposizione bielorussa che Bruxelles sono ben consapevoli che – come si legge in un comunicato del Servizio europeo di Azione esterna (Seae) “attualmente, a causa della repressione in corso, non ci sono le condizioni per elezioni democratiche“. Con ogni probabilità, a trionfare sarà per la settima volta il fantoccio di Mosca, Lukashenko.Dopo i moti di protesta del 2020, le autorità bielorusse hanno arrestato 65 mila persone, chiuso oltre 1.700 organizzazioni della società civile e bandito tutti i partiti politici tranne quattro, tutti pro-Lukashenko. L’Ue ha espresso “profonda preoccupazione per i circa 1.300 prigionieri politici ancora ingiustamente detenuti” e ha condannato “l’intensificarsi delle detenzioni e degli atti di repressione in vista delle cosiddette elezioni di gennaio”. Secondo il centro per i diritti umani Viasna, con sede a Minsk, nel mese di novembre sono state arrestate oltre 100 persone con l’accusa di estremismo in vista dell’appuntamento elettorale.La commissaria Ue per l’Allargamento, Marta Kos, alla conferenza di Alto livello sulla Bielorussia, 12/12/24Saranno una “farsa”, ha denunciato Tsikhanouskaya, sottolineando però al contempo che anche se “non sappiamo esattamente come e quando il cambiamento arriverà in Bielorussia, dobbiamo essere preparati“. L’Ue prova a fare la sua parte: intervenendo alla conferenza all’Eurocamera, la commissaria Marta Kos ha annunciato un nuovo pacchetto di assistenza per la popolazione bielorussa del valore di 30 milioni di euro, che “contribuirà a sostenere le voci indipendenti, a proteggere i difensori dei diritti umani e ad aiutare la cultura e l’istruzione in esilio”.Dalla feroce repressione del dittatore filo-russo del 2020, la Commissione europea ha destinato alla causa bielorussa 170 milioni di euro. Una solidarietà che ha permesso ad esempio di “fornire assistenza legale e medica a più di 3 mila vittime della repressione, borse di studio a più di 3 mila studenti e a sostenere migliaia di imprese in esilio”, ha evidenziato Kos. Dal Parlamento europeo, Tsikhanouskaya ha lanciato un disperato appello: “L’Ue è più di un semplice partner per noi, è l’unica alternativa al mondo russo“.

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    È pronto il 15esimo pacchetto di sanzioni Ue alla Russia

    Bruxelles – La presidenza ungherese del Consiglio dell’Ue ha annunciato che gli ambasciatori dei Paesi membri hanno definito e dato il via libera al quindicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. L’adozione formale prevista già lunedì prossimo, il 16 dicembre, in occasione del Consiglio Ue Affari Esteri.Il nuovo pacchetto aggiungerà altre persone ed entità all’elenco di sanzioni già esistente “e prende di mira entità in Russia e in Paesi terzi diversi che contribuiscono indirettamente al potenziamento militare e tecnologico della Russia eludendo le restrizioni all’esportazione”, ha anticipato la presidenza ungherese. Inoltre, “le sanzioni adottate limitano l’attività di ulteriori navi di Paesi terzi che operano per contribuire o supportare azioni o politiche a sostegno delle azioni della Russia contro l’Ucraina”.Esultano la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, António Costa, per un accordo “contenente misure per contrastare la flotta fantasma”, soprattutto petroliere, con cui Mosca aggira le restrizioni occidentali sul commercio di petrolio, fonte di reddito fondamentale per finanziare la guerra contro l’Ucraina. “L’Ue e i suoi partner del G7 sono impegnati a continuare a esercitare pressione sul Cremlino”, ha rivendicato von der Leyen. “Dobbiamo continuare a esercitare una forte pressione sulla Russia”, è l’indicazione dell’Alta rappresentante UE per gli Affari Esteri, Kaja Kallas, convinta che il nuovo pacchetto “indebolirà ulteriormente la macchina da guerra di Putin”.Si tratta del primo pacchetto di sanzioni concordate dai 27 durante i sei mesi di presidenza di Budapest – l’unico Paese membro che ha mantenuto saldi i legami con Mosca – al Consiglio dell’Ue. L’ultimo, il quattordicesimo, risale al 27 giugno scorso.‼️ Ambassadors have just agreed on the 15th package of sanctions in reaction to Russia’s aggression against Ukraine.️ The package adds more persons and entities to the already existing sanctions list, and targets entities in Russia and in third countries other than Russia that… pic.twitter.com/DMUoMhRYTH— Hungarian Presidency of the Council of the EU 2024 (@HU24EU) December 11, 2024

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    L’Ue finanzierà con 170 milioni di euro il controllo delle frontiere (e i respingimenti) con Russia e Bielorussia

    Bruxelles – La Commissione europea in soccorso dei Paesi baltici, della Finlandia e della Polonia, alle prese con un aumento degli ingressi irregolari di persone migranti da Russia e Bielorussia. Bruxelles mette a disposizione 170 milioni di euro per far fronte alla “natura grave e persistente” delle minacce ibride da Mosca e Minsk, colpevoli di un “inaccettabile armamento della migrazione”.Nella comunicazione adottata oggi (11 dicembre) dalla Commissione europea, si afferma che “per garantire la sicurezza e l’integrità territoriale in questo contesto eccezionale, gli Stati membri confinanti con la Russia e la Bielorussia devono essere in grado di agire con decisione“. L’Ue ha già messo a terre diverse misure per contrastare la strumentalizzazione dei migranti da parte della Bielorussia in Lettonia, Lituania e Polonia nel 2021 e da parte della Russia al confine con la Finlandia. In termini finanziari, operativi e diplomatici. Ora, per migliorare ulteriormente la sorveglianza delle frontiere, Bruxelles mette a disposizione 170 milioni per aggiornare le apparecchiature di sorveglianza elettronica, migliorare le reti di telecomunicazione, distribuire apparecchiature mobili di rilevamento e contrastare le intrusioni dei droni.Fondi che verranno distribuiti nei vari Paesi coinvolti: 19,4 milioni all’Estonia, 50 milioni alla Finlandia, 17 milioni alla Lettonia, 15,4 milioni alla Lituania, 52 milioni alla Polonia e 16,4 milioni alla Norvegia. “I Paesi confinanti con la Russia e la Bielorussia, come la Finlandia con i suoi 1.340 chilometri di confine con la Russia, stanno affrontando la pesante sfida di garantire la sicurezza dell’Unione e l’integrità territoriale degli Stati membri”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.Secondo i dati diffusi da Bruxelles, finora nel 2024 gli arrivi irregolari alla frontiera tra l’Ue e la Bielorussia – in particolare alla frontiera polacco-bielorussa – sono aumentati del 66 per cento rispetto al 2023. E nove persone migranti su dieci attraversano illegalmente il confine polacco-bielorusso possiede un visto russo da studente o da turista. “Non si deve mai permettere agli autocrati di usare i nostri valori europei contro di noi”, ha affermato von der Leyen. Ma la questione è complessa, perché se gli Stati membri hanno l’obbligo di proteggere le frontiere esterne dell’Ue, allo stesso tempo, devono rispettare i diritti fondamentali delle persone e il principio di non respingimento.Henna Virkkunen, Vicepresidente esecutivo Ue per la sovranità tecnica, la sicurezza e la democraziaGià a metà ottobre, il primo ministro polacco Donald Tusk ha annunciato la sospensione del diritto di asilo per far fronte al tentativo di destabilizzazione ibrida al confine. Oggi Bruxelles ha delineato le condizioni per l’adozione di misure “che possono comportare gravi interferenze con i diritti fondamentali, come il diritto di asilo e le relative garanzie”. In sostanza per la Commissione devono essere “proporzionate, limitate allo stretto necessario in casi chiaramente definiti e temporanee”.La vicepresidente esecutiva della Commissione europea con delega alla Sovranità tecnologica e alla sicurezza, Henna Virkkunen, ha affermato che “i diritti dell’uomo devono essere sempre rispettati quando vengono introdotte misure eccezionali, ma al tempo stesso sappiamo che la Russia e la Bielorussia stanno organizzando flussi di migranti verso le nostre frontiere perché stanno cercando di destabilizzare le nostre società” ed “è una cosa che non possiamo accettare”.In sostanza, per Virkkunen “occorrono delle misure eccezionali a carattere temporaneo negli Stati membri”, e pace se queste potrebbero ledere i diritti fondamentali delle persone migranti che Mosca e Minsk spingono al confine europeo. Le vere vittime rischiano di essere loro. Solo nella seconda metà dello scorso anno, il governo polacco – al tempo presieduto dall’ultra conservatore Mateusz Morawiecki, ha respinto più di 6 mila persone. In un rapporto pubblicato ieri (10 dicembre) da Human Rights Watch, l’ong ha accusato le forze dell’ordine polacche di “respingimenti illegali e a volte violenti” di persone che “rischiano di subire gravi abusi da parte dei funzionari bielorussi o di rimanere intrappolati in condizioni difficili” nel Paese fantoccio di Mosca.

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    Georgia, l’Ue studia “ulteriori misure” contro la repressione delle proteste. Ma l’Ungheria avverte: “Porremo il veto”

    Bruxelles – A Bruxelles, l’alleato forte del partito filo-russo al potere in Georgia, Sogno Georgiano, è l’Ungheria di Viktor Orbán. Mentre per le strade di Tbilisi – ormai al quattordicesimo giorno consecutivo di proteste contro la decisione del governo di sospendere il processo di adesione all’Ue – continuano le violenze delle forze dell’ordine, l’Unione europea avverte che “prenderà in considerazione ulteriori misure” nei confronti dei responsabili dell’arretramento democratico e della repressione. Ma Budapest promette: “Porremo il veto” a eventuali sanzioni a funzionari georgiani.La tensione nella Repubblica caucasica è alle stelle da quando, lo scorso 26 ottobre, il partito al governo dal 2012 ha vinto le elezioni, denunciate dagli osservatori locali e internazionali come irregolari e dal capo dello Stato, l’europeista Salomé Zourabichvili, come illegittime. La situazione è precipitata definitivamente due settimane fa, il 28 novembre, a seguito della decisione del primo ministro Irakli Kobakhidze di non inserire nell’agenda governativa la questione dei negoziati per entrare in Ue “prima della fine del 2028”.Secondo il bollettino diffuso ieri (10 dicembre) da Transparency International Georgia, in tredici giorni di proteste sono state arrestate 450 persone e più di 300 manifestanti hanno subito violenze e maltrattamenti. Oltre 80 hanno richiesto cure ospedaliere. Sia per le accuse amministrative che per quelle penali, i giudici “prendono le decisioni esclusivamente sulla base delle testimonianze degli agenti di polizia”. Diversi rapporti di organizzazioni internazionali – corredati da materiale audiovisivo – indicano che “gruppi mascherati affiliati al partito Sogno Georgiano sono stati impiegati per attaccare manifestanti e giornalisti”. Dal 28 novembre, sono stati documentati 92 episodi di violenza contro i giornalisti. La scorsa settimana, il Difensore civico della Georgia, Levan Ioseliani, ha accusato la polizia di “usare la violenza contro i cittadini come misura punitiva”, il che “costituisce un atto di tortura”.Fuochi artificiai sparati contro la polizia durante le proteste antigovernative a Tbilisi, il 3 dicembre 2024 (foto: Giorgi Arjevanidze/Afp)Denunce prontamente accolte da Bruxelles, che anzi “incoraggia le organizzazioni locali e internazionali e il Difensore civico a continuare a documentare le diffuse violazioni dei diritti umani”: in un comunicato diffuso dalla portavoce del Servizio europeo di Azione esterne (Seae), l’Ue ha accusato la polizia georgiana di aver represso le manifestazioni con “forza brutale e illegale”, attraverso “detenzioni arbitrarie di manifestanti e leader dell’opposizione” e prendendo di mira “specificatamente” lavoratori dei media. Il Seae ha chiesto “l’immediato rilascio di tutte le persone detenute” e di “porre fine alle intimidazioni diffuse, alle persecuzioni politiche, alle torture e ai maltrattamenti di cui sono vittime i cittadini”.La ministra degli Esteri georgiana, Maka Botchorishvili, il suo omologo ungherese Péter SzijjártóIl Servizio europeo d’Azione esterna ha esortato Sogno georgiano “a smorzare i toni”, e ricordato che è stata “la linea d’azione” del partito di governo a “portare all’arresto de facto del processo di adesione all’Ue”. Ed ora, il “persistente arretramento democratico e i recenti mezzi repressivi utilizzati dalle autorità georgiane hanno conseguenze sulle nostre relazioni bilaterali“. Le “ulteriori misure” da adottare verranno messe sul tavolo dei ministri degli Esteri Ue dall’Alta rappresentante per gli Affari esteri, Kaja Kallas, all’incontro previsto lunedì 16 dicembre. Due giorni dopo il prossimo appuntamento caldo previsto a Tbilisi, la successione tra Salomé Zourabichvili e il candidato di estrema destra Mikheil Kavelashvili alla guida della Repubblica.Un eventuale inserimento di funzionari georgiani nel regime di sanzioni Ue in materia di diritti umani richiederebbe un via libera all’unanimità da parte dei 27. Ma Kallas difficilmente potrà contare su Budapest per richiamare il governo di Tbilisi. A margine di un incontro bilaterale con la ministra degli Esteri georgiana, Maka Botchorishvili, il suo omologo ungherese Péter Szijjártó ha avvertito: “Ci opponiamo all’aggiunta di funzionari georgiani a qualsiasi lista di sanzioni. Se si presenterà una proposta del genere, l’Ungheria la bloccherà, questo è certo”. Il ministro di Orbán ha poi attaccato l’Unione europea, definendo le critiche alla Georgia “ipocrite, stanche e ripugnanti”.

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    Kallas, la priorità Ue è la stabilizzazione della Siria: “Non vogliamo nuove ondate di rifugiati”

    Bruxelles – A pochi giorni dal suo insediamento a capo della diplomazia europea, il primo banco di prova di Kaja Kallas è uno dei più complessi: coordinare la strategia di Bruxelles nei confronti della nuova Siria che sorgerà dal crollo del regime di Bashar al Assad. In un confronto convocato d’urgenza con la commissione Affari Esteri (Afet) del Parlamento europeo, l’Alta rappresentante Ue ha tracciato quello che sarà il posizionamento iniziale. Fatto di sostegno al popolo siriano e alle sue minoranze, di rispetto per l’integrità e la sovranità della Siria, di attesa per capire che direzione prenderà il nuovo potere instaurato a Damasco. Per Kallas, l’azione Ue dovrà essere mirata alla stabilizzazione del Paese, la vera priorità. Perché Bruxelles “non vuole vedere nuove ondate di rifugiati dalla Siria”.In attesa del Consiglio Affari esteri del 16 dicembre, in cui i ministri dei 27 proveranno a fare il punto della situazione, a tenere banco ieri era stata soprattutto la decisione unilaterale presa da Germania, Austria, Italia, Grecia, Belgio, Svezia e Danimarca di sospendere l’esame delle richieste d’asilo dei cittadini siriani. E lo spiraglio che la caduta di Assad apre al ritorno dei rifugiati accolti in Europa dal 2011 a oggi, oltre un milione. “Quando parliamo di rimpatri, abbiamo bisogno di una stabilizzazione del Paese”, ha dichiarato Kallas. “Non ci siamo ancora, tutto è appena accaduto, ma dobbiamo supportare il Paese in modo che vada nella giusta direzione e che i rifugiati possano ritornare”, ha aggiunto.Nessuna parola riguardo la sospensione delle richieste d’asilo in corso in sette Paesi membri. Sul tema, è invece intervenuto oggi l’Alto commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr), attraverso le parole della portavoce Shabia Mantoo. “Alla luce della situazione incerta e molto fluida, la sospensione dell’esame delle domande di asilo dei siriani è accettabile finché le persone possono fare domanda di asilo e sono in grado di presentarla“, ha dichiarato Mantoo. Fermo restando che “chiunque cerchi protezione internazionale deve poter accedere alle procedure di asilo e vedere la propria domanda esaminata pienamente e individualmente nel merito“.L’Unhcr assicura che, “una volta che le condizioni in Siria saranno più chiare”, fornirà nuove indicazione agli Stati sulle “esigenze di protezione internazionale dei profili rilevanti di siriani a rischio”. Nel frattempo, i richiedenti asilo messi in attesa “devono continuare a godere degli stessi diritti di tutti gli altri richiedenti asilo, anche in termini di condizioni di accoglienza“.il leader della milizia islamista Hay’at Tahrir al-Sham(HTS), Abu Mohammed al-Jolani  (Photo by Aref TAMMAWI / AFP)A Damasco, nel frattempo, il leader della milizia islamista Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) che ha guidato il rovesciamento del regime, Abu Mohammed al-Jolani (che ha dismesso il nome da battaglia e si fa ora chiamare con il vero nome, Ahmad al Sharaa), ha incaricato formalmente l’ex capo del Governo di salvezza di Idlib, Mohammed al Bashir, di guidare un governo di transizione fino a marzo 2025. Secondo l’Alta rappresentante Ue per gli Affari Esteri, “le prossime settimane saranno cruciali per vedere la direzione” che imboccherà Damasco e per smentire le “preoccupazioni legittime che riguardano il rischio di violenza settaria, di recrudescenze estremiste e di vuoto di governance“. HTS “non è stata l’organizzazione più pacifica – ha ammesso la leader Ue -, la domanda per molti attori della regione è se ora siano veramente cambiati”.Per ora, Kallas non ha intavolato alcun contatto diretto con HTS e il suo leader. Ma ha concordato un messaggio unitario con i principali ministri degli Esteri della regione: HTS “sia giudicato dalle azioni” che intraprenderà ora che è al potere. Azioni che non possono prescindere dalla tutela dei diritti di tutti i cittadini siriani e che dovranno passare per un “processo di ricostruzione inclusivo che coinvolga tutte le minoranze, le donne e le ragazze”. E nella regione, è fondamentale che “nessun Paese tiri la coperta dalla propria parte”. La Turchia e Israele su tutti, i due Stati forti nell’area dopo la caduta del regime sostenuto dall’Iran.Sull’azione militare israeliana in territorio siriano, con bombardamenti sull’arsenale militare di Assad e l’occupazione dell’area demilitarizzata sulle Alture del Golan, Kaja Kallas però non ha alzato i toni. “Il ministro israeliano ha informato il Consiglio di sicurezza dell’Onu su ciò che sta facendo. Naturalmente tutti nella regione sono preoccupati per la propria sicurezza“, ha affermato l’Alta rappresentante Ue.